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I Puritani di Scozia, vol. 3

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CAPITOLO XIV

 
»Dello speco per l'orrido forame
»Pensoso il mira! dei delitti ancora
»Non sazia è in lui la scellerata fame.»
 
Spencer.

L'aurora incominciava appena a spuntare, allorchè Morton intese picchiar dolcemente alla porta della sua stanza, indi la voce della giovine fanciulla servente che gli chiedea se volesse trasferirsi alla caverna prima che i dragoni facessero giorno.

Vestitosi in fretta Morton raggiunse la sua giovine guida, che lesta gli camminava innanzi, portando al braccio un piccolo canestro. Niun sentiere le additava l'orme ch'ella tenea; inerpicavasi per montagne, attraversava per valli, e a proporzione dell'innoltrarsi de' due viandanti, la natura vestiva aspetto più cupo e selvaggio; finalmente dopo avere camminato una mezz'ora, non videro più che dirupi sparsi qua e là raramente di dumi.

»Siam noi lontani ancora dal luogo ove ci trasferiamo?» chiese Morton alla sua conduttrice.

»Un miglio circa, rispose la giovinetta. Noi vi saremo tantosto.»

»E questa strada la fate voi spesso?»

»Ogni due giorni per portare colà comestibili.»

»E non avete timore del trovarvi sola in questi orridi luoghi?»

»Di che dovrei paventare? Non vi capita mai anima vivente, e la mia padrona mi ha insegnato che non si deve aver paura di nulla, quando si fanno opere buone.»

»Felice innocenza!» disse Morton fra se medesimo, e seguì la giovine senza moverle nuove inchieste.

Pervennero ben presto in tal luogo che sembrava altra volta essere stato selvoso, ma i rovi e le spine tenevano il luogo delle querce e degli abeti che prima l'ombrarono. Ivi Peggy addentrandosi fra due monti condusse il suo compagno verso un torrente. Il mormorio sordo, ch'egli udiva da lungo tempo e che col suo avvicinarsi crescea, lo aveva preparato in parte allo spettacolo che gli si offerse e che uom non potea contemplare senza rimanere e stupefatto ed atterrito. Usciti fuor della gola per cui erano passati, si videro sullo spianato d'un monte, ricinto da un precipizio profondo oltre a cento piedi, entro il quale precipitavasi spumeggiando il torrente, che scendea dall'altro lato della gola trascorsa. L'occhio cercava indarno rintracciare il fondo di quell'abisso: non si vedea che la nebbia prodotta dall'acque, che rompeansi nel cader sì dall'alto. Laggiù parea che il torrente si perdesse nelle caverne sotterranee delle montagne poste all'intorno; poi a qualche distanza vedeasi riprendere più tranquillo il suo corso.

Intantochè Morton considerava questo spettacolo, in un maestoso e tremendo, la giovinetta traendolo per le vesti gli disse: »Ecco la strada che ci resta a fare: seguitemi se vi piace, o signore; ma badate dove mettete il piede.» Dopo dette le quali cose abbandonò lo spianato su cui trovavasi, e sorreggendosi or colle mani or coi piedi, attaccandosi a qualche ramo o punta di roccia, ella imprese la discesa verso il precipizio dall'orlo del quale si distaccava. Morton agile al pari che ardito non esitò a seguirla, e scendendo com'ella a ritroso, cercava ad ogni volta di mettere il piè in sicuro prima di staccar la mano da' precedenti sostegni, ai quali via via raccomandavasi.

Dopo essersi in questa foggia calati giù per un'altezza di venti piedi, trovarono un sito ove era lecito fermarsi, e che stava trenta piedi all'incirca al di sotto del luogo d'onde l'acque si gettavano in quell'abisso, e settanta piedi lontano dal fondo che le ricevea. Nè andò guari, così vicino ad essi cadeva la cateratta, che si trovarono molli inzuppati de' vapori che ne derivavano. Ma gli era d'uopo accostarlesi ancor di più, e quando furono dieci passi lontano da essa, Morton osservò una vecchia quercia che atterrata sembrava dal caso, e che presentava a chi avea vaghezza di attraversare quella voragine un varco periglioso quanto tremendo. La cima dell'albero situata scorgeasi dalla riva allora occupata da Morton: le radici infitte stavano all'altra toccando lo stretto ingresso d'una spelonca, e per traverso a questo ingresso egli vide una rossa e tetra luce che contrastava in guisa strana co' raggi del sole, i quali già incominciavano ad indorare la sommità della montagna.

