Za darmo

Ora e per sempre

Tekst
Oznacz jako przeczytane
Ora e per sempre
Ora e per sempre
Darmowy audiobook
Czyta Manuela Farina
Szczegóły
Czcionka:Mniejsze АаWiększe Aa

Poi l’uomo fece un ampio sorriso, girò sui tacchi e se ne andò attraversando con calma il cortile.

Emily sbatté la porta così forte che tutta la casa vibrò. Guardò Daniel, persa e sbalordita, per scoprire che la preoccupazione nei suoi occhi era identica alla propria.

CAPITOLO DIECI

Emily stava lì in piedi, con il cuore che batteva, adirata. Trevor Mann l’aveva davvero fatta arrabbiare.

Ma riusciva a malapena a riflettere sulla sua rabbia, sulla visita di Trevor – perché la sua mente tornava alla lettera nella tasca posteriore dei pantaloni.

Alla lettera di suo padre per lei.

Allungò la mano e la prese, esaminandola con sbigottimento.

“Che idiota,” cominciò Daniel. “Credi davvero…”

Ma si fermò quando vide l’espressione di lei.

“Che cos’hai lì?” chiese Daniel corrucciandosi. “Una lettera?”

Emily abbassò lo sguardo sulla busta che teneva tra le mani. Insignificante. Bianca. Di dimensioni ordinarie. Sembrava così innocua. Eppure aveva così tanta paura di ciò che poteva contenere. La confessione di un crimine? La rivelazione di una vita segreta come spia, o come marito di un’altra donna? Perché non un biglietto d’addio prima del suicidio? Non era sicura di come avrebbe fatto i conti con la lettera se avesse contenuto le sue ultime parole, e non poteva neanche cominciare a immaginare la sua reazione se fosse stata una qualsiasi delle precedenti.

“È da parte di mio padre,” disse Emily piano, voltandosi verso di lui. “L’ho trovata chiusa a chiave con le sue cose.”

“Oh,” disse Daniel. “Forse dovrei andare. Scusami, non avevo capito…”

Ma Emily allungò una mano e la posò sul suo braccio in modo che stesse fermo. “Resta,” gli disse. “Vuoi? Non voglio leggerla da sola.”

Daniel annuì. “Andiamo a sederci?” La sua voce si era fatta più dolce, più premurosa. Fece un cenno in direzione della porta del soggiorno.

“No,” disse Emily. “Di qua. Vieni con me.”

Guidò Daniel su per le scale e attraverso il lungo corridoio che terminava con lo studio di suo padre.

“Fissavo sempre questa porta quando ero una bambina,” disse Emily. “Non mi era mai permesso di entrare. E guarda.” Girò la maniglia e aprì la porta. Stringendosi un po’ nelle spalle si voltò di nuovo verso Daniel. “Non era neanche chiusa a chiave.”

Daniel le rivolse un sorriso premuroso. Sembrava camminare sulle uova attorno a lei e lei ne capiva assolutamente la ragione. Qualunque cosa ci fosse nella lettera avrebbe potuto essere dinamite. Avrebbe potuto avviare una reazione catastrofica nel suo cervello, darle il capogiro, gettandola nella disperazione.

Entrarono nello studio buio ed Emily si sedette alla scrivania di suo padre.

“Ha scritto la lettera proprio qui,” disse. “Ha aperto questo cassetto. Ce l’ha messa dentro. L’ha chiuso a chiave. Ha nascosto la chiave in quella cassaforte. E poi se n’è andato dalla mia vita per sempre.”

Daniel si avvicinò una sedia e si sistemò vicino a lei. “Sei pronta?”

Emily annuì. Come una bambina spaventata che sbircia attraverso le dita durante un film dell’orrore, Emily riuscì a malapena a guardare mentre prendeva la lettera e ne strappava la cima. Fece scivolare fuori la carta dalla busta – era un semplice pezzo di carta da venti per ventisette centimetri, piegato a metà. Il cuore si mise a battere selvaggiamente quando la aprì.

