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Bollettino del Club Alpino Italiano 1895-96

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4) Idrografia

I corsi d’acqua alpestri della regione di cui si tratta appartengono, sul lato nord al bacino del Tanaro; sul lato sud a quello di 5 fiumi o torrenti di costa (il Varo, il Roja, il Nervia, l’Argentina ed il Centa). Non abbiamo misure perfette in ciò che concerne la lunghezza di questi fiumi e l’estensione dei loro bacini (quest’ultima assai più importante della lunghezza dal lato idrografico); ecco però misure approssimative:

NB. La lunghezza, d’ordinario, s’intende quella del principale rio che costituisce il ramo originale del fiume; nelle misure dei bacini idrografici (eccetto quelli del Tanaro e del Varo, misurati più accuratamente da altri) non si potè tener conto abbastanza delle irregolarità del suolo, così che i risultati saranno alquanto inferiori alla vera estensione.


I corsi d’acqua alpestri distinguonsi secondo che sono alimentati principalmente da sorgenti, da nevi eterne o da laghi.—Le sorgenti sono meno numerose e meno copiose nel gneiss centrale delle Alpi Marittime che nei monti calcarei; però, il gruppo granitico possiede due complessi di numerose sorgenti termali (quelle di Valdieri e di Vinadio), distinte tanto per la copia, che per l’alta temperatura dell’acqua e per la sua ricchezza di sostanze minerali. Specialmente ricchi di sorgenti sono i bacini dell’alto Tanaro, del Pesio, dell’Ellero e della Levenza; quest’ultima è alimentata dalla grande fontana intermittente vicina alla Cappella del Fontan.

I corsi d’acqua di quella regione sono raramente continui, e nelle valli superiori incontransi tratti ove gli alvei, tortuosi e riempiti da una sabbia porosa, sono quasi sempre a secco. Così mostrasi la Levenza sotto Briga, mentre più alto ha molta acqua. Su maggiore scala, tali fiumi alimentati principalmente da sorgenti osservansi nel Carso ed anche nella Provenza: ivi, quelli ad occidente del Varo sono affatto differenti dai torrenti liguri. Altra distintiva dei rivi precitati è il deposito bruno o rossastro col quale rivestono le pietre del loro letto, e che accenna alle sostanze calcaree ed al ferro contenuti nell’acqua.

Se il gruppo Centrale delle Alpi Marittime non ha molte sorgenti (pochissime si trovano sopra ai 2200, talune però fin verso i 2600 m.), i nevati ed i laghi servono invece a mantenervi i rivi più copiosi ancora di quelli delle Alpi calcaree. Il rio della Miniera, alimentato da molti laghi, è, quasi in ogni stagione, la corrente più copiosa di tutto il bacino del Roja, sebbene la parte superiore di questo, la cui valle è assai più profonda e più continua, abbia quasi la doppia estensione. La Gordolasca, i rivi di Vallasco, di Meiris, della Ruina, e quasi tutti quelli che scendono dalla catena principale, distinguonsi parimente per la costanza delle loro acque, copiose anche nell’estate e quasi sempre chiare, molto fresche e popolate da numerosi pesci. Anche nell’ottobre trovai il rio della Miniera, sebbene il suo volume fosse quasi raddoppiato, coll’acqua tutta chiara, poichè, provenendo dallo squagliarsi delle nevi o dai temporali, essa quasi tutta si purifica nei laghi.

