Agatone e la tragedia attica di fine V sec. a.C.

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Agatone: nome proprio. Era un poeta tragico; era accusato di mollezza. Aristofane: «E Agatone, dov’è? Μi ha abbandonato e se n’è andato. In quale angolo della terra, il disgraziato? Al banchetto dei beati» [Ra. 83–85]. Questo Agatone aveva un’indole nobile, era caro agli amici e dava splendidi banchetti. Dicono poi che il Simposio di Platone sia stato scritto in occasione di un suo banchetto, dove sono presentati, insieme, molti uomini amanti del sapere. Autore comico della scuola socratica. Nella commedia era deriso per l’effeminatezza.

Interpretazione

La fonte della voce della Suda relativa ad Agatone dipende dalle commedie aristofanee31 e dal Simposio platonico. Agatone è anche qui subito definito come poeta tragico. Non è univoca l’interpretazione di διεβέβλητο δὲ ἐπὶ μαλακίᾳ, con cui si apre la sezione di notizie di derivazione aristofanea. Lévêque, seguendo l’opinione già di Kayser,32 riconosce nell’affermazione un’espressione sinonimica di ἐκωμῳδεῖτο δὲ εἰς θηλύτητα33 – alla fine della voce della Suda – e la riferisce all’aspetto esteriore del poeta tragico, ma segnala anche il parere di Gruppe, secondo cui la μαλακία di Agatone deve essere riferita al suo stile poetico.34 È probabile che i due aspetti, da un lato artistico–compositivo e dall’altro fisico–comportamentale, si mescolino ambiguamente: Agatone in Aristofane è evidentemente effeminato nell’aspetto fisico e nei modi (test. 14), così come ‘molli’ sono sia la sua musica per aulòs (l’Ἀγαθώνιος αὔλησις della test. 24a–b) sia il suo canto nelle Tesmoforiazuse (vv. 100. 130–133, vd. test. 23).35

Dopo διεβέβλητο δὲ ἐπὶ μαλακίᾳ, sono riportati in forma di citazione i vv. 83. 85 delle Rane. Segue la sezione οὗτος … φίλοις che riprende il v. 84, ἀγαθὸς ποιητὴς καὶ ποθεινὸς τοῖς φίλοις. Il verso di Aristofane si riferisce senza ambiguità alla bravura poetica di Agatone apprezzata e rimpianta (ποθεινός) dagli amici (φίλοις), ovvero dagli intenditori (v.l. σοφοῖς). Per quanto riguarda l’espressione ἀγαθὸς ἦν τὸν τρόπον, la successiva tradizione scoliastico–lessicografica ha introdotto l’uso del termine τρόπος in un primo tempo nel senso di ‘stile poetico’,36 secondo il testo di Aristofane, in un secondo tempo, per fraintendimento, nel senso di ‘indole umana’, e quest’ultimo senso ha il termine nel testo accolto dalla Suda. La successiva notizia (καὶ τὴν τράπεζαν λαμπρός) risulta sia dalla lettura di Aristofane che da quella di Platone, citato subito dopo. Al v. 85 delle Rane si legge infatti un riferimento al ‘banchetto dei beati’, μακάρων εὐωχίαν; l’informazione potrebbe aver portato il compilatore a un’associazione con l’intera situazione del Simposio platonico, ambientato a casa del tragediografo (in particolare Symp. 172a–c. 173a. 174e. 175).

Crea difficoltà l’informazione κωμῳδιοποιὸς Σωκράτους διδασκαλείου ([era] commediografo della scuola di Socrate?), presente anche negli scolî alle Rane, per i quali vd. test. 6. L’identificazione di Agatone come κωμῳδιοποιός è problematica: la tradizione aristofanea e platonica lo vuole autore di tragedie, mentre la qualifica di commediografo si trova solamente in fonti esegetiche e lessicografiche.37 I casi di attribuzione di una produzione sia tragica che comica a poeti drammatici ateniesi di V–IV sec. a.C. riguardano anche Ione di Chio, Autocrate e Timocle, ma nessuno di questi ha convinto la critica.38 Come osservato già da Pelling, può aver giocato un ruolo nell’attribuzione ad Agatone di una doppia attività drammaturgica il finale del Simposio platonico (223c–d).39 Il passo è stato tradizionalmente interpretato come l’affermazione, da parte di Socrate, della necessità che uno stesso individuo sia in grado di comporre tragedie e commedie. Ribalta questa posizione Cerri, che individua nelle parole di Socrate un ragionamento per assurdo, assimilabile a quello del dialogo platonico Ione al passo 534b 7–c 7; se i poeti possedessero una vera τέχνη, allora applicandone le regole dovrebbero essere in grado di comporre i loro canti in qualunque genere poetico, cosa di cui non sono capaci. Allo stesso modo nel Simposio Socrate afferma che un poeta tragico, se possedesse una vera τέχνη, dovrebbe essere in grado di comporre anche commedie.40 Già gli esegeti antichi devono avere mal interpretato il passo platonico, deducendone una doppia attività poetica da parte di Agatone. Da qui il κωμῳδιοποιὸς Σωκράτους διδασκαλείου della Suda, che è un’espressione evidentemente suggerita dal contesto del finale del Simposio.

