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La vita Italiana nel Risorgimento (1831-1846), parte III

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LA ELETTRICITÀ ANIMALE

CONFERENZA
DEL
Prof. GIULIO FANO

Signore e Signori,

Il periodo di vita italiana dal 1831 al 1846, preso in esame dalle conferenze di quest'anno, è caratterizzato soprattutto dalle idee di rivendicazione politica e sociale che fermentavano allora nelle menti di molti fra i migliori, distogliendoli, in parte almeno, dalle ricerche sui fenomeni naturali. Si capisce che le lotte intestine, le congiure, i moti e le vicende tormentose della patria possano conciliarsi coll'inspirazione artistica, anzi spesso eccitarne lo sviluppo in alte e nobilissime forme che valgano ad esaltare i meno animosi ed a raccogliere i più sotto la stessa bandiera. Ma per le scienze esatte, per le ricerche pazienti di laboratorio, per l'esame accurato della natura si richiedono tempi sereni e tranquilli. Qualche manifestazione geniale si presenta, è vero, nella storia della scienza anche nei momenti più torbidi, ma sono forme accidentali di un carattere che si potrebbe dire vulcanico, e non già il risultato di quelle forze costanti che agiscono lentamente sulla coscienza collettiva degli studiosi.

Ciò nonostante, anche in quei tristi, incerti, ma pure gloriosi periodi della nostra vita nazionale, possiamo con orgoglio ricordare parecchi notevoli contributi allo sviluppo delle scienze fisiche e naturali. Fra gli argomenti di carattere biologico allora trattati, uno fra i preferiti da molti scienziati italiani è l'elettricità animale, e ne fanno fede i nomi del Nobili, del Marianini, del Santi-Linari, del Grimelli, del Matteucci, del Savi, del Pacini, alcuni dei quali, e fra i più illustri, furono onore dell'Ateneo fiorentino. Si direbbe che i germi lasciati dal Galvani e per lunga serie di anni rimasti assopiti in una specie di stato latente, portati in questa terra toscana che ebbe sempre e giustamente il vanto di proteggere i buoni studi, riprendessero nuova vita dando ricchi e rigogliosi germogli. Sicchè l'elettricità animale, che nacque come argomento di ricerca in Italia, e qui ebbe le maggiori e più importanti cure, che ne assicurarono lo sviluppo, può dirsi a ragione cosa nostra, senza che per questo si diminuisca il carattere cosmopolita che fa della scienza l'unico vincolo che ancora raccolga la sminuzzata umanità di questa tristissima fine di secolo. Quanto vi ho detto, spero sia sufficiente per giustificare la mia scelta. Debbo però avvertirvi che non posso restringere il mio dire a ciò solo che in proposito si è osservato nei tre lustri fissati dal programma, e neppure mi è lecito limitarmi ai soli risultati dovuti a ricercatori italiani. Voi non mi perdonereste certamente di sacrificare ad un sentimento nazionale, che in tal caso sarebbe malinteso, un argomento scientifico che, nato in Italia, divenne poi per sua natura universale.

Il capitolo della elettricità animale comprende quelle manifestazioni elettriche date da un animale o da una parte di esso durante la vita, e che si sviluppano dagli organi come una naturale e necessaria conseguenza delle loro attività funzionali. Sicchè i fatti elettrici che si possono ottenere in certi casi, per esempio passando con forza la mano sul dorso di un gatto vivo come su quello di un morto o semplicemente su una pelliccia di gatto, appartengono tanto poco alla elettricità animale quanto ciò che si manifesta collo strofinare un bastone di resina o di zolfo. Nello stesso modo nessun rapporto hanno col nostro soggetto le scintille che alcune persone ottengono passandosi le mani nei capelli o stropicciandosi altre parti del corpo. Si tratta in questi casi semplicemente di elettricità per strofinamento e si capisce come condizioni particolari della pelle, dei peli e dell'ambiente possano dare a questo fenomeno proporzioni veramente stupefacenti.