I principali corsi d’acqua alimentati, almeno in gran parte, da nevi eterne sono la Gordolasca, il rio Meiris, quello di Lourousa ed i rami che formano il Gesso di Entraque, specialmente il rio di Monte Colomb. Anche essi hanno molta acqua tutta l’estate, e la loro portata è inoltre singolarmente regolata, sia da laghi, sia da petraie o campi di blocchi rocciosi, sotto i quali l’acqua corre per buon tratto, come nelle valli dietro ad Entraque, nel rio di Lourousa e nel bacino superiore di Meiris, nel quale s’inoltrano gli emissari dei nevati del Matto, cadenti da oltre 2900 m. Le petraie inoltre assorbono l’acqua risultante dalla neve che le ricopre nella fredda stagione. Il rio di Meiris non appare definitivamente che poco a monte del Lago soprano della Sella; quello di Lourousa solo vicino al gias Lacarot (m. 1980), e quello della Barra sotto il Prajet (m. 1800), mentre più sopra essi appaiono tutto al più per brevi tratti, lasciando però spesso sentire il loro mormorio sotto i sassi: così le petraie qui compiono quasi la stessa funzione moderatrice delle caverne sotterranee nelle regioni calcaree. Anche i boschi, naturalmente, servono a mantenere una valle umida nell’estate, come si vede per es. nel vallone del Borreone, che per profondità del rio e per costanza della sua portata è da considerarsi quale ramo terminale della Vesubia; poi anche nella Valmasca, nel cui fondo ombroso scorrono molti rigagnoli nerastri.

In media, i corsi d’acqua settentrionali delle Alpi Marittime sono comparativamente più copiosi di quelli meridionali, lo che è naturale, considerandosi l’inverno molto più nevoso, l’estate meno secca, la vegetazione più densa delle basse parti e la minore estensione che in genere detti rivi hanno da percorrere, nel tratto che sono fra i monti.

Il Tanaro, al suo sbocco nel Po, ha una portata media di circa 133 mc. al secondo, mentre nelle piene essa rimonta a circa 1700 mc.; però, in confronto a tale variabilità abbastanza grande, v’è da notare che, dopo entrato in pianura, esso si accresce di molte arterie di indole piuttosto torrenziale, talvolta importantissime, quali la Bormida. Lo stesso è da dirsi anche della Stura, che assai meno del Gesso ha il carattere di un fiume. Questo ultimo corso d’acqua, verso la fine di un’estate secca ha ancora circa 7 mc. di portata sotto a Sant’Anna, la portata del Gesso d’Entraque essendo almeno uguale. Nell’autunno e specialmente nella tarda primavera, esso appare veramente maestoso: il sig. Bodenmann, abituato ai fiumi della Svizzera, lo vide nel giugno 1890 e lo chiama uno dei più bei fiumi montani che conosca.

Tutti questi corsi d’acqua, e più ancora quelli del lato sud, hanno del resto una portata sensibilmente minore della somma delle acque che scolano nel loro bacino. Infatti, lasciano infiltrare molta acqua nel suolo sassoso ed arenoso dei loro larghi letti, ne perdono poi molta per evaporazione e per l’alimentazione dei canali fertilizzanti le basse valli e la pianura, cosicchè a Cuneo il letto del Gesso è soventi a secco.

I corsi d’acqua meridionali sono soggetti a variazioni ingenti cagionate dall’irregolarità e abbondanza delle pioggie, come anche dall’aridezza e ripidezza del suolo. Nelle Alpi Marittime occidentali, tutte francesi, costituite da roccie calcaree o da schisti molto friabili, vi sono tali torrenti perfino nelle regioni più alte: dopo forti temporali ed in seguito allo sciogliersi delle nevi, essi scorrono con rapidità veramente spaventosa, e dalle pendici rocciose si precipitano vere valanghe di acqua, che dimostrano bene i terribili effetti di un completo disboscamento. Inoltre, questi torrenti traggono seco quantità insolite di terre sciolte; in taluni, un ventesimo dell’acqua consiste in simili materie, così che essa appare tutta spessa, di colore nero come inchiostro, o rosso come sangue, o bianco come latte, o bruno come cioccolatte, secondo le rocce su cui scorre. Se già il Roja sotto a Tenda nell’autunno ha talvolta ben 10 volte più di acqua che nei mesi più caldi, non è da meravigliarsi se tali torrenti assumono talvolta un impeto pericoloso; così, nel 1892, una piena della Vesubia, fece gran danno a San Martino e nei dintorni; il villaggio di Roccabigliera ebbe più volte a soffrirne.

