Delitti Esoterici

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Parcheggiata l'auto accanto alla Porsche Carrera, ci avviammo verso l'ingresso di casa Della Rosa. Non c'era campanello elettrico, ma solo una corda legata a una campana. Non feci in tempo a tirare la corda, perché l'uscio si aprì e apparve la bionda Aurora in vesti succinte, una canottiera rosa e una cortissima gonna di jeans.

«Ho percepito il vostro arrivo» disse. «Accomodatevi, oggi è una giornata splendida, limpida, e se mi seguirete sulla terrazza potrete ammirare una stupenda panoramica sulla valle Argentina e sulle montagne che segnano il confine con la Francia.»

«Ottimo» dissi, strizzando l'occhio a Mauro. «Io sono un'appassionata di montagna e adoro i bei paesaggi!»

Ci condusse sulla terrazza, da cui in effetti si godeva una splendida vista.

«Posso offrirvi una delle mie tisane rilassanti? Credo proprio che ne abbiate bisogno!»

«Vada per la tisana, purché non sia troppo rilassante» risposi. «Possiamo rientrare in salone per goderci questa bevanda, signora Della Rosa?»

«Certo, accomodatevi. Ritorno tra pochi istanti.»

Sparì in cucina. Non si poteva presentare occasione migliore, ma dovevamo essere veloci per non farci sorprendere. Mentre io davo uno sguardo ai libri e alle porcellane sugli scaffali, Mauro si dava da fare con maniglie e oggetti,quali posacenere e soprammobili, per rilevare qualche impronta digitale. La mia attenzione si posò su un antico vaso di porcellana bianco e azzurro con scritto in caratteri gotici “Shepenn rosso”. Ne sollevai il coperchio e vidi che conteneva una specie di tabacco. Ne presi un pizzico e lo misi in una bustina di plastica trasparente.

«Potrebbe essere droga» sussurrai a Mauro. «Con questo nome in Oriente, nell'antichità, veniva indicato il papavero da oppio.»

Quando Aurora rientrò con tre tazze di tisana fumante dal forte odore di menta, sia io che Mauro stavamo di osservare incuriositi il contenuto degli scaffali. La tisana era assai delicata e aveva davvero un effetto rilassante. Finito di bere dalla sua tazza, la strega decise di accendersi una delle sue sigarette. Strano a dirsi, ma l'aroma del fumo della sigaretta non mi infastidiva, anzi ne ero attratta.

«Vedrà, dottoressa Ruggeri, che uno di questi giorni ne fumerà una insieme a me.»

«Non credo proprio, non ho mai fumato in vita mia e non penso che inizierò a quasi quarant'anni. Piuttosto, vorrei chiederle il significato del pentacolo disegnato su questo spettacolare pavimento. Ho studiato la simbologia e i simboli esoterici, ma qui ne vedo alcuni che non conosco. Riconosco il simbolo dello spirito, al centro, le otto linee che prendono origine da un punto e si irradiano verso i punti cardinali, gli stessi indicati dalla rosa dei venti.»

«Brava, Dottoressa. So che lei è ferrata in materia. Vede, lì dovrebbe aleggiare ancora lo spirito della mia ava Artemisia, bruciata al rogo in un giorno particolare del 1589. Il palo a cui era legata sembra fosse infisso nel terreno proprio in quel punto preciso. Gli altri simboli indicano ciò che accadde dal punto di vista astrale nello stesso giorno. Era l'equinozio di primavera, il 21 Marzo, era una notte di luna piena e in quella notte ci fu un eclissi totale di luna.»

«Sì, comincio a dare un'interpretazione ai simboli. Però, da quello che ho appreso, le streghe di Triora non furono bruciate. Furono imprigionate, torturate, processate, condannate, ma l'esecuzione non ebbe mai luogo, in quanto il Doge di Genova si oppose.»

«E questa è la versione ufficiale, secondo la quale la mia ava e le sue quattro affezionatissime seguaci morirono in prigione a Genova. Ma forse non andò proprio così. Lei è abile e scoprirà la verità. Non sarò io a raccontargliela.»

