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La vita Italiana nel Risorgimento (1831-1846), parte III

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Per amore di verità, però, non debbo dimenticare che la storia registra anche molte Santippe.

Dopo la morte del Galvani tutto quanto avesse riguardo coll'elettricità animale venne circondato di dubbi, di indifferenza e finalmente dimenticato, ed a ciò contribuì principalmente la scoperta della pila di Volta ed i rapidi e meravigliosi progressi che ne conseguirono nel campo della elettrodinamica. Si capisce, infatti, come la povera elettricità animale, questa specie di cenerentola della elettrologia, così modestamente raccolta nei tessuti viventi, dovesse cedere il passo alla sua consorella, la elettricità voltaica, assai più appariscente e più ricca di applicazioni che essa non fosse.

Fu il Matteucci che la rimise alla luce del mondo. È bensì vero che il Nobili aveva scoperto la cosiddetta corrente propria della rana che va dai piedi al capo, ma egli l'aveva attribuita a fenomeni termoelettrici, sicchè fu soltanto cogli studi del Matteucci che si riprese nettamente il concetto del Galvani, e si considerarono i fatti elettrici manifestati da un essere vivente come un'espressione dei processi che si svolgono nell'intimità degli apparecchi funzionanti.

Il Matteucci era uomo di tale ingegno, da lasciare la sua impronta su qualunque argomento imprendesse a trattare. Non sta a me di considerarlo ora nelle sue opere di cittadino; ricorderò soltanto che fu ambasciadore e ministro della pubblica istruzione e professore nel nostro Ateneo. Del resto, da questi punti di vista fu già magistralmente tratteggiato da Nicomede Bianchi, in un libro che ha appunto per titolo: Carlo Matteucci e l'Italia del suo tempo. Per trattare dell'importanza non solo tecnica ma filosofica del Matteucci, ci vorrebbero parecchie conferenze. Perchè egli non fu solo uno scopritore di fatti, ed il restauratore della elettrofisiologia, ma anche un rinnovatore nel campo delle idee direttrici in biologia. Con un acume ammirabile sostenne l'importanza dei fatti fisici e chimici negli esseri viventi, e fu così uno fra i più efficaci fondatori della fisiologia moderna. Ma non ebbe i fanatismi tanto comuni agli innovatori, e seppe mantenersi sempre nei limiti del vero, possedendo una netta percezione dei confini fissati alla applicabilità dei fatti scientifici ed al loro significato fisiologico. Egli, l'autore dell'opera sui fenomeni fisico-chimici dei corpi viventi, ed uno fra i più vivaci oppositori di quella scuola di un vitalismo primordiale, rappresentata in Italia dal Rasori e dal Tommasini prima, e poi, benchè in forma più progredita, dal Bufalini, mantenne sempre quella serenità di giudizio e di linguaggio, che dimostrano in lui un vero temperamento di scienziato. Egli ben sapeva che la scienza positiva non ha e non può avere alcun rapporto colle questioni trascendentali, e deve lasciare al sentimento ed all'intuito individuali di definire, quando se ne senta il bisogno, che cosa possa essere quello che si vuol chiamare la verità assoluta. Lo studio dei fenomeni della natura, provoca, ordinariamente, bisogna riconoscerlo, una speciale polarizzazione nelle capacità intuitive ed interpretative, ma ciò non fa parte della scienza propriamente detta. Se l'indagine plasma la mente dello sperimentatore ad uno speciale ed indulgente scetticismo, si è perchè il contatto diretto coi fenomeni della natura, e la sottile ricerca di essi, e l'analisi minuta delle loro particolarità mentre lo rendono più forte nel discernimento del supposto vero, gli dimostrano anche l'inanità degli sforzi suoi e degli altri, nel determinare l'essenza delle cose. Ma l'uomo di scienza è anche spesso un entusiasta, perchè nessuno meglio di lui è in grado di apprezzare la meravigliosa armonia dei fatti naturali, l'intimo legame che li riunisce, gli adattamenti perfettissimi che danno ai fenomeni una stupefacente parvenza di finalità. Egli è pure un disilluso, perchè ogni giorno più deve convincersi che ben poco è quello che sa in confronto di quello che gli resta a sapere, e perchè si avvede che ogni fatto nuovo che viene alla luce, mentre aumenta il suo potere sulla natura, allarga pure smisuratamente i confini della sua ignoranza consapevole. Ma egli possiede anche un concetto esatto intorno alla relatività dei nostri veri, e se non sempre ha il coraggio di comunicare i dubbi che lo tormentano, e lo sconforto di sentirsi legato, per certe questioni generali, al limbo eterno della ignoranza, sa però che deve essere temperato nelle idee e non scende nella lizza per opporre ad affermazioni azzardate altrettanta vacuità di linguaggio; e a rappresentazioni troppo indefinite e vaghe, simboli troppo schematici e materiali; e a certe nebulosità idealistiche, costruzioni materialistiche di un meccanismo infantile.

