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Bollettino del Club Alpino Italiano 1895-96

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5) Vegetazione

Secondo la «Flore analytique du département des Alpes-Maritimes» di Ardoino, il lato meridionale delle Alpi Marittime, sopra uno spazio di 4500 kmq., possiede non meno di 2466 specie di piante vascolari selvatiche, che si ripartiscono sopra 708 generi e su oltre 120 ordini. Detta cifra è ancora molto inferiore alla somma di tutte le specie delle Alpi Marittime, poichè l’Ardoino seguì un metodo molto sintetico, trascurando anche qualche specie e specialmente molte varietà interessanti; poi il bacino della Duranza, il lato nord e le Alpi Ligustiche possiedono un gran numero di piante che non crescono nella regione da lui descritta; nella sola «Guida» del Dellepiane sono menzionate, tra il Roja, il Tanaro ed il Centa, 50 specie non figuranti nel detto libro. Neppure 45 specie citate da Ardoino sono rarissime, mentre 35 si sono inselvatichite in un tempo piuttosto recente.

Nell’Europa, ed in genere all’infuori di qualche paese tropicale, difficilmente si trova un altro distretto così piccolo che possieda così gran numero di specie; tutta la Lombardia e la Sicilia, contrade vaste e molto ricche di vegetazione, ne hanno poche di più, e la Svizzera non ne ha che 2213.

La ragione della straordinaria ricchezza botanica delle Alpi Marittime è da cercarsi: 1º nella riunione di tutti i climi, dal subtropicale al polare, in una zona larga appena 45 km.;—2º nella intima congiunzione della regione tiepida o subtropicale avente due grandi divisioni del regno florale del Mediterraneo (l’Italia e la Spagna, colla quale è congiunta la Provenza) colla regione fredda o polare del più grande ed alto sistema montuoso dell’Europa centrale, al quale poi ivi si unisce altro sistema importante (quello degli Appennini);—3º nella struttura orografica molto complicata, che favorisce sia l’isolamento che la diffusione delle specie, mentre, unita col clima piuttosto secco, essa produce una estrema varietà tanto di luoghi chiusi, umidi, bene irrigati, quanto di alture aride, soleggiate ed apriche;—4º nell’incontro dei bacini del Rodano e del Po, ricchi ambidue di specie appartenenti schiettamente alle regioni temperate (Europa centrale);—5º nel disboscamento, che lasciò molto spazio libero, specialmente per le piante che amano la siccità, poi per le specie avventizie.

Le Alpi Marittime si possono suddividere in più zone vegetali: generalmente se ne contano tre; quella litorale o mediterranea (sempreverde), quella montana, e quella alpestre, potendosi inoltre distinguere una zona di collina o submontana, poi una subalpina. Sul lato nord manca affatto una zona mediterranea, ma quella di collina è più distinta dalla montana che sul lato sud. Inutile dire che queste zone non sono limitate esattamente da linee altimetriche, variando invece molto la loro estensione in verticalità secondo l’esposizione, i venti dominanti, la topografia, ecc. Così le cifre proposte da Ardoino non hanno che un valore approssimativo: egli limita la zona litorale con una linea distante 12 km. dalla costa, eccettuandone i posti alti oltre a 800 m., i quali fanno parte della zona montana, come pure tutto il resto del paese sino ai 1600 m. di altitudine.

Tralasciando di occuparci della vera zona litorale, la cui flora poco invade la regione montuosa che costituisce l’esclusivo argomento di questa pubblicazione, fermiamoci a dire alcunchè del limite superiore della regione mediterranea che ci porta già a qualche centinaio di metri sul livello del mare.

Sull’estensione di tale limite mancano dati precisi pei monti di Mentone e San Remo, come per le valli della Nervia e della Bevera; probabilmente questi sono i luoghi dove essa raggiunge il suo massimo di altitudine. I cespugli delle macchie, sui monti dietro a Nizza, non salgono oltre 700 od 800 m.; fra gli alberi forestali, il Pinus pinaster sul Monte Cima tocca 875 m., e nella sua forma più piccola e più resistente al freddo circa i 1050 m. a nord di Grasse, mentre ivi il lauro ed il rosmarino rimontano fino a 600; le querce sempre verdi col ginepro ossicedro e l’ulivo sino a circa 750, il pino d’Aleppo sino a 800 m. L’ulivo, che può sopportare un freddo sino a 15 gradi senza che il tronco perisca, rimonterebbe sino a 780 m. vicino a Nizza, secondo Daum; è questa circa l’altitudine che esso raggiunge a Utelle e sul lato est del Colle di Braus.