Test. 9 (8 S.–K.)

Plat. Symp. 172c

(Apollodorus:) οὐκ οἶσθ’ ὅτι πολλῶν ἐτῶν Ἀγάθων ἐνθάδε οὐκ ἐπιδεδήμηκεν, ἀφ’ οὗ δ’ ἐγὼ Σωκράτει συνδιατρίβω καὶ ἐπιμελὲς πεποίημαι ἑκάστης ἡμέρας εἰδέναι ὅτι ἂν λέγῃ ἢ πράττῃ, οὐδέπω τρία ἔτη ἐστίν;

[Apollodoro:] Non sai che da molti anni Agatone non abita qui in città, da quando invece passo il mio tempo con Socrate e mi preoccupo ogni giorno di sapere che cosa dica o faccia non sono passati ancora tre anni?

Interpretazione

Nello scambio di battute che apre il Simposio, Apollodoro domanda a Glaucone se non sia a conoscenza del fatto che Agatone non risieda più ad Atene, specificando che il poeta non abita lì da molti anni, mentre Apollodoro stesso ha iniziato a frequentare Socrate soltanto da meno di tre anni.

L’espressione Ἀγάθων ἐνθάδε οὐκ ἐπιδεδήμηκεν, ricordando l’assenza di Agatone da Atene in un momento in cui il poeta doveva essere ancora vivo, conferma la notizia della test. 8 e offre un argomento definitivo per leggere il passo aristofaneo come un riferimento alla partenza del poeta, e non alla sua dipartita. Il perfetto οὐκ ἐπιδεδήμηκεν (ἐπιδημέω: ‘vivere’, ‘abitare’, ‘risiedere in città’) indica la condizione attuale41 e che dura da molti anni (πολλῶν ἐτῶν) di Agatone, il quale, al momento della conversazione, risulta ancora in vita. Apollodoro afferma infatti di frequentare Socrate da quasi tre anni, e che già dall’inizio del rapporto di confidenza tra Socrate e Apollodoro, Agatone non abitava più ad Atene da molti anni. La condanna a morte di Socrate è del 399 a.C.,42 e dal dialogo tra Apollodoro e Glaucone non emerge nulla che possa far presagire un imminente processo. Pertanto, l’incontro dei due deve essere ambientato prima dell’anno 399. Anche ipotizzando una datazione quanto più bassa possibile, ossia intorno all’anno 400 a.C., la prima data utile per collocare cronologicamente l’inizio della frequentazione tra Socrate e Apollodoro è il 403; a questa data, Agatone ha già lasciato Atene da tempo, tanto che Apollodoro non ha fatto in tempo a conoscerlo nell’ambito della cerchia socratica.

Test. 10 (9 S.–K.)

[Eur.] Ep. 5, 2 p. 278 Herch (= TrGF I 11 test. 3)

ἴσθι μέντοι μηδὲν μᾶλλον ἡμῖν ὧν νῦν Ἀγάθων ἢ Μέσατος λέγει μέλον ἢ τῶν Ἀριστοφάνους φληναφημάτων οἶσθά ποτε μέλον.

Sappi però che nulla di quello che ora dicono Agatone o Mesato ci preoccupa più di quanto, lo sai, ci preoccupassero un tempo le sciocchezze di Aristofane.

Interpretazione

La quinta lettera del breve corpus epistolare tramandato sotto il nome di Euripide e opera di un anonimo autore attivo nell’ambito della Seconda Sofistica (fine II–inizi III sec. d.C.)43 attribuisce ad Agatone un periodo di permanenza ad Atene più lungo di quello di Euripide. Mentre quest’ultimo si troverebbe in Macedonia presso la corte di Archelao, Agatone sarebbe ancora nella città ateniese, impegnato, insieme a Mesato, altro poeta tragico (TrGF I 11),44 in un’attività denigratoria nei confronti dell’assente Euripide. Il trasferimento di Euripide da Atene in Macedonia è datato al 408 a.C.45

Le lettere sono presumibilmente frutto di un esercizio letterario di un autore di II–III sec. d.C., il quale attinge a materiale biografico già disponibile, senza aggiungere alcuna nuova notizia storicamente rilevante, anzi, forse modificando di propria iniziativa la tradizione biografica. La presenza del nome di Agatone si può dunque spiegare come un riferimento colto, non necessariamente corrispondente a verità storica, a un famoso tragediografo, che una persona di buona cultura ai tempi della Seconda Sofistica poteva facilmente riconoscere e collegare all’ambiente ateniese da cui proveniva Euripide.46 Tuttavia, nel caso in cui l’autore abbia attinto a materiale affidabile, bisognerebbe ricavarne la partenza di Agatone da Atene in un momento successivo al 408 a.C.

Test. 11 (10 S.–K.)