Questa è la rappresentazione psicologica di uno scienziato, quale sorge spontanea nella mente leggendo le opere del Matteucci, le quali improntate ad un severo positivismo fanno di lui, che fu il ricercatore dei fenomeni fisici e chimici dei corpi viventi, uno dei fondatori di quella scuola biologica che limita i confini della nostra conoscenza e che alcuni vorrebbero, non capisco il perchè, distinguere coll'appellativo di neovitalismo.

Dovrei ora parlare in modo speciale intorno alle ricerche del Matteucci sull'elettricità animale, ma ciò mi obbligherebbe ad entrare in questioni troppo tecniche, e ad adoperare un linguaggio che è soltanto espressivo per gli iniziati ai suoi misteri. Credo invece opportuno di dirvi in poche parole quali siano le nostre cognizioni attuali a proposito della elettricità dei tessuti, perchè possiate apprezzare quanto la fisiologia deve a quegli illustri italiani che hanno iniziato questi studi. È infatti soltanto esaminando il frutto che si può comprendere l'importanza di un germe, e soltanto l'organismo sviluppato ci dice quali capacità di evoluzione stavano nascoste in quella cellula così ricca di potenzialità che noi chiamiamo l'uovo.

Un organismo vivente, considerato in forma schematica, può essere tenuto in conto di una macchina complicatissima, nella quale materiali chimici molto complessi, dissociandosi ed ossidandosi, mettono in libertà una certa somma di energie, in quella guisa che il carbone combinandosi coll'ossigeno, come si suol dire, bruciando, sviluppa calore. Ma lo stesso pezzo di carbone, quando si ossida, può darci semplicemente del calore, se ci limitiamo a bruciarlo nel caminetto, mentre da esso possiamo trarre del lavoro meccanico, se ne provochiamo la combustione nel fornello di una locomotiva, o della energia elettrica e quindi della luce o delle azioni chimiche o altre forme di lavoro, se la forza messa in libertà dalla fiamma fa poi agire una dinamo e questa una lampada elettrica, o un bagno galvanoplastico, o altro. Sicchè lo stesso combustibile bruciando può dare forme differenti di energia e di lavoro a seconda dei meccanismi ai quali è applicato.

Nello stesso modo i processi di combustione che si svolgono nelle singole parti del nostro corpo si manifestano diversamente in ragione della varia struttura di queste parti. Il muscolo dà il lavoro meccanico, la glandola, la elaborazione chimica, il nervo, la trasmissione di un'onda particolare, la cellula nervosa, l'impulso al movimento o il sottostrato della sensazione, e così via, e tutti questi atti derivano in modo più o meno diretto da cangiamenti chimici, che mettono in movimento i diversi ingranaggi del nostro organismo.

Le differenti manifestazioni funzionali del nostro corpo, delle quali abbiamo fatto parola, sono accompagnate però da fatti collaterali, come avviene in ogni altra macchina. Abbiamo cioè, oltre il lavoro specifico dei diversi apparecchi, uno sviluppo di calore che contribuisce, negli animali che stanno in alto della scala zoologica, a mantenere la temperatura del loro corpo ad un grado superiore a quello ordinario dell'ambiente.

