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Bollettino del Club Alpino Italiano 1895-96

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Non contenti di questa conclusione i Crolliani ricorrono anche all’azione indiretta del raffreddamento così ottenuto (e della grande massa di ghiaccio che secondo loro esso doveva generare) sui venti e sulle correnti oceaniche, che dovevano essere perturbate e deviate in modo da aumentare ancora il raffreddamento stesso, con un concatenamento di cause e di effetti che si rincalzano vicendevolmente, contro i principii fondamentali della fisica e della fisiologia, secondo i quali ogni causa perturbatrice di uno stato d’equilibrio stabile provoca sempre in natura dei fenomeni secondari a difesa di questo stato.

Non è qui il caso di ripetere tutti gli argomenti addotti da Schiaparelli, Woeikof, Newcomb ed altri contro questa troppo ardita teoria. Assai recentemente il sig. E. P. Culverwell ebbe il merito di risollevare la questione in Inghilterra46, e la vivacità di polemica che le sue brevi osservazioni hanno suscitato47 dimostra quanto tenace sia in quel paese l’attaccamento a un’idea una volta accettata. L’argomento suo fondamentale fu già addotto dallo Schiaparelli; ma il sig. Culverwell, che certamente ciò ignorava, lo svolse in forma meglio accessibile al pubblico inglese. Egli dimostra che l’intensità della radiazione solare nel cuore di un inverno in afelio quando l’eccentricità dell’orbita terrestre era in un periodo di massimo era per ogni parallelo quella che è attualmente per un parallelo di 2° o 3° più a nord: così i paralleli 43°, 52°, 61°, 70°, ecc., ricevono ora nel giorno centrale dell’inverno la quantità di calore che in un periodo di grande eccentricità ricevevano i paralleli 40°, 50°, 60°, 70°. Ciò equivale a supporre, per usare il paragone che rese forse più accessibile l’argomento in Inghilterra, che se in Cornovaglia cadesse la quantità di calore solare che ora cade nella contea di York si dovrebbe avere in Inghilterra un’invasione glaciale48.

Tuttavia questo taglio radicale fatto ai calcoli del Crolliani non rimove interamente l’ipotesi fondamentale. Quei calcoli erano imposti dalla necessità di spiegare un raffreddamento fortissimo quale si credeva da Croll necessario a spiegare il fenomeno glaciale, ch’egli non ammetteva ancora d’origine alpina, ma riteneva dovuto esclusivamente alla permanenza delle nevi invernali. Ora che, come si è visto, il riallacciamento del fenomeno glaciale alle variazioni dei ghiacciai alpini ha ridotto a soli 4 o 5 gradi il raffreddamento necessario, la riduzione anche dei possibili effetti di un aumento di eccentricità potrebbe considerarsi piuttosto come un argomento in favore che un’obbiezione all’ipotesi di Croll.

Noi abbiamo veduto che le attuali alternative del clima rispondono a variazioni di meno di 1° nella temperatura media; non si può quindi escludere a priori che una variazione di parecchi gradi nella escursione annua della temperatura possa avere effetti climatologici straordinari. Il nodo dell’argomento sta nel dimostrare se questi effetti sarebbero appunto quelli che possono giustificare un’invasione dei ghiacciai alpini. Ora tutto il ragionamento da noi svolto fin qui porta a concludere negativamente: che cioè un aumento dell’escursione annua, rappresentato da una maggiore temperatura estiva, e da una minore temperatura invernale si dimostra, tanto in linea di fatto che in linea di teoria, favorevole non a una espansione ma ad un ritiro dei ghiacciai alpini.

In linea di fatto, perchè si è visto che le più recenti espansioni dei ghiacciai corrispondevano a periodi freddo-umidi del clima, nei quali l’escursione annua della temperatura dovette essere minore del suo valor medio; mentre i periodi di ritiro corrispondevano a periodi caldo-asciutti nei quali l’escursione annua della temperatura era maggiore della media.

In linea di teoria, perchè anche ammesso che un inverno di 2° o 3° C. più freddo del normale debba essere anche sensibilmente più nevoso (benchè un largo confronto dei climi attuali darebbe piuttosto una conclusione contraria), un aumento di 2° o 3° gradi nella temperatura estiva produrrebbe certamente uno scioglimento tanto più copioso dei ghiacci da consumare di gran lunga la maggiore provvista di nevi invernali.

Secondo il citato calcolo del sig. Culverwell l’effetto della variazione di eccentricità sarebbe inoltre tanto minore quanto maggiore è la latitudine: già a 70° Lat. esso sarebbe nullo49.

Anche questo parrebbe in contraddizione col fatto che l’invasione glaciale era assai più imponente fra 60° e 70° Lat. N., dove aveva i suoi centri principali di espansione, che nelle latitudini inferiori.

