La Fine Del Cammino

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VICTORIA

Un minuto. Ecco quanto devo aspettare per scoprire se questo mese sono finalmente riuscita a rimanere incinta. Appoggio il lungo aggeggio bianco sul lavandino di marmo e mi siedo sul water, mentre aspetto.

Carlos è andato con il suo migliore amico, Javier, a un barbecue di campagna. Ultimamente progetta delle uscite con lui e con gli altri suoi amici, soprattutto la domenica. Credo che si senta un po’ in ansia, come me. E anche frustrato.

Sono mesi che cerchiamo di diventare genitori e, non so perché, non ci siamo ancora riusciti. Il dottore dice che sembra che vada tutto bene ma non posso fare a meno di pensare che probabilmente è colpa mia. Non sono più tanto giovane e, a 35 anni, queste cose iniziano a complicarsi.

Il minuto è trascorso e il Predictor segna NEGATIVO.

Ripongo lo strumento nella sua scatola e lo butto nella spazzatura, mentre cerco di controllare le lacrime, ma non ci riesco e scoppio a piangere come una bambina. Mi sfogo per qualche minuto e alla fine, quando smetto di singhiozzare, la mia immagine mi guarda dallo specchio e si asciuga le lacrime. Se non mi muovo farò tardi a pranzo, con i miei genitori e le sorelle.

Salgo in macchina e metto in moto, guidando per le strade affollate della città fino alla casa dei miei genitori, dove sono cresciuta e che ho lasciato sette anni fa quando ho sposato Carlos. A quel tempo io e lui eravamo giovani e le nostre vite e il nostro futuro lavorativo non erano ancora stabili. Sapevamo di amarci e di voler stare insieme, ma non era ancora il momento di essere genitori. Ora finalmente ho un lavoro che funziona e che è costato a me e mio marito un mucchio di impegno e dedizione. Troppo, per poterci occupare anche di un bambino. Carlos, dal canto suo, l’anno scorso ha finalmente ottenuto la tanto attesa promozione in banca. È un momento perfetto per la nostra vita ma, chissà perché, il nostro più grande desiderio ci viene negato, mese dopo mese.

Parcheggio proprio sotto casa dei miei genitori: in questo quartiere c'è sempre posto perché è residenziale, con piccoli negozi e strade ampie dove tutti i condomini hanno il proprio posto privato, lasciando così parcheggi liberi in strada ai visitatori.

Spengo il motore e, dopo un'ultima occhiata al mio aspetto, scendo.

La mamma mi accoglie sulla porta con un ampio sorriso, e l'aria profuma del buonissimo pollo arrosto che sicuramente sta per essere tolto in forno.

"Ciao cara." mi saluta, e io l’abbraccio con affetto.

Per me quella donna dalle guance rosee, la figura tonda e il sorriso affettuoso è sempre stata il pilastro su cui mi sono appoggiata, lo specchio in cui ho voluto guardarmi e il mio riferimento per diventare un giorno madre anch’io.

Le rispondo con un sorriso triste, che non mi arriva agli occhi.

"Cosa c'è che non va, tesoro? - mi domanda, anche se indovina già la risposta prima ancora che io risponda. - Negativo? Di nuovo?"

Faccio di sì con la testa.

Entriamo insieme in casa e la mamma chiude la porta. In soggiorno ci sono mio padre e Vera, la mia sorellina, che se ne stanno seduti sul divano a guardare il telegiornale. Li saluto con un bacio sulla guancia. Mio padre, che non è mai stato un tipo perspicace, non si accorge del mio infelice stato d'animo, ma Vera sì, e mi punta addosso gli occhi azzurri con sguardo compassionevole.

"Non preoccuparti, prima o poi accadrà." mi dice.

Non rispondo. So che lei conosce queste cose più di chiunque altro, è infermiera e lavora proprio nel reparto maternità e neonatologia presso l'ospedale universitario della città. Malgrado ciò, non riesco a credere alle sue parole. Forse perché è la mia sorellina.