Il Varo inferiore, che raccoglie gran numero di rivi alpestri e di veri torrenti, ha una portata estremamente varia, secondo le stagioni. Nell’estate è sempre ancora abbastanza copioso, con circa 25 mc. di acqua, scorrente con una velocità di circa m. 1,2 al secondo e riempie forse un sesto del letto, largo da 400 a 800 metri. La portata media è di circa 40 mc., la massima, secondo Villeneuve-Flayost, di ben 4000 mc., portata assai superiore alla media del Rodano e del Reno inferiori; tuttavia non credo esagerata tale cifra, poichè il Varo, in piena assoluta, offre uno spettacolo d’una grandiosità incredibile: tutto il letto è riempito, per una profondità di almeno 2 metri, da un liquido bruno e fangoso che emana un forte odore di terra e che scorre con una velocità di ben 4 m. al secondo, facendo tremare i ponti più solidi e lasciando sentire a molta distanza il suo cupo rumore. Nelle gole del Ciaudan, dove il Varo è ristretto in un letto largo meno di 40 m., la sua velocità si aumenta talmente da essere uguale a quella di un treno ordinario.

La Tinea ha, nei tempi di magra, almeno 6 mc., il Roja 8 mc. di acqua (dei quali ben 4 forniti dal rio della Miniera); ma nelle piene sono fiumi potenti. Inutile dire che fiumi così rapidi e così variabili non possono essere navigabili, neppure con barche.

La foce di tutti i corsi d’acqua liguri, dal Varo all’Arno, assume la forma di «limani» ossia stagni di costa, prodotti dal fatto che, in tempo di basse acque, le onde del mare hanno un impeto superiore a quello del torrente, accumulando perciò le ghiaie e le sabbie davanti al largo letto di questo, cosicchè esso si espande in forma di laghetto, d’ordinario unito al mare per mezzo di un piccolo canale, mentre i limani dei rivi più piccoli ne sono talvolta affatto separati per mezzo delle ghiaie. Il Varo ed il Centa escono nel mare divisi in parecchi rami, però non hanno un vero delta, poichè ciascun ramo si termina con uno stagno. Naturalmente, nel tempo di piena gli stagni spariscono e le acque scorrono con impeto nel mare, intorbidandolo sino a parecchi chilometri dalla costa; là dove lottano contro le onde marine si formano «barre» molto alte. In sèguito alle immense quantità di materie terrose che il Varo trasporta nel mare, nei tempi di piena, le terre basse attorno alla foce del fiume si avanzano sempre più, e la linea batimetrica di 200 m., dista ben 2400 m. a sud-est della foce, mentre a Nizza è distante solo 300 m. dalla costa.—Aggiungerò che conviene distinguere i limani dagli estuarj, i quali sono pressochè limitati ai mari con forte flusso e riflusso; essi risultano dalla lotta—con forze piuttosto uguali—tra grandi fiumi e l’Oceano.

 

Dirò poco sulle cascate dei rivi alpestri; nelle Alpi Marittime ve ne sono di due specie. Le prime sono formate da corsi di acqua copiosi, nei punti dove la valle è sbarrata da rocce, e non raggiungono d’ordinario un’altezza molto grande: belle sono quelle della Miniera ai Conventi ed alle Mescie, della Valmasca inferiore, del Tanarello, del Nervia a Pigna, della Gordolasca sotto la Vastera Streit, e specialmente del Borreone a Ciriegia88. Sul lato nord, meritano menzione speciale le cascate dei rivi Meiris, Vallasco, Lourousa e del Pesio.

Assai più alte sono le cascate che scendono dalle pareti laterali o nei burroni terminali delle vallate. Sul lato sud però, esse sono d’ordinario molto piccole nell’estate, e conviene vederle nell’autunno: quella sotto il Lago Agnel, alta ben 200 m., è bellissima anche nei mesi caldi. Sul lato nord ve ne sono delle molto copiose, però il loro letto è in generale scavato profondamente nelle pareti rocciose, cosicchè non se ne può vedere bene che un certo tratto; tra le più rimarchevoli sono quelle del rivo dei Gelas, dell’Argentera, della Ruina (sopra il lago omonimo), ma particolarmente ricco ne è il vallone di M. Colomb, nel quale ogni rio ne forma delle bellissime. Quella della Valletta Grande, dietro alla Trinità (comune di Entraque), è alta oltre 400 m., e così per altezza conta ben poche rivali nelle Alpi.