Di proposito deliberato non espongo che le obbiezioni alla teoria Crolliana emananti dalle più recenti monografie sull’argomento, senza ricordare tutte le altre, che il lettore può trovare facilmente nei trattati, come nell’Era glaciale dell’America del Nord di Wright e più vivacemente in quello strano lavoro dell’Howort sull’incubo glaciale50; le principali si trovano rapidamente riassunti anche nel mio libro.

Un’altra ipotesi astronomica tirata in campo a spiegazione del fenomeno glaciale, e alla quale le recenti scoperte e polemiche intorno alla possibilità di uno spostamento dell’asse terrestre, dànno sapore d’attualità, è quella che attribuisce il ghiacciamento europeo e nord-americano ad uno spostamento del polo artico verso l’Atlantico. Ma la geologia e l’astronomia protestano insieme contro la possibilità di un siffatto spostamento (che avrebbe dovuto essere di parecchi gradi) in un’epoca relativamente così recente. E il ghiacciamento di altre regioni della terra che sarebbero state per tale spostamento più vicine all’equatore lo esclude assolutamente anche con prova di fatto.

10. Veniamo finalmente al terzo modo con cui si può ottenere una diminuzione del calore solare alla superficie della terra: per effetto cioè di una diminuzione nella trasparenza dell’aria. Essa richiede una discussione più lunga e minuziosa.

 

Se il sole è allo zenith e la radiazione solare cade verticalmente, essa viene in parte assorbita e riflessa dall’atmosfera, e alla superficie della terra non ne arriva che una frazione che indicheremo con p: cioè se A è la costante solare (la quantità di calore solare ricevuta nell’unità di tempo e per unità di superficie ai limiti dell’atmosfera), la quantità di calore ricevuta per unità di tempo e di superficie al livello del mare sarà pA. Se lo strato d’aria attraversato fosse equivalente a due, tre…n volte lo spessore verticale dell’atmosfera si potrà immaginarlo diviso in tanti strati ciascuno equivalente a un’atmosfera, ognuno dei quali non lascierà passare che una frazione p del calore lasciato passare dai precedenti: al livello del mare arriveranno quindi rispettivamente delle quantità di calore

p × pA = p²A
p × p²A = p³A
p × pn-1A = pnA

In generale, se lo strato d’aria attraversato è Δ volte (dove Δ sia anche un numero non intero) lo strato atmosferico verticale, la radiazione solare dal limite dell’atmosfera al livello del mare viene diminuita nel rapporto di 1 a pΔ. Ora, quando il sole non è allo zenith, ma è discosto da esso di un angolo z, la sua radiazione deve attraversare uno spessore d’atmosfera Δ, che è assai approssimativamente misurato dalla secante di quell’angolo z (ossia da 1 diviso per il coseno di questo angolo), e quindi essa sarà ridotta nel rapporto di 1 a psec z. Ma anche se non fosse assorbito dall’atmosfera, ogni pennello di raggi solari che abbia la sezione di un centimetro quadrato, incontrando obliquamente la superficie terrestre ne sarebbe tagliata su una sezione più grande, sulla quale andrebbe distribuita la stessa quantità di calore; la quantità di calore ricevuta da un centimetro quadrato di superficie sarebbe quindi minore e precisamente essa sarebbe per unità di tempo non più la costante solare A, ma A cos z, secondo la nota legge del coseno. La quantità di calore solare che riscalda ogni centimetro quadrato della superficie terrestre quando il sole è alla distanza angolare z dallo zenith (o all’altezza 90°-z sull’orizzonte) è quindi:

A cos z · psec z

Questa quantità è in continua variazione su ogni parallelo della terra, per effetto del periodo diurno e del periodo annuo: le condizioni medie della temperatura di ciascun parallelo, in quanto dipendono dal calore solare, sono date però dalla somma totale ricevuta nell’anno, somma che fu calcolata per diversi valori di p in un lavoro non meno geniale che paziente di Angot51.

Si può immaginare che queste condizioni medie siano determinate da un sole fisso, avente una intensità radiante, fuori dell’atmosfera, Q, che sia presso a poco la terza parte dell’intensità reale, e che si mantenga a una distanza zenitale ξ, costante per ogni parallelo, ma variabile da un parallelo all’altro. Si possono calcolare questi angoli ξ corrispondenti ai varii paralleli e si ha


Di questa quantità media di calore solare, Q cos ξ psec ξ, che viene ricevuta dal suolo, una buona parte viene assorbita in lavori fisici (principale l’evaporazione), chimici, meccanici, fisiologici, ecc. e solo una piccola frazione a di essa rimane all’ufficio diretto di riscaldamento, cioè di innalzare la temperatura del suolo.

11. Perchè il suolo sia mantenuto ad una data temperatura, senza cioè nè riscaldarsi, nè raffreddarsi, è necessario che questa frazione di calore solare aQ cos ξ psec ξ faccia equilibrio alla quantità di calore che il suolo irradia verso il cielo.

