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Bollettino del Club Alpino Italiano 1895-96

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Pertanto lungo quel tratto di versante le condizioni orografiche locali, combinate colla meccanica dei ghiacciai, facilitavano il depositarsi d’un poderoso mantello morenico durante tutto il periodo d’avanzamento del ghiacciaio e del suo regresso fino al punto in questione: così pure, sul dorso arrotondato di Moncuc, alla confluenza dei due ghiacciai e sul versante opposto Moline-Champlong, mentre minore doveva riuscire l’entità della deposizione morenica sul versante sinistro Buttier, Rubat, il Ronc, Les Ors, Le Fontane, Recougier, dove esercitavano un potere assai limitato i valloni del Pousset e del Lauzon.

Nel periodo adunque della massima potenzialità glaciale, il deposito morenico di Gimilian assunse per un certo tempo il carattere di morena d’ostacolo o di rivestimento.

Ma la massima deposizione morenica si verificò evidentemente dal momento in cui, ritirandosi quei ghiacciai, essi vennero ad avere la loro comune fronte nel bacino di Cogne, quando cioè tutte le loro morene vennero a confondersi in un unico, esteso e potentissimo deposito frontale.

Staccatosi finalmente il ghiacciaio di Valnontey da quello di Urtier-Bardoney-Valeille, il primo, come quello più poderoso, continuò ad occupare il bacino di Cogne, mentre il secondo ritiravasi sempre più su Lilla riempiendo quel tronco di valle di deposito morenico. Ed intanto il ghiacciaio di Grauson, rimontando il suo vallone, vi costruiva la bella morena che sulla sua destra da Gemilian per Terrabouc e Monro arriva fino all’alpe Pila, e sulla sinistra l’altra che discende a Moline.

È caratteristico il deposito morenico che alle falde di Moncuc costituisce l’attuale Piano di Selva Nera sulla sinistra della valle, il quale è «un tratto di terreno pianeggiante diretto da nord-ovest a sud-est, di larghezza variabile fra 200 e 300 metri, di 3 chilometri circa di lunghezza, e leggermente inclinato verso un secondo bacino, a monte di Cogne, nel quale giace il villaggio di Lilaz (m. 1607), allo sbocco dei valloni di Valeille e di Urtier; l’inclinazione è quindi in senso opposto a quella del tratto di valle compreso fra Cogne e Lilaz67». Quest’altipiano, secondo il dott. F. Virgilio, sarebbe stato un tempo il fondo d’un lago formatosi per sbarramento glaciale «originato durante la fase di regresso del periodo glaciale dell’antico ghiacciaio di Valnontey, il quale, rimasto ad occupare colla sua parte terminale per un certo tempo il bacino di Cogne, formò barriera insieme colle sue morene laterale destra e frontale al libero defluire delle acque di fusione dei ghiacciai in ritiro di Grauson, d’Urtier, di Acquarossa, di Bardoney e di Valeille68», il quale lago si sarebbe poi vuotato in seguito allo sbrecciamento del morenico presso Moline per l’azione erodente delle acque.

Di tale opinione non è il prof. M. Baretti, il quale così obbietta: «Quando nel ritiro i ghiacciai di Grauson, di Urtier, di Bardoney, di Valeiglia, si confinarono nelle rispettive valli, l’ammasso morenico da essi accumulato allo sbocco del bacino di Cogne, potè aver trattenuto le acque nel bacino di Lilaz fino a sventramento dell’ostacolo morenico di Moline; un piccolo lago glaciale si sarà formato a Lilaz, ma non fino a Moline, come pare abbia immaginato in un suo lavoro il dott. Virgilio, giacchè il solco di valle fu completamente riempito dal morenico, tanto che il torrente fu poi obbligato ad aprirsi la via tra le rocce di destra ed il morenico; se lago allungato fosse esistito, esso avrebbe occupato gran parte del solco di valle in senso trasversale, ed il torrente, dopo svuotato il lago, avrebbe percorso un tratto pianeggiante verso il mezzo di detto solco. Se lago esistette, questo fu solo rispondentemente al piccolo bacino di Lilaz, e quindi in iscala molto ridotta a petto dei veri laghi glaciali, come quello di Combal ed altri69».