Plat. Resp. VIII 568b 5–8

Τοιγάρτοι … ἅτε σοφοὶ ὄντες οἱ τῆς τραγῳδίας ποιηταὶ συγγιγνώσκουσιν ἡμῖν τε καὶ ἐκείνοις ὅσοι ἡμῶν ἐγγὺς πολιτεύονται, ὅτι αὐτοὺς εἰς τὴν πολιτείαν οὐ παραδεξόμεθα ἅτε τυραννίδος ὑμνητάς.

Perciò … poiché sono sapienti, i poeti tragici ci perdonano, noi e quelli che hanno una forma di governo simile alla nostra, perché non li accetteremo nella nostra costituzione, visto che tessono le lodi della tirannide.

Interpretazione

Il libro VIII della Repubblica di Platone costituisce, insieme al libro IX, una riflessione sulla corrispondenza tra sapienza ed etica da una parte e le forme di governo a cui gli uomini danno vita dall’altra. Giunti al discorso sulla condizione del tiranno e dello stato sottoposto al governo di un simile individuo, gli interlocutori ricordano alcune parole di lode nei confronti della tirannide attribuite a Euripide (Resp. VIII 568a–b).47 Il personaggio di Socrate afferma a questo punto la necessità di escludere i poeti tragici dallo stato da lui prospettato come il più giusto, in quanto sarebbero responsabili di opere elogiative – composte dietro compenso (568c 7: μισθοὺς λαμβάνουσι) – nei confronti di quelle costituzioni che si reggerebbero sulla κακία/ἀδικία dei singoli (malvagità/ingiustizia): la democrazia e la tirannide.48

 

Il passo è inserito da Snell–Kannicht tra le testimonianze di Agatone sulla base dell’esegesi proposta da Wilamowitz.49 Secondo quest’ultimo, le parole pronunciate da Socrate in merito alla predilezione dei poeti tragici per la tirannide sarebbero da riferire non solo al citato Euripide, ma anche ad Agatone, benché nel testo non compaia il suo nome. L’intuizione di Wilamowitz di affiancare Agatone a Euripide nell’esclusione dallo stato ideale dei poeti tragici con tendenze filo–tiranniche è condivisibile: quando al passo VIII 568a si estende il discorso a οἱ ἄλλοι ποιηταί oltre a Euripide, sembra che Platone stia alludendo ad altre personalità precise.50 In secondo luogo, la critica del passo 568b–c colpisce quei poeti che esercitano la loro arte a favore della tirannide o della democrazia dietro compenso (μισθοὺς λαμβάνουσι καὶ τιμῶνται); questo dato può essere messo in relazione con l’allontanamento di Agatone da Atene e la sua permanenza in Macedonia (testt. 7. 8), presso la corte di re Archelao, nonché con il rapporto di amicizia con il re stesso (testt. 15. 16), il quale era considerato da Platone un prototipo di tiranno (Gorg. 479a. 525d). Se accettiamo di riconoscere un’allusione ad Agatone nella critica platonica contro i poeti tragici, la testimonianza diventa una conferma del rapporto professionale dell’autore con il re macedone. Come per Euripide è attestata la composizione di un dramma dal titolo Archelao,51 così non sarebbe da escludere la realizzazione, da parte di Agatone, di opere encomiastiche nei confronti del sovrano.

I.3. Ricchezza, bellezza e amori (testt. 12–16)

Test. 12 (13 S.–K.)

Agathon opulentus erat

a) Plat. Symp. 175b

ἀλλ’ ἡμᾶς, ὦ παῖδες, τοὺς ἄλλους ἑστιᾶτε. πάντως παρατίθετε ὅτι ἂν βούλησθε, ἐπειδάν τις ὑμῖν μὴ ἐφεστήκῃ – ὃ ἐγὼ οὐδεπώποτε ἐποίησα – νῦν οὖν, νομίζοντες καὶ ἐμὲ ὑφ’ ὑμῶν κεκλῆσθαι ἐπὶ δεῖπνον καὶ τούσδε τοὺς ἄλλους, θεραπεύετε, ἵν’ ὑμᾶς ἐπαινῶμεν.

Ragazzi, servite da mangiare a noi altri. Voi servite in ogni caso come volete, quando non ci sia nessuno a darvi ordini – cosa che io non ho mai fatto – e ora, facendo come se io e questi altri fossimo invitati da voi a banchetto, prestate il vostro servizio, affinché noi possiamo lodarvi.

b) Plat. Symp. 194c

Οὐ μεντἂν καλῶς ποιοίην, φάναι, ὦ Ἀγάθων, περὶ σοῦ τι ἐγὼ ἄγροικον δοξάζων· ἀλλ’ εὖ οἶδα ὅτι εἴ τισιν ἐντύχοις οὓς ἡγοῖο σοφούς, μᾶλλον ἂν αὐτῶν φροντίζοις ἢ τῶν πολλῶν.