Avvicinò molto il suo viso e i suoi occhi al mio volto e mi sbuffò del fumo in faccia. Abbassai lo sguardo, per non guardarla dritta negli occhi, e mi ritrovai ad ammirare le sue gambe perfette, snelle, allungate, senza ombra di cellulite. In quel momento, con mia meraviglia, provai un forte desiderio sessuale nei suoi confronti. Osservavo le sue labbra vicinissime alle mie e avevo voglia di unirmi a lei in un bacio appassionato. Cercai di scacciare i pensieri che mi turbavano e feci un passo indietro per allontanarmi da lei.

Strega ammaliatrice , pensai dentro di me. Ma come fa ad avere certi poteri?

Ci congedammo da lei e ritornammo all'auto. La giornata stava volgendo al tardo pomeriggio ed era ora di rientrare in sede.

«Ho come l'impressione di essermi persa qualcosa. Guardando l'orologio, mi rendo conto che è passato più tempo di quello di cui ho avuto la percezione materiale!» dissi a Mauro appena usciti all'aperto.

«Solo un po'? Quella strega ti ha incantato di nuovo. Ti ha parlato in una lingua incomprensibile, mentre tu la ammiravi dalla testa ai piedi. A un certo punto ho pensato che vi sareste baciate. Però io ho approfittato della situazione per raccogliere qualche altro elemento, che poi ti mostrerò. La strega era talmente concentrata su di te e sulle parole che stava declamando che non ha fatto caso a me. Avrei potuto slacciarle quell'insulsa gonnella di jeans, lasciandola in mutande, e neanche se ne sarebbe accorta. Adesso guida tu, io voglio avviare subito qualche piccola ricerca sul computer di bordo.»

Non appena staccai la frizione e pigiai il pedale dell'acceleratore, la Lamborghini scattò in avanti come un cavallo imbizzarrito tenuto alle redini da un cavaliere inesperto. Mauro, concentrato sul display del computer, sembrò non far caso al mio stile di guida, che dopo qualche istante adattai alle caratteristiche dell'auto. Capii che dovevo assumere un'andatura moderata, tenendo il piede destro appena appoggiato sul pedale dell'acceleratore, così da non provocare brusche impennate alla velocità. Dopo qualche minuto di silenzio, in cui Mauro era concentrato sul computer e io sulle curve della strada maledetta, il mio collega proruppe in un esclamazione.

«Bingo! Qualcosa lo abbiamo trovato. La maggior parte delle impronte digitali che ho rilevato appartengono alla padrona di casa. Per il confronto ho acquisito una sua impronta dalla tazza in cui ho bevuto la tisana. Nei database non risulta alcuna corrispondenza delle impronte di Aurora con quelle di criminali schedati. E fin qui, direi, niente di nuovo. Però ho un'impronta sul vaso di porcellana contenente il tabacco e un'altra sulla maniglia della porta d'ingresso che hanno rispondenza con individui schedati. E indovina un po'! La prima è di Larìs Dracu, la rumena di cui si sono perse le tracce venti anni fa. La polizia rumena aveva a suo tempo arrestato la giovane come presunta sediziosa e l'aveva schedata. Dopo la caduta del regime comunista, anche i database della polizia segreta furono resi accessibili e quindi ho avuto accesso al dato. In ogni caso la scheda è stata aggiornata in seguito, in quanto era stata segnalata la fuga dal paese di questa donna, descritta come pericolosa criminale, addirittura potenziale assassina, e le foto segnaletiche erano state inviate a tutti i posti di controllo frontalieri d'Europa. Le ultime notizie su di lei risalgono all'estate del 1989, quando riuscì a passare sotto il naso di un doganiere italiano, all'aeroporto internazionale di Fiumicino, sotto il falso nome di Clarissa Draghi. Con falso passaporto italiano, si imbarcò su un volo diretto a Kathmandu. Dopo pochi giorni il doganiere, guardando la foto segnaletica che aveva attaccata davanti a sé, notò la forte somiglianza con la ventenne che era transitata di lì e avvertì la polizia nepalese, la quale avviò delle ricerche. In Nepal furono rintracciati gli sherpa che avevano accompagnato lei e la sua compagna di viaggio fino al confine cinese, ai limiti della regione del Tibet. Gli sherpa dissero che avevano aspettato invano per tre giorni il loro ritorno. Pertanto, se le due donne non erano state arrestate dalla polizia di frontiera cinese, si erano perse tra le montagne, trovando morte quasi certa.»