La giovine condottiera tirò nuovamente per l'abito il suo forestiere, e poichè il fracasso della cateratta non le permetteva far udire la propria voce, gli additò a cenni la vecchia quercia, siccome il ponte sul quale ei dovea passare di là.

Morton la riguardò in aria d'uomo preso da altissimo stupore. Non ch'egli ignorasse come sotto i passati regni i Presbiteriani avessero più d'una volta cercato ricovero in mezzo ai boschi, sulle montagne, e dentro le cavità delle spelonche; ma l'immaginazione di lui non avea mai dipinto a se stessa un soggiorno cotanto orrendo siccome quello che allora alla vista gli si parava. Maravigliò anzi che vago siccom'egli era di procurarsi il riguardo d'ogni più sublime e portentosa fra le vedute offerte dalla natura, quel luogo avesse potuto sottrarsi alle sue indagini per tutto il tempo giovanile trascorso in que' montuosi dintorni. Ma pensò di poi che in sì selvaggio deserto non avrebbero potuto condurlo nè gli eventi della caccia, nè alcun altro motivo, e che se quella caverna serviva all'uopo di nascondere qualche vittima della persecuzione, era giuoco forza il concluderne pochissimi trovarsi che ne sapessero l'esistenza, e a tal circostanza soltanto essere raccomandata la segretezza del loro asilo.

Ma più che a ciò si diede a meditare sul modo di passar sopra quello spaventevole ponte, fatto, per giunta di pericolo, sdruccioloso dall'acqua della cateratta che lo bagnava. Non che fosse larghissimo lo spazio da attraversare, ma anche una profondità di piedi fra i sessanta e gli ottanta, presta ad inghiottire il passeggero, era cosa che meritava qualche attenzione. Pur si sentia deliberato a tentare l'arrischievole impresa, quanto ad infondergli vie più coraggio, la sua giovine condottiera, senza trepidazione valicò sul dorso dell'albero il precipizio, e tosto ritornò a valicarlo per riunirsi al compagno.

Ben allora Morton invidiò alla giovinetta i suoi piedi scalzi, co' quali afferrando le scabrosità della corteccia quercina, si assicurava sovr'essa una salvezza che le scarpe degli stivali non poteano a lui procacciare. Non quindi più lungo tempo esitò, e avanzandosi intrepido nel terribile varco, e fissando all'opposta riva gli sguardi, sordo al romore della cateratta che gli precipitava da vicino, e fattosi forza per dimenticare la sottostante voragine, si trovò in men d'un baleno all'ingresso della caverna che avea scorta stando dall'altra sponda. Quivi fermossi un istante: chè mentre la luce del fuoco di carbone permetteagli di vedere nell'interno dell'antro, uno sporto di roccia impediva a lui d'essere osservato da chi soggiornava colà.

Non ravvisò ne' lineamenti di Burley altro cambiamento fuor quello derivato da una lunga barba grigia che costui aveva lasciato crescere quando vide a vuoto il suo divisamento di lega co' montanari del Nort. Seduto per terra, presso del fuoco, colle braccia incrocicchiate e il capo che pendeagli sul petto, erane la fisonomia non d'inoperoso e negghiente, ma d'uomo assorto in profonda meditazione.

La giovinetta fe' cenno a Morton ch'ei poteva entrare intanto ch'essa dal lato opposto aspettavalo.

Appena Burley s'avvide d'un uomo che entrava nella sua caverna, prima ad affacciarsegli fu l'idea di qualcuno che venisse per arrestarlo, e deliberato di vender cara la propria vita, corse nella parte dello speco la più recondita per munirsi d'una sciabola che trasse tosto dal fodero.

»Sig. Burley, gli disse Morton d'un tuono tranquillo, vengo a rinnovare con voi una conoscenza, che rimase interrotta fin dopo la giornata del ponte di Bothwell.»

Angustissimo essendo l'ingresso della caverna, le immani rupi sotto delle quali la natura o i secoli l'aveano scavata, faceano che nella sua parte interna si udisse meno lo strepito della cateratta, e potessero vicendevolmente parlarsi ed intendersi quei che vi stavano.

Burley tosto lo riconobbe.

»Tardasti assai, Enrico Morton, gli disse; tu entri nella vigna allorchè la duodecima ora ha sonato. Ma nulla rileva! Sta scritto che gli ultimi saranno i primi. Ebbene! sei tu pronto a mettere mano all'opera? se' tu fra coloro che calpestano sotto il piede i troni e le dinastie, che non ascoltano altra voce se non se quella che vien di lassù?»