Davvero non farei bene – disse [Socrate] – Agatone, a crederti rozzo anche solo in qualcosa; ma so bene che se tu incontrassi uomini che ritieni sapienti, ti preoccuperesti più di loro che della massa.

c) Testt. 6. 8c*

Cf. Varr. Sat. Menipp. ‘Agatho’ fr. 6 Bücheler

neque auro aut genere aut multiplici scientia

sufflatus quaerit Socratis vestigia

né tronfio per la sua ricchezza o la sua casata o la sua vasta conoscenza,

ricerca le orme di Socrate

Interpretazione

L’ambientazione del Simposio platonico testimonia la condizione agiata di Agatone: la disponibilità finanziaria è presupposto necessario per il mantenimento di una casa dotata di giovani schiavi domestici (175b) e per la possibilità di offrire a proprie spese sontuosi banchetti (vd. testt. 6. 8c*) a un alto numero di ospiti.1 La raffinata educazione e la mentalità aristocratica di Agatone sono confermate dalle parole che Socrate rivolge ad Agatone in Symp. 194c (vd. anche test. 17): oὐ μεντἂν καλῶς ποιοίην […] περὶ σοῦ τι ἐγὼ ἄγροικον δοξάζων […] σοφούς, μᾶλλον ἂν αὐτῶν φροντίζοις ἢ τῶν πολλῶν. Indice di ricchezza è anche la frequentazione delle lezioni dei sofisti, attestata dalla test. 3 e confermata dalla sua acquisizione di uno stile retorico ‘gorgiano’ (vd. test. 21). I professionisti della retorica offrivano infatti le proprie lezioni dietro alto compenso (cfr. p. es. Plat. Ap. 19d 8–20c 2), e Agatone, per poter frequentare simili maestri da adolescente, doveva provenire da una famiglia dotata di mezzi economici adeguati.

Il fr. 6 delle Saturae Menippeae di Varrone, poliedrico autore latino di II–I sec. a.C., testimonia inoltre la ricezione dell’immagine di un Agatone ricco. Si tratta del primo di una serie di frammenti appartenenti a una satira di ambientazione simposiale il cui titolo, Agatho, e i contenuti che emergono dai pochi versi (amore, matrimonio), hanno fatto ipotizzare che l’ispirazione del componimento fosse proprio l’Agatone del Simposio platonico.2 Nel commento più recente di Krenkel s’interpretano i due versi come un’affermazione generale (forse auto–ironica) rivolta da Varrone a sé stesso. L’evocazione del nome nel titolo e il contenuto del frammento testimoniano in ogni caso l’affermazione di una tradizione che legava Agatone alla tematica erotica e a un ambiente di aristocratici ricchi e colti.

Test. 13 (14 S.–K.)

καλός, πάναβρος et sim. vocatur

a) Testt. 3. 15

b) Plat. Symp. 174a

ταῦτα δὴ ἐκαλλωπισάμην, ἵνα καλὸς (Socrates) παρὰ καλὸν (Agathonem) ἴω.

Così dunque mi sono fatto bello, affinché [io, Socrate] bello vada da un bello [Agatone].

c) Plat. Symp. 212e

ἐγὼ γάρ τοι, (Alcibiades) φάναι, χθὲς μὲν οὐχ οἷός τ’ ἐγενόμην ἀφικέσθαι, νῦν δὲ ἥκω ἐπὶ τῇ κεφαλῇ ἔχων τὰς ταινίας, ἵνα ἀπὸ τῆς ἐμῆς κεφαλῆς τὴν τοῦ σοφωτάτου καὶ καλλίστου κεφαλὴν ἐὰν εἴπω οὑτωσὶ ἀναδήσω.

Infatti io, diceva [Alcibiade], ieri non riuscii a venire, ma ora sono qui con le bende sul capo, per incoronare dalla mia testa la testa del più sapiente e bello, se posso così parlare.

d) Plat. Symp. 213c

ὡς (Socrates) οὐ παρὰ Ἀριστοφάνει οὐδὲ εἴ τις ἄλλος γελοῖος ἔστι τε καὶ βούλεται, ἀλλὰ διεμηχανήσω ὅπως παρὰ τῷ καλλίστῳ τῶν ἔνδον κατακείσῃ.

Come [Socrate] ti è riuscito di giacere non vicino ad Aristofane né a chiunque altro sia e voglia essere ridicolo, ma accanto al più bello di quelli che stanno qua dentro.

e) Aristoph. Th. 191sq.

σὺ δ’ εὐπρόσωπος, λευκός, ἐξυρημένος,

γυναικόφωνος, ἁπαλός, εὐπρεπὴς ἰδεῖν.

Tu hai una bella faccia, sei bianco, rasato,

con una voce da donna, delicato, è un piacere vederti.

