Dedicato A Sara

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Dedicato A Sara
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MARCO FOGLIANI

Aggiornamento: 25/11/2020

Indice dei contenuti

  IL CONCERTO DELLA BANDA DI LORENZO

  NULLA SFUGGE ALLA MAMMA

  LE CARTOLINE DI CLARA

  EPITAFFIO

  GELINDO E FLORINDO

  L'INCONTRO A DIGNANO

  UN NATALE DIVERSO

  UNA DONNA FORTUNATA

  MILLE ED ALTRI CENTO

  IO E ANNA

  SOGNO DI UNA NOTTE DI PIENA ESTATE

  LA TERZA PRIMAVERA

  LA PRINCIPESSA CICLAMINO ED IL CAVALIER MIRTILLO

  SCELTA D'AMORE

  LA FIDANZATA IMMAGINARIA

  NON SENZA SALUTARE

IL CONCERTO DELLA BANDA DI LORENZO

Ritornando dalle lezioni, un pomeriggio, mi imbattei per caso in una serie di manifesti in cui si pubblicizzava, di lì a quasi un mese, il concerto de “La Banda di Lorenzo”.

Vedendo i manifesti pensai subito a Clara - anche se probabilmente il mio pensiero era quasi fisso su di lei ormai da qualche mese - perché era il suo gruppo preferito. Una buona scusa, se mai avessi avuto bisogno di averne una, per chiamarla quella sera e fare altre due piacevoli chiacchiere con lei. E poi chissà, magari ci si poteva organizzare per andarci insieme.

“Hai visto che la banda di Lorenzo farà un concerto il mese prossimo al Palaconcerti?”

“Sì, lo so. Ma già l'altro giorno sono andata a Tivoli a informarmi dal tabaccaio in piazza, che è l'unico qui nella zona che di solito vende i biglietti per i teatri e i concerti, e li aveva già finiti.”

Rimasi un po' deluso che non me lo avesse detto prima - che data la sua loquacità era quasi equivalente ad avermelo tenuto nascosto - e che non avesse pensato subito di andarci con me. Ma come sempre apprezzai molto la sua spontaneità e sincerità, e fui molto contento perché avevo modo di rendermi utile per lei e guadagnarmi un po' di punti e di riconoscenza.

Le proposi: “Se ti va mi informo se riesco a trovarli io qui a Roma. E se li trovo ci andiamo insieme, d'accordo?”

“Oh si, magari! E se li trovi dovresti prenderne uno anche per la mia sorellona, che verrebbe anche lei volentieri.”

Avrei preferito una uscita in due, ma sua sorella ci poteva stare. Era simpatica e stava dalla parte mia. E poi come sempre per Clara sarei stato disposto a qualunque cosa, anche a prendere i biglietti per tutti i suoi amici di Tivoli, e magari andarli a comprare a Napoli.

E così mi recai in centro ad informarmi nella rivendita specializzata. Feci anche una certa fila, e alla fine non riuscii a trovare niente di meglio che tre posti non numerati nel settore H, da cui, mi spiegò la signorina, si vedeva poco ma in compenso si sentiva molto bene e costava poco.

Un mio amico che andava spesso al Palaconcerti mi spiegò che in effetti dal settore H si vedeva abbastanza bene sul megaschermo, ma i veri artisti sembravano dei puntolini lontani; ma sul fatto che si sentisse molto bene non era d'accordo. Forte, molto forte quello sì, perché lì vicino c'erano delle potenti casse acustiche; ma questo non voleva affatto dire che si sentisse bene, anzi.

Riferii a Clara i commenti del mio amico, e anche il suo consiglio di portarsi delle cuffie o dei tappi a protezione delle orecchie anche se, mi aveva spiegato, poi i bassi te li senti vibrare nella pancia, e lì non ci sono tappi che tengano. Però se arrivi molto presto puoi scegliere i posti migliori, e magari riesci anche a cambiare settore; e al limite puoi uscire fuori sul piazzale proprio davanti ai cancelli, tanto si sente anche da lì.

Quando riferii questi commenti a Clara lei sembrò rassegnata: “Allora mi porterò delle cuffie, e cerchiamo di arrivare il più presto possibile, e poi vedremo”, commentò.