Le lunghe vallate, massime quelle orientate da ovest ad est, se sufficientemente protette dai venti del nord, sono particolarmente favorite dal clima, così le valli della Bevera inferiore, del Varo medio (l’ulivo giungendovi sino alla chiusa di Gueydan, a 75 chilometri dalla costa), dello Sterone e dell’Arroscia. In genere, le vallate conservano una flora mediterranea sino a grande altezza nei siti ben riparati, nelle strette chiuse e sui colli che li dominano; così la Val Vesubia sino allo stretto di Lantosca (m. 500) la Val Roja sino alla Gola di Gaudarena, ecc. Sugli alti monti isolati che s’innalzano dietro alla costa, specialmente sopra Mentone, e sulle pendici esposte ai venti sopra le valli dirette a meriggio, la flora montana e perfino la subalpina scendono molto basso, mescolandosi stranamente colla mediterranea, cosicchè ne risulta una varietà straordinaria di vegetali.

Nella Val Roja, esposta alla tramontana verso il suo sbocco, le piante caratteristiche della Riviera cessano ben presto, i limoni e le palme non rimontando che sino al primo stretto dietro a Ventimiglia; l’arancio prosegue sino a Bevera; l’eucalitto, insieme al mirto, al rosmarino, al fico d’India, ecc., sino ad Airole (130 m., 12 km. dalla costa); il lauro, il leandro, la quercia sempre verde sino a San Michele (140 m., 3 km. più in là); il pino nero o marittimo (P. Pinaster) quasi sino a Giandola (380 m.), mentre quivi cresce ancora sul lato orientale una piccola foresta di pini bianchi o d’Aleppo (a 400 m.), la quale specie, secondo Raiberti, sarebbe stata usata per rimboscare le pendici sotto a Venanzone (900 a 1100 m.) nella Val Vesubia, il che ci pare dubbioso.

Nel giardino ben riparato della Causica (m. 450), a Fontana (34 km. dal mare), crescono all’aperto il lauro, il rosmarino, l’arancio (senza però maturare), il leandro, il mespilo del Giappone, ecc. Sul lato est trovansi qui gli ultimi ulivi della valle (600 m.), mentre a nord-ovest, tra la gola di Gaudarena ed il villaggio di Berghe, se ne trovano insieme a fichi sin quasi a 800 metri: vidi perfino un ulivo isolato con frutti sul territorio di Tenda, in un seno roccioso molto riparato a nord di Gragnile, a 809 m. sul mare.

Fra le specie mediterranee della Gola di Gaudarena, rimontando fin verso 800 m. sotto a Berghe, sarebbero ancora da menzionare l’Ostria, lo Spartium junceum che fiorisce ancora a Briga, l’Inula viscosa, l’Erica arborea e scoparia, l’Euforbia nicænsis, qualche cespuglio di lauro, vari citisi e cisti (specialmente il C. salvifolius), ecc. Il cedro di Spagna (Juniperus oxycedrus), che forma spesso un piccolo albero, trovasi sino a 1000 metri, a nord-ovest di San Dalmazzo di Tenda, ed a nord di Briga; dietro il piano di Tenda, su di una pendice scoscesa e calda (850 m.) esso cresce insieme ad alcuni alberi di vita (Thuya orientalis) ivi piantati ed a esemplari nani del Quercus ilex, di cui ne prosperano invece due colossali, con tronchi da metri 3 a 3-½ di circonferenza e con rami molto estesi, davanti al monastero di Cimella sopra Nizza, e trovansi alberi secolari di questa specie ancora perfino a Courmettes sopra Vence (850 m.). Sotto le arcate della strada maestra, a quasi 800 m., prima di giungere a Tenda, vedonsi pochi esemplari dell’Arundo donax, la quale più in giù nella valle non vedemmo che ben sotto Breglio (a 200 m.); sino a Briga rimonta poi l’Osyris alba; sino a Tenda e sul lato sud della Colla di Briga il Centranthus ruber, fiorente quasi tutto l’anno, e nell’ultima delle dette località, come anche oltre a 1000 m. vicino a Gragnile, incontrasi un bellissimo cardo (Echinops ritro), il quale sale ai 1200 m. dietro a Grasse. Il fico cresce a Briga (m. 770), selvatico incontrasi fin sulla Colla di Briga e, sotto una roccia riparata, vicino a Canaresse (m. 1017), un po’ a sud di Vievola. Pesche e mandorle maturano a Tenda (800 m.) verso la fine di ottobre.