Ma oltre il calore si possono discernere altre forme di energia, fra le quali la luce e le manifestazioni elettriche.

Non avete mai veduto il mare fosforescente? È soprattutto nelle regioni equatoriali che questo spettacolo si manifesta nel suo massimo splendore, dando al navigante l'impressione di solcare delle onde infocate. Non dimenticherò mai le sere passate sull'Oceano indiano, appunto per la magnifica fosforescenza che vi ho potuto ammirare. Tutta la superficie del mare, leggermente increspata, era illuminata da una luce vaga, nebulosa, bluastra, che pareva scaturire dalle maggiori profondità, mentre il solco aperto dal piroscafo splendeva sin presso all'orizzonte come una striscia di fuoco, sulla quale risaltavano i guizzi di fiamme provocati dall'elica che percoteva l'Oceano e dalla prua che ne squarciava gli attriti. Questo fenomeno è dovuto alla presenza di innumerevoli esseri assai bassi nella scala dei viventi, alcuni minutissimi, altri, come le meduse, abbastanza voluminosi, i quali, quando siano stimolati dagli urti delle onde o dell'elica, per esempio, rivelano quello stato di eccitamento con manifestazioni di energia che, in grazia della loro trasparenza, acquistano i caratteri di vere e proprie funzioni luminose. In questo caso si potrebbe proprio dire con un illustre fisiologo che noi siamo colpiti direttamente dalle irradiazioni della fiaccola della vita. Fatti simili, benchè più complessi e parzialmente sottoposti all'impero dei centri nervosi, ci vengono presentati fra gli altri da alcuni insetti, dei quali rammenterò le lucciole, ornamento delle nostre sere di primavera e di estate, e che furono soggetto di interessantissime ricerche del nostro Matteucci, e gli elaterii dell'America tropicale, che possono servire come lanterne per illuminare il cammino, e che sul capo delle signore splendono di una vivissima luce propria, molto più apprezzabile, mi pare, di quella riflessa da un diamante.

Come vedete, alcuni fatti che d'ordinario sono semplici accessori, che si presentano come collaterali di una funzione principale, possono, in certi casi, raggiungere così grande sviluppo, da acquistare per se stessi la dignità di una vera e propria funzione. Questo accade per la luce emessa dagli organi fosforescenti degli insetti, come pure per le manifestazioni elettriche della torpedine, del gimnoto, del siluro che, grazie alla evoluzione di organi particolari, si sono resi capaci di emanazioni elettriche potentissime, mentre, d'ordinario, l'elettricità che si svolge dagli organi funzionanti, può essere appena avvertita da apparecchi delicatissimi.

 

Non per questo essa ha meno importanza pel ricercatore di fatti biologici, che anzi la corrente tenuissima che si può raccogliere da un muscolo che si contrae, la così detta corrente d'azione vale a farci comprendere la potentissima scossa emessa da un pesce elettrico.

Si disse come le manifestazioni funzionali dell'organismo siano dovute a processi di combustione che si svolgono in seno agli elementi costitutivi dei nostri organi. Ma il lavoro determina necessariamente il consumo del combustibile, ed anche, benchè meno rapidamente, della macchina. Sicchè un organismo non potrebbe presentare una funzione continuata se ai fatti distruttivi, che sono il fondamento o la conseguenza delle sue varie forme di lavoro, non facessero equilibrio fatti antagonistici di reintegrazione, capaci di ricostituire le forze impiegate nell'attività e le strutture consumate dall'uso, che in altre parole servono a rimettere nuovo carbone nel fornello, ed a raccomodare quegl'ingranaggi che vanno di mano in mano sciupandosi. Per questo un organismo si può considerare come continuamente oscillante fra due atti chimici opposti: quelli distruttivi, che si manifestano in forma di movimento, di calore, di luce, di elettricità o d'altro: e quelli ricostitutivi, che accumulano nuovi materiali combustibili e reintegrano i tessuti sciupati dalla funzione.