A queste osservazioni però, tanto semplici per sè stesse, si aggiunsero, come troppo spesso accade, i prodotti più o meno sinceri dell'immaginazione, sicchè si venne ad affermare che alcune persone erano dotate di vere proprietà elettriche a somiglianza di alcuni pesci dei quali avremo fra poco occasione di parlare. Numerose sono le osservazioni citate in proposito. Mi limiterò a ricordare quella della Signora elettrica di Oxford negli Stati Uniti, perchè è forse il caso documentato meno peggio. Essa si accorse il 25 gennaio 1837, mentre in numerosa compagnia osservava un'aurora boreale, che le dita delle sue mani emettevano scintille elettriche ogniqualvolta essa accarezzava il volto di un suo fratello. Tutta la società, benchè in sul principio fosse molto dubbiosa, dovette poi convincersi della realtà di quello strano fenomeno, ed il dottor Williard Osford, una specie di san Tommaso, fu condotto alla fede da una scintilla lunga circa venti millimetri, che quella interessante persona gli scaricò sulla punta del naso, dai polpastrelli delle dita, facendolo indietreggiare spaventato. Il marito di quella signora era lontano, in viaggio, al momento dello sviluppo di quella strana proprietà. Allorchè in aprile ritornò, la moglie gli andò incontro alla porta di casa, e presentandogli scherzosamente le mani alla faccia lo sbalordì con una scarica elettrica. Come vedete, quando un marito torna a casa dopo una lunga assenza deve essere preparato a qualunque sorpresa!

A me fu raccontato da un medico di Firenze di un caso simile da lui osservato in queste ultime settimane. Una signora straniera, che abita la nostra città, si presenta, soprattutto quando domina la tramontana, come circondata da una nube luminosa, tante sono le scintille che crepitando scoccano dalla superficie del suo corpo. E le parti più intime del suo abbigliamento, e le lenzuola del suo letto sono così cariche di elettricità, che il solo sfregamento di esse dà luogo ad imponenti manifestazioni elettriche. Anche qui si tratta, è evidente, di semplici fatti dovuti ad elettricità sviluppata per sfregamento.

Ad ogni nostro movimento noi produciamo calore, fra le molte altre ragioni, per l'attrito dei piedi contro il suolo o degli indumenti sulla persona, e nello stesso tempo diamo luogo, per le stesse cause ad una elettrizzazione della superficie del nostro corpo e degli oggetti che con essa vengono in contatto. Si capisce come condizioni particolari di poca conducibilità degli appoggi e delle parti superficiali dell'organismo debbano provocare i fenomeni sopra descritti, i quali, benchè possano sembrare meravigliosi, sono molto più semplici di un battito del nostro cuore o di un movimento delle nostre labbra. Certamente le condizioni nutritive e nervose di quegl'individui contribuiscono a dare alla loro cute quelle proprietà particolari che determinano una elettrizzazione tanto notevole, ma non per questo possiamo dire che quei fatti appartengono alla elettricità animale propriamente detta.

Fa parte integrale di essa invece la causa che determina le scosse risentite toccando un così detto pesce elettrico. È questo anzi il primo fatto di elettricità animale che sia stato conosciuto, e se ne parla sin dai tempi più remoti, senza darne però, e si comprende, una retta interpretazione. I più anticamente noti fra i pesci elettrici, per quanto ne possiamo sapere noi, sono le torpedini, perchè abitanti il Mediterraneo. Esse fissarono l'attenzione del volgo prima e dei naturalisti poi. Come rappresentarci lo stupore e lo spavento di quegli ingenui pescatori che tirando a terra la rete colma di pesci vengono colpiti da una scossa che li irrigidì e li paralizzò ad un tempo? Vi è solo da meravigliarsi che essi, così immaginosi e ricchi di forme simboliche, non abbiano messo fra le mani poderose di Nettuno una torpedine invece del tridente o del delfino. Debbo però notare a questo proposito come in un vaso proto-etrusco del museo archeologico di Firenze si osservi la figura in rilievo di una torpedine associata ad una sfinge maschio, e contrapposta ad un felino con criniera irradiata. Quel pesce, secondo il Milani, rappresenterebbe probabilmente la forza occulta del mare notturno contrapposta alle forze palesi della natura.