"Dov'è Violeta?" domando.

"E’ in ritardo, come al solito." risponde mia madre dalla cucina.

Il cibo è pronto, la tavola è apparecchiata e tutti aspettiamo con impazienza che la mia stupida sorella faccia finalmente la sua comparsa per iniziare a mangiare. Certo… Violeta è così, una donna leggera e, a volte, anche un po’ egoista.

Pochi minuti dopo suona il campanello del citofono che annuncia l'arrivo di Violeta. Ci sediamo tutti a tavola e iniziamo a mangiare. La mamma serve il vino a papà e ci riempie i piatti di insalata, buonissima.

"Carlos non è venuto?" mi chiede Violeta.

"È andato a un barbecue." le rispondo.

"Beh, avresti potuto andare con lui – dice – Hai bisogno di staccare la spina e prenderti una pausa.".

So che lo dice con affetto, in quel suo strano e bizzarro modo di dimostrarlo, ma oggi non sono dell'umore giusto per interpretare senza acredine le sue parole.

"Certo ... sei un esperta in queste cose." rispondo.

"Che vuoi dire? "

"Niente. "

"Farò finta di non aver sentito - esclama, riempiendosi il bicchiere di vino - so che chi sta parlando è la tua sindrome premestruale."

Faccio per rispondere, ma papà mi ferma.

"Smettetela, ragazze - dice, con calma - Violeta, non stuzzicare tua sorella."

Lei impreca sottovoce, ma non parla più. Qualche attimo di silenzio e mio padre ricomincia a parlare.

"Vera, come va il lavoro?" domanda.

La cocca di casa posa la forchetta nel piatto con gesto compunto. Le guance le si fanno rosse. È assurdo quanto la mia introversa sorellina sia timida anche con la sua famiglia.

"Tutto ok, papà – risponde, con quella sua voce dolce e melodiosa - il prematuro nato la settimana scorsa continua a migliorare."

"Povera creatura! – esclama la mamma – È incredibile quanto sia progredita la medicina. Qualche anno fa un bambino del genere non sarebbe sopravvissuto".

"È vero."

"La sua mamma non sta nella pelle dalla gioia." continua Vera.

"Ci credo!" risponde mia madre.

Questo genere di conversazione mi dà sui nervi.

"Potremmo parlare di qualcos'altro, per favore?" le interrompo.

"Oh! Certo, tesoro! - dice la mamma – Scusa.

Violeta fa uno strano rumore mentre beve e mi viene la voglia di risponderle per le rime, ma mi trattengo. È meglio ignorarla, quando diventa così odiosa.

Dopo un altro silenzio imbarazzato, i nostri genitori iniziano a parlarci del viaggio che hanno programmato per la settimana prossima, in occasione del loro anniversario. Visiteranno le isole greche e così per fortuna, la conversazione si fa più distesa e interessante. Il resto della giornata trascorre senza problemi e, dopo aver preso una fetta di torta e un caffè, Violeta ci dice che se ne va. Decido di tornare a casa anch’io. Magari Carlos è già lì, e sarebbe bello cenare insieme e farci un po’ di coccole, prima di andare a dormire.

***

È martedì e questo è l'ultimo appuntamento programmato di oggi. Di fronte a me, sulle poltrone del mio ufficio, siede una coppia di mezza età che ha difficoltà a superare la sindrome del nido vuoto.

Hanno tre figli. La donna, casalinga tipica che ha dedicato tutta la sua vita alla casa e ai figli, non riesce ad accettare la nuova fase della sua vita. L'uomo, da parte sua, in pensione anticipata, ha difficoltà ad adattarsi al fatto che non dovrà più alzarsi ogni mattina per recarsi al lavoro. Erano decenni da quando i due non si trovavano soli in casa, e ciò li ha trascinati a litigare e a farsi dispetti di continuo...

"Per oggi abbiamo finito - Dico loro, cercando di non far trasparire la mia noia - Non dimenticate quello che ci siamo detti la volta scorsa: trovatevi un hobby che piaccia ad entrambi e scoprirete che è bello trascorrere il tempo insieme. Ci vediamo la settimana prossima."