Può accadere che questi due fatti antagonistici corrispondano perfettamente gli uni agli altri, come può avvenire che l'uno di essi predomini sull'altro, e voi facilmente comprenderete quanto sia importante pel biologo di assistere agli avvicendamenti chimici che si svolgono nell'intima trama degli organi viventi. Questo ci è in parte concesso quando si raccolga e si registri graficamente, per mezzo di apparecchi delicatissimi, le variazioni elettriche dei tessuti che vivono, vale a dire che si nutrono e che funzionano. Infatti, i processi distruttivi determinano nelle parti che ne sono la sede una certa condizione elettrica che si chiama negativa; e i fenomeni opposti di reintegrazione danno luogo a manifestazioni elettriche di segno contrario, provocando cioè uno stato che si dice positivo.

Si capisce, perciò, come non si ottenga alcuna manifestazione elettrica da un organo nel quale i processi chimici opposti, distruttivi e reintegrativi si fanno equilibrio, perchè in esso agiscono due forze eguali e contrarie che si neutralizzano, mentre vediamo diventare negativa quella parte nella quale si esagerano i processi demolitori, o positiva quella nella quale predominano i fatti di riparazione organica.

Così l'agente misterioso che lungo i nervi è l'intermediario fra il cervello e le parti del nostro organismo, facendosi il messaggero delle azioni di senso e di movimento, si rivela a noi come un'onda di negatività, che percorre i cordoni nervosi; così l'attività di un muscolo, di una glandola, di un organo di senso danno luogo a variazioni elettriche negative della parte funzionante. Noi riusciamo inoltre a raccogliere dalla superficie del nostro corpo cangiamenti elettrici, variazioni di potenziale, come si dice, che corrispondono col loro avvicendarsi al ritmico battito del cuore. Per contro, quest'organo centrale della circolazione, quando sia arrestato da azioni nervose particolari che ne esagerino gli atti ricostitutivi, a scapito di quelli che sono la base della sua funzione meccanica, dimostra questi cangiamenti con variazioni elettriche opposte di carattere positivo.

Come vedete, le oscillazioni elettriche dei tessuti, raccolte e registrate coi nostri apparecchi, possono esprimere all'esterno le intime modificazioni chimiche che si svolgono nei più remoti recessi del nostro organismo, e possono tracciare dei veri ed autentici rapporti autografici di esse. Sicchè per mezzo della elettricità animale ci è concesso di possedere una immagine, per quanto sfumata e vaga di quel ritmo chimico che forma il sottostrato delle manifestazioni di un essere vivente; o, se volete, un'eco assai attenuata, ma pur fedele, dell'armonia della vita. E non è probabilmente lontano il giorno nel quale indagando le correnti d'azione dei centri nervosi noi sorprenderemo le cellule cerebrali nella loro attività elaboratrice della sensazione e del movimento.

Ma non facciamoci troppe illusioni, perchè si capisce che in questo caso non otterremo che la rappresentazione esteriore di uno dei sintomi dell'atto mentale, come il sorriso che solleva il labbro della Gioconda del divino Leonardo non è che il simbolo di uno stato d'animo di quella vaghissima donna. Ma forse che per questo esso è meno attraente? Forse che esso non ci affascina tanto più quanto maggiormente è misterioso ed impenetrabile?

Signore e Signori!

Un filosofo tedesco, celebre nella storia della elettrofisiologia, Emilio Du Bois-Reymond, in un suo discorso, accennando alla scoperta del Galvani, esclamava: «È con orgoglio che l'investigatore della natura, osservando i fili telefonici che attraversano le nostre strade e le nostre piazze, si rende conto di quanto hanno fatto tre generazioni umane di genio e di diligenza, partendo da un sì oscuro principio,» e si domanda col Gherardi, pensando al parapetto di ferro sul quale il Galvani fece la sua osservazione: «Se quel parapetto fosse stato di legno o di pietra, chi può assicurarci che avremmo un galvanismo… e tutto il resto?»