La regione montana, nel suo insieme, comprende circa 1450 specie di piante. Nelle vallate, il sostituirsi della flora montana alla mediterranea è segnalato specialmente dai prati, dalle file di alberi a foglie caduche e dalla mancanza ormai quasi assoluta delle colture arboree sui terrazzi costrutti lungo le scoscese pendici. Ma non v’è, nella parte meridionale delle Alpi Marittime, una zona continua di foreste a foglie caduche, predominando invece le conifere dalla costa al limite della vegetazione arborea, specialmente nei grandi ed antichi boschi. Però tali boschi, nella regione montana, cominciano d’ordinario a discreta altezza sopra il fondo delle vallate, caratterizzati da gruppi di alberi verdi solo nella calda stagione, i quali con poche eccezioni non escono dalla zona submontana, potendosi così denominare questa la regione del castagno e della quercia, mentre l’albero più comune della vera zona montana è il pino selvatico (sul lato nord invece il faggio).—È notevole che il castagno sul lato meridionale non scende così basso come la maggior parte degli altri amentacei, mentre nello stesso tempo sale più in alto che quasi tutti. Il Risso menziona 38 varietà di questo albero, tanto magnifico quanto utile, e che ivi deve esistere dai tempi più remoti, essendosene trovati residui fossili. Sebbene esso non cresca in generale che nei terreni primordiali o schistosi, non è raro qui anche in parecchie regioni calcaree, mancando però quasi affatto all’altipiano giurassico a nord di Grasse; verso Nizza, lungo il Varo, pare che non si trovi sotto ai 350 m. Nella Val Roja, esso non diventa comune che da Saorgio in su, colla disparizione dell’ulivo, ed è dapprima piantato sopra terrazzi artificiali, mentre attorno a S. Dalmazzo, e specialmente nella bassa Valle delle Miniere, trovasi in folte foreste e cresce perfino su pendii rocciosi; nella valle principale, esso cessa già, cogli schisti permici, a 750 m. tra San Dalmazzo e Tenda, non incontrandosi più in alto che un piccolo gruppo dietro a questo borgo, mentre se ne trovano nella Val Levenza sino a Marignol (1000 m.) ed in quella della Miniera sino ai 1020 m.; a nord-ovest di S. Dalmazzo, nella regione degli Spegi, esso albero rimonta perfino a 1250 o 1300 m., raggiungendo un’altitudine simile anche vicino alla Bollina (comune di Valdiblora). Spesso se ne vedono in queste valli degli esemplari maestosi con una circonferenza di 4 a 6 metri.

 

Il nocciuolo, il bosso, il Rhus cotinus crescono in questi boschi, accompagnati da felci, ginestri (Genista germanica, mantica, sagittalis), da grandi umbellifere (Angelica silvestre, Peucedanum cervaria), da talune piante rampicanti (il luppolo, l’edera, la clematite, ecc.) e da fiori ed erbe più o meno comuni (Malva moschata, Geranium silvaticum, Odontites lutea, Melampyrum nemorosum, Dantonia provincialis, ecc.) L’edera, sulle rocce a nord-ovest di Tenda, rimonta sino a 1050 m., e si trova anche sul lato nord a Demonte (m. 800).

Mentre il castagno è stimato pel prodotto dei suoi frutti, e perciò raramente soccombe al disboscamento, gli altri alberi forestali della zona submontana sono diventati ben rari. I pochi boschi a foglie caduche che ivi si trovano sono quasi tutti di origine recente, dovuti ad un pur troppo scarso rimboscamento; se ne trovano sui due lati di Val Roja vicino a Breglio ed a Giandola, nel bacino del Varo medio, ecc. Molto diffuso è dappertutto l’Ailanthus glandulosa, albero giapponese dalle foglie simili a quelle della robinia pseudo-acacia; esso cresce rapidamente anche sul suolo più ingrato, per esempio sugli aridi macereti calcarei dietro a Tenda, sino a 1000 m.