Quando si dice verso il cielo non si intende già verso lo spazio planetario vuoto, ma verso tutta l’atmosfera visibile dal punto considerato del suolo, cioè verso una massa d’aria che per effetto del calore solare e terrestre assorbito, dei movimenti continui che la rimescolano, delle continue trasformazioni del vapor acqueo, ecc., ecc., irradia a sua volta verso la terra una certa quantità di calore, che compensa in parte la perdita che questa subisce per irradiazione. L’irradiazione del suolo si compie cioè come quella di un corpo in un vaso chiuso la cui parete interna abbia una data temperatura; la sua irradiazione vera è la differenza fra le irradiazioni assolute che il corpo stesso e la parete effettuerebbero nel vuoto indefinito.

Noi immagineremo perciò di sostituire all’atmosfera visibile dal punto considerato una superficie di nero fumo avente una temperatura tc, che chiameremo temperatura del cielo52, e tale, da sostituire nell’effetto radiante l’atmosfera stessa, e porremo che la radiazione del suolo verso il cielo sia proporzionale, secondo la legge di Newton, alla differenza tra la sua temperatura ts e la tc; sia cioè espressa da una espressione

(ts – tc)53

dove il coefficiente K (irradiazione unitaria) dipende non soltanto dalla natura della superficie irradiante, ma anche dalle condizioni dell’aria sovraincombente, che per varia purità e vario stato igrometrico può essere più o meno trasparente pel calore irradiato dal suolo. Sono notissime a questo proposito le esperienze di Tyndall sulla opacità dei vapori alle radiazioni termiche, e le conseguenze che egli ne trasse per spiegare i climi attuali e passati della terra, mediante l’azione protettrice che esercita l’aria umida o ricca di acido carbonico, rallentando o impedendo completamente la radiazione del suolo verso il cielo. Avremo quindi

(ts – tc) = aQ cosξ psecξ

ossia



la quale ci dice che la temperatura del suolo è mantenuta superiore alla temperatura del cielo di un numero di gradi che è proporzionale all’azione riscaldante del sole e inversamente proporzionale alla irradiazione unitaria del suolo. In questa radiazione unitaria noi dobbiamo distinguere due fattori, l’uno che dipende dalla natura della superficie, ed è il potere irradiante, rs; di questa: l’altro ms che dipende dalla trasparenza dell’aria. Si potrà scrivere cioè K = msrs; e mettendo quindi in vista, per lo scopo nostro speciale, nella formola precedente i coefficienti di trasparenza dell’aria si avrà



dove si è posto per semplicità



Fin qui si è considerata la superficie terrestre come solida; nel caso della superficie oceanica l’effetto della radiazione solare è assai più complicato, in causa della riflessione e rifrazione dei raggi, della loro penetrazione fino a profondità sensibile, del moto ondoso, della evaporazione, per non parlare dei movimenti convettivi, i quali possono considerarsi dell’ordine dei fenomeni meteorologici il cui effetto non può finora essere preso in considerazione. Noi possiamo però facilmente ammettere che anche la temperatura della superficie oceanica in quanto dipende dall’equilibrio delle radiazioni termiche, è esprimibile con una formola analoga alla precedente



12. Finora il valore di tc, c sono rimasti indeterminati, e fino a prova contraria si dovrebbero ritenere diversi fra loro e variabili da un punto all’altro della terra. Invece è facile dimostrare che la temperatura media del cielo si può approssimativamente ritenere costante per tutti i punti della terra, sia oceanici che continentali, al livello del mare54. La massa dell’atmosfera formerebbe cioè tutt’attorno al globo terrestre come un involucro a temperatura uniforme, che costituisce un vincolo di solidarietà climatologica fra tutte le regioni della superficie terrestre, per il quale non si può immaginare che varii sensibilmente e permanentemente la condizione termica di una regione senza che variino sensibilmente quelle di tutte le altre regioni della terra. Esso costituisce inoltre come un regolatore di tutte le variazioni di temperatura, poichè non si può ammettere che varii in modo generale e permanente la condizione termica al livello del mare, senza che varii la temperatura tc, ossia la condizione termica di tutta la massa atmosferica.

 

Viene così espressa in modo assai evidente la funzione regolatrice e conservatrice dell’atmosfera nella distribuzione del calore sulla superficie della terra, e viene anche messa in chiara luce la fallacia di Croll nel computare l’effetto di una variazione della distanza, e quindi della radiazione solare, a partire dalla temperatura dello spazio interplanetario, come se l’atmosfera non esistesse.

Potrà sembrare a prima vista sorprendente questa uniformità della radiazione termica dell’atmosfera su tutta la terra, ma la cosa può presentarsi come naturale quando si consideri che quest’azione radiante emana per la maggior parte dagli strati più elevati dell’aria dove il periodo annuo della temperatura è insensibile e dove ogni più piccola differenza orizzontale di temperatura viene rapidamente cancellata dai rapidi movimenti convettivi, non intralciati da alcun impedimento. Secondo un calcolo di Maurer anche la conduttività dell’aria pel calore sarebbe ivi, in ragione della immensa densità, immensamente maggiore che per l’aria a noi circostante55.