Queste obbiezioni all’ipotesi del dott. Virgilio non ci paiono sufficienti per escludere la possibilità che nel tronco di valle a monte di Cogne fino a Lilla si fosse formato un notevole lago per sbarramento glaciale. Anzi, l’osservazione delle condizioni locali ci rende favorevoli a detta ipotesi.

Quando avvenne il distacco dal ghiacciaio di Valnontey, di quelli di Grauson da solo, e di quelli d’Urtier, di Bardoney e di Valeille, ancora uniti in un unico ghiacciaio, diminuì in questo l’elevazione della superficie superiore della sua fronte in confronto di quello di Valnontey sbarrante la valle, essendo cessata la causa del suo rigurgito che ne sopraelevava la superficie; inoltre, la sua potenza essendo minore di quella del Valnontey, anche minore doveva riuscirne il deposito morenico. Per conseguenza la superficie del deposito morenico caotico che occupò tutto il solco di valle superiormente a Cogne fino a Lilla, risultò di livello più basso della gran diga formata dal ghiacciaio di Valnontey e dalla sua potentissima morena laterale destra e terminale da Moncuc a Moline. Inoltre, il depositarsi di questa lungo il piede del ghiacciaio intercluse sul fondo della valle il corso delle acque di fusione dei ghiacciai superiori, obbligando queste a ristagnare, innalzarsi e costituirsi in lago.

Se si ammette che il deposito morenico lasciato dai ghiacciai ritiratisi a Lilla raggiungesse l’altitudine di 1700 (se poco più o se meno, non resta infirmato il ragionamento), la sua superficie orizzontale coperta dalle acque del lago, aveva un’estensione in senso trasversale di circa un chilometro, ed il torrente, dopo svuotato il lago, percorreva appunto un tratto pianeggiante verso il mezzo del deposito, tale essendo anche ora la posizione del suo percorso, cioè all’incirca a metà distanza orizzontale fra le curve di livello 1700 e 1800 dei due fianchi della valle. Più sottile e poggiante su pendio più ripido, il manto morenico di destra più facilmente franò in parecchi tratti mettendo a nudo la sottostante roccia. Ritirandosi esso pure il ghiacciaio di Valnontey, e battuta in breccia la sua morena terminale dal torrente Grauson presso Moline, in questo punto s’incise sempre più profondo lo sbocco alle acque provenienti dalla valle superiore, per cui si può ben dire che il torrente, dopo svuotatosi il lago, ne percorse il fondo verso il mezzo abbassandosi quasi verticalmente, senza cioè dar luogo a notevoli divagazioni laterali.

A dare maggior elevazione al piano di Selva Nera nella sua parte a valle contribuì anche la maggior quantità di detrito morenico contenuto nella maggior altezza posseduta ivi dal ghiacciaio per il sovraccennato rigurgito. Quel lago avrebbe coperto una superficie di circa 3 km. di lunghezza per 1 di larghezza.

Perdurando le cause del ritiro dei ghiacciai; anche il gran ghiacciaio di Valnontey abbandonò il bacino di Cogne ritirandosi nel suo vallone, ed il ghiacciaio ricoprente il piano di Lilla si separò anch’esso nelle diverse correnti di Valeille, Bardoney e Urtier ritirantisi esse pure nei rispettivi valloni. Le morene abbandonate in questo ritiro sono numerose, alcune assai potenti e ben conservate; così sono abbondanti i depositi morenici presso Lilla, come quello a monte del villaggio formato dalla confluenza delle due correnti di ghiaccio ivi convergenti; così pure è degna di nota la bella morena frontale dalla sottile cresta lasciata al Crêt dal ghiacciaio d’Urtier dopo separatosi da quello di Bardoney e d’Acquarossa.

Nel vallone di Valnontey sono pure numerose le morene antiche, alcune ammantate di belle pinete; le più belle si osservano a Reppiaz, Babein, Bova, Valnontey, Persipia, sopra Vermiana, ecc.