»Mi fa maraviglia, rispose Morton (che volea schivarsi dal rispondere a sì fitte interrogazioni) che m'abbiate riconosciuto dopo una sì lunga lontananza.»

»Le fisonomie di coloro che s'accinsero con me ad operare la liberazione d'Israele mi stanno scolpite nel cuore. E chi avrebbe osato venirmi a cercare in questo asilo fuorchè il figlio di Silas Morton? – Vedesti tu qual fragile ponte unisca il mio asilo alla dimora degli uomini: uno sforzo solo del mio piede può precipitar nell'abisso quel ponte; può mettermi in istato e di disfidare la rabbia de' nemici che occupassero l'altra sponda, e di disfogare il mio sdegno sullo sciagurato che avesse osato varcarlo per innoltrarsi fin qui.»

»Non credo che v'accadrà mai il bisogno di ricorrere a tal genere di difesa; il vostro asilo è sì inaccessibile!..»

»Inaccessibile? Non vi sei tu pervenuto? Quello che hai fatto, non potranno eseguirlo i nemici implacabili congiurati contro di me? Ma ciò non m'affanna. Amo questo mio asilo sì che nol cambierei cogli appartamenti dorati del castello appartenuto un giorno ai conti Torwood. Tu pensi forse altrimenti, a meno che il delirio della tua febbre non t'avesse già abbandonato.»

»Gli è appunto di quel castello ch'io debbo parlarvi, nè dubito rinvenire nel sig. Burley un uomo ragionevole; e di mente fredda come il vidi alcune volte quando ci battevamo entrambi per la medesima causa.»

 

»Sì è vero? rispose ironicamente Burley. Tale è la vostra speranza? – Dimmi. Ti spiegherai tu in termini un po' più chiari?»

»Volentieri. Voi avete usato, e i modi me ne sono sconosciuti, d'una potenza segreta sulle sostanze di lady Margherita Bellenden e della sua pronipote. Il fatto è che trovansi ora spogliate di que' beni ai quali aveano diritti i più legittimi: il fatto è che l'ingiustizia gli ha appropriati al vile, allo scellerato Basilio Olifant.»

»Tu il credi?» gli chiese, sempre sullo stesso tuono Burley.

»Ne sono convinto, nè voi vi affaticherete certo a negarmi cosa, della quale fa prova la lettera stessa che mi scriveste.»

»E supponendo ch'io questa cosa non neghi, e supponendo ch'io abbia il potere e il volere di distruggere l'opera delle mie mani, di restaurare il retaggio della casa Bellenden, qual ne sarebbe la ricompensa? Speri tu ottenere la mano dell'avvenente pupilla, e tutte le sue facoltà…?»

»Di ciò non nudro la più che lieve speranza.»

»E a favor di chi dunque hai intrapresa questa tua venuta nell'antro del lione per involargli la sua pastura? Conosci tu l'indole di sì fatta impresa? Non è men difficile da mandare a termine che nol fosse la più rischiosa tra le fatiche operatesi da Sansone. Se tu vi riuscissi chi dovrebbe raccoglierne il frutto?»

»Lord Evandale e la sua promessa sposa, rispose Morton colla massima fermezza. Pensate meglio del genere umano, sig. Burley, e persuadetevi esservi tali uomini che sanno sagrificare a quella degli altri la propria felicità.»

»Per l'anima mia! fra tutti gli enti che portano la sciabola, che sanno domar un cavallo, che furono forniti di barba da madre natura, tu sei il più pacifico, il men atto a risentirti contra gli oltraggi. – Come? Tu vuoi mettere fra le braccia di questo esecrato Evandale la donna che ami da sì lungo tempo? Gli è a favor d'un rivale che imprendi fargli restituire que' beni de' quali per considerazioni possentissime fu privata? E puoi credere che viva sulla terra un altro uomo, non men di te offeso da questo reprobo, capace di una simile abbiezione? E ardisci supporre che questo tal uomo sia John Balfour di Burley?»

»Sig. Burley, quali che siano i sentimenti motori dell'opere mie, non ne devo conto che al cielo. Quanto a voi, che v'importa se il dominio di Tillietudlem appartenga piuttosto a un Basilio Olifant, o a lord Evandale?»