13. Ma torniamo alle nostre formole. Da esse si possono ricavare con facile procedimento56 due formole rappresentanti la temperatura dell’aria, l’una t1 sopra una superficie continentale, l’altra t0 sopra una superficie oceanica, sempre nella supposizione che non vi sia alcun scambio di calore per causa meteorologica. Esse ci rappresentano cioè quali temperature si osserverebbero su un globo terrestre, o interamente continentale o interamente oceanico, quando l’atmosfera o gli oceani fossero immobili.

Indicando inoltre con x la continentalità media di ogni parallelo, ossia la frazione del parallelo stesso che è occupata da continenti, la formola t = t0 + x(t1 – t0) ci dà la temperatura media di ogni parallelo nella attuale distribuzione di continenti e di mari; che se colla x si indica invece la continentalità di ogni singolo punto, ossia la frazione di temperatura teoricamente continentale che entra a determinare la temperatura del punto stesso (e che può facilmente esprimersi colla escursione annua della temperatura), la stessa formola ci dà la temperatura normale del punto stesso. In questo secondo caso è ammessa una reciproca influenza fra continenti e oceani, ma l’effetto delle correnti marine ed aeree, e delle influenze locali, non è valutato.

Siamo sempre, si dirà, assai lontani dal vero; ma si può verificare di quanto ce ne discostiamo e si trova che le differenze fra i dati delle nostre formole e i dati d’osservazione rispondono benissimo, in grandezza e distribuzione, agli elementi trascurati, in prima linea alle anomalie termiche prodotte dalle correnti marine ed aeree57. Alle nostre formole che esprimono le temperature solari, cioè quelle mantenute esclusivamente dall’equilibrio fra la radiazione del sole e quella della superficie terrestre, bisogna adunque aggiungere un termine di correzione, qui positivo e là negativo, esprimente l’effetto termico dei moti convettivi e degli agenti meteorologici. Questo termine, che è di parecchi gradi58, ha una grande importanza nella definizione del clima, ma noi non possiamo ammettere che esso possa variare se non varia la temperatura solare, che è il fattore primo e principale del clima. E ciò è tanto più vero se, invece della temperatura dell’aria, consideriamo la temperatura della superficie terrestre la quale, sia oceanica sia continentale, è meno soggetta a variazioni locali e accidentali non provenienti dal calore solare ricevuto e assorbito, essendo assai minore su di essa l’influenza dei movimenti dell’aria.

14. Torniamo adunque alle nostre formole




e vediamo quale effetto potrà produrre una variazione di p.

Questa non può immaginarsi disgiunta da una, variazione di ms, ma; variazione che assai probabilmente sarà conforme a quella di p, e ne attenuerà quindi gli effetti. Ma mentre l’effetto di una variazione generale nella trasparenza dell’aria è, per ciò che riguarda la radiazione terrestre, costante a tutte le latitudini, per riguardo alla radiazione solare esso va rapidamente crescendo colla latitudine.

Poniamo per esempio che per uno speciale intorbidamento dell’aria tanto il valore di p quanto quello di ms o di ma siano diminuiti di un decimo del loro valore: il rapporto (psecξ)/m all’equatore rimarrà invariato; ma fra 60° e 70° Lat., nel punto dove ξ = 60° e quindi sec ξ = 2, esso è ridotto dal valore primitivo p²/m, al valore



cioè sarà ridotto anch’esso di un decimo del suo valore primitivo.

Ad ogni diminuzione di questo rapporto deve corrispondere una diminuzione ad essa proporzionale della differenza ts – tc, o ta – tc tra la temperatura della superficie terrestre e la temperatura del cielo. Nel caso considerato, questa differenza sarà mantenuta invariata all’equatore, ma sarà ridotta di 1/10 presso il cerchio polare. Secondo le formole di Forbes le temperature medie dell’aria, e quindi con differenza di qualche grado in più quelle della superficie terrestre, sotto il cerchio polare, in una regione rigorosamente continentale (poniamo Werchojansk in Siberia) è -15° circa; mentre in una regione rigorosamente oceanica sarebbe 0°. Le differenze ts – tc, ta – tc sarebbero quindi, (posto tc = -45°), ora di 30° per le regioni più continentali e di 45° per le oceaniche; il raffreddamento prodotto tra 60° e 70° lat. da un intorbidimento dell’aria, che produca la diminuzione di 1/10 in ambedue i coefficienti di trasparenza, sarebbe quindi almeno di 3° nella regione continentale, di 4°,5 nella oceanica. Dico almeno perchè, raffreddandosi il suolo e l’aria degli strati inferiori su tutta la superficie della terra, dovrà diminuire anche la radiazione e la conduzione e ogni trasporto convettivo di calore verso la massa superiore dell’atmosfera, e quindi diminuire anche la temperatura del cielo tc: infatti anche nelle variazioni annuali questa segue in ogni paese un andamento parallelo all’andamento della temperatura degli strati inferiori. Il raffreddamento effettivo non sarà quindi soltanto del numero di gradi indicato, ma a questo va aggiunto il numero di gradi di cui si deve ritener diminuita la tc e che non possiamo dire quale possa essere.