Dopo circa una decina di giorni la prospettiva del nostro concerto sembrò migliorare notevolmente. Accadde che per caso incontrai sull'autobus Franco, un mio vecchio amico alto ma con la voce da basso profondissimo, il quale mi chiese se potevano servirmi due biglietti per il concerto della banda di Lorenzo.

“Li ho già comprati, anche se ne ho trovati solo per il settore H dove mi hanno detto che si sente da schifo”, gli risposi.

“Io ne ho due per il settore C, poltroncine da 25.000 lire l'una. Se vuoi te li cedo a metà prezzo. Purtroppo non posso andarci perché quella settimana sono stato comandato in missione a Torino. Non riesco a trovare nessuno a cui rivenderli, a parte il mio capo a cui non li voglio dare. I miei amici si sono già tutti attrezzati. Che ne dici?”

“Dico che avrei anche un altro problema: che di biglietti me ne servirebbero tre.” Mi immaginavo già come sarebbe finita: io da solo nell'inferno del settore H, e Clara con la sorella sedute comodamente su due poltroncine ed insidiate, come due fiori dalle vespe, da giovanotti aitanti in giacca e cravatta.

“Dai, pensaci: facciamo 20.000. Magari coi biglietti tutti insieme non se ne accorgono se uno è diverso.”

“Va bene, qualcosa mi inventerò”, risposi riluttante. In realtà avevo sempre la speranza che la sorella di Clara potesse cambiare idea, magari all'ultimo momento, e non venire.

“Senti, facciamo così: ci risentiamo prima che io parta. Può essere che nel frattempo riesca a rimediare un altro biglietto. E tanto adesso non li ho dietro con me.”

Rimanemmo così, ed infatti poi lui si rifece sentire.

“Ne avrei rimediati anche altri due di biglietti per le poltroncine. Quel bastardo del capitano ha mandato in missione anche il mio collega. Secondo noi lo ha fatto apposta: non è riuscito a trovare i biglietti e ci ha comandato fuori città. E poi guarda caso ci ha chiesto se per caso qualcuno poteva vendergli dei biglietti. Ma noi neanche morti, piuttosto che darli a lui li stracceremmo. Oppure glieli potremmo dare dal milione in su … Ma no, dai, se vuoi sono tuoi, facciamo 20.000 tutti, va bene?”

“Beh, allora grazie, anche al tuo collega. Io comunque posso darvi in cambio tre biglietti per il settore H, da dove si sente male e non si vede niente. A questo punto non mi servono più. Se vi possono servire per farci dispetti o speculazioni ai danni del vostro capitano ...”

Insomma alla fine - mancava solo una settimana al concerto - concludemmo coi biglietti. Ma quando ebbi i biglietti in mano avevo già anche la sensazione che non mi sarebbero serviti. Clara era raffreddata già da un paio di giorni, e già sapevo come sarebbe andata a finire: prima la sciarpa, poi il naso arrossato, e figurati se sarebbe uscita alla sera in quelle condizioni! Il giovedì si assentò addirittura dalle lezioni. Alla sera la chiamai a casa e mi confermò le sue non buone condizioni di salute.

“Mi dispiace, ho idea che non potrò venire sabato al concerto”, mi disse.

“Certo che lo spettacolo ci perderà molto senza di te”, ribattei scherzando, ma sinceramente dispiaciuto. “E tua sorella?”

In effetti sarei andato malvolentieri al concerto senza Clara, e andarci con la sorella, da soli o con qualcun altro che non conoscevo, avrebbe potuto diventare imbarazzante: ma se lei o Clara avessero insistito, mi sarebbe stato moralmente difficile non accompagnarla. Sarebbe stato come tirarmi indietro da un impegno preso.

“No, lei resta a casa a tenermi compagnia”.

Fui sollevato da questa notizia.

“Abbiamo scoperto che il concerto lo daranno in diretta anche alla TV, ce lo guarderemo insieme.”

“Peccato che non stai bene, altrimenti avrei potuto venire anch'io a vederlo con voi”, le dissi. Io ci sarei andato di sicuro qualunque malattia avesse avuto, ma sapevo che lei non me lo avrebbe permesso per nessun motivo.