Ai tempi di Aristotile la torpedine si chiamava Narkè, che vuol dire torpore, ed a questo proposito Platone fa dire a Menone in uno dei suoi dialoghi: «O Socrate, già prima di conoscerti avevo sentito dire che tu nelle discussioni non fai altro se non porre te stesso nell'imbarazzo e metterci gli altri, e anche ora mi pare che tu con ogni sorta di incantesimi mi abbia ridotto a non trovar via d'uscita; anzi, se è lecito scherzare, mi sembri affatto simile nell'aspetto e nel resto alla Narkè marina piatta. Essa infatti fa intorpidire chi le si accosta e la tocca; ed anche tu hai fatto lo stesso a me. Perchè, in verità, mi si è paralizzata l'anima e la bocca e non so che risponderti.»

I commentatori, per far comprendere il senso nascosto delle parole messe in bocca a Menone, rammentano come Socrate avesse il viso piatto che poteva essere paragonato alla forma schiacciata della torpedine. Per conto mio trovo che è uno scherzo di assai cattivo genere e tale da far venire i brividi a qualunque conferenziere che abbia il profilo un poco camuso.

Molti altri scrittori dell'antichità hanno parlato dei notevoli fenomeni prodotti dai pesci elettrici, particolarmente Oppiano, poeta greco dei tempi di Settimio Severo. Galeno poi credette di poter spiegare la sensazione provata al contatto di quegli animali attribuendola ad un principio frigorifero, e per motivare la sua opinione portò i buoni effetti prodotti dalla applicazione delle torpedini alla medicina, soprattutto contro il mal di capo e la gotta. Come vedete, non vi è nulla di nuovo sotto il sole, e i Romani facevano anch'essi della Elettroterapia; ma soltanto la facevano senza saperlo.

Saltando a piè pari molti secoli arriviamo a Francesco Redi, il geniale accademico del Cimento, primo medico della casa granducale di Toscana, l'inspirato poeta del vino, il fine, attento, perspicace osservatore di fatti naturali. Ecco come egli ci intrattiene sulle torpedini, in quel suo musicale e purissimo stile: «È cosa notissima che quel pesce marino chiamato tremola, torpedine, ovvero torpiglia, se sia toccato renda intormentita e stupida la mano ed il braccio di colui che lo tocca; ed io ne ho fatta la prova più di una volta, per certificarmi di tal verità e per poterne favellare con certezza di scienza. E voglio raccontarvi che alcuni pescatori, essendo a mia requisizione andati alla pesca di questo pesce ne pigliarono uno e portatomelo vivo poco dopo che l'ebbero preso, appena che lo toccai e lo strinsi colla mano, che mi cominciò a informicolare e la mano e il braccio e tutta la spalla con un tremore così fastidioso e con un dolore così afflittivo ed acuto nella punta del gomito, che fui necessitato a ritirar subito la mano: e lo stesso mi avveniva ogniqualvolta io voleva ostinatamente continuar lungo tempo a toccarlo. Egli è ben vero che quanto più la torpedine si avvicinava alla morte, tanto meno io sentiva il dolore e il tremore, anzi molte volte io non lo sentiva; e quando ella fu quasi finita di morire, che pur campò ancora tre ore, io poteva maneggiarla con ogni sicurezza e senza fastidio veruno: che perciò non è maraviglia se alcuni stiano in dubbio della verità di questo effetto, e lo tengano per una favola, avendone essi per avventura fatta l'esperienza non con le torpedini vive, ma con le morte o vicine a morire.»

 

Il Redi ed il suo discepolo Lorenzini, che, all'epoca del Rinascimento delle scienze naturali, furono i primi a studiare la torpedine, supponevano che questo pesce inviasse da lontano una quantità di piccoli corpuscoli che s'insinuerebbero nelle parti delle quali essi determinano l'intorpidimento, e che sarebbero proiettati dalla contrazione di due organi riputati muscolari, e chiamati, in ragione della loro forma, muscoli falcati.