Ma l’ipotesi che la trasparenza m per le variazioni terrestri varii proporzionalmente colla trasparenza p per le radiazioni solari, non è nemmeno la più probabile. Se la causa dell’intorbidamento atmosferico è, secondo la supposizione più spontanea, il vapore acqueo, probabilmente la variazione di m è proporzionalmente assai minore di quella di p, se pure non dobbiamo ritenere che essa è opposta a quest’ultima. È noto infatti che tra gli strati a immediato contatto col suolo e gli strati a qualche altezza vi è generalmente contrasto tanto nel periodo diurno che nel periodo annuo della umidità assoluta; le ore e la stagione più secche negli alti monti (ora notturne, inverno) sono quelle più umide al basso. Così si svolge una delle funzioni moderatrici del vapore acqueo, il quale si solleva negli strati alti durante le ore e la stagione più calde, temperando colla formazione di nubi la radiazione solare e lasciando più libera la radiazione refrigerante del suolo; si abbassa nelle ore e nella stagione più fredde lasciando più libere fino agli strati inferiori dell’atmosfera le radiazioni del sole e temperando la irradiazione refrigerante del suolo. Non è quindi assurdo supporre che ad una diminuzione di p corrisponda un aumento di m, e quindi una diminuzione ancor maggiore del rapporto


59 Tale supposizione pare contraddetta dal fatto che la radiazione del suolo in una notte nuvolosa è assai minore che in una notte serena, anche se presso terra l’aria è molto trasparente; ma io credo che il fatto debba piuttosto interpretarsi come effetto di un fortissimo aumento di tc. Lo strato di nubi forma infatti un cielo fittizio a una temperatura certamente assai maggiore di quella del cielo sereno (-45° in media, e assai meno d’inverno).


Noi vediamo adunque la possibilità di spiegare con una leggiera variazione della trasparenza atmosferica un raffreddamento di parecchi gradi tanto nelle regioni assolutamente continentali come in quelle assolutamente oceaniche.

Questo raffreddamento è, fino a 45° Lat. circa, maggiore sui continenti che sui mari; nelle latitudini superiori è maggiore sui mari che sui continenti. Fino a quella latitudine infatti i continenti sono più caldi dei mari, ed è quindi maggiore anche il raffreddamento sui continenti che sui mari; oltre 45° Lat. si verifica l’opposto. Nell’un caso e nell’altro però si attenua il dislivello di temperatura fra continenti ed oceani.

Così è verificata una delle condizioni caratteristiche dei periodi freddo-umidi, secondo la teoria di Brückner.

15. Quanto all’escursione annua non è qui il caso di svolgerne la teoria assai complessa nella quale si deve tener conto dell’azione regolatrice esercitata dagli strati immediatamente sottostanti alla superficie terrestre, attraverso ai quali penetra e sorte alternativamente il calore per propagazione conduttiva, e l’azione ammorzatrice degli agenti atmosferici, che generalmente variano in senso inverso della radiazione solare, attenuando i massimi tanto di caldo che di freddo. Un altro elemento di incertezza sembra debba trovasi nella temperatura del cielo, la cui variazione è in massima incognita; ma l’osservazione indicherebbe che questo elemento può essere eliminato, perchè la temperatura del cielo presenterebbe un periodo annuo perfettamente parallelo a quello dell’aria presso terra59.

Rimarrebbe così dimostrato che in ogni paese, pel quale i coefficienti di conduttività e di assorbimento del terreno siano dati e costanti, l’escursione annua della temperatura rimane espressa da due termini, l’uno proporzionale alla variazione annua della radiazione solare, l’altro esprimente l’azione moderatrice degli elementi meteorologici. Per la ragione tante volte ripetuta che i fattori meteorologici sono subordinati al fattore termico, non possiamo immaginare una generale diminuzione dell’escursione annua della temperatura senza immaginare una diminuzione nella escursione annua del calore solare, che deve intendersi come la causa prima di quella, e il cui effetto può soltanto essere modificato, ma non distrutto, da una conseguente variazione nei fattori meteorologici.

Ora, che una diminuzione nella trasparenza p dell’atmosfera debba portare necessariamente una diminuzione nel periodo annuo della radiazione solare che arriva alla superficie terrestre, lo dimostra presente la tabelletta tolta dal lavoro già citato del signor Angot. Essa ci dà le differenze fra le quantità di calore solare ricevute a varie latitudini nei due giorni solstiziali, estivo e invernale, in corrispondenza a quattro valori decrescenti della p, dato che la quantità ricevuta al limite dell’atmosfera in un giorno equinoziale all’equatore sia espresso da 1000.