Ma alla fine fu davvero un po' come se ci fossimo andati insieme.

Quella sera, appena iniziato il concerto, le telefonai e passammo forse più di un'ora al telefono. Capitava spesso che passassimo intere serate al telefono, ma in genere era per parlare, di tutto e di niente, e magari inconsciamente solo per sentire il suono delle nostre voci. Quella volta invece non ci fu nessuna conversazione, se non qualche breve commento tra una canzone e l'altra, qualche spiegazione da parte sua su quello che le era piaciuto di questa canzone, o quello che le ricordava quest'altra. Per il resto sentivo il televisore acceso in sottofondo, e lei che ci cantava sopra come poteva, come glielo consentivano il suo stato di salute e la sua voce, un po' più rauca del solito ma mai ad alto volume e sempre per me molto bella.

“Non so se dovresti cantare nelle tue condizioni”, le feci notare timidamente. Per una volta facevo io la parte della mamma/infermiera apprensiva, che in genere era lei ad interpretare nei miei riguardi. Lei non provò nemmeno a giustificarsi dietro una scusa, ma io lasciai cadere la cosa: sentivo che con la sua voce veniva fuori anche la sua anima, felice e spensierata, ed era uno spettacolo bellissimo da ascoltare.

 

Lei stava sdraiata o seduta nel suo letto, con la televisione che, appositamente per l'occasione e con lunghi fili stesi per la casa, era stata portata di fianco a lei, nella sua stanza. Io, che invece non avevo conquistato l'esclusiva del televisore di casa mia, ero sprofondato in poltrona e ascoltavo rilassatissimo, canticchiando di tanto in tanto con lei le poche parole che conoscevo.

E' per te soltanto che io cantavo,

è per te soltanto che io studiavo,

è per te soltanto che io morivo,

solo per teeeeeee ...”

A me personalmente la banda di Lorenzo era sempre stata piuttosto indifferente, un gruppo come tanti anche se dovevo riconoscere che qualche loro canzone era carina; ma da quando avevo conosciuto Clara, prima solo per solidarietà con lei ma un po' alla volta anche per mia vera convinzione, avevo cominciato ad apprezzarli anch'io.

E' per te soltanto che io ballavo,

è per te soltanto che io lottavo,

è per te soltanto che io fumavo,

solo per teeeeeee ...”

Nei pezzi più famosi si univa al coro anche la sorella, che ogni tanto usciva dalla stanza di Clara lasciandoci soli e dopo un po' rientrava; a volte anche lei lasciava i suoi commenti, in sottofondo, ma in modo che potessi sentirli anche io. Questo e quanto altro accadeva a casa di Clara provocava di tanto in tanto delle piccole interruzioni, dei piccoli disturbi a quella performance canora, ma io continuavo comunque a rimanere in ascolto. Tanto che il mio orecchio destro, dal lungo contatto con la cornetta del telefono, si era surriscaldato, ed io dovetti passare all'altra orecchia.

A un certo punto però:

“Scusami Aristide, ma mio padre ha necessità di fare una telefonata. Ti devo lasciare.”

“Va bene Clara, ma mi prometti che appena finisce mi richiami e torniamo insieme al concerto?”

“Si, va bene”.

Aspettai a lungo seduto in poltrona accanto al telefono, in attesa che squillasse. Solo poche volte cedetti alla tentazione di provare a richiamarla io, dovesse essersi dimenticata della sua promessa.

L'ultima di queste volte fui anticipato di un soffio dal trillo del telefono, forse la prima volta in assoluto che lei mi chiamava.

“Scusa se ci ho messo un po', non riuscivo a trovare il tuo numero”, si giustificò lei. E poi riprese a cantare dietro la TV.

Ci lasciammo alla fine della trasmissione.

“Mi dispiace davvero che per la mia salute tu non sia potuto andare al concerto, e hai anche speso i soldi dei biglietti. Appena ci vediamo ti darò la mia parte.”

“Ma figurati. Non ti ci provare nemmeno. E poi è stato comunque un gran bel concerto, proprio una bella serata”, le dissi con convinzione.

NULLA SFUGGE ALLA MAMMA
(Marco e Sara dentro a un cuore)

Marco e Sara erano ormai diversi anni che si frequentavano, da quando avevano iniziato l'Università.