Il Borelli, un altro insigne accademico del Cimento, riguarda quella emissione di corpuscoli stupefacenti come immaginaria, e pensa che la torpedine, colpita essa stessa da tremiti violentissimi, comunichi queste vibrazioni all'essere che la tocca e determini così in esso un intorpidimento.

Non sorridiamo a questi tentativi di rappresentazione di un processo funzionale, perchè a ben altre forme dottrinarie ci hanno abituati certuni ai giorni nostri, i quali, essendo tanto più dogmatici quanto meno vogliono parerlo, pretendono di dar ragione dei fenomeni presentati non solo da un individuo ma da una intera società umana, adoperando alcune formule semplicissime, che non sono neppure di loro invenzione, per mezzo delle quali tutto può essere classificato e spiegato; tanto meno scusabili inquantochè ogni giorno più si mette in chiaro l'immensa complessità dei fatti biologici, di quelli anche che potrebbero a prima vista sembrare di una semplicità primordiale.

Si capisce, del resto, che ai tempi del Redi, del Lorenzini e del Bellini non si potesse avere un'idea esatta intorno alla natura della scossa ricevuta dalla torpedine, perchè non si conosceva ancora la bottiglia di Leida, che sembra datare dal 1745. Dopo ciò si comprese che l'agente sviluppato da quel pesce è di natura elettrica, e le osservazioni in proposito, alle quali contribuirono il Volta e il Galvani, eccitarono entrambi questi illustri nella loro lotta per la verità. Infatti il Galvani considera la sua preparazione, fatta di muscoli e di nervi, come un organo elettrico ridotto, e il Volta si inspira a quell'apparecchio nella costruzione della sua pila, che egli chiama «organo elettrico artificiale» «per essere (come scrive al Brugnatelli) fondato sopra i medesimi principi e simile anche nella forma, secondo la sua prima costruzione, all'organo naturale della torpedine.»

La scoperta della pila mise nell'ombra le mirabili osservazioni del Galvani, e le sue affermazioni intorno alla elettricità animale, e ciò benchè fosse ormai indiscutibile che la torpedine si comporta come una macchina elettrica, e come una pila insieme, e che lo sviluppo dell'elettricità è in quegli animali dipendente dalle loro condizioni vitali. La morte infatti porta con se, come del resto aveva già osservato il Redi, la cessazione di ogni fenomeno elettrico, e tutte le osservazioni dimostrano anche che la potenza intorpidente dei pesci elettrici si indebolisce a misura che diminuiscono le attività funzionali dell'animale, che essa si esaurisce per ogni emissione eccessiva, e che, nello stato normale dell'organismo, essa può ristabilirsi col riposo. Questi esseri singolari sono capaci, è vero, di dare parecchie scariche successive, ma queste vanno gradatamente indebolendosi, sino a che quei pesci possono essere impunemente toccati. Poi, col tempo, soprattutto se bene alimentati, essi riprendono le loro capacità elettriche, così come si osserva nelle manifestazioni dell'energia muscolare e nel decorso della fatica. Vi è insomma, sotto molti aspetti, una completa identità fra la scossa elettrica della torpedine ed un movimento volontario. Le torpedini e gli altri pesci elettrici, come il gimnoto ed il siluro, danno una scossa elettrica come un cavallo darebbe un calcio, un cinghiale un colpo di zanna, una tigre un morso, un'aquila un colpo d'ala o d'artiglio. Il meccanismo nervoso volontario pel quale si esplica l'atto della difesa e dell'offesa è lo stesso in questi casi, non solo, ma anche gli effetti esteriori che ne risultano hanno molte analogie fra loro. Ogni giorno di più, infatti, si mettono in chiaro le somiglianze strutturali fra muscoli ed organi elettrici, non solo, ma pure quelle funzionali fra scossa elettrica e contrazione muscolare. Questi due atti si lumeggiano vicendevolmente, inquantochè obbediscono alle stesse leggi generali; sicchè possiamo dire, per adoperare un linguaggio tecnico, almeno una volta, che entrambi dipendono probabilmente, per quanto riguarda l'effetto esterno, da cangiamenti di tensione superficiale.