I due mi ringraziano per il tempo che gli ho dedicato e lasciano il mio ufficio in silenzio. Dovrei aggiornare la mia relazione sui risultati di quest’ultimo appuntamento…ma in verità mi scoccio di farlo. Lo farò domani ...

Raccolgo le mie cose e mi preparo per tornare a casa. Forse oggi potrò finalmente passare del tempo con Carlos, visto che domenica è tornato così tardi che io mi ero già addormentata sul divano, e in questi ultimi due giorni lui è stato molto impegnato col lavoro. Abbiamo avuto a malapena il tempo di scambiare qualche parola, ma ho tanto bisogno di starmene un po’ con lui. Credo sia arrivato il momento di fare quella fecondazione assistita.

"Ci vediamo domani, Sole!" saluto la mia collega, mentre sto per andarmene.

"Aspetta, Victoria! - mi ferma lei, proprio sulla soglia - Domani alle cinque hai un nuovo appuntamento."

Sole è una donna di qualche anno più grande di me, separata e con un figlio quasi adolescente che sta praticamente sempre con l'ex marito. La sua vita si riduce a questa attività che gestiamo insieme e alla sua passione per il fitness. Ama andare in palestra e infatti viene sempre al lavoro con la sua borsa da palestra pronta...

"Va bene." sospiro.

"Ti lascio un promemoria sulla tua scrivania, ricordati di leggerlo prima di ricevere il nuovo cliente. "

Faccio un cenno col capo ed esco.

Quando, poco dopo, entro in casa, mi rendo subito conto che Carlos è tornato ed è uscito di nuovo. Ultimamente trascorre molto tempo al lavoro e torna tardi a casa. Lascio le mie cose in camera da letto e mi cambio il vestito, per stare più comoda. Decido di preparare una succulenta cena casalinga, di sicuro gradirà mangiare qualcosa di più elaborato, una volta tanto...

Mi do da fare in cucina per quasi un’ora. Il risultato è una minestra dall’odore delizioso e un pesce al forno davvero appetitoso.

Soddisfatta, mi verso un bicchiere di vino bianco e aspetto seduta al tavolo della cucina. Sono già le nove e mezza, si sta facendo tardi. Che fine ha fatto Carlos?

 

Dieci minuti dopo sento la chiave nella serratura e finalmente lui appare sulla soglia della cucina. Mi saluta dalla porta, sembra stanco.

"Hai preparato la cena." dice.

"Pensavo che avremmo potuto farci una bella cenetta, e chiacchierare un po’." rispondo.

Mi alzo e vado da lui, gli poso un piccolo bacio sulle labbra, ma lui si scosta quasi subito.

"Scusa, ma prima voglio farmi una doccia, tesoro." si giustifica.

"Va bene, ma sbrigati che la cena si raffredda."

Carlos va in bagno e io continuo ad aspettare con il mio bicchiere di vino quasi vuoto. In quel momento il suo cellulare squilla dalla tasca della giacca, che è appesa all’attaccapanni dell’ingresso. Vado a prenderlo, forse si tratta di una comunicazione di lavoro, ma non appena lo trovo smette di suonare. Chiamata persa.

Appoggio il telefono sul tavolo della cucina e, dopo neanche un minuto, ecco che squilla di nuovo. Questa volta si tratta di un messaggio di testo. Sullo schermo appare la scritta: "AuroraUfficio". Mi innervosisco, qualcosa dentro di me mi urla di guardare quel messaggio, anche se so che non è una bella cosa spiare. Tuttavia, sento che devo ... Allungo la mano e apro il messaggio premendo con il pollice. Leggo.

«Non dobbiamo più farlo, so che sei sposato ed è sbagliato. Meglio lasciare le cose come stanno.»