Per lui la scintilla era scoccata fin dalla prima volta che l'aveva incontrata, al termine della prima lezione nella grande aula piena di ragazzi ancora sconosciuti. Lei parlava, anzi cinguettava, come un ruscello in piena, con attorno a sé un piccolo capannello a cui lui si era aggiunto subito volentieri e quasi per necessità, attratto da una forza misteriosa. Forse era la bellezza dei suoi occhi - uno dei quali molto particolare, con l'iride bicolore - e del suo sorriso sincero; o forse il dolce timbro della sua voce, da bambina, così come a una scolaretta al suo primo giorno di scuola faceva pensare tutto quello che diceva.

“E' lei”, pensò subito Marco; ma forse invece di pensarlo lo sentì da una vocina che era dentro di sé , o forse fuori. La voce dell'universo che solo in vista di quell'istante aveva predisposto tutte le sue meraviglie e atteso interminabili secoli di storia: affinché loro due si incontrassero e nascesse l'Amore.

A poco a poco il capannello si sciolse, e lui rimase da solo ad ascoltarla; e da allora le loro anime non si sono mai più lasciate [1].

Erano passati ormai alcuni anni da quel primo incontro. Si erano prima frequentati assiduamente all'Università, condividendo lezioni, ripassi, pause pranzo e amicizie. Lui cercava e trovava ogni occasione per avere la sua compagnia, sempre ben accetta; l'aiutava e l'accompagnava nello studio e in qualunque altra cosa potesse servirle. La voce di lei si udiva spesso risuonare allegra nei corridoi (e, a volte in modo imbarazzante, anche nelle sale di lettura e nelle biblioteche); e quando la sentivi potevi stare sicuro che, insieme a lei e magari ad altri amici o amiche, avresti trovato anche lui.

Erano insomma una bella coppia, come altre - poche altre - nella loro facoltà. Non dichiarata ma solida e di fatto. E anche se per entrambi, e soprattutto per lei, non mancavano altri corteggiatori, era evidente che il loro casto, fraterno legame era qualcosa di difficile da incontrare, da raggiungere o da ostacolare, con cui era impossibile competere o interferire. Un piccolo miracolo, un capolavoro; il riflesso abbagliante dell'armonia dell'universo nell'uomo e nella donna; l'Amore.

Poi lui cominciò a riaccompagnarla a casa - una villetta sperduta sulle colline dove nessuno avrebbe potuto capitare per caso - e fece conoscenza con la famiglia di lei, che lo accolse come se fosse il loro quarto figlio. Le sue intenzioni e le loro prospettive erano talmente evidenti che non ci fu mai bisogno di dichiararle.

Sara era un libro aperto per tutti, figuriamoci per la sua famiglia. Lo era anche per Marco, che sin dal primo momento aveva saputo, grazie alla sincerità di lei, leggerle negli sguardi, nei gesti e nelle intonazioni; e attraverso questi riuscire a comprendere i suoi pensieri e i suoi sentimenti, che trovava bellissimi. La sua anima pura e innocente di fanciulla sembrava uscita da una fiaba di Walt Disney.

Col tempo allo studio si aggiunse e subentrò il tempo libero, ed ogni sabato pomeriggio Marco, a bordo della sua piccola carrozza meccanizzata, saliva a prendere la sua principessa [2] per portarsela in città o in giro per il Lazio, il loro piccolo regno. Musei, teatri, giardini o semplici passeggiate. A cui poi si aggiunse la cenetta al ristorante, sempre in un posto diverso, sempre romantica.

Tutto andava bene e tutto era bello, perché in qualsiasi posto era come se fossero sempre e comunque al posto giusto. Semplicemente perché insieme erano felici.

Non saprei dire quando o perché - così come non saprei dire quando la prima volta senza pensarci si erano presi per mano - arrivò il primo bacio.

Lui l'aveva riaccompagnata a casa al termine di una di quelle innumerevoli serate. Come sempre lasciarsi era difficile, avevano ancora tante cose da dirsi e indugiavano, là sotto agli olivi davanti al cancello di casa sua, dentro quella macchinina che era proprio giusta per loro, come un nido.

La serata era fredda e umida, e i vetri si erano subito appannati.