Oltre che dai depositi morenici, il passaggio dei ghiacciai è rivelato da numerose rocce arrotondate, levigate, striate, che si possono osservare ad ogni passo e che attestano della grande potenza del fenomeno glaciale.

Risalendo i valloni, l’aspetto del terreno va modificandosi gradatamente: le morene ricoperte da folta vegetazione con piante di alto fusto cedono il posto ad altre sulle quali la vegetazione va man mano diminuendo; agli alti alberi sottentrano i cespugli, agli ubertosi pascoli, freschi per copia d’acque, ne succedono altri a rare zolle, che poi si trasformano in aride ondulazioni di terreno su cui stentatamente allignano magre pianticelle d’erbe alpine.

Il viandante si trova quindi a camminare su un terreno dovunque sassoso, dal quale sui fianchi della valle fanno capolino spuntoni di roccia che più in alto si convertono in balze e rupi scoscese; quel terreno solcato in fondo alla valle dai divaganti torrentelli è comunque rimaneggiato e chiaramente dimostra formare il campo delle incursioni torrentizie; lateralmente e verso il termine della valle gli accumuli di ciottoli assumono forme ben distinte di cordoni regolari taluni molto allungati, altri arcuati oppure coniformi. Questi cordoni, sbrecciati in alcuni punti da qualche torrente che discende al thalweg della valle, si succedono l’un l’altro, si sovrappongono e si continuano fino allo sfondo della valle stessa dove si addossano alle rupi che la chiudono, attorniano le fronti dei ghiacciai che maestosi ne scavalcano le balze: su questi si arrampicano e si continuano lateralmente sulla loro superficie, sulla quale si perdono poi nelle più elevate altezze.

 

Così insensibilmente le morene antiche hanno ceduto il campo alle attuali, a quelle che vengono alimentate sotto i nostri occhi dagli attuali ghiacciai, che noi vediamo consolidarsi là dove i ghiacciai sono stazionari od in regresso, che noi vediamo rimosse e trasportate in avanti ed anche distrutte là dove i ghiacciai riprendono ad avanzarsi.

E questi ghiacciai, un tempo già così potenti, noi vediamo aver abbandonato non la gran valle soltanto, ma eziandio i rispettivi valloni, e per ritrovarli, dobbiamo risalire alle loro estremità superiori, alle loro ultime ramificazioni. Alcuni sono del tutto scomparsi, altri si sono trasformati in modeste vedrette, altri hanno sopravvissuto, e benchè non molto numerosi, sonvene nonpertanto ancora parecchi che presentano delle importanti masse che ricoprono parecchi chilometri quadrati di superficie, con un dislivello di più che un chilometro.

Nella regione di cui ci occupiamo sonvi attualmente i seguenti ghiacciai i quali mandano la loro acqua nella Valle di Cogne:

discendenti dalla Grìvola: il ghiacciaio di Nomenon nel vallone omonimo discendente a Vièyes, e quello del Trajo nel vallone discendente di fronte ad Épinel;

nella Valnontey: il piccolo ghiacciaio di Rayes Noires immittente nel vallone di Lauzon; il ghiacciaio di Lauzon con due piccoli ghiacciai sulla sua sinistra (questo ghiacciaio si divide in due rami, quello sinistro versa nel vallone di Lauzon, quello destro versa invece nel vallone di Gran Valle e viene anche detto ghiacciaio di Grand Sertz); il ghiacciaio dell’Herbetet, il ghiacciaio di Dzasset, il colossale ghiacciaio della Tribolazione, il ghiacciaio di Grand Croux, quello imponente di Money, quello di Patrì e quello di Valletta;

nella Valeille: il ghiacciaio di Valeille, quello delle Sengie, e quello di Arolla;

nel vallone di Bardoney: il ghiacciaio di Bardoney e quelli di Lavina;

nel vallone d’Urtier: il ghiacciaio di Peratza;

ed infine i piccoli ghiacciai del vallone di Grauson, fra i quali il più importante è quello di Tessonet o Dorère.