L'affinità fra un movimento volontario ed una scossa elettrica mi richiama alla mente una descrizione dell'Humboldt, che amo ripetervi in parte, benchè la ritenga universalmente conosciuta. Si tratta della pesca dei gimnoti, o anguille elettriche, che vivono nelle acque dell'America meridionale, e che danno, quando siano irritate, scosse potentissime, molto più energiche di quelle della torpedine. Non bisogna però credere che il racconto dell'Humboldt si riferisca ad un modo usuale di pesca; esso piuttosto va considerato come la narrazione di una accidentale avventura di viaggio. Ecco le parole del celebre viaggiatore e scienziato tedesco:

«L'anguilla elettrica, benchè tardissima nei movimenti, si prende difficilmente con reti, perchè simile al serpe si affonda nel fango. Si potevano in tal caso adoperare le radici di alcune piante che hanno la proprietà, gettate in uno stagno, di inebriare o stordire gli animali che vi si trovano. Non volevamo però ricorrere a questo metodo, perchè le anguille ne sarebbero state indebolite. Allora gli indiani dichiararono che volevano pescar con cavalli. Corsero nelle steppe ove sono numerosi i cavalli e i muli selvatici, ne presero una trentina e li spinsero nell'acqua.

L'inaspettato rumore dello scalpitìo dei cavalli spinge i pesci fuori della melma e li invita all'attacco. Le grandi anguille gialle nere, simili ed enormi piante acquatiche, nuotano qua e là presso alla superficie e guizzano sotto il ventre dei cavalli e dei muli. La lotta fra animali così differenti forma il quadro più pittoresco.

Gli indiani muniti di giavellotti e di lunghe e sottili canne si appostano in fitta colonna intorno allo stagno. Alcuni salgono sugli alberi i cui rami si stendono orizzontalmente sull'acqua. Colle selvagge loro strida e colle lunghe canne fanno indietreggiare i cavalli che vogliono risalire le rive.

Le anguille, assordate dal rumore, si difendono con ripetute scariche delle loro batterie. Per qualche tempo pare che debbano riuscire vittoriose. Parecchi cavalli soccombono ai colpi invisibili che minacciano gli organi i più essenziali. Storditi dalle incessanti e violenti scosse cadono al fondo. Altri sbuffanti, irta la criniera, gli occhi dilatati per lo spavento, fuggono disperatamente cercando di sottrarsi alla bufera, ma sono respinti dagli indiani. Alcuni però, ingannando la vigilanza dei pescatori, giungono alla sponda, vacillano ad ogni passo, e spossati a morte si gettano sulla sabbia colle membra irrigidite…

Credevamo che tutti gli animali impegnati in quella lotta dovessero soccombere l'uno dopo l'altro. Ma a poco a poco il furore scema, e le anguille affaticate si sparpagliano. Hanno ora bisogno di un lungo riposo e di un abbondante cibo per riacquistare le forze galvaniche disperse nel combattimento: esse vengono ora paurose presso la spiaggia e sono prese mediante piccoli giavellotti raccordati a lunghe funi.

Un uomo non si esporrebbe senza pericolo al primo colpo di una grossa anguilla elettrica irritata. Se si riceve la scossa prima che il pesce sia ferito o stanco da una lunga persecuzione, il dolore e lo stordimento sono tali che non si può dar conto della sensazione. Non mi ricordo (dice l'Humboldt), di aver provato, dalla scarica di una gran bottiglia di Leida, uno scrollo terribile al pari di quello che soffersi quando misi incautamente i due piedi sopra un'anguilla elettrica che era stata poc'anzi tratta fuori dell'acqua. Per tutto quel giorno ebbi violenti dolori nelle ginocchia e in tutte le articolazioni.»