Certo è incommensurabile l'importanza della scoperta del Volta, e ne fanno fede le innumerevoli applicazioni che sono tanta parte ormai delle nostre manifestazioni materiali ed intellettuali, e che sotto forma di luce, di calore, di movimento, di trasmissione di energia a distanza, di utilizzazione di forze naturali, di azioni terapeutiche, e più ancora di nuove ed efficaci dottrine che simboleggiano in forma scientifica i fenomeni della natura, in quanto hanno di più recondito, danno alla nostra vita individuale e sociale un particolare indirizzo.

Ma pur prescindendo dal fatto che senza la rana del Galvani non vi sarebbe forse stata la pila del Volta, mi sarà lecito di affermare che anche la elettricità animale, che serve a rivelare l'intimo meccanismo nutritivo dei più remoti ingranaggi di un organismo vivente è, nelle mani del biologo, un istrumento di conquista non meno efficace di quello che maneggiato dal fisico ha contribuito potentemente a dare un'impronta nuova al secolo che muore. E ciò dobbiamo soprattutto a quelli italiani che, in sullo scorcio della prima metà di questo secolo, mentre si preparavano le armi della riscossa nazionale, ripresero e rinnovellarono gli studi del Galvani, quasi per affermare, una volta di più, che l'Italia non è e non sarà mai la terra dei morti, perchè nel nostro paese anche i morti resuscitano a maggior gloria di tutti!

APPENDICE LE MONTÉNÉGRO

CONFERENZA
DI
CHARLES YRIARTE

Quelles que soient les destinées réservées au peuple Monténégrin s'il garde sa persévérance, sa sagesse et sa valeur; il devra conserver à jamais un culte et une tendresse profonde pour l'étroite vallée et le cirque de montagnes où il s'est refugié au moment où les Turcs, déferlant comme une vague sur les Balkans, ont envahi la vieille Serbie. Laissez-moi marquer ici à grands traits les étapes de son histoire.

Dans la grande famille Serbe dispersée par l'invasion, les clans Monténégrins, dès le moyen-âge avaient déjà eu une sorte d'autonomie, et sa Dynastie qui régnait sur la Serbie, la famille des Némania, avait même pris naissance dans la Zéta, qu'ils occupaient alors. Après la sanglante Bataille de Kossovo, d'où date la dispersion, le Prince Cernovich, incendiant le pays qu'il laissait derrière lui, se retira avec tout ce peuple en armes dans la montagne noire, la Cernagora. Il s'arrêta d'abord à Rieka, puis à Cettigné. Les Turcs avancent encore, ils ont déjà pris Constantinople; la Serbie est à eux toute entière; ils vont s'efforcer de soumettre ces réfractaires. Ils prendront les Monténégrins à revers, et après avoir chassé les Vénitiens de Scutari, Soliman pacha pénétrera jusqu'à Cettigné, qu'il livre aux flammes; c'est l'apogée de la défaite. Les Monténégrins ont désormais perdu la riche Zéta, le Brda, le Lac de Scutari, deux cents kilomètres de rivage sur l'Adriatique; et les quatre montagnes rocheuses où ils ont transporté leurs foyers sont tout leur domaine. Ce sera leur citadelle, ils y conserveront toujours vivante la flamme du patriotisme, la confiance dans leur destinée et une énergie indomptable. Alfieri fait dire à un peuple qui gémit sous le joug: «Esclaves… oui, nous le sommes, mais esclaves toujours frémissants.» Les Monténégrins n'accepteront jamais le joug; depuis Kossovo, en 1356, jusqu'à la prise d'Antivari et de Dulcigno en 1878: ce peuple décimé vivra dans une alerte continuelle, la main sur le kandjiar. C'est avec le premier des Pétrovich, Danilo, à la fin du 17e siècle que commence l'ère des grandes batailles décisives; jusque là, ce sont des incursions rapides, des razzias, des surprises; les montagnards fondent sur l'ennemi, ils l'envahissent, prennent des territoires, les perdent pour les reprendre encore, et harcèlent sans cesse. Mais tel sera désormais l'effort vers la rédemption et si terrible l'énergie de ce peuple indomptable, que de grands empires, la Russie et l'Autriche, voient en eux des auxiliaires hardis, et lui proposent des alliances.