La quercia (Q. pubescens Willd) forma, insieme agli stessi cespugli che crescono nei boschi di castagni, delle folte ed estese boscaglie, di apparenza ancora giovani, sugli aridi altipiani tra Grasse e la gola del Loup, in Provenza; è poi comune sulle pendici superiori di Val Roja sopra Fontana, rimontando sino ai 1100 m. dietro a Gragnile; però, gli alberi quivi sono molto distanti tra loro ed hanno rami piccolissimi, taluni essendone affatto privi, causa probabilmente la rapacità della popolazione; la pianta ridiventa poi comune nelle Alpi Ligustiche, verso Albenga. E sotto a questa quercia che s’incontrano specialmente i tartufi. Più raramente trovansi le due altre specie o forme di quercia dell’Europa centrale (Quercus sessiliflora Sm. e Q. pedunculata Ehrh).

Ancora più raro è il tiglio (Tilia silvestris Desf.), se non piantato sulle passeggiate; esso s’incontra selvatico nelle gole di Saorgio, nella parte inferiore della foresta del Siruol (Val Vesubia, ad oltre 1000 m., ove se ne trovano esemplari colossali), e nella foresta del Piné sopra Briga (1450 m.).

L’olmo (Ulmus campestris) nella zona montana spesseggia sulle piazze pubbliche dei villaggi, da Nizza a Tenda, non incontrandosi però in istato selvatico, almeno nella Val Roja, mentre abbonda nelle vallette nizzardi. In pochi luoghi vedonsi boscaglie di pioppi (P. tremula) o gruppi di aceri (A. campestre: sopra la gola di Gaudarena, ecc., qua e là sino ai valloni del litorale).

Il faggio è abbastanza diffuso in quella zona, da Tenda in su, ma sparso in generale nelle foreste ed abbondante solo in pochi siti, come la valle delle sorgenti di Berthemont, sopra Roccabigliera; è invece comunissimo nell’alta Provenza, cominciando dai monti a nord-ovest di Grasse, poi di nuovo nelle Alpi Ligustiche, ove se ne trova un bel bosco sul Monte Ceppo (fin verso i 1500 m.), mentre più ad oriente esso sostituisce man mano affatto il pino selvatico, quale albero principale delle foreste montane.

Lungo i corsi d’acqua delle vallate più larghe (raramente sopra i 1000 m.) corrono fitte, ma semplici o tutto al più doppie file di vari alberi, specialmente pioppi (P. tremula, alba, nigra), ontani (Alnus glutinosa, incana), frassini (F. excelsior), carpini, ailanti e salici (S. alba, fragilis, caprea), ai quali unisconsi nocciuoli, clematidi e diverse erbe abbastanza alte; nella fresca ombra crescono talvolta anche piante delle foreste subalpine, cosicchè trovai attorno a Tenda (800 m.), la fragola, la genziana cruciata e l’aconito napello.

Le piante che nella regione montana compongono i prati o crescono lungo i rivi, sono più o meno comuni in tutta l’Europa, e così anche le erbe che si trovano nei luoghi coltivati o sulle macerie; ci basti dire che in tutte queste località la flora è singolarmente svariata. I prati, perfino nell’agosto (molto meno florido del maggio), sono smaltati di fiori bianchi (Daucus carota, Achillea millefolium, Leucanthemun vulgare), gialli (Ranunculus acris), rosei (Onobrychis montana, Trifolium pratense), violacei (Medicago sativa, Campanula persicifolia, Prunella vulgaris), ecc. Nei luoghi fangosi e sulle sponde dei rivi crescono, tra arbusti di salici, erbe rigogliose, quali il Petasites officinalis con foglie larghe sino a 1 metro, la Mentha aquatica, l’Eupatorium cannabinum, grandi umbellifere (Peucedanum venetum, Oenanthe peucedanifolia), Lythrum salicaria, Vincetoxicum officinale (molto più grande che nei luoghi aridi), diverse Felci e l’Equisetum ramosissimum. Mancano invece quasi affatto le piante palustri, causa la rarità e l’esiguità dei luoghi proprii al loro sviluppo, non trovandosi quasi piccole paludi che sugli altipiani giurassici a nord di Grasse.