Distraendomi un po' dalla guida, ma senza permettere alla Lamborghini di prendermi la mano, proruppi in un'esclamazione.

«E invece morta non è, se abbiamo le sue impronte qui dopo venti anni!»

«Già. Ma veniamo all'altra impronta, che corrisponde a tale Stefano Carrega, il giornalista genovese scomparso nel 2000 qui a Triora insieme a due suoi colleghi. Classe 1949, negli anni '70 risultava iscritto alla facoltà di Lettere e Filosofia a Bologna. Fu arrestato durante una manifestazione studentesca. Accusato di rissa, violenza nei confronti di una sua compagna di università, resistenza a pubblici ufficiali e detenzione illegale di armi, in quell'occasione fu schedato. Non ha altri precedenti.»

«Beh, quelli erano i cosiddetti anni di piombo. E quindi anche lui è in zona ed è a stretto contatto con la signora Della Rosa! Ma siamo sicuri che siano impronte recenti? E credi che questi elementi siano sufficienti a convincere il dottor Leone ad autorizzare una perquisizione della casa di Aurora?»

«Di sicuro le impronte non risalgono a venti anni fa, in quanto non sarebbero più evidenziabili. Che questi indizi siano sufficienti ad autorizzare una perquisizione, ne dubito, però ci stiamo immettendo in una strada che da qualche parte ci dovrebbe condurre. Inoltre, ho fotografato con il palmare una delle scaffalature, dove c'è qualcosa che non mi convince. Ora scarico via bluetooth la foto sul computer e la ingrandisco per osservarne i dettagli. C'è una fessura che fa pensare a una specie di porta nascosta, forse un passaggio segreto. Ho provato a tirare o spingere lo scaffale, ma non accade nulla.»

«Sarà presente un meccanismo di cui solo Aurora è a conoscenza! Figuriamoci se poteva essere così semplice!»

«Sì, forse, o magari non c'è nulla ed è solo una mia impressione. L'ultima cosa che ho notato, mentre tu eri imbambolata davanti a lei, è stato un notebook acceso. Mi sono trattenuto a stento dall'inserirci una chiavetta USB, per scaricare i dati. non ho messo in atto il mio proposito solo per paura che, da un momento all'altro, Aurora si sarebbe girata e mi avrebbe sorpreso. Però sono riuscito a capire che il computer è connesso alla rete tramite una linea ADSL della Telecom e sono riuscito a memorizzare sia l'indirizzo IP, sia l'ID del computer, per cui non dovrebbe essere difficile accedere ai dati da un computer remoto.»

 

«Prima di stoccare un affondo ad Aurora, che potrebbe essere prematuro, voglio portare a termine l'esame di tutti gli elementi che abbiamo a disposizione, ma soprattutto ci tengo a visitare gli altri tre luoghi che non abbiamo avuto ancora modo di osservare: il Lago Degno, la fontana di Campomavùe e la Via Dietro la Chiesa. Sono convinta che potremmo trovarci qualche sorpresa.»

Continuai a guidare con prudenza il bolide, che sotto le mani di Mauro invece sfrecciava come una saetta, fino a raggiungere il distretto. Quando vidi parcheggiato lì avanti il furgoncino della Polizia Cinofila di Ancona, il mio cuore fece un balzo. Parcheggiai e scesi di corsa dall'auto, cercai con lo sguardo l'autista del mezzo e incontrai alfine il suo sguardo sorridente.

«Agente Bernardini! Mi hai portato Furia? Finalmente! Dov'è? Ancora dentro il furgone?»