Pierre-le-Grand s'avance le premier: «L'histoire (dit-il dans son message), nous a appris que vos anciens rois, vos princes, étaient hautement révérés comme appartenant au noble sang slave, et que les triomphes de leurs armes les ont rendus célèbres par toute l'Europe jusqu'au jour fatal de leur défaite. Rendez vous dignes de cette gloire, imitez vos illustres ancêtres; combattez pour la foi, la patrie, la gloire, l'honneur, pour votre liberté, votre indépendance et celle de vos fils.»

On combat en effet. L'année suivante à Carlevatz trente mille Turcs restent sur le champ de bataille; le Musulman recule; on respire pendant quelques années, on organise et on vit sans combattre, mais sans désarmer. Mais prenant sa revanche, l'éternel ennemi attaque de trois côtés à la fois avec cent-vingt-mille combattants dont les Monténégrins vont triompher à la journée de Cevo.

Les Pétrovich ont la vie dure; le premier vient de régner soixante ans, celui qui lui succédera dans l'histoire, Pierre Ier, est un saint et un héros. Dès les premières années de son règne, Marie Thérèse, étonnée à son tour de l'énergie et de la persévérance du peuple Monténégrin, inaugure vis-à-vis de la Cernagora une politique, que n'ont que trop bien suivi ses successeurs. Le second Pétrovich reçoit son ambassadeur, et Radonicht, délégué Monténégrin, ira à Vienne même dicter les conditions du traité d'alliance que l'Impératrice a proposé. Les conditions du Monténegro sont fières.

«L'alliance sera offensive et défensive; nul servage en échange. – Si le territoire Serbe venait à être délivré des Turcs, la Zéta supérieure, Podgoritza, Spuz, Zabliac, le Piperi, la Brda et l'Herzégovine seraient réunis au Monténegro qui pourra battre monnaie. Aussitôt que le Cabinet d'Autriche sera en guerre avec la Porte, S. M. Impériale enverra la poudre, le plomb et les armes. Si l'Autriche fait la paix avec la Porte, les Monténégrins seront compris dans le traité.»

Après trois ans de combats et de fortunes diverses, les Autrichiens acceptent la paix; mais comme le territoire n'a pas été délivré des Turcs: les concessions promises par l'Autriche au Monténégro sont lettre morte.

Pierre Ier ne se décourage point, et les Monténégrins vont attaquer tout seuls; ils défont les Turcs sur le Lac de Scutari, dans un combat naval et plus tard dans une rude bataille où Mohammed pacha trouve la mort, et l'impression est telle à Constantinople que l'indépendance pour laquelle les peuples Monténégrins ont versé tant de sang depuis Kossovo est enfin reconnue.

Mais un nouvel ennemi, plus puissant encore, s'avance. Les Français sont en Dalmatie; Pierre va se mesurer avec les lieutenants de Napoléon: avec Lauriston d'abord qu'il défait, puis avec Marmont duc de Raguse qu'il tient en échec.

Pris d'enthousiasme, le Czar Paul Ier, reprend la tradition de Pierre-le-Grand, envoie ses présents et ses insignes à tous les Voivodes, et alloue au Prince un subside de neuf mille ducats annuels. Mais en acceptant simplement un appui noblement offert, le Vladika Pierre n'a abdiqué aucun de ses droits; le gouvernement Russe s'étant un jour immiscé dans l'administration ecclésiastique de la Principauté, le gouverneur Vuk Radonitch et tous les serdars, voivodes, kneze, porte-enseignes, prêtres, nobles et autres autorités protestent respectueusement, mais avec une singulière fermeté.

 

«Le peuple du Monténegro et de la Brda (dit Radonitch), n'est aucunement sujet à l'empire Russe, il se trouve seulement sous sa protection morale, parce qu'il est de la même race, et parce qu'il a la même foi; mais par aucune autre raison. Nous avons attachement et fidélité et nous voulons garder ces sentiments éternellement, mais nous défendrons de toutes nos forces la liberté dont nous avons hérité de nos prédécesseurs, et nous mourrons plutôt l'épée à la main, que de subir une servitude honteuse d'une puissance quelconque.»