Più importanti sono le formazioni siepiformi lungo le sponde inferiori delle vallate submontane, specialmente sulle pendici che separano tra loro i terrazzi coltivati: esse si compongono di una grande varietà di arbusti, d’ordinario strettamente intrecciati; predominano le rosacee, quali Rosa sphærica, R. sepium, ecc., Rubus discolor, Prunus spinosa, Cratægus monogyna, Cotoneaster vulgaris, poi i sambuchi (S. nigra, S. ebulus), il Ligustrum vulgare, il Cornus sanguinea, il Ginepro, varj Salici; aggiungonsi parecchie piante rampicanti (Clematis vitalba, Aristolochia clematitis, Bryonia dioica) e varie erbe molto grandi (Campanula, rapunculus, Galium aparine, Artemisia vulgaris, Vicia sepium, Ægopodium podagraria, Calamintha clinopodium, Urtica dioica, varii cardi, ecc.).

Quanto poi alle piante coltivate della zona submontana, la principale è la vite, allo sviluppo della quale il clima ed il suolo sono molto propizi, eccetto nei luoghi troppo secchi. Se la viticoltura qui non ha, a dir vero, che un’importanza puramente locale, ci sembra dipendere meno dalla natura del paese che dall’inesperienza dei contadini e dall’insufficienza dei loro mezzi; pure vi hanno anche qui vini rinomati, quali il vino di Bellet (territorio di Nizza), quello di Cosio d’Arroscia, la cui vite alligna a 760 m. sul mare, ecc. Nel dipartimento delle Alpi Marittime si calcolò che verso il 1890 la superficie delle terre piantate a viti era di pressochè 9700 ettari. La vite è quasi del tutto limitata alla zona submontana; sul lato sud della Colletta di Briga si coltiva sino a 1000 m. sul mare, e dietro a Gragnile sino a circa 1050 m. Fra le piante che qui abitualmente l’accompagnano, talune non escono dai colli vicino al mare; così il Phytolacca decandra, il Melagrano ed il Mandorlo, tutti e tre inselvatichiti; il Physalis alkekengi rimonta sino al vallone di Rio Freddo vicino a Tenda.

Fra i cereali il più comune è il frumento (Triticum vulgare), che rimonta, in luoghi riparati, sin verso i 1300 m.; ben pochi comuni però ne fanno un raccolto bastante pel proprio consumo.

Gli alberi fruttiferi più importanti sono: il gelso bianco (però non molto diffuso nelle vallate meridionali), che insieme al pero nella Val Roja rimonta sino a 850 m.; il noce, di cui robustissimi esemplari trovansi tra 1000 e 1200 m., nella Val Vesubia secondo Raiberti sino a 1300 m., insieme al melo che sul territorio di Tenda non si vede al disopra di 1125 m. (nel vallone di Rio Freddo); infine il pruno, abbondantissimo nelle vallate e sugli altipiani della Provenza sin oltre a 1000 m., ed il ciliegio che rimonta a 1300 m., e perfino a 1550 m. nei valloni di Casterino e di Rio Freddo, ove però sembra che ben raramente il frutto maturi.

Assai più originale di quella dei luoghi umidi e coltivati è la flora dei luoghi aridi in tutta la zona montana, il suo carattere essendo ancora in gran parte meridionale, assai differente dalla flora montana delle Alpi Settentrionali. Le formazioni di cespugli delle macchie litorali distinguonsi specialmente perchè prevale d’ordinario una sola specie: è sopratutto abbondante il nocciuolo, che, limitato nella zona litorale ai posti più ombrosi ed umidi, quivi invece riveste le pendici soleggiate non troppo sassose; lo si incontra spesso perfino a 1500 m. sul mare, però al disopra di 1200 m. abita di preferenza i boschi; eccezionalmente lo vedemmo sul lato nord del vallone di Rio Freddo, formante boscaglie sino ai 1600 m. Nei luoghi molto aridi lo surroga un ginestro (G. cincrea) dai rami grigiastri e sfilati, con foglie piccolissime, mentre il Sarothamnus scoparius, più grande, è assai più raro, abbondantissimo però nella Provenza. Il bosso (Buxus sempervirens) è comune sul lato settentrionale dei monti di questa zona: nella foresta del Siruol (Val Vesubia) se ne trovano esemplari di straordinaria grandezza. Veramente caratteristico è questo vegetale pei Carsi o altipiani calcarei di Caussols, a nord di Grasse, ove cresce tra 1050 e 1200 m. (nella Valle della Miniera sino a 1100 m.). Il sommaco o albero a parrucche (Rhus cotinus), talvolta abbastanza elevato, riveste specialmente pendici rocciose col suo fogliame verde-chiaro nella primavera e rosso di fuoco nell’autunno; abbonda già nelle aride foreste della zona litorale, ma specialmente nelle gole del Ciaudan (Varo) e di Gaudarena, rimontando attorno a Tenda e dietro a Briga sino ai 950 m. Similmente diffuso è il Prunus mahaleb, comune nei boschi sassosi della regione di collina.