«Buonasera dottoressa, e ben trovata, anche se la vedo messa ancor peggio di quando lavorava con i nostri cani. Ma da dove viene, da un percorso di guerra, da una prova di sopravvivenza? No, il suo Furia non è nel furgone, l’ho sistemato nel box in cortile, l’ho già rifocillato e ho lasciato acqua a disposizione. Lo troverà in perfetta forma! Ora, se non le dispiace, vado a riposare un po' prima di riprendere la strada del ritorno.»

«Ti ringrazio, agente, e salutami tutti giù in Ancona.»

«Certo! Sentiamo molto la sua mancanza dottoressa. A presto!»

Ricordavo bene il giorno in cui l'ispettore Santinelli, che era anche un cacciatore, aveva portato con sé un cucciolo di Springer Spaniel, figlio di una sua cagna.

«Ho provato questo cane, ha un fiuto eccezionale ma ha un grosso difetto, ha paura degli spari, per cui non è adatto alla caccia. Tu, Caterina, non hai un cane tutto tuo. Ha sei mesi, è un maschio, è in perfetta salute e regolarmente vaccinato. L’ho chiamato Furia, perché è sempre in attività, non si acquieta mai, insomma è un vero terremoto. Tienilo tu, sono sicuro che con le tue capacità farai di questo cane un vero fenomeno!»

Avevo accettato la sfida e sistemato Furia nell'unico box vuoto. Sapevo che lavorare con un cane così non sarebbe stato semplice ma, dopo qualche mese,ero riuscita a dominare la sua esuberanza. Gli avevo insegnato a obbedire a semplici comandi, che aveva appreso senza difficoltà, dopo di che mi ero dedicata a lavorare sul suo fiuto.

Avevo anche fatto visitare Furia da Stefano, che aveva confermato essere un cane in perfetta salute, resistente alla fatica fisica e dal fiuto eccezionale.

«Vedrai, ti darà enormi soddisfazioni! Questo deve essere il tuo cane, non lo affidare a nessun’altro e vedrai che campione ne verrà fuori!»

E in effetti, Furia mi avrebbe riservato grandi soddisfazioni e non me ne sarei mai separata per alcun motivo. Era per questo che, prima della partenza, non avendo intenzione di farlo viaggiare all'interno della stiva di un aereo, avevo organizzato per lui un viaggio a parte, con la complicità di uno dei miei fidati collaboratori delle unità cinofile.

A quel punto, non potei evitare di correre subito in cortile e subire le feste e le leccate affettuose di Furia. Mi gettai in terra e gli permisi di venire sopra di me, abbracciandolo e rotolandomi per gioco insieme a lui, col risultato di rendermi ancor più lercia di quanto non fossi già.

Quando salii di sopra, lungo i corridoi incontrai diversi sguardi, stupefatti dal modo in cui ero conciata. Mi venne incontro Laura, con un pacco di fogli in mano, che rappresentava il risultato delle sue ricerche. Mauro, d'altra parte, mi informava che erano pronti i primi risultati dell'autopsia, che il medico legale aveva bisogno di parlarmene, e che avevamo inoltre a disposizione i risultati degli esami della scientifica.

«Datemi un attimo di tempo per sistemarmi. Ci vediamo tra dieci minuti nel mio ufficio.»

Mi diedi una rinfrescata veloce, mi cambiai gli abiti luridi ed entrai nella mia stanza ancora intenta a rifinire il mio trucco, osservando il mio viso nello specchietto dell'astuccio del fard. A un certo punto notai, riflesse dallo specchietto, le scritte che avevo tracciato sul grosso foglio bianco quella mattina.

«Ma certo, come non averci pensato prima?» fu la mia riflessione. «ENOMOLAS ID IVRES, letto da destra a sinistra diventa SERVI DI SALOMONE. Quindi la setta fa rifermento al Re Salomone, uno dei pilastri della religione ebraica.»

Qualcosa era sfuggito alla strega, durante la prima delle nostre conversazioni, su Salomone, ma io non avevo approfondito il discorso, perché pensavo che mi stesse fuorviando. Forse l'avrei dovuta lasciar parlare. Ricordavo bene che uno dei testi più importanti a cui fanno riferimento le sette esoteriche è la “Chiave di Salomone”. In quel momento squillò il telefono. Era la dottoressa Banzi, il medico legale, a cercarmi.