VERA

«Le mani forti di Lord Gavin si strinsero intorno alla vita sottile di Sofia, che si sentì sia spaventata che eccitata dalla violenta aggressione. La sua terribile timidezza e l’incredibile inesperienza la scuotevano, con la potente attrazione che le labbra di quell’uomo esercitavano su di lei. Moriva dalla voglia di scoprire se il suo sapore sarebbe stato dolce come nei suoi sogni, e non dovette aspettare troppo a lungo per scoprirlo. Lord Gavin si chinò su di lei e intrappolò la sua morbida bocca in un bacio devastante che accese in lei il desiderio, come se fosse un incantesimo. Tra le siepi del giardino della Contessa, la giovane debuttante e il più famoso farabutto dei Lord, soggiacque alla passione. Una passione che era nata nello stesso momento in cui i loro occhi si erano incrociati per la prima volta nella sala da ballo...»

Sospiro, chiudo il libro e lo rimetto nella borsa che pende dalla sedia su cui sono seduta, nella sala relax delle infermiere. Nonostante sia forse l'ennesimo libro di questo genere che leggo, non mi stanco mai di amori cortesi, di storie piene di romanticismo e passione che vivo attraverso le parole scritte. Anche perché è l'unico modo in cui riesco a viverle.

Con le farfalle che ancora mi svolazzano nello stomaco finisco di mangiare il panino che ho preparato questa mattina a casa. Quando ho il turno di guardia non ho tempo per tornare a mangiare, anche se il piccolo monolocale in cui vivo è a venti minuti a piedi dall'ospedale. Di solito non succede mai niente, ma non si può prevedere quando ci sarà un'emergenza che richieda l’aiuto di un'infermiera, quindi è meglio che resto in sala relax e continuo a leggere.

In quel momento, mentre sto dando un’occhiata a ciò che è avanzato della mia colazione, sento un fragore di voci e di risate che dal corridoio raggiunge la stanza in cui mi trovo. Saranno le mie colleghe che si scambiano gli ultimi pettegolezzi. Non è che non abbia un buon rapporto con loro, ma in genere non mi fanno partecipe delle loro chiacchiere, perché hanno capito che tanto non m’interessano e che di solito passo il periodo di pausa con la testa tra le pagine dei miei libri. Però stamane sembrano un po’ troppo eccitate, e questo stuzzica la mia curiosità.

"Che succede?" chiedo, anche se la mia voce è così bassa che sono costretta a schiarirmi la gola e ripetere la mia domanda quasi gridando.

"Ah! Non lo sai? – mi risponde Laura, una donna sulla quarantina con i capelli rosso mogano che si dipinge le labbra con una matita troppo scura per i miei gusti – Si tratta di Sara. La nostra Sara si sposa!"

Sara fa un sorriso a trentadue denti e mi si avvicina. Mi porge una busta dorata con dentro un invito al suo matrimonio. Lei è un po' più grande di me, probabilmente è sulla trentina, ma è venuta a lavorare in ospedale nello stesso periodo in cui ci sono venuta io. Mi è sempre stata simpatica, anche se non abbiamo mai parlato tanto, e ignoravo che le piacessi al punto da invitarmi al suo matrimonio.

"Mi farebbe molto piacere se venissi, Vera. - mi dice - Dopotutto, passo così tanto tempo qui che ormai tutti i miei colleghi sono diventati degli amici."

"Grazie Sara, - rispondo, sinceramente grata - è molto gentile da parte tua."

"A proposito – aggiunge - puoi portare un compagno. Voglio che sia una festa in grande stile! "

Abbiamo trascorso il resto della nostra pausa discutendo dei preparativi per l'evento e parlando del futuro marito di Sara, il dottor Sierra, uno dei migliori chirurghi dell'ospedale e forse del paese. È evidente che sono due persone così dedite al lavoro che non hanno molta vita sociale, al di fuori di queste mura, quindi questo evento coinvolgerà praticamente tutto l’ospedale. In quel momento, una delle guardie di sicurezza mette la testa dentro la stanza e si rivolge direttamente a me.