»Tu sbagli d'assai. Gli è ben vero che entrambi sono figliuoli delle tenebre, estranei alla luce quanto il sia un fanciullo che non ha ancora aperti gli occhi. Ma Basilio Olifant è un Nabal, un ente da nulla, la cui fortuna, la cui possanza stan nelle mani di chi ha la forza di torgliela. Divenuto puritano pel dispetto di non avere conseguito il possedimento delle agognate sostanze, papista sotto Giacomo I per impadronirsene, or si è fatto per conservarle partigiano di Guglielmo d'Orange, e sarà tutto quello che piacerà a me vederlo divenire, sintantochè vivrò io, sintantochè rimarrà in mia mano il documento che può cacciarlo dal suo possesso, documento che da me non si è partito giammai. I dominj goduti da costui sono un freno, del quale io tengo le redini, mercè il quale costui non seguirà mai altra strada fuor quella che mi sarà in grado prescrivergli. Egli li serberà adunque semprechè io non abbia certezza di conferirne la signoria ad un amico vero, e zelante per la buona causa. Ma lord Evandale è un reprobo dalla testa di ferro e dal cuor di diamante. I beni di questa terra non gli offrono maggior vezzo delle foglie secche cadute da un albero e levate in aria dal vento; ei li vedrebbe trasportati lungi dal turbine senza scomporsi, senza fare un passo per assicurarseli. Le virtù mondane d'uomini pari a lui portano maggior detrimento alla nostra causa, che non la sordida cupidigia di tanti altri, condotti dal solo interesse lor personale. Schiavi almen costoro dell'avarizia, si può regolarne il cammino, e farli operare alla vigna del Signore, coll'adescamento, non fosse altro, di meritarsi il salario dell'empietà.»

»Tali considerazioni poteano forse essere in qualche parte opportune, alcuni anni sono; e avrei trovato un'apparenza d'aggiustatezza ne' vostri ragionamenti, comunque mi sarebbe sempre stato impossibile il ravvisarli fondati sulla rettitudine e sulla equità. Ma ai tempi ne' quali viviamo, mi sembra un privilegio inutile per voi il conservare sopra Olifant la prevalenza di cui mi parlate. Qual uso potreste farne? Godiamo ora della pace, della libertà religiosa e civile. Che bramate di più?»

»Che bramo di più? Sclamò Burley traendo la sua sciabola fuori del fodero. Vedi tu questa sciabola? Essa ha liberato da più d'un persecutore la chiesa. Essa ha operate grandi cose. Pur maggiori glie ne rimangono da operare. Le è d'uopo estirpare la eresia: le è d'uopo rifabbricare in tutto l'antico splendore il tempio di Gerusalemme: le è d'uopo intridersi nel sangue di coloro che si dissetarono del miglior sangue dei martiri nostri fratelli. Compiuti che avrà questi ufizj, venga allora a corroderla la ruggine, e si riposi vicino all'ossa del suo padrone!»

Sì dicendo, rimise la sciabola nel fodero, e la riportò nel fondo della spelonca.

»Pensate almeno, Sig. Burley, che non avete nè le forze bastanti, nè i modi necessarj a rovesciare un governo fondato sopra saldissime basi come il nostro ora lo è. Il popolo, nella massima parte è soddisfatto e tranquillo. Non si scorgono che pochi malcontenti, e son quelli che parteggiano tuttavia pel re Giacomo. Ma voi non vi colleghereste certamente con uomini i quali non si varrebbono delle vostr'armi che per condurre a fine i loro disegni, spartati affatto dai vostri.»

»Sono questi uomini in vece che senza volerlo ci assicureranno il trionfo. Mi sono trasportato al campo del reprobo Claverhouse, come David visitò un giorno quello de' Filistei. Avevamo stretti insieme gli accordi per una sollevazione generale; e se non era quello sciagurato di Evandale, tutta la parte occidentale della Scozia sarebbe in arme a quest'ora. Io lo scannerei, soggiunse digrignando i denti, se il trovassi ancora abbracciato all'altare. Se tu volessi, continuò indi in tuon più tranquillo, rompere i disegni che costui formò sopra Editta, o sposarla tu stesso; se tu mi giurassi di accignerti alla grand'opera con uno zelo eguale al tuo coraggio, non credere già che io preferissi l'amicizia d'un Basilio Olifant alla tua: io metterei sull'istante nelle tue mani questo documento che è l'ultima volontà testamentaria del conte di Torwood, e tuo sarebbe l'onore di restituire nel paterno retaggio la discendente dei Bellenden.»