«Mi scusi, Commissario, ma vista l'ora tarda e visto che, nonostante i miei messaggi, lei non mi ha richiamato, ho pensato di riprovare prima di andare a casa. Le ho mandato un primo rapporto sull'autopsia, ma ci tenevo a parlarle di persona.»

«Mi dica pure. Cosa ha scoperto di interessante?»

«La vittima era una donna fra i trentacinque e i quarant'anni ed è morta a causa del fuoco. La fuliggine nei polmoni prova che era viva quando il suo corpo è stato dato alle fiamme.»

«È stata bruciata viva, insomma. Che fine orribile!»

«Non sono state rinvenute altre lesioni sul cadavere, quindi ho pensato che sia stata stordita con dei sedativi o della droga, e questo lo sapremo nei prossimi giorni, se riusciremo a rilevarne qualche residuo dall'esame dei reni e del fegato. Il fatto che il cadavere sia carbonizzato rende tutto più difficile. Abbiamo un elemento, forse l'unico, che può farci risalire all'identità della vittima. Anche se la pelle è stata molto alterata dal fuoco, sulla gamba destra, nella parte interna del polpaccio, subito al di sopra del malleolo, si riesce a notare la presenza di un tatuaggio. Ho chiamato i suoi colleghi della scientifica per vedere se si riusciva, con i loro metodi, a visualizzare il disegno originale. Hanno fatto delle foto e mi hanno riferito che ci avrebbero lavorato. Poi le faranno sapere. È una cosa che non troverà nella mia relazione, ma ci tenevo a dirgliela. A presto dottoressa, e buonanotte!»

«Grazie di tutto, e buon riposo a lei.»

Uno dietro l'altra, entrarono nel mio ufficio Mauro e Laura.

«Mauro, già conosco i risultati dell'autopsia e ho parlato con il medico legale. Qualcosa di interessante sui rilievi della scientifica?»

«Qualcosa sì, direi. Il liquido infiammabile con cui è stato appiccato il fuoco è olio per lampade, una sostanza insolita, di uso non proprio comune. Per queste lampade, nell'antichità, come combustibile si utilizzava l'olio d'oliva, oggi si utilizza un derivato del petrolio a bassa densità, che produce meno fumo. Ci sono poche ditte che lo producono e sarà facile verificare se una di queste ne ha venduto un certo quantitativo qui in zona. L'altro elemento interessante è il tatuaggio. Con la spettrografia al computer, quelli della scientifica sono riusciti a visualizzare un tatuaggio, impresso nella gamba destra della vittima. Rappresenta tre libri affiancati avvolti da fiamme. Una particolarità? Sappiamo che Mariella La Rossa, la ragazza scomparsa nel 1997, aveva un tatuaggio identico nella stessa zona della gamba destra!»

«Quindi, come immaginavo, tra le due c'è un legame. E tu, Laura, che cos’hai da riferire?»