Cara Emily Jane,

Non so quanto tempo sarà passato tra il momento in cui ti avrò lasciato questa lettera e quello in cui la leggerai. La mia unica speranza è che tu non abbia sofferto troppo chiedendoti di me.

Lasciarti sarà il mio rimpianto più grande, non ho dubbi. Ma non potrei restare. Spero che un giorno accetterai il perché, anche se non sarai mai capace di perdonarmi.

Ho solo due cose da dirti. La prima, e devi credermi quando lo dico, tu non hai avuto nessuna colpa. Non per quello che è accaduto a Charlotte, non per lo stato in cui si trovano tua madre e il matrimonio.

La seconda è che ti voglio bene. Dal primo momento in cui ti ho vista fino all’ultimo. Tu e Charlotte siete state i miei migliori contributi a questo mondo. Se non te l’ho mai fatto capire quando c’ero allora ti chiedo scusa, anche se scusa non sembra una parola abbastanza grande.

Spero che questa lettera ti trovi bene, in qualunque momento ti capiterà di leggerla.

Con tutto il mio amore,

papà

Con un milione di emozioni che le vorticavano nella testa, Emily lesse e rilesse la lettera, stringendola sempre più stretta. Vedere le parole di suo padre sulla pagina, sentire la sua voce nella testa che le parlava da vent’anni prima, fece sembrare la sua assenza più grande che mai.

Lasciò che la lettera le cadesse dalle dita. Volteggiò fin sul piano del tavolo, e le lacrime di Emily cadevano con lei. Daniel le afferrò la mano come implorandola di sfogarsi con lui, la preoccupazione che gli tagliava in due la fronte, ma Emily riusciva a malapena a far uscire le parole.

“Per anni ho pensato che mi avesse lasciata perché non mi voleva abbastanza bene,” balbettò. “Perché non ero Charlotte.”

“Chi è Charlotte?” le chiese Daniel con gentilezza.

“Mia sorella,” spiegò Emily. “È morta. Ho sempre pensato che incolpasse me. Ma non era così. Lo dice benissimo qui. Non credeva che fosse colpa mia. Ma questo significa che se non se n’è andato perché incolpava me per la sua morte allora perché se n’è andato?”

“Non lo so,” disse Daniel cingendole le spalle con un braccio e avvicinandola a sé. “Non credo che si possano capire pienamente le intenzioni di un’altra persona, né il perché faccia quello che fa.”

“A volte mi chiedo se l’ho mai veramente conosciuto,” disse cupa Emily sul suo petto. “Tutti questi i segreti. Tutto questo mistero. La sala da ballo, la camera oscura, che diamine! Non sapevo neanche che gli piacesse la fotografia.”

“A dire il vero, quello sono stato io,” disse Daniel.

Emily fece una pausa, poi si liberò dall’abbraccio. “Che vuol dire che sei stato tu?”

“La camera oscura,” ripeté Daniel. “Tuo padre l’ha organizzata per me anni fa.”

“Davvero l’ha fatto?” disse Emily tirando su le lacrime. “Perché?”

Daniel sospirò spostandosi. “Quando ero più giovane tuo padre mi ha beccato sulla sua terra. Stavo scappando di casa e sapevo che spesso voi non c’eravate. Avevo pensato di nascondermi nel granaio e che nessuno si sarebbe accorto di me. Ma tuo padre mi trovò. E invece di sbattermi fuori mi ha dato da mangiare e una birra” – alzò lo sguardo e fece un gran sorriso al ricordo – “poi mi ha chiesto da cosa stessi scappando. Quindi gli ho fatto tutto il discorso da ragazzino, hai presente. Sui miei che non mi capivano. Sul fatto che quello che io volevo per me e quello che loro volevano per me erano cose così diverse che era impossibile trovare un terreno comune. Ero fuori strada in quei giorni, cannavo a scuola, mi mettevo nei guai con la polizia per cose stupide. Ma lui rimase calmo. Mi parlò. No, mi ascoltò. Nessun altro lo faceva. Voleva sapere cosa mi piaceva. Io ero in imbarazzo, sai, a dirgli che mi piaceva fare foto. Quale ragazzino di sedici anni vuole ammettere una cosa del genere? Ma lui era così tranquillo con tutto. E disse che potevo usare il granaio come camera oscura. Quindi l’ho fatto.”