E un giovane tisiologo tedesco, morto da poco, il Sachs, racconta che, avendo lasciato cadere un gimnoto sul suo piede, fu gettato a terra e provò tale un dolore, che non potè trattenersi dal gridare.

Ma io non posso indugiarmi sui pesci elettrici, perchè di un altro argomento voglio parlarvi succintamente prima di lasciarvi. Mi limiterò per questo a riassumere in poche parole lo stato attuale delle nostre cognizioni in proposito, ricordando che ad esso hanno contribuito parecchi italiani, fra i quali amo citare in particolar modo, limitandomi al periodo storico che ora consideriamo, i nomi del Nobili, del Matteucci, del Pacini.

Alcuni pesci, appartenenti a tre gruppi molto diversi fra loro, le torpedini, i gimnoti ed i siluri, hanno la proprietà di dare forti scariche elettriche, subordinate all'attività del loro cervello. Questa funzione elettrica è esercitata per mezzo di un apparecchio speciale, composto di un gran numero di elementi. In ciascuno di questi ultimi penetra una terminazione nervosa, presso a poco nello stesso modo col quale un nervo motore si dirama in un muscolo volontario. È indiscutibile che la forza emanata dall'organo in questione è una forma di elettricità. Lasciando da parte l'influenza che la energia sviluppata dai siluri, dai gimnoti, dalle torpedini esercita sopra gli organismi viventi, ricorderemo come questi pesci abbiano dato scintille a guisa di una bottiglia di Leida. Inoltre, con quella forma di energia si ottennero effetti calorifici e di decomposizione chimica, si fece deviare l'ago magnetico, si provocarono fatti di induzione in un rocchetto e si accese una lampadina elettrica. Si tratta dunque di vera elettricità ed in questo caso sembrerebbe proprio che l'organismo ci desse un esempio, qual meglio non si potrebbe sperare, di una funzione ridotta ad un semplice fenomeno fisico.

Eppure neanche in questo caso la fisica può da sola servirci, per ora almeno, a comprendere completamente la scossa di cui è questione, perchè l'elettricità emessa dai pesci elettrici si trova in condizioni speciali quali non si ottennero peranco con gli apparecchi raccolti nelle ricchissime collezioni dei fisici. Infatti essa presenta le proprietà insieme dell'elettricità statica, della dinamica e della indotta.

Che dire poi della enorme differenza che esiste fra i nostri mezzi di sviluppare l'elettricità e quelli adoperati da un pesce elettrico? Perchè certo nessuno vorrà dare maggior valore di quello che si conceda ad una figura rettorica al confronto fatto fra gli elementi di una pila voltaica a colonna e le lamine dei prismi che costituiscono l'organo elettrico di una torpedine. E come spiegare l'immunità che quei pesci dimostrano per l'agente potentissimo che essi stessi sviluppano?

Voi vedete dunque come, benchè si tratti in questo caso di un fenomeno puramente fisico quale è quello di una scarica elettrica, pure la fisica non può aiutarci completamente a comprendere i mezzi impiegati dall'organismo per elaborare e sviluppare quella singolare forma di energia.

Badate inoltre che la scarica di un pesce elettrico implica quasi sempre un atto volontario che ci conduca a studiare il problema della coscienza, di quella proprietà per la quale un essere vivo avverte se stesso e l'ambiente che lo circonda. La fisiologia ha affrontato questa questione che tocca la intimità stessa della nostra personalità senziente e pensante, e certo tutte le ricerche anatomiche fisiologiche e quelle particolari di psicologia hanno gettato un po' di luce sugli elementi strutturali dai quali quei fatti emanano e sui processi fisici, chimici e funzionali che li accompagnano e con ogni probabilità li determinano. Ma io, che pure con speciale amore mi occupo di quegli studi sono fra quelli, e siamo legione nel campo della fisiologia sperimentale, che accordano tutto il possibile al meccanicismo, e si servono di esso per simboleggiare quanto si manifesta da un essere vivo, ma non sanno comprendere e non saprebbero concepire una rappresentazione materialistica della coscienza. Confessiamolo francamente: il problema della coscienza è sempre insoluto e molto probabilmente insolubile.