Le Alpi Marittime sono singolarmente ricche di laghetti alpestri; senza contare i «gourgs» o stagni poco profondi, alimentati dalle nevi ed in parte periodici o sempre più ricolmi da materiali terrosi, se ne trovano almeno 250, dei quali ben 130 sul territorio italiano, solo fra i colli di Tenda e della Lombarda, lungo la catena principale. Le Alpi Ligustiche, che già si distinguono per le loro rocce tutte stratificate, in gran parte calcaree, e per l’assenza quasi assoluta di nevi perpetue, non ne vantano invece che pochissimi e piccoli, tra i quali quelli della Brignola e di Rascaira sono piuttosto stagni torbosi.

La superficie complessiva di tutti i laghi delle Alpi Marittime difficilmente sarà superiore ai 10 chilometri quadrati; i 13 più grandi, insieme, ne ricoprono 3. Ecco, sui più importanti di tali laghi, dei particolari presi dalle più recenti carte:



Vi sono poi 16 laghi che hanno tra 5 e 10 ettari, circa altri 30 da 3 a 5 ett., dei rimanenti la maggior parte almeno 1 ettaro di superficie.—Quanto poi all’altitudine sul mare, solo 9 laghi (nelle Alpi Marittime proprie) trovansi al disotto di 2000 m., i più bassi essendo quelli della Ruina e di San Grato di Gordolasca (m. 1505); ve ne sono circa 30 tra 2000 a 2200 m. ed altrettanti tra 2500 e 2600 m., quest’ultima altitudine essendo superata da circa 15 laghetti; la maggior parte però trovasi fra 2200 e 2500 metri. Fra i più elevati sono da citare, oltre al Lago Lungo: il Lago soprano dell’Ischiatour (m. 2770), quello del Balour sotto la Cima dei Gelas, i Laghi superiori di Rabuons (circa 2625 m., il maggiore misura ettari 4,3), il Lago Carbone (m. 2621, ett. 3,3) ed il Lago Gelato (ett. 3).

Noto qui che in Isvizzera e nel Tirolo pare che non ci sia lago al disopra di 2600 m., mentre sul lato italiano delle Alpi Occidentali, coperte in minor grado da nevi e ghiacci, se ne trovano 4 o 5 perfino oltre a 3000 m. (così il Lago Mongioia a m. 3092, nelle Alpi Cozie).

I laghi sono qui in maggior parte situati sia ne’ circhi terminali delle valli o vallette, sia sugli altipiani d’ordinario semicircolari o conchiformi che trovansi nel fondo o sui fianchi delle vallate; talvolta la conca è molto stretta e il lago prende una forma allungata. Sui terrazzi inferiori delle valli, ben pochi laghi hanno perdurato fin’oggi (tali il Lago sottano della Sella, quelli della Valletta, dell’Ischiatour, della Ruina), ma ve n’erano molti e grandi in un’epoca geologica assai recente, come lo dimostrano i bacini lacustri del Vallasco, del gias del Prato (Meiris), di Casterino, di Marberga, del Piz, ecc. Non è impossibile poi che la parte bassa delle grandi valli settentrionali sia stata una volta occupata da estesi laghi, come quelli della Lombardia; ma se c’erano, le tracce sono scomparse sotto le alluvioni torrenziali.

Quanto alla loro origine, i piccoli laghi alpestri appartengono all’ultima delle epoche geologiche, e sono condannati a sparire in un tempo relativamente breve, causa i materiali che i rivi e le valanghe vi accumulano man mano nel fondo; però, appunto i più grandi ed i più profondi sono situati immediatamente sotto alte catene ed alimentati da rivi molto esigui, cosicchè ci vorranno molti secoli per cambiarli sensibilmente; dei piccoli «gourgs» invece, taluni spariscono a vista d’occhio.