Col decrescer di p le differenze diminuiscono, e tanto più quanto maggiore è la latitudine. In corrispondenza, debbono diminuire anche le variazioni annue della temperatura, il che è l’altra condizione caratteristica dei periodi freddo-umidi, secondo la teoria di Brückner.

16. Una terza conseguenza di una diminuzione della trasparenza atmosferica è un aumento nella differenza di temperatura dall’equatore ai poli. Abbiamo già veduto come il signor Brückner, dall’ipotesi che le oscillazioni del clima siano dovute ad oscillazioni nel potere radiante del sole, sia condotto alla conseguenza perfettamente opposta: secondo lui il dislivello termico dall’equatore ai poli deve essere minore nei periodi freddo-umidi che nei periodi caldo-asciutti. Le serie delle temperature tropicali non confermerebbero per sua stessa confessione tale conclusione, non accennando a oscillazioni più accentuate che altrove, ma egli ritiene che ciò dipenda dall’essere troppo sparse e incomplete; e come tali non permettono nemmeno una verifica dell’ipotesi nostra. Ma se dalle oscillazioni termiche quasi insensibili che contraddistinguono i periodi climatologici attuali noi passiamo a quelle che contraddistinsero l’era glaciale, io credo che i naturalisti saranno piuttosto proclivi ad accogliere l’ipotesi nostra. Quando alle nostre latitudini la temperatura media era di 4° o 5° minore dell’attuale, supporre che la differenza coll’equatore fosse minore equivale a supporre che nelle regioni equatoriali la temperatura media doveva essere di 7°, 8° o più gradi minore dell’attuale; supposizione ch’io non credo, per quanto ne so, che la flora e la fauna tropicale dell’êra postpliocenica giustifichino menomamente.

Ma ancor più difficile appare ad ammettersi l’ipotesi di Brückner se rimontiamo ancor più indietro alle epoche preglaciali, quando le alte latitudini circumpolari godevano, secondo le scoperte di Heer, di una flora assai ricca e sviluppata, incompatibile coll’idea dei ghiacci attuali; quando adunque le temperature a quelle latitudini dovevano essere di molti gradi superiori alle attuali. In quelle stesse epoche le regioni tropicali erano forse alquanto più calde di adesso, ma, secondo i testimoni della flora e della fauna confrontate colle attuali, la differenza doveva essere assai piccola. Vi doveva quindi essere un dislivello termico dall’equatore ai poli assai minore dell’attuale; e infatti la caratteristica principale di quelle epoche, per concorde attestazione di tutti i geologi, era una straodinaria uniformità climatologica, che sola può dar ragione della grande uniformità paleontologica. Ora, se le alternative geologiche dei climi debbono spiegarsi colla variabilità del sole, se p. es. i climi terziarii rispondevano a una maggiore intensità radiante dell’astro, il dislivello termico dall’equatore ai poli doveva essere assai maggiore dell’attuale e quindi se le regioni polari erano tanto più calde d’adesso, le tropicali dovevano avere temperature altissime, incompatibili con una flora e una fauna non molto diverse dalle attuali.

La maggiore estensione e reciproca connessione degli oceani avrà certamente contribuito a mantenere una maggiore uniformità, temperando specialmente, nelle regioni polari, i freddi invernali; ma non bisogna esagerarne gli effetti. La immensa oceanicità dell’emisfero australe impedisce forse la formazione e conservazione dei ghiacci antartici? Quanto all’artificio delle correnti marine ne ho già dimostrata la debolezza. E quanto al secondo degli argomenti del sig. Dubois, che attribuisce quella grande uniformità a una maggiore opacità dell’atmosfera, tutta la precedente discussione gli è contraria, dimostrando che così si arriverebbe all’effetto perfettamente opposto.

Invece, colla ipotesi di un aumento anche non molto forte della trasparenza atmosferica p, si spiegherebbe un aumento di molti gradi nelle regioni polari, mentre all’equatore si avrebbe una variazione appena accennata. Aumentando p ed m di un terzo del loro valore, t – tc rimarrebbe invariato all’equatore, mentre al cerchio polare crescerebbe di 15° in aperto oceano, di 10° nell’interno dei continenti. E nella supposizione che m varii meno di p, o varii in senso contrario a p, l’aumento di temperatura sarebbe assai maggiore, oppure basterebbe una variazione di p assai minore per produrre gli incrementi indicati di temperatura, che già bastano forse a spiegare le flore di Heer.