 

Ma, Signore e Signori, le indagini sui pesci elettrici, per quanto interessanti e benchè ci conducano a discutere di cose fondamentali per la funzione dei corpi organizzati, sembrano piuttosto oggetto di studio per un erudito, per un curioso delle stranezze della natura. Vi è invece nelle ricerche sulla elettricità animale un argomento che ci dà occasione di penetrare nella intimità funzionale dei nostri organi, dei nostri tessuti, dei nostri apparecchi, e che ci dà l'immagine di quel continuo avvicendarsi di fatti distruttivi e di riparazione fra i quali oscillano in ritmo incessante le parti costituenti il nostro organismo.

Sarò brevissimo e comincerò per questo col non tener conto dei precursori di Galvani. Vi sono sempre dei precursori in ogni scoperta, ma è certo che si deve al biologo bolognese la prima constatazione di carattere scientifico dell'elettricità sviluppata dal tessuto muscolare. Non già colla ben nota osservazione della rana appesa ad un uncino di rame che eventualmente toccò il celebre parapetto di ferro, bensì colla esperienza eseguita senza l'intervento di alcun metallo.

A questo proposito debbo ricordare come alcuni abbiano voluto sostenere che la scoperta attribuita al Galvani si debba invece alla sua dilettissima moglie, la signora Lucia nata Galeazzi, che per la prima avrebbe avuto occasione di osservare le ormai storiche contrazioni dei muscoli in certe zampe di rana e di richiamare su queste l'attenzione del marito. Altri sostengono che le prime osservazioni furono fatte veramente dal Galvani, ma sopra rane preparate, non vorrei dire prosaicamente, per fare un brodo che servisse di ristoro a sua moglie che era allora ammalata. Queste affermazioni furono contestate, ma non si può del tutto escludere l'influenza, almeno accidentale, della moglie sulla scoperta del marito. A sostegno di questa tesi sostenuta da molti in quei tempi, amo citare un sonetto non bellissimo, dedicato al Galvani dopo la morte prematura della sua Lucia:

 
Quella donna gentil, cui d'aureo strale
Piagata il seno teco amor congiunse,
Poi morte con quel suo colpo fatale,
Per farne bello il ciel da te disgiunse:
Quella, non tu, che novo ardor vitale
In rana ignuda a disvelar pur giunse,
Quand'una ed altra man con vanto eguale
Il conduttor metallo e i nervi punse.
Nè a te, Signor, questa fedel consorte
Tacque l'ignoto arcan per cui tuo nome
Oltre l'italo suolo altero vassi.
Oh se vedessi di sì bella sorte
Com'ella esulta dolcemente, e come
Di te ragiona e dei tuoi chiari passi!
 

Se anche le cose stanno come afferma l'autore del sonetto, che voglio credere migliore storico che poeta, benchè parli con tanta sicurezza di ciò che avviene lassù nelle sfere celesti, non è alla buona signora Lucia che noi dobbiamo attribuire quella scoperta, nel vero senso della parola. Certo molti dei più importanti fatti scientifici furono rivelati all'umanità dal caso, ma quando vennero ad incontrarsi con una mente adatta a comprenderne il significato. Non per questo voglio deprimere il merito della signora Galvani. Io vorrei, anzi, che si scrivesse una storia delle compagne di quegli eroi che lottarono nel campo delle idee, e credo sarebbe il racconto di intimi e mirabili drammi combattuti nei cuori femminili per l'uomo amato, che idealizzato dalle moltitudini si mostra, nel tollerante e sereno ambiente della casa, spoglio dell'aureola di gloria che lo illumina e lo nasconde, e vi rivela tutte le debolezze comuni agli altri uomini e qualcheduna forse in più. Quanta abnegazione, quanto disinteresse, quale instancabile affetto seppero possedere quelle modeste eroine, e quale contributo portarono alla gloria del marito, consigliandolo, sostenendolo, incoraggiandolo, sapendo sottrarsi a tempo agli applausi meritati, per lasciarli all'idolo che li ambisce.