Pierre Ier le Saint, pouvait seul faire entendre un tel langage au Czar de toutes les Russies. Ce Vladika, qui règne pendant quarante-huit ans, n'a connu que des victoires; il fut aussi un civilisateur, et reste le vrai héros de la Dynastie. Sur la hauteur qui domine Cettigné, là où se dresse le monument que la piété d'une Monténégrine devenue Princesse Italienne a dessiné de sa propre main en souvenir de Danilo, fondateur de la dynastie des Pétrovich, on voudrait voir s'élever la statue du vainqueur de Kara Mahmoud et le rival heureux de Marmont duc de Raguse.

La grande tâche n'est pas achevée; après dix ans du règne de Pierre II, grand poète, pacificateur, qui s'applique à adoucir les mœurs et à propager l'instruction tout en tenant l'épée d'une main ferme; un fait important au point de vue du gouvernement va s'accomplir. Jusqu'ici se confondent dans la personnalité qui dirige et qui règne, le caractère sacré du Vladika et celui du Prince. Pour devenir Vladika, évêque, il faut être moine et renoncer au mariage; Danilo Ier qui devait comme successeur et neveu de Pierre II assumer ce double caractère, avait fait ses études à St Pétersbourg; il renonça à l'église, et inaugura le pouvoir séculier. Ce règne est court, il finit par un évènement lugubre, l'assassinat du souverain, victime d'un fanatique: mais il reste encore inoubliable, car Danilo a la gloire d'avoir protesté devant l'Europe contre la Turquie, relevée par la guerre de Crimée, qui a osé dans un document parler du Monténegro comme d'une province Turque: et aussi, deux années après son avènement, il conduit ses troupes à Grahovo et met en déroute l'armée Turque dans une bataille qui eut de tels résultats, qu'on la regarde encore comme la revanche de Kossovo.

Quand Danilo tombe sous le coup d'un assassin, le prince qui règne aujourd'hui, Nicolas Ier, son neveu, fils de ce Mirko, le héros de Giahovo, quitte à la hâte Paris où il achève ses études au Collège Louis-le-Grand et assume le pouvoir. Il n'a pas encore vingt ans, mais les Monténégrins, mûris par l'exemple, avant vingt ans sont des hommes. Chacune des étapes de ce règne, auquel il faut souhaiter la durée de celui du premier Pétrovich, est marqué par un effort pour l'indépendance, un progrès dans la culture, une négociation heureuse, en même temps que Medun, Danilograd, Martinch, Rasina-Clavica, Nicksich, Antivari et Dulcigno; sont autant de noms de victoires coup sur coup remportées, qui forcent l'Europe à compter avec le Monténégro.

Le pays ne sera plus réduit à sa plaine étroite et aux quatre montagnes; vers la vieille Servie il a des plaines fertiles; la Zéta, la Brda lui appartiennent, il a pris de l'essor du côté de Scutari, et les princes aux longs règnes ont fini par tailler à coup d'épée dans la terre Serbe une principauté nouvelle. Cette principauté cependant n'est point encore le prix du sang, ni le territoire sur lequel on régnait cinq siècles auparavant. Berlin a effacé San Stefano. Depuis lors on s'est réfugié dans le travail sans sacrifier ses espérances: l'ère de la paix est celle des progrès, et une grande œuvre est accomplie. Le Soldat s'est fait Législateur, le code monténégrin est promulgué. Un juriste fameux, Bogisïc, sous l'inspiration du Prince, a recueilli les règles du Droit coutumier, appliquées naïvement jusque là par le peuple. Cette sagesse du Prince, cette prudence alliées à une énergie qui n'abdique point; ont eu leur récompense dans de grandes alliances qui n'ont pas eu seulement la politique et l'intérêt pour base, mais qui se trouvaient d'accord avec les raisons du cœur.