Cf. ad frr. 3a. 11. 13. 15; Plut. qu.conv. III 1, 1, 645d (~ Agathon test. 24 = ad fr. 3a); [?] inscriptio vascolaris Graef–Langlotz II.2 n. 1493 Αγαθ[ων] καλος

f) Luc. rh.pr. 11 ll. 1–10 (cf. Poll. III 71 ll. 4. 7 Bethe)

Πρὸς δὲ τὴν ἑτέραν ἐλθὼν εὑρήσεις πολλοὺς καὶ ἄλλους, ἐν τούτοις δὲ καὶ πάνσοφόν τινα καὶ πάγκαλον ἄνδρα, διασεσαλευμένον τὸ βάδισμα, ἐπικεκλασμένον τὸν αὐχένα, γυναικεῖον τὸ βλέμμα, μελιχρὸν τὸ φώνημα, μύρων ἀποπνέοντα, τῷ δακτύλῳ ἄκρῳ τὴν κεφαλὴν κνώμενον, ὀλίγας μὲν ἔτι, οὔλας δὲ καὶ ὑακινθίνας τὰς τρίχας εὐθετίζοντα, πάναβρόν τινα Σαρδανάπαλλον ἢ Κινύραν ἢ αὐτὸν Ἀγάθωνα, τὸν τῆς τραγῳδίας ἐπέραστον ἐκεῖνον ποιητήν.

Ma andando per l’altra strada troverai molti altri, e tra questi un qualche uomo di grande arguzia e bellezza, dal passo rilassato, dal collo curvo, dallo sguardo effeminato, dalla voce di miele, dal dolce profumo, che si solletica la testa con la punta del dito, si mette a posto i capelli, se anche ormai pochi, comunque ricci come giacinti, un qualche delicato Sardanapalo, o Cinira, o Agatone in persona, quell’amabile poeta tragico.

g) Max. Tyr. 18, 4 l. 10 Trapp

ἀλλὰ καὶ διδασκάλους ἐπιγέγραπται (Socrates) τῆς τέχνης, Ἀσπασίαν τὴν Μιλησίαν καὶ Διοτίμαν τὴν Μαντινικήν, καὶ μαθητὰς λαμβάνει τῆς τέχνης, Ἀλκιβιάδην τὸν γαυρότατον καὶ Κριτόβουλον τὸν ὡραιότατον καὶ Ἀγαθῶνα τὸν ἁβρότατον

Ma anche [Socrate] elenca come maestri dell’arte [erotica] Aspasia di Mileto e Diotima di Mantinea, e come discepoli dell’arte prende lo splendido Alcibiade e Critobulo pieno di grazie e l’amabilissimo Agatone

Interpretazione

Il nome di Agatone è legato nella tradizione antica all’attributo καλός e sinonimi. Nelle fonti, la bellezza del poeta ne costituisce la caratteristica fondamentale: esplicita al v. 192 delle Tesmoforiazuse aristofanee, è implicita già nello scambio di battute ai vv. 29–33 (vd. test. 4), dove l’effetto comico nasce dai tentativi del Parente di identificare Agatone con un uomo nerboruto, scuro e dalla barba ispida, non corrispondente certo all’immagine di bellezza delicata e femminea delineata più tardi dal v. 192. Per quanto riguarda gli scritti di Platone, nel Protagora (vd. test. 3) Socrate nota Agatone per via del suo bell’aspetto. Nel Simposio la bellezza di Agatone determina precisi comportamenti da parte degli altri convitati: Socrate si è preparato al banchetto lavandosi, per presentarsi bene all’incontro con una persona bella (174a 9); sempre Socrate mette a rischio la buona riuscita del progetto di lodare Eros per il gusto di confrontarsi dialetticamente con un uomo di bell’aspetto (194d 4). Alcibiade arriva a banchetto finito per incoronare la testa di Agatone, il più sapiente e il più bello (212e 8), commenta quindi la presenza di Socrate accanto ad Agatone ribadendo la bellezza del poeta (213c 4s.) e si mette a discutere con Socrate per chi debba restare sdraiato vicino ad Agatone (222e 6–232a 9), dichiarando infine di non poter competere con Socrate nel godere della presenza di uomini belli (232a 7).

Di difficile valutazione è un’iscrizione vascolare ΑΓΑΘ[ΩΝ] ΚΑΛΟΣ, segnalata come incertum da Snell–Kannicht. Il vaso su cui il graffito compare, rinvenuto presso l’Acropoli di Atene, è frammentario, e la parte superiore è perduta.3 Si tratta di un contenitore che, dal piede, si allarga nella pancia per poi restringersi verso la gola, come una oinochoe o un altro tipo di brocca. Secondo Robinson–Fluck si può ipotizzare una data di produzione intorno alla metà del V sec. a.C.4 Le iscrizioni del tipo καλός, in uso in ambito ateniese dalla metà del VI sec. al 420 circa a.C.,5 sono un’espressione riconducibile in larga misura al fenomeno della pederastia:6 l’aggettivo si accompagna talvolta con il sostantivo ὁ παῖς, talvolta con un onomastico, che in alcuni casi può essere identificato con il nome di un noto giovane dell’aristocrazia ateniese.7 L’identificazione dell’ ΑΓΑΘ[…] del vaso con il nome tragediografo è sostenuta da Robinson–Fluck, i quali individuano nelle altre testimonianze relative ad Agatone i presupposti per ipotizzare che il poeta fosse celebrato da iscrizioni vascolari di tipo καλός.8 Lévêque preferisce lasciare la questione irrisolta, e, accettando una collocazione cronologica del vaso alla prima della metà del V sec., è più propenso a escludere un riferimento ad Agatone, nato intorno alla metà del secolo ed entrato solo negli anni ‘30 in un’età in cui sarebbe potuto diventare oggetto di iscrizioni simili.9 Per quanto l’ipotesi di Robinson–Fluck s’inserisca senza difficoltà entro un quadro di promozione del poeta tragico durante l’epoca a lui contemporanea e trovi riscontro in quel filone letterario (da cui dipende la tradizione erudita più tarda) che ricorda Ἀγάθων quasi sempre insieme all’attributo καλός, la difficoltà posta dai resti del vaso e l’assenza di altre attestazioni del nome di Agatone tra le iscrizioni del tipo καλός obbliga a lasciare questa fonte tra gli incerta.