Sonvi inoltre altre piccole masse glaciali e vedrette disperse qua e là.

Orbene, ecco il gran problema: questi ghiacciai, residui di antichi potentissimi, seguono essi tuttora in modo generale la legge del loro ritiro, continuando oggi quello che da millennii andò verificandosi; sono cioè dessi destinati a scomparire totalmente in un tempo più o meno prossimo? Ovvero questa legge fatale del loro ritiro non ha essa subìto qualche radicale modificazione, o ceduto il posto ad un’altra legge per la quale i nostri ghiacciai rimangano stazionari, se pure non debbano nuovamente avanzarsi?

Il poter rispondere in modo sicuro a queste domande equivarrebbe a predire quale sarà l’avvenire del nostro paese. Mancante di due dei principali fattori della ricchezza nazionale, il ferro ed il carbone, l’Italia spera un prospero avvenire in due altri elementi: l’acqua ed il vino70; questo quale esplicazione della massima potenzialità agricola del nostro paese ed in ispecie della sua parte peninsulare; quella sotto un triplice aspetto, cioè: quale mezzo di comunicazione per i commerci (navigazione marittima e fluviatile), quale coefficiente necessario all’agricoltura (irrigazione), ed infine quale produttrice di forza motrice. Sotto quest’ultimo aspetto, le condizioni dell’Alta Italia sono eminentemente propizie in grazia della perennità dei suoi fiumi dovuta appunto ai ghiacciai alpini, i quali per conseguenza non soltanto sono serbatoi d’acqua, ma sono dei provvidenziali accumulatori di forza viva. E chi è che non veda quale immenso avvenire sia riserbato alla nostra regione, specialmente cogl’imprevedibili e stupefacenti progressi dell’elettrotecnica?

Ma che cosa accadrà di tutto ciò, se in un tempo anche assai lontano verrà a mancare la prima fonte delle sognate ricchezze, se verranno a mancare i ghiacciai? Certo, anche nella peggiore ipotesi, occorreranno molti secoli perchè ciò possa avverarsi, e noi non lo vedremo. Ma se un secolo è spazio di tempo enorme nella vita degl’individui, nella vita delle nazioni non sono trascurabili le scadenze assai maggiori, anche se di molti secoli.

Molto probabilmente l’ingegno e l’attività umana troveranno altri generatori di forza, altre trasformazioni di energie; ma sarà necessario un profondo e generale mutamento nelle condizioni di cose quali noi possiamo ora prevedere.

Ecco pertanto pienamente giustificato, non soltanto dal lato puramente scientifico, il movimento di attenzione, di indagini, di studi che in questi ultimi anni si è manifestato ed è andato accentuandosi circa i fenomeni glaciali.

II

Un fatto accertato è quello dell’alternanza, a periodi di tempo più o meno lunghi, del movimento di ritiro con quello di avanzamento dei ghiacciai alpini. La durata di questi periodi non è ben nota, tanto più che varia assai da luogo a luogo. Un altro punto rimane a chiarire; se cioè queste oscillazioni nella lunghezza dei ghiacciai siano di ugual valore tanto nel verso positivo quanto nel negativo, epperciò si compensino, oppure se le singole ritirate non siano d’entità maggiore degli alternanti avanzamenti, per cui continui a verificarsi la legge generale del ritiro dei ghiacciai iniziatosi dopo la massima espansione glaciale.

Pare e si ritiene che quasi tutti i ghiacciai alpini abbiano subìto un notevole regresso nel venticinquennio 1850-1875, e si ritiene anche che da quest’anno vada operandosi invece un nuovo moto d’avanzamento, come si è verificato per più di 50 ghiacciai alpini.

Le nostre poche osservazioni fatte sui ghiacciai del gruppo del Gran Paradiso versanti le loro acque nella Valle di Cogne non ci confermano per generale tale stato d’avanzamento, e dobbiamo concludere che se «questo ultimo quarto di secolo segna una delle tanti fasi d’avanzamento dei ghiacciai»71, le valli di Cogne costituiscono un’eccezione.