È vero che una maggiore trasparenza dell’aria avrebbe anche per conseguenza di aumentare l’escursione annua; essa porterebbe cioè calori estivi più forti degli attuali, ma anche rigori invernali assai maggiori, che sembrano incompatibili con uno sviluppo così singolare di piante superiori. Ma è a notarsi che tutti i fondi polari di piante fossili furono trovati in regioni litoranee (Islanda, Groenlandia, Grinnellandia, Arcipelago nord-americano, isole della Nuova Siberia), dove la variazione annua non poteva essere molto accentuata; doveva anzi essere minore dell’attuale, se la maggiore temperatura media dell’acqua e la minore estensione delle terre polari che sono ora i centri d’espansione degli icebergs, mantenevano, com’è evidente, assai più liberi di ghiacci la superficie del mare.

Nella Siberia orientale e nel Canadà, regioni ch’erano già continentali nelle epoche dell’eocene e del miocene, non si è trovato nulla di analogo a quelle flore. Il sig. Woeikof è d’avviso che ciò non sia effetto nè del caso nè di insufficiente ricerca, ma del fatto che l’inverno, non temperato dall’azione marina, doveva esservi assai rigido, da non permettere lo sviluppo di flore che pur attecchivano largamente a latitudini più elevate, ma in paesi litoranei60.