L’associazione del poeta tragico con l’aggettivo καλός, consolidata nelle fonti più antiche e autorevoli, è riproposta da autori più tardi: da Plutarco, nella opere pseudo–plutarchee (vd. test. 15b; contesto di citazione del fr. 3a) e da Ateneo (vd. contesto di citazione dei frr. 11. 13. 15). Il concetto ritorna anche in altre varianti: in riferimento ad Agatone, Luciano nel II sec. d.C. ricorre a πάναβρος, “delicato”, “effeminato”, ed ἐπέραστος “amabile” (rh.pr. 11 ll. 8–10). Consideriamo gli aggettivi che esprimono qui la qualità della bellezza: πάγκαλον ἄνδρα […] πάναβρόν τινα […] αὐτὸν Ἀγάθωνα, τὸν τῆς τραγῳδίας ἐπέραστον ἐκεῖνον ποιητήν. Il primo di questi aggettivi è una forma di καλός rafforzata dall’avverbio πᾶν.10 Il secondo termine, πάναβρος, è raro: si trova per la prima volta proprio in Luciano,11 in seguito solo nelle Chiliadi di Tzetzes (XII sec.) in riferimento ai banchetti siculi, ἐκ τραπεζῶν Σικελικῶν οὐσῶν παναβροτάτων (chil. X 356, 808), e in un proverbio spiegato da Michele Apostolio (XV sec. d.C.), Πάναβρος Σαρδανάπαλος· ἐπὶ τῶν τρυφώντων καὶ τῶν πολυόλβων (Apostol. XIII 89 Leutsch–Schneidewin). Il termine è composto dall’aggettivo ἁβρός rafforzato dall’avverbio πᾶν. ἁβρός ricorre per la prima volta in Esiodo (fr. 339 M.–W.) come attributo del sostantivo παρθένος e si trova frequentemente nella lirica e nella tragedia in riferimento a giovani donne.12 Nella prosa anteriore al I sec. a.C. l’aggettivo compare raramente e l’uso prosastico mostra uno slittamento di significato rispetto all’uso poetico: dall’idea di delicatezza femminile presente in poesia si passa a quella di lusso agiato, secondo la frequente associazione di delicatezza femminile e comodità, lusso (cfr. p. es. Plut. quomodo adul. 20a) Alcuni esempi: una forma ἁβρόν e un superlativo ἁβρότατοι si riferiscono alla popolazione tracia degli Agatirsi in Erodoto (rispettivamente I 71. IV 104) con il significato di ‘delicato’, ‘lussuoso’; Senofonte attribuisce la connotazione di ἁβρός a κτῆμα, dunque alla sfera dei beni materiali (Xen. Symp. 4, 44: τὸ ἁβρότατόν γε κτῆμα); Platone nel Simposio utilizza l’aggettivo, in forma sostantivata, come nome del predicato nella formulazione ἔστι τὸ ἐραστὸν τὸ […] ἁβρόν (Symp. 204c). Sempre nel Simposio platonico ricorre il sostantivo ἁβρότης (197d al gen. ἁβρότητος) unito a τρυφή e χλιδή, che designano un lusso caratterizzato da comodità, delicatezza.13 In Luciano l’aggettivo è utilizzato sia per indicare l’attributo della delicatezza fisica (salt. 73 l. 5 in forma sostantivata; d.mort. 19, 2 l. 2; d.deor. 22, 1 ll. 4. 8 in riferimento a Dioniso, ἁβρότερος τῶν γυναικῶν), sia riferito a chi conduce una vita tra agi e lussi, come emerge dall’uso di ἁβρός in relazione ai Feaci (salt. 13 l. 9), ai Persiani e ai Caldei (d.mort. 12, 2 l. 11). Come accennato sopra, la forma rafforzata da πᾶν in Tzetzes si trova applicata alla sontuosità dei banchetti sicelioti, e nel proverbio tramandato da Michele Apostolio l’aggettivo è associato al nome del re assiro Sardanapalo, famoso per il suo amore per il lusso e per la sua ricchezza.14 Anche Luciano (rh.pr. 11 l. 8) ricorda Sardanapalo poco prima di Agatone nell’elenco di uomini πάναβροι. L’applicazione dell’attributo al tragediografo da parte di Luciano, che scrive in prosa, potrebbe avere l’intero spettro dei significati appena elencati: Agatone è bello di una bellezza femminea, è amabile e incline allo sfoggio del lusso, in particolare per quanto riguarda i banchetti. Il grado superlativo della forma semplice ἁβρός è usato da Massimo di Tiro (II sec. d.C.) in un elenco dei μαθηταί, discepoli, della τέχνη di ἔρως, dove, accanto ad altri nomi ricorrenti nei dialoghi platonici, compare anche quello del tragediografo (18, 4 l. 10 Trapp).