I ghiacciai che abbiamo particolarmente visitato e circa i quali abbiamo eseguito misure, segnalazioni o fotografie, sono il ghiacciaio nord-ovest di Lavina nel vallone di Bardoney; il ghiacciaio d’Arolla e quello di Valeille nel vallone omonimo; i ghiacciai di Money, di Grand Croux, della Tribolazione e dell’Herbetet in Valnontey; in alcune vedute panoramiche abbiamo pure fotografato quelli di Patrì e di Valletta.

Il sistema adottato per fissare il limite della fronte dei ghiacciai osservati, è quello di croci scolpite nella viva roccia e colorate con minio; dove ci fu possibile abbiamo, con due o più croci in linea retta ed a conveniente distanza, stabilito l’allineamento passante per detto limite; dove ciò non fu possibile l’allineamento l’abbiamo indicato con una croce scolpita da una parte del ghiacciaio, notando qualche vetta od accidentalità montuosa ben riconoscibile colpita dalla visuale dell’allineamento. In ogni caso poi abbiamo cercato di disporre gli allineamenti passanti per lo estremo limite dei ghiacciai il più che potemmo in direzione perpendicolare all’asse dell’ultimo tronco inferiore dei singoli ghiacciai. Ad ogni segnale abbiamo dato un numero d’ordine, a volte scolpito, a volte soltanto dipinto con minio, e vi abbiamo inoltre scritto il millesimo e le iniziali dei nostri nomi—D.P.—anche queste con lo scalpello ove potemmo. Per rendere poi più facilmente ritrovabili nell’avvenire i nostri segnali, abbiamo avuto cura di richiamare su di essi l’attenzione del cercatore con freccie od altri segni ben visibili dipinti con minio nelle roccie circostanti. Tutte le nostre osservazioni poi facemmo nel mese di agosto.

Con noi avevamo sempre le carte topografiche dell’Istituto Geografico Militare alla scala di 1:50.000 e gli ingrandimenti al 25.000, la carta foto-topografica del Paganini e quella annessa alla guida «The Mountain of Cogne» dei sigg. Yeld e Coolidge. Quest’ultima, e per la sua scala (1:97.000) e per il modo con cui è disegnata, serve soltanto per fissare nettamente i fatti orografici salienti, ed è poi specialmente preziosa per la nomenclatura delle punte, creste e colli. La carta al 50.000 dell’I. G. M., levata nel 1881 e 1882 (così sta scritto in due copie della stessa tavoletta) e punto modificata posteriormente, ed il suo ingrandimento al 25.000 sono assai ricche di particolari, ma sono tutt’altro che prive di difetti e sono poi troppo deficenti per ciò che riguarda la rappresentazione dei ghiacciai. La carta infine del Paganini è una riproduzione fedele del vero, è accuratissima in ogni minimo particolare non solo di roccia, ma anche di ghiacciaio, e le coscienziose curve di livello e le numerose quote la rendono si può dire opera perfetta; l’unica cosa che rincresce si è che questa carta non sia ultimata e maggiormente estesa.

Avevamo pure con noi un barometro aneroide per la determinazione di alcune differenze di livello; ma disgraziatamente ben poco ce ne potemmo servire perchè uno dei tanti piccoli accidenti di montagna lo pose ben presto fuori servizio. Ci servimmo infine di un tacheometro per eseguire alcune operazioni topografiche, e per collegare alcuni punti di determinazione importante con quelli della rete geodetica italiana; ci spiace però che, per un complesso di circostanze sfavorevoli, non abbiamo potuto fare di tali collegamenti quel numero che avremmo desiderato.

Ghiacciai di Lavina

Due sono i ghiacciai di Lavina, il nord-ovest ed il sud-ovest, il quale ultimo è anche il maggiore. Noi, per il crestone ovest, discendemmo sul ghiacciaio di nord-ovest calandoci dalla vetta alla quale eravamo saliti per la cresta nord, dopo aver risalito il vallone d’Acquarossa ed una discreta vedretta che ne riveste la parte superiore fino alla Bocchetta d’Acquarossa72. Questa vedretta non ci offerse nulla di notevole e tutti i suoi particolari ce la fecero ritenere attualmente stazionaria.