"Vera, il dottor Navas vuole che gli porti non so quale analisi." mi dice dalla porta.

La mia pausa è terminata da cinque minuti, quindi lascio le mie compagne, che continuano a parlare dell'imminente e affollatissimo matrimonio di Sara, e mi dirigo verso il laboratorio per ritirare i risultati delle analisi che ha richiesto il ginecologo.

Non mi piace andare nei laboratori perché il responsabile, Roberto, è un uomo sulla quarantina a cui, per qualche strana alchimia, io piaccio. Forse qualsiasi altra donna ne sarebbe lusingata, anche se il corteggiatore in questione non è per niente attraente, ma io non solo non gradisco le sue attenzioni ma mi sento anche molto a disagio. In generale, mi sento sempre in difficoltà, quando devo avere a che fare con i maschi, ma quando cercano di corteggiarmi è anche peggio. Per fortuna non succede spesso.

A malincuore prendo l'ascensore fino al piano dove si trovano i laboratori. Odio anche gli ascensori, ma almeno quelli dell'ospedale sono belli ampi.

Prima di entrare nella segreteria del laboratorio lancio un’occhiata in giro. Non vedo il responsabile da nessuna parte e tiro un sospiro di sollievo, però ho bisogno che qualcuno mi consegni le analisi e quindi aspetto qualche minuto finché, purtroppo, appare Roberto.

Un ampio sorriso illumina il suo brutto viso. Ha i denti giallastri e il suo naso è troppo grande per risultare equilibrato con tutto il resto. È alto, ma è anche grosso e sembra stia pure ingrassando.

"Buongiorno, cosa posso fare per te oggi, dolcezza?" mi chiede.

"Ho bisogno dei risultati delle analisi di Navas."

"Sì, subito."

Lentamente si mette il camice bianco che pende da un attaccapanni e inizia a cercare le analisi che gli ho chiesto. Speravo che lo facesse rapidamente e in silenzio, ma oggi sono sfortunata.

"Hai sentito del matrimonio tra il dottor Sierra e Sara? - mi chiede, mentre fruga tra le carte. – Ci divertiremo un sacco e possiamo anche portarci un partner. Non so quanta gente ci sarà, se oltre ai colleghi ognuno si presenterà accompagnato. Tu hai qualcuno con cui andare? "

"Non saprei…" rispondo, pregando che non mi faccia la domanda che so che mi sta per fare.

"Se non hai un accompagnatore, potremmo andare insieme."

"Beh…"

Non so cosa rispondere, come faccio a rifiutare senza offenderlo? Non voglio essere scortese, ma la verità è che preferirei andare da sola, o anche non andare affatto, ma di certo non presentarmi con lui. Vorrei non dover rispondere, ma è evidente che lui si aspetta che dica qualcosa, quindi tiro fuori la prima cosa che mi viene in mente."

"Mi dispiace, ma c’è qualcuno che mi accompagna."

"Oh, okay - risponde un po’ deluso, anche se non smette di sorridermi con i suoi denti gialli. – Comunque, se cambiassi idea…"

"Certo. "

Alla fine mi porge le analisi e io mi precipito fuori. Finalmente in ascensore, tiro un sospiro di sollievo. Pericolo scampato! L’ascensore si ferma al reparto di ginecologia e ostetricia e io sto per dirigermi verso l'ufficio del dottor Navas, quando qualcosa mi fa quasi inciampare.

Mi scontro con un ragazzo, alto e robusto, e le cartelle con i fogli mi cadono di mano e si sparpagliano sul pavimento. Prima ancora di vedere in chi mi sono imbattuta mi chino per raccoglierli, perché sarebbe un disastro se ne perdessi anche solo uno.

Poi delle mani grandi si uniscono alle mie nella ricerca e non posso fare a meno di alzare lo sguardo, proprio mentre dei meravigliosi occhi azzurri incrociano i miei. Di fronte a me c'è un ragazzo, indubbiamente bello, con un viso che sembra scolpito da un artista greco e un sorriso che mi lascia senza fiato.