I laghi delle Alpi Marittime hanno raramente un bacino idrografico di oltre 4 kmq. (Lago Lungo 1,2, Lago del Basto 2,2, Lago di Allos 4, Lago Brocan 4 ½); e quelli che hanno bacino più grande (perchè alimentati da rivi importanti), ricevono quasi tutti emissari di altri laghi, con acque perciò già moderate e purificate; così il Lago sottano della Sella e quello della Ruina, i cui bacini misurano rispettivamente circa 15 e circa 13 kmq.; i rivi che li formano hanno già colmati larghi bacini a monte del lago, ora ridotti a praterie, e sboccano per mezzo di un perfetto delta che s’avanza sempre più.

Dei più piccoli laghi, taluni, di profondità molto esigua, riempiono solo piccole ineguaglianze del suolo, tra rocce montoni od altre formazioni glaciali: così i laghetti Brignola e Rascaira, i gourgs morenici dei ghiacciai della Maledìa, ecc.; altri poi si sono formati in seguito a scoscendimenti od alle alluvioni dei torrenti. Però la maggior parte dei laghetti alpestri sono chiusi a valle da una barriera poco elevata di rocce montoni, più raramente da antiche morene (come quelle del Lago della Ruina e del Lago Brocan); se con ciò è evidente la loro intima congiunzione coi fenomeni dell’epoca glaciale, non ne risulta però che siano stati scavati dai ghiacciai, e il Freshfield nota giustamente che, se questi avessero potuto scavare quei bacini per lo più molto profondi, trasportando via tutto il materiale che contenevano, non si potrebbe spiegare come quelle potenti masse di ghiaccio non abbiano neppure potuto togliere delle sporgenze poco alte delle rocce da loro lisciate.

Si dovrà dunque cercare l’origine dei bacini lacustri nella stessa struttura orografica. La profondità dei detti laghi è, infatti, abbastanza ragguardevole, ma finora non pare che sia stata misurata (eccetto che pel Lago d’Allos); sotto questo riguardo, è curioso che quasi dappertutto ove tali laghetti si trovano, la loro profondità sia considerata dai montanari quale immensurabile; le stesse fiabe circolano sullo Scaffaiolo e su certi laghi della Foresta Nera e dei Tatra. Nei Laghi di Valmasca, nel Lago Lungo, nel Lago soprano della Sella non mancano tratti di 3 a 10 m. di profondità già immediatamente sotto la riva, ma la massima, nel mezzo, difficilmente supererà i 20 o 30 m.; al Ghigliotti i valligiani dissero che quella del Lago della Ruina era di 120 m., cifra certamente esagerata. Il fondo costituisce quasi sempre un piano melmoso, pressochè uguale, interrotto soltanto qua e là da frane e più spesso da blocchi rocciosi.

La maggior parte dei laghi è alimentata da rivi che ne escono poi, d’ordinario, assai più copiosi, causa il lento scolare delle acque accumulatesi nella bassa stagione, talvolta anche causa sorgenti sotterranee; non mancano del resto—almeno nell’estate—i laghi che non hanno affluente o emissario, talvolta nè l’uno nè l’altro. Già sopra accennammo all’importantissima e felicissima influenza moderatrice e regolatrice che quei laghetti esercitano sui rivi alpestri, formando magazzeni di acqua per la stagione secca e ritenendo gran numero di materie terrose che aumenterebbero l’impeto devastatore dei torrenti.

La temperatura dei laghi varia molto secondo la grandezza, la profondità, l’altitudine, ecc. Trovai in un pomeriggio d’agosto quella dei laghi della Valle dell’Inferno pressochè uguale a quella dell’aria (però era un giorno molto mite; la temperatura del Lago Lungo superiore vi era di + 11° C.); un po’ superiore il 22 ottobre 1894 (quasi 0° nell’aria, mentre il Lago dell’Olio ne aveva + 2°). I più grandi laghi non si congelano che a parecchi gradi sotto zero; sopra i 2200 m. essi rimangono liberi d’ordinario per 5 o 6 mesi; molti però ritengono il ghiaccio sino nel maggio o nel giugno (così perfino il Lago sottano della Sella), il Lago Lungo spesso da ottobre a luglio, e parecchi più piccoli si congelano ogni notte e non sono mai affatto privi di ghiaccio, quali il Lago Gelato superiore (sopra la Valmasca), il Lago di Larè ed il piccolo Lago Bianco (m. 2328, ett. 1,4) che s’allarga dietro una grande morena sotto il ghiacciaio del Clapier, portando molti «icebergs» nell’agosto. Il 28 settembre 1893 esso era tutto ghiacciato.