Nel dire tal cose aprendo la sua cartella, traevane una pergamena che fece vedere a Morton.

»Un tal desiderio, aggiunse, non si dipartì dal mio cuore dopo l'istante che ti vidi combattere con tanto valore per la difesa del ponte di Bothwell. Io so che Editta ti amava, e se tu l'ami ancora, favella: armato di questa carta importante, non temere che ti sia negata in isposa.»

»Sig. Burley, venni da voi colla speranza d'indurvi ad un atto di giustizia, non mosso da verun personale interesse. Non vi sono riuscito, e me ne duole più ancora per voi, che per le vittime di una tale iniquità.»

»Voi ricusate adunque le mie offerte?» disse Burley, che gli sfavillavano gli occhi di rabbia.

»Nè esito un istante. Se l'onore e la coscienza dominassero sol per poco nel vostro animo, voi mi consegnereste, e senza profferire patti, questa pergamena, perchè fosse restituita a chi ne è legittimo proprietario.»

»Sia dunque annichilata!» sclamò Burley tratto fuor di sè dal furore; e gettando il testamento in mezzo al focolare che ardeagli rimpetto, lo spinse col piede per entro alle brage onde accelerarne la distruzione.

Ben si lanciava Morton per torlo alle fiamme; ma corsogli al collo Burley, ne nacque una lotta fra loro. Vigorosi entrambi, e animato ciascuno della propria passione, doppie pareano le forze di que' due atleti. Pur Morton pervenne a sciogliersi dai legami che formavano attorno al suo corpo le braccia dell'avversario, ma non sì in tempo che già quella carta sì rilevante non fosse ridotta in cenere.

Il furibondo Puritano allora fissò sopra Morton due occhi, ne' quali scintillava la barbara gioia di avere soddisfatta la vendetta e la rabbia: »Ora, soggiunse, nulla posso più a tuo favore, ma divenisti padrone del mio segreto; egli è d'uopo morire, o far giuramento d'entrare a parte dei miei disegni.»

»Sprezzo le vostre minaccie, rispose Morton imperturbato, compiango il vostro delirio, e vi lascio.»

Nel tempo stesso avanzavasi verso la bocca della caverna; ma il prevenne in esserne fuori Burley, e corso al pedale della quercia rovesciata, che presentava la sola via d'uscir di quel luogo, la fece cader nello abisso con uno strepito simile a quello del tuono.

»Ebbene! gli disse colla gioia di un cannibale; eccoti mio prigioniero. Difenditi e vediamo se ti ricordi ancora l'esercizio della sciabola. Fa duopo cedermi o morire.»

Nel medesimo tempo corse verso il fondo della caverna per ripigliare la sciabola.

»Non so ancora che siasi il cedere alle minacce, Morton dicea, pur non voglio battermi coll'uomo che salvò la vita a mio padre, e gli risparmierò un vile assassinio.»

Detto ciò lanciossi coll'agilità naturale a lui, e che pochi altri uomini possedevano, e spiccò un salto al di sopra della voragine, che Burley credea dovesse opporgli un ostacolo insuperabile. Aveva il piede sull'altra sponda allorchè vide Burley presentarsi di nuovo alla bocca della spelonca colla sciabola alla mano, e pallido per la sorpresa, e tratto a ruggir dal furore. Sparve un istante e tornò con due pistole per trar dietro a Morton. Ma l'umidità della caverna avendole fatte inette al loro ufizio, il polverino non prese fuoco, nè il ribaldo potè, se non se coi gesti, minacciare Morton, e fargli comprendere che divenuto più ardente ognor di vendetta non si sarebbe ristato dal perseguirlo.

In questo mezzo, Morton avea raggiunta la sua piccola conduttrice non poco atterrita dal precipitar della quercia. Ei le disse essere stato effetto del caso questa caduta, ed ella lo accertò non poterne venire alcun danno a Burley che avea avuta l'antiveggenza di preparare nella caverna altri alberi per costruir nuovi ponti di quella natura ogni qualvolta inaspettate circostanze avessero obbligato chi stavasi in quello speco a distruggere per propria sicurezza tal ponte di comunicazione.

Ma le avventure di quella mattina non erano ancora al lor termine. I nostri due viandanti trovavansi già vicini all'albergo della Maclure, allorchè la giovinetta mandò un grido di sorpresa in veggendo venir incontro ad entrambi la vecchia, che atteso il suo stato di cecità non solea mai allontanarsi dalla propria abitazione.