Le erbe, che nei luoghi più secchi prendono il posto degli arbusti, hanno qui un carattere simile a quelle crescenti nei luoghi analoghi della zona litorale, ma costituiscono in gran parte specie differenti; quasi tutte sono aromatiche e profumate. Le più diffuse sono: Iberis umbellata, Anthyllis vulneraria, Laserpitium gallicum (abbondante sino ai 1400 m.), L. siler, Pimpinella magna, Eryngium campestre, Cephalaria leucantha, Carlina vulgaris, C. acanthifolia con fiori di 18 cm. di diametro, simili a piccoli soli; Inula montana, Anthemis tinctoria, Artemisia campestris, A. absinthium (abbondante sino ai 1500 m. e ricercato per la distillazione del vermouth), A. camphorata, Linaria striata, Globularia vulgaris, Alchemilla vulgaris, numerosi liliacei, il graminaceo Lasiagrostis calamagrostis, e sopratutto molte labiate, quali la Calamintha nepeta, il Timo volgare, ecc.

Sulle scoscese rocce crescono specie di Rosa, Rubus e Prunus, l’Amelanchier vulgaris, l’Acer opulifolium, ecc.; ma l’arbusto più interessante di tali rocce è un grande ginepro (Juniperus phœnicea) simile ad un cipresso e che, comunissimo sulle rupi del litorale, abbonda sulle calde rocce calcaree attorno a Tenda, rimontando perfino a circa 1420 m. sul lato nord del Vallone di Rio Freddo (sulla Rocca di Turno), mentre sull’altro lato a simile altezza cresce già il larice, incontrandosi dunque qui le conifere della Siria e della Siberia. Fra le altre piante rupestri citeremo: la Pæonia peregrina con grandissimi fiori rosei (sui caldi monti tra 900 e 1300 m.), l’Hesperis laciniata, la Pimpinella saxifraga, il Lilium pomponium, l’Allium pulchellum, diverse specie di Sedum e di Sassifraghe, ecc. Infine, sarebbero da menzionare parecchie specie che predominano specialmente nei boschi di pini, rimanendo limitate quasi affatto alla regione submontana; tali sono il Cistus salvifolius, il Cytisus hirsutus, la bella Colutea arborescens, l’Ilex aquifolium (non comune), la Daphne laureola, la Vinca minor, l’Asfodelo cerasifero, varie orchidee, ecc.

Nella zona montana superiore, solo i boschi e le formazioni aride mostransi veramente distinte dalle formazioni analoghe della zona di collina. Nei boschi predomina, come già dicemmo, il pino volgare (P. silvestris), specialmente nella varietà con scorza rossa. È questo un albero di aspetto molto variabile: gli esemplari isolati assumono d’ordinario la forma del pino parasole, il tronco ramificandosi soltanto a discreta altezza, mentre nelle foreste gli alberi appariscono piuttosto piramidali; i pini giovani hanno più grossi e più lunghi ciuffi di foglie; del resto questa specie cresce anche in luoghi aridissimi, sui macereti e perfino sulle pareti di roccia, insinuando le sue radici nelle piccole fenditure; quivi poi si mostra in generale quale umile arbusto, talvolta con rami depressi. Incontreremo quest’albero ancora nella regione alpestre. Le foreste di pini sono d’ordinario poco folte, di aspetto piuttosto severo; sui tronchi cresce qua e là il Viscum album; tra le numerose erbe che ricoprono il suolo citeremo l’Antriscus silvestris, l’Astrantia major, il Melampyrum nemorosum; tra i cespugli il Rhamnus cathartica ed il caprifolio (Lonicera Xylosteum).