"Mi dispiace molto, non ho guardato dove mettevo i piedi." dice.

"No ... io ... uh ..."

Quando devo scambiare qualche parola con degli estranei offro proprio uno spettacolo pietoso, e se si tratta di uomini piacenti…beh, è ancora peggio. Decido di rimanere zitta e in silenzio raccogliamo tutti i fogli. Faccio per andarmene con un sorriso, quando quello mi trattiene.

"Sono davvero spiacente." ripete.

"Non fa niente." mormoro, senza guardarlo in faccia.

"Mi chiamo Alejandro." si presenta, e mi tende una mano in segno di saluto.

Non posso fare altro che stringerla, anche se sono scossa da tremiti di nervosismo così forti che è impossibile che questo Alejandro non se ne sia accorto. Che figura!

"Come ti chiami? "

"Vera. "

"Vera l'infermiera. "

Involontariamente scoppia in una risatina bonaria. La sua battuta mi conquista e, prima che possa trattenermi, alzo lo sguardo e incrocio di nuovo i suoi occhi azzurri.

"È un piacere fare la tua conoscenza, ma tanto ormai ci vedremo spesso. Sono interno del primo anno, quindi passerò la maggior parte del mio tempo in questo ospedale. " mi dice.

"Sì, anch’ io... anch’io passo molto tempo, qui."

"Allora a presto, Vera l'infermiera."

Alejandro mi lascia, ma non prima di avermi rivolto un altro smagliante sorriso, ed io sconvolta mi avvio verso l’ufficio del dottore, cercando di ricordare come si fa a respirare normalmente.

Dopo aver lasciato le carte nell'ufficio di Navas, mi rifugio in bagno. È ancora troppo presto per fare il giro delle stanze dei pazienti, quindi forse potrei leggere qualche altra pagina del mio libro. Tuttavia, le mie colleghe sono ancora lì a ridacchiare come galline di abiti da sposa, fiori e banchetti. Resto fuori della porta delle infermiere, senza decidermi ad entrare, quando sento pronunciare il mio nome tra le chiacchiere.

"Oh, è un po’ strana, secondo me non è una buona idea invitarla alla festa di addio al nubilato. – stava dicendo Sara – Non vorrei che mi rovinasse la festa! "

"Dai, invitala, magari ci farà fare qualche risata!"

"Pensate che verrà accompagnata da qualcuno, al matrimonio? " chiede Laura, senza rivolgersi a qualcuno in particolare.

"Non credo ... Sta sempre rintanata in ospedale, dubito che abbia degli amici e sicuramente non ha uno straccio di fidanzato! "

"È una tale bamboccia, poverina."

"Sai come si dice: se continui a tenere la testa sui romanzi, ti ritroverai a vestire i santi!" ridacchia Sara.

Mi sento rodere da un incredibile senso di umiliazione mescolato ad una rabbia gigantesca: come osavano parlare così di me?

Senza riflettere, piombo nella stanza e le fisso tutte a testa alta, anche se in realtà non mi sento così coraggiosa da affrontarle. Loro si girano all’unisono verso di me, si sentono scoperte e smettono subito di ridacchiare. Leggo sui loro volti la vergogna per essere state colte in fallo.

"Vera ... Noi ..." prova a giustificarsi Laura.

"No, non preoccuparti – la interrompo – Comunque vi sbagliate. Non solo verrò con qualcuno, al matrimonio, ma se mi volete sarò felice di partecipare anche alla festa di addio al nubilato! "

Loro restano sorprese dalle mie parole e fanno per rispondere quando si accende la luce rossa di chiamata da una delle stanze. Si alzano tutte insieme ed escono a vedere cosa vuole il paziente. Salvate dalla campanella.

Non so come ho potuto mentire con tanta sfacciataggine, ma l'ho fatto, e mentre mi avvio verso le stanze del reparto mi chiedo in cuor mio come farò a mantenere la promessa e a non rivelarmi come la brutta bugiarda che sono.