«Ho lavorato molto e ho trovato qualcosa di interessante. Sono stata su a Triora, prima all'ufficio anagrafe e poi al museo delle streghe. Purtroppo all'ufficio anagrafe non sono riuscita a ricavare molte notizie in quanto l'ufficio è stato informatizzato solo da pochi anni e i vecchi archivi cartacei sono stati distrutti più di una volta da incendi o da altre calamità, naturali e non. Della vecchia Aurora Della Rosa si sa che è nata il 21 marzo 1929. Gli archivi di quell'anno furono distrutti da squadracce fasciste che si erano scagliate contro l'ufficiale d'anagrafe del tempo, il quale si era dichiarato antifascista e si era rifiutato di tesserarsi al partito di Mussolini. La purga per lui fu inevitabile, e anche l'ufficio fu messo a soqquadro. Quello che non è scritto, ma che tutti a Triora sanno, è che Aurora portava lo stesso nome e cognome della sua ava, figlia di Artemisia De La Rose, la strega che aveva subito il processo alla fine del 1500 insieme alle sue compagne della Ca Botina. Di generazione in generazione, le primogenite femmine della famiglia hanno assunto il nome della propria nonna, e quindi il nome Artemisia si alterna a quello di Aurora. Ma ciò che più incredibile è che queste donne, nel tempo, hanno sempre mantenuto il cognome della madre, perché non c'era mai un padre a riconoscerle. In teoria, nel 1949 dovrebbe essere nata un'Artemisia Della Rosa, di cui non si sa nulla. In quell'anno, guarda caso, un incendio scoppiato nei boschi intorno Triora arrivò a distruggere alcune abitazioni in paese e, di nuovo, anche l'archivio comunale andò perso. Nel 1969, o giù di lì, secondo i miei calcoli, dovrebbe essere nata l'Aurora Della Rosa che conosciamo,.Gli archivi anagrafici del 1969, 1970 e 1971 sono spariti e l'attuale ufficiale d'anagrafe ne dà la spiegazione dicendo che il 1971 fu un anno particolarmente piovoso, alcune stanze del Comune si allagarono e molti documenti non poterono essere recuperati in alcun modo. I vecchi del paese ricordano Aurora con il pancione tra la fine del 1948 e l'inizio del 1949, si diceva in giro che la strega si fosse accoppiata con il diavolo durante uno dei Sabba notturni. Fatto sta che a fine gravidanza si ritirò in una grotta nel bosco. Ricomparve in paese solo dopo alcuni mesi e senza alcun figlio con sé, tanto che si diceva che avesse avuto un figlio maschio e che, come la tradizione di famiglia esigeva, lo avesse sacrificato al suo Dio prima del raggiungimento del sesto mese di vita. Nel 1989, la sessantenne Aurora scomparve e, dopo qualche tempo, comparve la sua nipote omonima. L'incredibile somiglianza con la nonna fece pensare ai più fantasiosi che Aurora avesse trovato il modo, con qualche magia, di ringiovanire, e che la persona che si presentava come la nipote fosse in realtà lei stessa. Altri avanzarono l'ipotesi che, quarant'anni prima, la strega non avesse ucciso il frutto del suo grembo, ma l'avesse tenuto nascosto o l'avesse fatto vivere lontano da Triora, anche perché il cadavere della creatura non fu mai rinvenuto. L'ipotetico figlio, o figlia, di Aurora avrebbe poi messo al mondo l'Aurora comparsa nel 1989. Il fatto che nello stesso periodo sia giunta dalla Romania una ragazza ventenne, allontanatasi poi con la sessantenne Aurora, avrebbe fatto venire in mente a qualcuno un'ipotesi assai bizzarra, e peraltro non confermata da alcuna prova. Qualcuno afferma che la figlia della vecchia Aurora, se vogliamo rispettare la tradizione e dire che era una femmina e magari si chiamava Artemisia, in qualche modo, aiutata da qualcuno, raggiunse la Romania e si stabilì in Transilvania. A vent'anni partorì due gemelle, Aurora e Larìs, che alla fine degli anni '80 decisero di ritornare in Italia, liberandosi della loro vecchia ava. Prima giunse Larìs, che la vecchia strega non poteva riconoscere come propria nipote, in quanto era mora e molto diversa, come caratteristiche somatiche, dalle appartenenti alla sua famiglia. La ragazza convinse la vecchia ad affrontare il pellegrinaggio in Tibet, dove quest'ultima perse la vita. La giovane Aurora avrebbe avuto così via libera per impossessarsi della casa di famiglia. Dopo molto tempo, evitando di rientrare in Italia con l'aereo e affrontando invece un lungo viaggio via terra, anche Larìs, con discrezione, ritornò a Triora e si riunì alla sua sorella gemella. Fatto è che più volte la bionda Aurora è stata vista in compagnia di una sua avvenente coetanea mora. Però, come ripeto, queste sono dicerie, raccontate in paese da alcuni fantasiosi abitanti.»

«Bene, Laura. Questa storia delle due gemelle, però, non è molto credibile a parer mio. E del processo alle streghe, che cosa mi racconti?»