 

La regione montana è quella nella quale il disboscamento raggiunge le più estese proporzioni: nel dipartimento delle Alpi Marittime nel 1890 si contarono ancora 90.418 ettari, in quello delle Basse Alpi 115.000 coperti da boschi, cioè rispettivamente quasi un quarto e neppure un sesto della superficie totale. Ritenendo che nelle zone litorale e subalpina un terzo del suolo è ancora imboschito, non rimangono—nel primo dipartimento—che circa 40.000 ettari imboschiti nella zona montana, cioè un quinto del totale: nelle Basse Alpi poi, le lande e le terre incolte occupano un buon terzo di tutto il paese; infatti, questo dipartimento, la cui popolazione diminuisce rapidamente, minacciava di diventare uno spaventoso deserto di roccia, dimostrando su grande scala le funeste conseguenze del disboscamento: isterilimento delle terre, disseccamento delle sorgenti, incredibile variabilità dei corsi d’acqua, torrenti devastatori e perfino vere «valanghe di acqua» cadenti dalle scoscese pendici in seguito ai temporali ed al rapido sciogliersi delle nevi. Così il governo francese si vide costretto ad istituire, con spese molto ragguardevoli, importantissimi lavori di rimboscamento generale e di regolamento nei corsi d’acqua. Nelle vere Alpi Marittime, il male non è così grande, eccettuati gli altipiani rocciosi della Provenza, tra Grasse ed il Cheirone, che sembrano paesaggi dell’Arabia, un ottavo del suolo essendo appena coperto da alberi; ivi infatti, la popolazione dei 20 comuni diminuì di ben 1700 anime dal 1870 al 1890, e vi si contano circa 15 comunità disertate dopo il medio evo.

Anche nel Nizzardo non mancano simili scene di orrenda desolazione, ed in parecchi punti, dove il suolo consiste in ghiaie poco coerenti od in conglomerati, si produssero e produconsi ancora spesso scoscendimenti notevoli, i quali per es. più volte interruppero la strada che conduce da Ventimiglia a Breglio. Però, qua e là sulle Alpi Marittime incontransi ancora foreste piuttosto estese, specialmente sul lato nord, nei bacini italiani del Gesso, della Vermenagna e del Pesio, ove tratti di terreno abbastanza grandi furono rimboscati da parecchie decine di anni, poi anche nelle Alpi Ligustiche, tra il Nervia e l’Arroscia; sul lato francese, Napoleone III fece piantare grandi foreste attorno a Nizza, ed ora si ripiantarono parecchie pendici nella Val Vesubia con pini austriaci, ailanti, ecc.; molto però rimane da fare, massime nel bacino della Tinea, nel territorio di Tenda, ecc.

È poi da deplorare che, a quanto pare, non ci sia (come c’è in Baviera ed in Isvizzera) una legge che divieti il taglio dei boschi sui fianchi scoscesi dominanti le vallate. Infatti, tali fianchi—come spesso si può vedere—sono interamente rovinati, talvolta in pochi anni, dopo la sparizione degli alberi. Altro inconveniente è la troppo grande libertà che si accorda al piccolo bestiame che distrugge le giovani piante e schiaccia la terra; vedemmo su un monte vicino a Tenda un palo coll’iscrizione: «proibito per capre»; ma siccome non v’è guardiano apposito, e nè le capre nè i pastorelli sanno leggere, dubito dell’efficacia di tale divieto.

Fra gli arbusti che crescono nei luoghi aridi di questa zona, il più volgare è il ginepro (Juniperus communis), che talvolta forma un piccolo albero, associandosi spesso alla Genista cinerea sino ai 1450 m. e trovandosi ancora fin verso 1600 m. nei boschi. L’Erica (Calluna vulgaris) spesseggia parimente nelle foreste e nelle boscaglie aride fin verso 1500 m.