»Peggy! sclamò ella appena ravvisati i viaggiatori alla voce, fate presto, correte a mettere la briglia al cavallo di questo signore e conducete voi la bestia fin'oltre allo spinaio. Là aspetterete il cavaliere.»

»Siam noi soli? chies'ella in appresso. Vi è nessuno che possa sorprenderci?»

Morton, mosso, più che da altro, dall'impazienza di sapere qual fosse la novità accaduta, la incoraggiò a spiegarsi senza timore.

»Se avete premura per lord Evandale, eccovi, diss'ella, l'istante di dargliene prova, o questo istante non torna mai più. Egli è esposto a gravissimo rischio. Oh! come ringrazio ora il cielo che m'abbia lasciato il senso dell'udito nel togliermi quello della vista! – No, no, astenetevi ben dall'entrare. Venite meco, seguitemi.»

Ella condusse Morton dietro la casa, e presso alla finestra d'una camera, ove stavano due dragoni votando un boccale di birra. Morton non potea in quella situazione vederli, nè esserne veduto, ma bensì udì chiaro il seguente dialogo.

»Più ci penso, dicea l'un d'essi, meno mi quadra la cosa. Lord Evandale in fine era un buon ufiziale, era l'amico del soldato. Se ci gastigò per l'affare di Tillietudlem, sii meco d'accordo, mio caro Inglis, noi lo avevamo meritato.»

»Il diavolo mi porti, se gliela perdono mai più! ma non penso a ciò; penso che è venuta la mia volta di dargli faccende.»

»Ma non sarebbe assai più il nostro conto unirci a lui e raggiugnere di conserva i montanari? Non abbiamo noi mangiata la pagnotta del re Giacomo?»

»Tu non sei che un asino. Lord Evandale si è lasciato sfuggire la buona occasione; e perchè? – Perchè Holliday, quell'imbecille! ha veduto uno spirito: perchè la sua innamorata è matta. – Ora il segreto non può essere custodito nemmen per due giorni. E di chi sarà il profitto? del primo gallo che canterà.»

»Affè non dici male! – Ma questo birbone di Basilio Olifant, lo credi uomo da pagar bene un servigio?»

»Quanto possa esserlo un principe! non v'è uom sulla terra ch'egli odii al pari di lord Evandale. Teme sempre d'avere con esso qualche lite pei beni di Tillietudlem: e se una volta giungesse a far sua miss Bellenden, e a mettere l'altro giù di strada, ma da dovvero non vi sono per lui più inquietudini.»

 

»Però avremo noi un decreto d'arresto in buona forma contro lord Evandale? e avendolo, siam sicuri d'una forza bastante per mandarlo ad effetto? Perchè non troverem molte persone inclinate a fargli del male, nè egli sarà sì facile da lasciarsi prendere al trabocchello. Si difenderà come un lione, e staranno per lui Holliday, e forse alcuni altri de' nostri colleghi.»

»Tu sei matto, e, chi t'ascolta aggiugnerebbe, pauroso. Egli dimora solo a Fairy-Grove per non dar sospetto di sè. Non possono trovarsi con lui che Holliday e il vecchio Gudyil che vale meno d'una piattonata. Olifant è giudice di pace. Egli ci munirà bene del decreto d'arresto, e ne darà per eseguirlo qualcuno della sua gente. Mi disse anzi che ci farebbe scortare da un Puritano, vero demonio in carne, Quintino Mackell di nome, tanto più preparato a ben battersi, che cova antica ruggine contra Evandale.»

»Così sia dunque! Infine, voi siete mio superiore, e se le cose andassero male…»

»Ne assumerò il biasimo sopra di me. – Su via! anche una tazza di birra! Indi si galoppi a Tillietudlem. – Olà! Bessia Maclure! – Ove diamine s'è rintanata la vecchia strega?»

»Tratteneteli finchè potete (disse Morton alla sua ostessa in tempo che le ponea fra le mani una borsa.) Io non ho bisogno che di guadagnar tempo.»

Poi corse là dove il suo palafreno aspettavalo »Qual via prenderò dunque! ei dicea montandovi sopra. Di Fairy-Grove? No. Non basterei solo a difenderlo. Vadasi dunque a Glascow. Wittenbold che comanda in quel luogo mi darà un distaccamento e mi procurerà l'appoggio delle magistrature. – Galoppa, Meorkopf, disse al suo cavallo. Oggi devi far prova di tua velocità.»