Soltanto nei più bassi laghi, non molto profondi (così i Laghi Lunghi, il Lago di Fontanalba), trovai ancora piante di acqua, alghe, potamogetoni, ecc., mentre le rive ne sono talvolta paludose, con sfagni, giunchi, eriofori, primule, ecc. In molti laghi, specialmente in quelli settentrionali—nei quali la pesca è riservata a S. M. il Re—si trovano numerose le trote di grandezza notevole (perfino nel Lago delle Finestre, a 2271 m.); in altri sono numerosissime le rane (R. esculenta), specialmente nei Laghi Lunghi dell’Inferno, mentre più in alto alimentano ancora ditici, radiolarie ed infusori. Secondo il Purtscheller, il Lago Lungo di Gordolasca (2572 m.) sarebbe ancora popolato da pesci!

Circondati dalla più orrida e desolata natura alpestre, quegli specchi così solitari e tranquilli hanno una bellezza tutta speciale, quasi affascinante, dovuta specialmente al contrasto del loro piano trasparente colle creste oltremodo frastagliate e tormentate, colle squallide petraie tutt’all’intorno, poi alla singolare chiarezza della loro acqua che quasi vi suggerisce la voglia di precipitarvisi. Nessuno di questi laghi rassomiglia affatto ad un altro per forma, colore, grandezza o fisionomia; eppure se ne incontrano spesso oltre a 10 nello spazio di un giorno, e se ne vedono in complesso da 15 a 20, da parecchi belvederi, quali il Bego ed il Tinibras.

Il colore di uno stesso lago è sottoposto a grandi variazioni secondo il punto di vista, la profondità, la luce, la stagione, ecc. D’ordinario, esso è più o meno verde, mostrando—se le acque sono poco profonde—tinte pallide e grigiastre od il verde chiaro dei prati, mentre i laghi più ragguardevoli hanno un bellissimo colore di smeraldo od appaiono molto scuri; taluni sono quasi neri, come il Lago Negrè e quello della Valletta; altri sono chiari lungo le sponde, mentre, col rapido aumentare della profondità, diventano sempre più cupi verso il centro, cosicchè sembrano occhi; infine ve ne ha con tinte azzurrognole e pochi—alimentati dai nevati—appaiono biancastri, cioè con un liquido latteo diffondentesi tra il verde puro dell’acqua, come nel Lago Bianco di Peirabroc. La predominanza delle tinte verdi è certo meno dovuta al colore del fondo (questo è in generale grigio e nerastro, con numerosi massi bruni o rossastri) che alla purezza dell’acqua, la quale contiene pochissimo acido carbonico, che in maggiore quantità le darebbe una tinta azzurra e più fosca, e manca quasi affatto di materie organiche, le quali la renderebbero piuttosto grigia o bruna. Naturalmente i colori dei laghi appaiono più intensi con bel tempo e con calma perfetta; quando il sole non batte direttamente sulla loro superficie, facendola scintillare come oro, essi rispecchiano in modo stupendo i loro dintorni; quando invece il vento vi solleva striscie bizzarre o piccole onde, essi appaiono cupi ed incolori.—Sembra pure che questi laghi guadagnino molto ad essere visitati sul cominciare dell’estate, quando c’è ancora molta neve nei dintorni. Il Purtscheller, che ne vide parecchi nel giugno 1890, vi trovò una varietà di colori che non hanno più nell’agosto. Il Lago Brocan—che io vidi verdastro, in parte intorbidito dai rivi che scendevano dai nevati—lo descrive come brillante in tutti i riflessi, dal verde profondo della malachite al più splendido azzurro; sulla sua acqua chiara come cristallo galleggiavano ancora pezzi di ghiaccio. L’azzurro del Lago della Ruina (verde invece nell’agosto) sembrava quello del vetriolo, ed il meraviglioso Lago superiore di Rabuons era di colore celeste chiaro. Però, in ogni stagione e con ogni tempo, queste gemme liquide e viventi costituiscono il più bell’ornamento delle alte montagne, così meste e selvaggie.