 

L’ultimo termine con cui Luciano definisce Agatone, ἐπεραστός, è una forma rafforzata dal prefisso intensivo επι– dell’aggettivo semplice ἐραστός, ‘amato’, ‘amabile’.15 In scolî e opere lessicali compare frequentemente in qualità di sinonimo dell’aggettivo καλός/καλή, per esempio negli scolî a Omero e nell’Onomastikon di Polluce.16 In un’occorrenza, Luciano utilizza il termine in coppia con εὔμορφος (merc.cond. 42, 16), mentre nel lessico Suda (ε 2199. ι 353 Adler) tra i termini alternativi per ἐπεραστός si trovano ποθεινός e ἱμερτός, ‘desiderato’.

Test. 14 (15 S.–K.)

a. Pausania et Agathon

 v. testt. 3. 5. 16.

 Plat. Symp. 177d–e. 193b177d 6–e 1 οὐδείς σοι, ὦ Ἐρυξίμαχε, φάναι τὸν Σωκράτη, ἐναντία ψηφιεῖται. οὔτε γὰρ ἄν που ἐγὼ ἀποφήσαιμι, ὃς οὐδέν φημι ἄλλο ἐπίστασθαι ἢ τὰ ἐρωτικά, οὔτε που Ἀγάθων καὶ Παυσανίας193 b 3–7 φίλοι γὰρ γενόμενοι καὶ διαλλαγέντες τῷ θεῷ ἐξευρήσομέν τε καὶ ἐντευξόμεθα τοῖς παιδικοῖς τοῖς ἡμετέροις αὐτῶν, ὃ τῶν νῦν ὀλίγοι ποιοῦσι. καὶ μή μοι ὑπολάβῃ Ἐρυξίμαχος, κωμῳδῶν τὸν λόγον, ὡς Παυσανίαν καὶ Ἀγάθωνα λέγω177d 6–e 1 Nessuno, Erissimaco – disse Socrate – ti voterà contro. Infatti io certo non potrei negare di dire di non sapere null’altro se non ciò che riguarda eros, né Agatone e Pausania193 b 3–7 divenuti infatti cari al dio e con lui riconciliati, tra loro riconosceremo e ci uniremo ai nostri amati, cosa che oggi fanno in pochi. E non mi replichi Erissimaco, mettendo in ridicolo il mio discorso, che parlo di Pausania e Agatone

 ∽ Xen. Symp. 8, 32καίτοι Παυσανίας γε ὁ Ἀγάθωνος τοῦ ποιητοῦ ἐραστὴς ἀπολογούμενος ὑπὲρ τῶν ἀκρασίᾳ ἐγκαλινδουμένων εἴρηκεν ὡς καὶ στράτευμα ἀλκιμώτατον ἂν γένοιτο ἐκ παιδικῶν τε καὶ ἐραστῶν.Con tutto ciò Pausania, amante del poeta Agatone, pronunciando un’apologia a favore di chi si crogiola in insane unioni, ha detto che un esercito formato da amati e amanti potrebbe essere fortissimo.

 Max. Tyr. 20, 8 l. 5 Trappοὔτε Κριτόβουλος Εὐθυδήμῳ προσκνήσασθαι ἐρᾷ οὔτε Ἀυτολύκῳ Καλλίας οὔτε Ἀγάθωνι Παυσανίαςné Critobulo amerebbe strusciarsi con Eutidemo, né Callia con Autolico, né Pausania con Agatone

b. Euripides et Agathon

 v. testt. 5. 15

c. Plato et Agathon

 [Plat.] epigr. 1 DiehlΤὴν ψυχὴν Ἀγάθωνα φιλῶν ἐπὶ χείλεσιν ἔσχον·ἦλθε γὰρ ἡ τλήμων ὡς διαβησόμενηL’anima sulle labbra avevo, baciando Agatone:lì era infatti venuta, meschina, per andarsene via

d. Agathon pathicus, femineus

 v. test. 23

 Aristoph. Th. 35καὶ μὴν βεβίνηκας σύeppure te lo sei fottuto

 Aristoph. Th. 50μῶν βινεῖσθαι;a farsi fottere?

 Aristoph. Th. 57καὶ λαικάζει.e lo prende in bocca.