“Posso darti un bacio?”, chiese lui a un tratto cambiando argomento.

Il candido viso di lei, in gran parte coperto dalla sua lunghissima sciarpa multicolore, arrossì leggermente. Rispose affermativamente più col sorriso e con gli occhi, che con un cenno del capo e con le parole.

Fu un bacio tutto sommato casto, che lasciò loro in bocca un sapore inatteso e insolito come una pietanza mai assaggiata. Un bacio come milioni di altri che vengono scambiati ogni giorno su questa terra, si potrebbe dire; una normale tappa della crescita, come la nascita del primo dentino. Ma per loro fu qualcosa di molto di più: fu il primo bacio della loro vita. E, ciascuno lo sapeva, era il primo sia per l'uno che per l'altra.

“Ce ne hai messo di tempo. Mi chiedevo quanto ancora o cosa avevi intenzione di aspettare, prima di baciarmi.”

Lei sorrideva. Appena rientrata avrebbe raccontato tutto alla sorella, e magari alla mamma. Aveva atteso quel bacio più che altro con tanta curiosità, per tanti che ne aveva visti in televisione, per sapere quello che avrebbe provato. Una curiosità pericolosa, pensò lui quando lo venne a sapere: perché in seguito lo venne a sapere, tra di loro non c'erano segreti. La stessa curiosità infantile che aveva su tante altre cose viste in televisione, riguado all'amore tra l'uomo e la donna e … la nascita dei bimbi.

Rimasero ancora un po' insieme in macchina, in silenzio, mano nella mano. Pensosi, sorridenti, guardandosi negli occhi sognanti. Poi lei, col dito del suo guanto, disegnò sul vetro appannato davanti a sé un grande cuore, e dentro le loro iniziali, S ed M.

Marco pensava a tutt'altro qualche sera dopo, accompagnando sua madre da qualche parte, non ricordo bene dove. La macchina era la stessa, quella pensata e comprata per Sara; per la sua principessa si trasformava in carrozza, ma normalmente era una normale utilitaria.

Il tempo e le faccende della settimana avevano momentaneamente relegato il ricordo di qualche sera prima nella cassaforte dei fatti indimenticabili e più preziosi della sua vita.

“E questo cos'è?”, se ne uscì a un tratto la mamma che fino a un attimo prima aveva parlato di tutt'altro, di vestiti eleganti e di occasioni importanti.

“Cosa?”, chiese Marco che, guardando da quella parte verso la strada, non aveva notato nulla di particolare.

“Questo. S ed M, dentro a un cuore”.

Era più che evidente a tutti e due che cosa fosse.

Lui rimase sbalordito. Sul vetro non vedeva e non aveva visto niente da quella sera, ma sua mamma non era un'indovina. Aveva scassinato la cassaforte segreta dei suoi ricordi più belli, anzi lui si era dimenticato di chiuderla, e ora si sentiva come se fosse stato derubato. Perché, a differenza di Sara, era troppo geloso di quel ricordo, e non avrebbe voluto dividerlo con nessuno, neanche con la mamma.

“S sta per Sara”, spiegò ciò che era più che ovvio.

Fermandosi al primo semaforo rosso, si spostò verso il punto di vista di sua madre. In effetti, da una certa angolazione e con una certa luce, il cuore e le iniziali si vedevano ancora.

Adesso lo cancello”, pensò. “ O forse no. E' bellissimo, è meraviglioso, e forse sarebbe giusto che tutti lo vedano”.

La macchina sarebbe stata lavata, poi venduta e rottamata. Le vicende della vita, alcune molto tristi, avrebbero separato per sempre i destini di quei due innamorati. Altri amori; magari anche figli. Ma quel cuore con le loro iniziali, indelebile (così come il loro primo bacio, e tutto ciò che la memoria avrebbe salvato di una interminabile serie di bei ricordi vissuti insieme), non sarebbe stato mai più cancellato, per tutta la loro vita.

[1] Chiedo scusa a Grazia Deledda, di cui il finale di “Anime Oneste” ho involontariamente riprodotto (non copiato, avendolo scoperto dopo): “E fu così che le loro anime oneste si unirono per sempre.“

[2] Sara vuol dire "Principessa"

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