 

Già il Freshfield accennò sul lato ovest della Cresta dell’Argentera, tra le Cime di Nasta e del Baus, un bel laghetto non segnato su alcuna carta; io ne trovai poi tre alla sommità del Vallone di Meiris (sotto il nevato del Matto), di cui l’inferiore (circa m. 2450) ed il superiore (circa m. 2600) mi sembrava che misurassero almeno 1 ettaro; però essi, come parecchi altri meno importanti, non si vedono sulla nuova carta. Coolidge parla di una bella distesa di acqua sotto il Lago Agnel e (sulla carta aggiunta) segna un lago di ben 15 ettari a sud del rio dell’Agnel; ma deve essersi sbagliato, poichè un lago di qualche estensione ivi non esiste; ve n’è invece uno non troppo piccolo fra il lago principale ed il Colle dell’Agnel.

In molti luoghi, i laghi sono riuniti in gran numero, formando gruppi o lunghe schiere, quali i 9 laghi della Valle dell’Inferno, i 6 settentrionali ed i 6 meridionali di Fremamorta, ecc.; talvolta ve ne sono parecchi a poca distanza l’uno dall’altro, riuniti per mezzo di un rio e formando così una catena.—Il più bel gruppo è quello dei tre Laghi del Basto, distanti appena 500 m. tra loro, ma con sponde rocciose, talvolta a picco e sempre malagevoli da percorrere; sulla sponda est del lago inferiore crescono ancora bei larici, mentre attorno a quello superiore non vive pianta legnosa, se non qualche piccolo rododendro; il bacino piano a meriggio ed il terrazzo orientale sono però coperti da erba.

Il Lago soprano è veramente maestoso, specialmente visto dal detto terrazzo; il vasto circo che esso occupa sembra un immenso cratere, e la ripida cresta occidentale offre l’aspetto più fantastico che si possa immaginare.



Pochi sono i laghi dai dintorni ameni ed agresti, quali il Laghetto di Fontanalba, il Lago Verde (nella stessa valle, con un isolotto coperto di piante), il Lago di San Grato. Fra i più grandi, si potrebbe aspettare una natura più mite e più ricca attorno al Lago della Ruina, a soli 1560 m. sul mare, ma esso ha ora sponde squallide e nude, con flora piuttosto alpestre, mentre altre volte vi crescevano boschi di alto fusto, come ci dimostrò un grande tronco giacente nell’acqua; però, sul lato sud s’innalza una scoscesa barriera di rocce, coperta da fresche boscaglie ed ornata da bella cascata, rendendo così molto pittoresco il paesaggio.—Assai più ameno è il Lago sottano della Sella, il più bello nel suo genere in queste Alpi; di forma quasi rotonda, attorniato in parte da praterie, sulle quali v’è una piccola capanna, in parte da più erte pendici e da rocce montoni, coperte da bei gruppi di larici, esso è dominato da ripidi e cupi monti, fra cui si presentano imponentissime le piramidi del Matto, ricco di nevi, e del suo contrafforte settentrionale; l’insieme costituisce un quadro affatto placido ed idillico; visto dall’alto, il lago sembra di velluto verde scuro.

L’impressione più indimenticabile però l’ebbi dal Lago Lungo, il più grande delle Alpi a tale altezza (m. 2572), rinserrato fra due erte creste di roccia bruna dalle forme più orride e circondato da petraie quasi prive perfino della più umile flora. Nel fondo, specialmente dal lato della Punta della Maledìa, piccoli nevati scendono lentamente alla sponda spingendosi poco a poco nell’acqua, finchè dalla loro estremità ghiacciata si staccano piccoli icebergs, la cui parte immersa mostra il più splendido azzurro, mentre la cappa superiore è bianca o grigia, il tutto contrastando stranamente col verde scuro delle acque profonde. Dalle sponde si ha una estesa vista sopra i monti lontani imboschiti o soleggiati, sino al mare: pochi saranno i punti dove si possa contemplare nello stesso tempo il caldo Mediterraneo ed un tale oceano polare in miniatura.