 

Ascoltai distrattamente la versione ufficiale del processo, così come raccontata nei tabelloni esposti al pubblico all'interno del Museo delle Streghe di Triora. In pratica il processo si era concluso con la condanna delle cinque streghe, Artemisia e le altre quattro, che erano state salvate dal Doge di Genova, salvo poi morire di stenti durante la prigionia nelle carceri genovesi. Fui più interessata alla versione non ufficiale, raccontata dalla mia sveglia collaboratrice.

«Conosco un po' la lingua occitana per averla appresa dai miei nonni e dai miei genitori, altrimenti non sarei qui a raccontarle questa storia. Il podestà Stefano Carrega nel 1587 diede avvio al processo contro le streghe della Ca Botina, prendendo spunto da una carestia che, secondo lui, doveva essere imputata ai malefici praticati dalle streghe. In realtà anche lui era uno stregone e l'unica cosa che desiderava era assistere al rogo delle cinque donne, perché la potenza delle fiamme che avrebbe consumato quei corpi avrebbe trasferito i poteri di tutte e cinque su di lui, che sarebbe diventato uno dei più potenti maghi del mondo. Le cinque streghe rappresentavano infatti i cinque elementi fondamentali, acqua, aria, terra, fuoco e spirito, che, uniti, avrebbero dato, a chi li avesse posseduti tutti insieme, una potenza incredibile, sovrumana, l'avrebbero reso un Dio immortale. Il processo, con alterne vicende, durò più di un anno, e le povere donne accusate di stregoneria subirono le peggiori torture. Oltre a essere torturate con l'acqua, con il fuoco, con la corda, erano costrette anche a subire violenze sessuali da parte dei torturatori e dei carcerieri. Si dice che il Carrega stesso avesse abusato del corpo di Artemisia e che l'avesse addirittura violentata, lasciandola incinta, all'inizio dell'estate del 1588. Fatto sta che, mentre le cose volgevano al peggio per le streghe e già il Podestà pregustava odore di arrosto, il Doge di Genova, dietro pressione del capo del Consiglio degli Anziani del paese, tale Giulio Scribani, fece trasferire le streghe nelle carceri di Genova per una revisione del processo, che doveva essere fatta dall'Inquisitore capo. Quest'ultimo confermò la condanna per le cinque streghe di Triora, le quali furono trattenute in prigione con la promessa, da parte del Doge, che avrebbero avuta salva la vita. Ma, nel marzo 1589, Artemisia De La Rose, Emanuela Giauni, Viola e Alessandra Stella e Teresa Borelli furono rinvenute morte in cella. Si disse che erano decedute per le tribolazioni dovute alle torture loro inflitte e per gli stenti della prigionia. In effetti, i cadaveri trovati non erano delle donne in questione, che erano state rapite dietro ordine del Carrega e sostituite con altrettanti cadaveri di povere donne. Il Podestà, infatti, voleva a tutti i costi dar luogo all'esecuzione delle streghe.»

Laura andò avanti raccontando come erano andati i fatti nel giorno dell'esecuzione, di come ad Artemisia fosse stato indotto il parto e di come Giulio Scribani, capo del Consiglio degli Anziani, si fosse opposto a far uccidere tutte e cinque le donne. Di come, infine, Artemisia fosse stata bruciata pubblicamente, mentre le altre streghe fossero state marchiate con il tatuaggio dei tre libri avvolti dalle fiamme.

«Un tatuaggio a quei tempi?» chiesi incuriosita. «E proprio quel tatuaggio, quello che abbiamo scoperto avessero sia la nostra vittima, che Mariella La Rossa?»

A quel punto, intervenne Mauro.

«Certo, Caterina. La pratica dei tatuaggi è conosciuta fin dai tempi degli antichi Egizi. Le tecniche e gli strumenti erano diversi da quelli attuali, ma i risultati erano altrettanto efficaci. Pensa ai tatuaggi di pirati e corsari, o a quelli di appartenenti a tribù indigene dell'Africa o dell'Amazzonia. Il fatto che lo Scribani avesse ordinato che lo stesso tatuaggio fosse fatto a tutte le primogenite femmine delle discendenti di quelle streghe ci può aiutare a identificare la nostra vittima.»