Le erbe caratteristiche di quelle pendici crescono, tra 800 e 1400 m., insieme a quelle della zona submontana, ma salgono assai più alto, trovandosene molte ancora sul culmine del Monte Corto (m. 1719), a nord di Tenda. Primeggiano fra esse: l’Helleborus fœtidus, dalle foglie palmate, l’Helianthemum italicum, la Polygala chamæbuxus (sui monti soleggiati delle Prealpi fino a circa 1800 m.), la Carlina acaulis, l’Erinus alpinus, che scende fin sulle roccie vicino a Mentone, la Chondrilla juncea, il Vincetoxicum officinale, il Thymus serpyllum, la Lavandula officinalis, l’Hyssopus officinalis (abbondante in alcuni punti delle rocce calcaree attorno a Tenda), l’Origanum vulgare, la Saturcia montana, la Stachys recta, la Calamintha nepetoides e alpina, la Nepeta nepetella, l’Euphorbia falcata, la Daphne mezereum e la felce comune (Pteris aquilina: molto abbondante su parecchie pendici secchissime sin verso i 1800 m.). Fra le piante rupestri citeremo il Sempervivum arachnoideum, parecchie sassifraghe (S. stellaris, S. aizoides), l’Antennaria dioica, l’Hieracium lanatum, la Globularia cordifolia.

Assai spiccata è nelle zone montane la differenza floristica fra il Giura Provenzale, le vere Alpi Marittime, le Alpi Ligustiche ed il lato nord (bacino del Po). Oltre a 20 specie non trovansi, a quanto pare, ad est del Varo, tra altre un tiglio (T. platyphylla Scop.) e la Fritillaria caussolensis, limitata agli altipiani rocciosi tra Grasse e la Valle dello Sterone. L’antico contado di Nizza possiede una varietà speciale del pino nero (Pinus pinaster f. Hamiltonii, Pinus Escarena del Risso) che si trovò sui monti attorno alla Valle del Paglione. Ardoino dice poi che un pruno (vicino al P. brigantiaca) incontrato nella foresta della Mairis, con foglie obovate e pubescenti sul lato inferiore, potrebbe bene costituire una specie distinta. Altre specialità interessanti sono: il Cytisus Ardoini, molto differente dai suoi congeneri, trovato sulle rocce tra Mentone e Scarena; il Ranunculus Canuti Coss. del Colle di Braus, la rara Asperula hexaphylla (dal Gran Monte sopra Mentone fino alle vallette subalpine del Roja e della Vesubia), la Micromeria piperella Benth (non rara da Tenda al Bress e all’Aggel, a 1000 m. sopra Mentone) e la subalpina Saxifraga lantoscana; la Saxifraga lingulata è più diffusa, dai monti di Grasse all’Appennino genovese, e la bellissima S. cochlearis, abbondante nel bacino del Roja, incontrasi ancora nella Liguria orientale, sul capo di Portofino. Il Plagius Allionii L’Hérit., assai distinto dai leucantemi, trovasi dalla bassa Valle del Varo sino a Tenda e sui monti di Genova. La Campanula macrorrhiza, con radice legnosa, abbonda sulle rocce del Nizzardo, passando anche su quelle dietro a Grasse; similmente diffusa è la singolare Potentilla saxifraga Ard., bella pianta con radici legnose e foglie argentee sul lato inferiore, trovata a 870 m. sopra Mentone, a Saorgio, a Briga, sulle rupi del Varo, ed a Thorenc dietro a Grasse.

Tra le specie che ivi non sembrano uscire dalle Alpi Ligustiche, citeremo: l’Asperula odorata, l’Inula oculus Christi (Monte Toraggio), la Saxifraga valdensis, il Cyclamen europæum (Rocca Ferraira, sopra Ormea, a 1300 m.), la Koniga halimifolia, l’Aquilegia Reuteri Boiss., il Leucojum vernum.—V’è da notare poi la mancanza di certe specie diffuse nelle attigue regioni della Provenza e dell’Italia, quali l’Elæagnus angustifolia, il Juniperus sabina, l’Ephedra Villarsii (speciale delle Bassi Alpi) e sopratutto il pino di Corsica (Pinus laricio f. Poiretiana), che negli Appennini e nella Corsica forma magnifiche foreste, notevoli per l’altezza e la regolarità delle piante; questa specie molto resinosa, di cui il pino austriaco non è che una varietà, dovrebbe introdursi qui a scopo di rimboscamento, essendo utile pel suo legno apprezzatissimo e offrendo il vantaggio assai importante di essere quasi affatto ribelle agli insetti che rovinano i pini selvatichi.