46In “Geological Magazine„, genn. e febbr. 1895.
47Vedi i numeri del “Nature„ del Dicembre 1895, Gennaio e Febbraio 1896.
48Schiaparelli, ponendo che l’oscillazione annua della temperatura sia proporzionale all’oscillazione della radiazione polare, trova che a Milano essa avrebbe dovuto essere in un periodo di grande eccentricità 30°,7 invece di 25° com’è ora e aggiunge: «Anche ammettendo l’improbabile ipotesi che l’aumento di 5°,7 non sia prodotto per nulla dall’incremento del calore estivo, ma tutto debbasi ad un maggior rigore invernale, noi avremo un clima non peggiore di quello che si osserva in tanti luoghi del nostro parallelo, ed ancor sempre molto lontano da quello che si richiederebbe per dare ai nostri paesi il carattere dello Spitzberg e del Groenland. «Si può anzi aggiungere che il clima del parallelo di 45° rimarrebbe ancora preferibile a quello che adesso corrisponde al 50° grado di latitudine. Infatti secondo il calcolo già accennato del sig. Meech i numeri esprimenti l’irradiazione presente sul parallelo 50° ai due solstizi sono 164 e 900, ambidue minori assai di 201 e 1025 che esprimono l’irradiazione sul parallelo di 45° nell’ipotesi dell’eccentricità 0,0473. Il clima di Milano non potrebbe neppure diventare quello di Praga o di Kiew.» (loc. cit., pagg. 919-920). E la differenza appare ancor minore se si tien conto della influenza ammorzatrice dell’atmosfera (Le cause dell’Êra glaciale, p. 157, Nota).
49A un risultato analogo egli arriva confrontando non più le radiazioni solari rispondenti al giorno centrale dell’inverno ora e quando si aveva l’inverno in afelio con triplice eccentricità orbitale, ma le radiazioni solari rispondenti al giorno medio dell’inverno attuale di 179 giorni e del supposto inverno glaciale di 199. Egli trova così che le latitudini di 40°, 50°, 60°, 70°, 80° e 90° dovevano fruire allora nel giorno medio invernale della radiazione che ora fruiscono le latitudini di 43°.3, 52°.4, 61°.7, 71°.3, 84° e 90°. Lo spostamento delle isoterme iemali corrispondente a queste variazioni sarebbe quindi tanto minore quanto maggiore è la latitudine. Il terzo modo di confronto istituito dal signor Culverwell tra la somma delle radiazioni di quei 199 giorni invernali, con quella dei 199 più freddi del nostro anno attuale non mi pare giustificabile in alcun modo, perchè 20 di questi ultimi che sono nel semestre d’estate (e hanno quindi una durata tanto maggiore quanto maggiore è la latitudine), non hanno termine di confronto tra i 199 del supposto periodo glaciale.
50Glacial Nightmare and the flood. London, 1893.
51Vedi “Annales du Bureaux Central Météorologique de France„ 1883, I.
52Se si ammette che anche da tutti i corpi celesti, visibili o invisibili, toltone il sole, arrivi alla terra una quantità di calore sensibile (che è misurata dalla temperatura di una superficie nera irradiante la stessa quantità di calore, detta temperatura dello spazio), anche questa radiazione deve intendersi compenetrata in quella rappresentata da tc. Ma le misure fatte fin qui di questa ipotetica temperatura dello spazio non reggono alla discussione (Vedi il mio libro: Appendice I), ed io accolgo finora l’opinione di Langley che la radiazione stellare è trascurabile.
53È noto che la legge esprimente la dipendenza della radiazione dalla temperatura fu formulata in vario modo, dopo Newton, da Dulong e Petit, da Rossetti, da Stefan ed altri. Ora è generalmente accolta come più conforme all’esperienza la legge di Stefan secondo la quale la quantità di calore irradiata da un corpo alla temperatura t verso un involucro solido alla temperatura tc è proporzionale alla differenza delle quarte potenze delle due temperature, riferite allo zero assoluto: (273 + t)4 – (273 + tc)4. Ma le esperienze di Maurer e le discussioni di Trabert hanno dimostrato che la radiazione notturna verso il cielo è espressa assai meglio dalla legge di Newton, alla quale del resto si riducono con sufficiente approssimazione anche le altre leggi, quando le temperature t, tc, contate dallo 0° ordinario, non siano molto elevate in confronto a 273°.
54Questo fatto si ricava dal confronto tra l’equazione che esprime l’equilibrio termico dell’aria con una notissima formola empirica di Mendeleef largamente verificata in regioni della terra assai remote l’una dall’altra. L’equazione accennata è, secondo i principii svolti sopra, mr (t – tc) + nr (t – ts) = S + V la quale ci esprime che la somma della quantità di calore irradiata da una particella d’aria a temperatura t verso il cielo [mr (t – tc)] e di quella irradiata verso il suolo o ricevuta dal suolo se negativa [nr (t – ts)], fa equilibrio al calore solare (S) assorbito dalla particella stessa e al calore portato o (sottratto) (V) dal fenomeni meteorologici; r è il potere assorbente dell’aria, m, n due fattori esprimenti la trasparenza pel calore irradiato dalla particella degli strati d’aria ad essa sovrastante e sottostante. S è piccolissima, perchè l’aria è quasi perfettamente permeabile pel calore solare, V si potrà trascurare generalmente, perchè gli effetti dei fenomeni meteorologici si compenseranno. Allora si ha approssimativamente che è del tipo della formola di Mendeleef dove p è la pressione barometrica nel punto considerato, P quella al livello del mare e T la temperatura dell’aria presso terra, che, nella media, è pochissimo diversa da ts. La formola di Mendeleef si può quindi considerare come espressione approssimata dell’equazione precedente, esprimendo che le frazioni di calore assorbite dai due strati d’aria sovrastante e sottostante alla particella (cioè 1 – m, 1 – n) sono proporzionali alle masse degli strati stessi, e che queste masse si ritengono proporzionali alle rispettive pressioni p (per lo strato superiore) e P – p per l’inferiore; che precisamente è: Di qui deriva che la tc coincide colla costante della formola di Mendeleef, è quindi costante, ed ha un valore prossimo a -42° C. Considerazioni secondarie porterebbero ad accettare un valore alquanto minore, prossimo a -45° C. Recenti misurazioni della temperatura negli alti strati dell’aria condurrebbero a valori ancor più bassi. È naturale che, quanto più alto è lo strato d’aria che si considera, tanto più basso dev’essere il valor medio di tc che se ne deduce.
55Il valore di tc se si può ritenere, almeno all’ingrosso, costante per tutti i punti allo stesso livello, deve naturalmente diminuire coll’altezza, perchè portandoci in alto lasciamo sotto di noi, e sottraggiamo quindi alla massa d’aria a noi sovrastante, al nostro cielo, gli strati più bassi che sono anche i più caldi, perchè più direttamente riscaldati dal suolo. È questa una delle cause della diminuzione della temperatura coll’altezza; altra, e forse principale, è la rapida diminuzione del coefficiente (vedi ) di trasparenza dello strato d’aria sottoposto al punto considerato, ossia, secondo la formola di Mendeleef, della pressione p, mentre m + n (ossia P) rimane presso a poco costante, perchè nello stesso tempo aumenta la trasparenza m dell’aria sovrastante.
56Vedi nota al paragrafo precedente.
57Tale verifica ci porterebbe troppo lontani dal nostro argomento: rimando per essa alla Sezione II della mia monografia, non senza notare però che l’ipotesi glaciale, che sarà proposta in seguito, non è affatto subordinata alle proposizioni di dettaglio svolte in quella Sezione, ma si appoggia esclusivamente sulle formule fondamentali qui addotte, la cui attendibilità non parmi discutibile.
58Le temperature medie dei paralleli si scostano al massimo di 4° C. dai numeri teorici: le temperature locali si scostano ancora dai dati della formola (anche se in questa si pongano le temperature t0 t1, dedotte dalla formola empirica di Spitaler, per x = 0, x = 1, dove l’azione media degli agenti meteorologici è già valutata) di un numero di gradi generalmente compreso fra +4° e -4°.
59Fu osservato da Wilson, poi da Parry e Scoresby e da Pouillet, e confermato dal Melloni, che un corpo esposto durante la notte all’azione di un cielo egualmente puro e sereno si raffredda sempre della stessa quantità qualunque sia la temperatura dell’aria, cioè tanto d’inverno che d’estate. Ciò vuol dire che la differenza t – tc è presso a poco costante nel periodo annuo.
60Geologische Klimate (Petermann’s Mittheilungen, nov. 1895).