Fra tanti laghi primeggia sotto ogni rapporto il Lago di Allos, sul territorio francese, nel dipartimento delle Basses-Alpes. Il Ball lo descrive quale uno dei più grandi e profondi delle Alpi Francesi, quasi rotondo, con una circonferenza di quasi 4 miglia inglesi; il Mont Pelat s’innalza nel modo più superbo dal lago. Non c’è forse parte delle Alpi più selvaggia e così chiusa come la valle ove si trova; i monti circostanti sono coperti di neve e di parecchie conifere intristite, accanto a grandi precipizi ed a profondi burroni. Il Coolidge dice seccamente che il lago è povera cosa in confronto a quello che fanno supporre le descrizioni delle guide. Tale giudizio deve risultare da aspettative esagerate in quanto concerne la grandezza del lago e l’altezza dei monti circostanti; infatti, il giro del lago è ben minore di 5 a 6 chilometri; poi il Monte Pelat (m. 3053) è distante quasi 3 chilometri dalle sue sponde, essendone separato da un vallone abbastanza profondo, e fra le cime che dominano immediatamente lo specchio, la più alta—les Grandes Tours du Lac (m. 2745)—è distante ancora 1 km. È vero però che il Lago d’Allos, in tutte le Alpi occidentali franco-italiane (senza però contare le colline lungo le pianure del Rodano e del Po), non ha per grandezza che 6 rivali, dal Lago di Ginevra a quello del Moncenisio; in tutta la regione alpestre delle Alpi, poi, soli 6 o 7 laghi sono più grandi, nessuno dei quali però trovasi ad oltre 2000 m. d’altezza; tutti i laghi dei Pirenei e dei Tatra sono, a quanto pare, più piccoli. Da ciò non è da dedursi che il Lago d’Allos sia di grandezza straordinaria; è maestoso anch’esso, ma di una maestà tutta differente, risultando dall’attonimento di vedere, frammezzo ad erte creste che sembra abbiano appena posto per strette chiuse, una piana estensione di acqua, lunga una buona mezz’ora di percorso. Quanto influisca, del resto, l’aspettativa, lo si vede dal fatto che lo stesso Coolidge chiama magnifico il Lago Agnel, il quale non è descritto in alcuna guida; ma, per bello che sia, è certo inferiore a quello di Allos per grandezza, varietà delle attrattive e perfino per l’altezza relativa dei monti circostanti.

Il Lago di Allos è dominato in parte da ripide pendici e da rocce a picco che si ergono sino a 180 m., ed in parte (ad ovest specialmente) da declivi più dolci, ricoperti da erbe offrenti nel giugno una magnifica flora. Oltre a 6 o 7 sorgenti minori esso è alimentato da un rio lungo quasi 2 km. che vi si immette dal lato sud; non ha emissario apparente, ma a poca distanza ad ovest esce dal monte, a 60 m. sotto il lago, la copiosissima sorgente del Chadoulin, affluente del Verdone; i valligiani credono che anche la grande sorgente del Varo, assai più distante, ne sia alimentata, basandosi sul fatto che il Varo, come il Chadoulin, s’intorbidisce subitaneamente, quando frane o valanghe cadono nel lago.

La profondità massima è di m. 42,5, la media di metri 12, ciò che corrisponde ad un volume di acqua di quasi 83.000.000 di mc. Si ebbe il progetto di ricolmare parte del lago per alzarne il letto, coll’intento di aumentare la sua estensione e di procurargli un emissario visibile, il quale avrebbe forniti 2 mc. al secondo al Verdone ogni estate, durante un mese. Il lago è popolato da trote rinomate; sulla sponda ovest v’è una capanna da pescatore.

88Quest’ultima, alta 35 m., è in un sito molto romantico; l’abisso largo 5 m., che essa forma, fu saltato dal sig. tenente Cornaro, presenti parecchi signori di Nizza.