Il sopraddetto crestone diretto da est a ovest costituisce appunto la separazione fra i due ghiacciai di Lavina, dei quali quello a nord ci appariva più come semplice vedretta che non un vero ghiacciaio, ma a questa categoria dovemmo ascriverlo quando lo percorremmo. Ha una lunghezza orizzontale di 650 metri ed una larghezza massima di poco meno di 500 metri; la sua linea mediana di massima pendenza ha un andamento di poco oscillante intorno alla direzione sud-est—nord-ovest, con un dislivello massimo di 240 metri. Ha una bella morena frontale arcuata, recentissima, distante una ventina di metri dall’estremo limite inferiore del suo ghiaccio, e possiede pure belle morene laterali, specialmente la sinistra che è assai poderosa e molto regolare. La sua estremità inferiore è sopraelevata in media di più che 400 metri sul tronco del fondo del vallone corrispondente, e vi si discende dapprima per morene recenti di forme assai caratteristiche, e poscia per un deposito caotico morenico, franato in molti punti ed inciso in ogni dove dalle acque, e ricoperto da magro pascolo e stentati cespugli. Manifesta evidenti i segni di essere tuttora in regresso.

Prendemmo una fotografia del limite inferiore di questo ghiacciaio dalla morena laterale sinistra con visuale normale all’asse del ghiacciaio stesso, alle ore 15,30 del giorno 13 agosto, e scolpimmo il seguente segnale: +D.P. 95, colorato in minio e portante il N. 9 scritto semplicemente a minio, nelle rocce formanti la costiera che a nord incassa il ghiacciaio. La linea retta che unisce questo segnale al piede estremo della fronte del ghiacciaio passa per la marcatissima depressione che nella catena a sud-ovest forma il Colle di Arolla73.

 

Ghiacciaio di Money fra la Punta Cisseta e la Roccia Viva

Da una fotografia dell’ing. A. Druetti presa dall’estremità ovest della fronte del Ghiacciaio della Tribolazione.


Piede del Ghiacciaio di Grand-Croux con veduta del Ghiacciaio della Tribolazione

Da una fotografia dell’ing. A. Druetti presa da levante.


L’ora tarda ed il tempo male promettente non ci permisero di fare analoga segnalazione sul ghiacciaio sud il quale ha la sua linea di massima pendenza diretta da est ad ovest con una lunghezza orizzontale in quel verso di 925 metri; la sua larghezza massima è di quasi un chilometro ed il dislivello di 350 metri. Dal crestone sovraccennato potemmo osservare a volo d’uccello questo ghiacciaio il quale, salvo la mole maggiore, si trova nelle stesse condizioni di quello nord.

L’entità del loro detrito morenico, che pare sproporzionata alla potenzialità di questi due piccoli ghiacciai, si spiega colla natura delle rocce incassanti: gneiss tabulari eminentemente scistosi, calcescisti e calcari cristallini, nelle quali rocce la stratificazione molto accentuata con forte inclinazione favorisce la degradazione loro, i franamenti e le lavine.

67Virgilio F.: Di un antico lago glaciale presso Cogne in Valle d’Aosta, negli Atti della R. Acc. Scienze di Torino, 1886.
68Virgilio F., loc. cit.
69Baretti M.: Geologia della Provincia di Torino. Torino, F. Casanova, 1893, p. 352-53.
70Uzielli G. e Druetti A.: La Geologia e le sue relazioni con l’ingegneria italiana. Torino, 1890.
71Sullo studio del movimento dei ghiacciai: Relazione della Commissione nominata dalla Sede Centrale del C. A. I. nella “Riv. Mens.„ vol. XIV (1895) pag. 199.
72Santi F.: In Valle di Cogne, ecc., con appunti botanici, nella “Rivista Mensile del C. A. I.„ vol. XV (1896) num. 3.
73In altra pubblicazione daremo gli schizzi particolareggiati di tutti i segnali eseguiti e visuali adottate, allorquando avremo maggior copia di materiale raccolto.