 Aristoph. Th. 60–62κατὰ τοῦ θριγκοῦσυγγογγύλας καὶ συστρέψαςτουτὶ τὸ πέος χοανεῦσαι.sotto al recintodopo averlo rivoltato e rigiratoa gettare questo coso qui.

 Aristoph. Th. 97sq.ἐγὼ γὰρ οὐχ ὁρῶἄνδρ’ οὐδέν’ ἐνθάδ’ ὄντα, Κυρήνην δ’ ὁρῶ.perché io non vedonessun uomo qui presente, ma Cirene vedo.

 Aristoph. Th. 136–140ποδαπὸς ὁ γύννις; τίς πάτρα; τίς ἡ στολή;τίς ἡ τάραξις τοῦ βίου; τί βάρβιτοςλαλεῖ κροκωτῷ; τί δὲ λύρα κεκρυφάλῳ;τί λήκυθος καὶ στρόφιον; ὡς οὐ ξύμφορον.τίς δαὶ κατρόπτου καὶ ξίφους κοινωνία;Da dove il femminello? di quale patria? che razza di abito è?e quest’accozzaglia di costumi? che cosa può blaterare un barbitosa un vestitino zafferano? e una lira a una retina per capelli?e un lecizio e un reggipetto? che insieme proprio non ci stanno.E che c’entra lo specchio con la spada?

 Aristoph. Th. 141–143σύ τ’ αὐτός ὦ παῖ πότερον ὡς ἀνὴρ τρέφει;καὶ ποῦ πέος; ποῦ χλαῖνα; ποῦ Λακωνικαί;ἀλλ’ ὡς γυνὴ δῆτ’; εἶτα ποῦ τὰ τιτθία;e tu, proprio tu, ragazzo, che razza di uomo sei cresciuto?e dov’è il cazzo? e il mantellaccio? e gli scarponi?ma quindi sei cresciuto da donna? e dove sono allora le tette?

 Aristoph. Th. 159–163 (v. test. 27)

 Aristoph. Th. 200sq.Καὶ μὴν σύ γ’, ὦ κατάπυγον, εὐρύπρωκτος εἶοὐ τοῖς λόγοισιν, ἀλλὰ τοῖς παθήμασιν.Ecco tu, culattone, sei un culapertonon nelle parole, ma nei patimenti.

 Aristoph. Th. 253–263Εὐ.Κη.Εὐ.Κη.Ευ.Ἀγ.Εὐ.Κη.Εὐ.Ἀγ.Εὐ.Ἀγ.ὅ τι; τὸν κροκωτὸν πρῶτον ἐνδύου λαβών.νὴ τὴν Ἀφροδίτην ἡδύ γ’ ὄζει ποσθίου.σύζωσον ἁνύσας.αἶρέ νῦν στρόφιον.ἰδού.ἴθι νῦν, κατάστειλόν με τὰ περὶ τὼ σκέλει.κεκρύάλου δεῖ καὶ μίτρας.ἡδὶ μὲν οὖνκεφαλὴ περίθετος, ἣν ἐγὼ νύκτωρ φορῶ.νὴ τὸν Δί’ ἀλλὰ κἀπιτηδεία πάνυ.ἆρ’ ἁρμόσει μοι;νὴ Δί’ ἀλλ’ ἄριστ’ ἔχει.φέρ’ ἔγκυκλον.τουτὶ λάβ’ ἀπὸ τῆς κλινίδος.ὑποδημάτων δεῖ.τἀμὰ ταυτὶ λάμβανε.Eu.Par.Eu.Par.Eu.Ag.Eu.Par.Eu.Ag.Eu.Ag.Quale? Quello zafferano indossa, prima.Per Afrodite, puzza di dolce, di pisellino.Dai veloce, legami la cintura.Prendi ora il reggipetto.Ecco.Avanti, ora sistemami sulle cosce.C’è bisogno di una retina e di una fascia per i capelli.Ecco quila parrucca, che porto sempre la notte.Per Zeus, ma fa proprio al caso nostro!Mi sta bene?Per Zeus, ma benissimo!Ora, un mantellino.Prendi dal lettino quello lì.C’è bisogno delle scarpe.Prendi qui le mie

 vocatur γύννις Aristoph. Th. 136; vocatur θηλυδρίας Liban. or. 64, 83 (IV p. 474, l. 1 Foerster)

 Plut. qu.conv. II 1, 12, 634dτῶν κωμικῶν ἔνιοι τὴν πικρίαν ἀφαιρεῖν δοκοῦσι τῷ σκώπτειν ἑαυτούς, ὡς Ἀριστοφάνης (Aristoph. Pax 767. 771) εἰς τὴν φαλακρότητα καὶ τὴν Ἀγάθωνος (lac., 5 litt.) λιψιν (ψίλωσιν vel ἀποψίλωσιν Borthwick).Alcuni dei comici pensano di togliere la mordacità facendo ironia su sé stessi, come Aristofane [Pax 767.771] per la sua calvizie e la [lac. di 5 lett.] lipsin di Agatone.

Interpretazione