«Proprio così» proseguì Laura. «Ho cercato anche di capire il significato di questo strano tatuaggio. I tre volumi sono quelli che gli iniziati alle arti magiche sono tenuti ad apprendere, il libro degli amuleti, quello degli incantesimi e dei sortilegi e quello delle invocazioni. Agli adepti che hanno raggiunto un certo livello viene praticato questo tatuaggio sulla parte interna della gamba destra, un libro più grande al centro e due più piccoli ai lati. Al tatuaggio delle streghe, che scamparono al rogo nel lontano 1589, furono aggiunte fiamme ad avvolgere i libri. È chiaro che la tradizione è stata mantenuta fino a oggi!»

Cominciavo a figurarmi nella mente quale fosse il piano dell'assassino, quali fossero state le sue precedenti mosse e quali sarebbero state le future. Pensavo che, nell'ipotesi che Aurora fosse l'assassina, si volesse vendicare delle discendenti delle quattro donne che avevano tradito la sua ava Artemisia e avevano fatto sì che lei fosse messa al rogo, mentre loro avevano avuto salva la vita. In questo caso le vittime dovevano essere quattro, ma finora avevamo un solo cadavere. In teoria la seconda vittima poteva essere Mariella La Rossa e la terza la giornalista, Giovanna Borelli. Mancava una vittima all'appello finale e il disegno dell'assassina si sarebbe completato. E se invece la colpevole non fosse stata Aurora Della Rosa? In questo caso, anche lei poteva essere in pericolo di vita, perché l'ipotetico assassino avrebbe potuto volere la morte di tutte e cinque le streghe. Ma chi poteva essere? No, i sospetti principali cadevano sulla strega Aurora. Mi resi conto che le mie riflessioni mi stavano distraendo dal discorso di Laura, che aveva iniziato a parlare di Mariella Carletti.

«Scusami Laura, puoi ricominciare da capo su Mariella, per favore?»

«Ma certo, Dottoressa, l'ora è tarda e capisco che siamo tutti stanchi. Vuole che riprendiamo domattina?»

«No, no! Vai pure avanti.»

«Stavo dicendo che ho chiesto informazioni alla Questura di Teramo. Domani saranno più precisi e mi invieranno tutto il materiale per posta elettronica, ma un collega si ricordava bene del caso. Mariella scomparve nel 1997, all'età di 26 anni. Il cognome Carletti non era il suo, ma quello della famiglia che l'aveva adottata da piccina, quando la sua vera madre era scomparsa in circostanze misteriose sul Monte Sibilla, dove si era recata con le sue due figlie gemelle per il rito di iniziazione alle arti magiche ed esoteriche. Il suo vero cognome è Stella e la sua sorella gemella si chiamava Anna Giulia. Le due bambine vivevano con la madre, considerata maga e guaritrice, in un paese dei Monti Sibillini, Montemonaco, in provincia di Ascoli Piceno. Le bimbe avevano otto anni quando furono condotte dalla madre in prossimità della grotta della Sibilla. Sembra che la donna sia entrata nell'antro e non ne sia più uscita. Le bambine vagarono sul monte per alcuni giorni prima di trovare la strada del ritorno. Siccome le ricerche della madre risultarono infruttuose, le piccole furono adottate da due famiglie distinte: Anna Giulia da una famiglia di Montemonaco e Mariella da una famiglia di un paesino del Teramano ai confini con le Marche, Sant'Egidio alla Val Vibrata. Da quel momento in poi, le bambine presero il nome di Anna Giulia Censori e Mariella Carletti. Un particolare importante è che, quando Anna Giulia e Mariella ritornarono dalla montagna, avevano entrambe un tatuaggio sulla gamba destra, quello che ormai conosciamo bene. Non dissero mai da chi e in quali circostanze fosse stato loro praticato, né mai raccontarono quello che era successo durante il rito di iniziazione e durante i giorni successivi. Forse erano state spaventate da qualcuno, o da qualcosa, e indotte a non parlare.»

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