Emily pensò alle foto che aveva trovato nel granaio, alle immagini in bianco e nero che sembravano svelare la stanchezza dell’anima di chi le aveva scattate. Non avrebbe mai immaginato che il fotografo potesse essere un ragazzino, un giovane di sedici anni che pativa la sua vita domestica.

“Tuo padre mi ha incoraggiato a tornare a casa,” aggiunse Daniel. “Ma quando mi sono rifiutato, ha stipulato un accordo. Se avessi finito la scuola, mi avrebbe permesso di stare nella rimessa. Quindi per quell’intero anno sono venuto qui. Era diventato il mio santuario. Grazie a lui ho finito la scuola. Non vedevo l’ora di rivederlo, di dirglielo. Lo idolatravo, volevo mostrargli cosa avevo fatto e quanto mi aveva aiutato, come mi ero rimesso in sesto grazie a lui.” Daniel allora la guardò, rendendo il contatto tra i loro occhi così intenso che lei sentì l’elettricità crepitarle nelle vene. “Quell’estate non è tornato. Né quella dopo. Né mai più.”

L’impatto delle sue parole colpì molto Emily. Che la scomparsa di suo padre potesse aver avuto effetto su qualcun altro oltre a lei non le era venuto in mente, ma qui c’era Daniel, che si scopriva l’anima, che condivideva lo stesso suo dolore. Il non sapere cosa fosse successo, lo spazio vuoto che le si era aperto dentro, anche Daniel sapeva che effetto faceva.

“È per questo che lavori la terra?” disse Emily piano.

Daniel annuì. “Tuo padre mi ha dato una seconda possibilità nella vita. È stato l’unico ad averlo mai fatto. È per questo che tengo questo posto in piedi.”

Si fecero entrambi silenziosi. Poi Emily alzò lo sguardo su di lui. Di tutte le persone al mondo, Daniel sembrava essere l’unico colpito dalla scomparsa di suo padre tanto quanto lei. Condividevano questo. E qualcosa di quel legame la fece sentire vicina a lui in un modo mai provato prima.

Gli occhi di Daniel vagarono sul suo viso, apparentemente leggendole la mente. Poi le portò le mani alla mandibola e attorno al collo. La attirò a lui lentamente e lei respirò il suo profumo – di pino e di erba fresca, del fumo della stufa a legna.

Gli occhi di Emily si chiusero e si piegò verso di lui, aspettando la sensazione delle sue labbra sulle sue. Ma non accadde nulla.

Aprì gli occhi nello stesso momento in cui le braccia giunte di Daniel si slegavano.

 

“Che c’è che non va?” chiese Emily.

Daniel espirò rumorosamente. “Mia madre non era una grande donna ma mi ha dato un grande consiglio. Mai baciare una ragazza quando sta piangendo.”

E con questo si alzò e si avviò lento verso la porta dello studio. A Emily parve di sgonfiarsi. Chiuse la porta piano dietro di lui e poi vi si appoggiò contro e scivolò sul pavimento, lasciando che le lacrime le rigassero il volto ancora una volta.

CAPITOLO UNDICI

Il mattino successivo Emily non ebbe neanche il tempo di togliersi il pigiama che sentì suonare il campanello. Correndo giù dalle scale pensò alla notte precedente. Aveva dormito malissimo, piangendo fino ad addormentarsi. Ora aveva la testa pesante ed era piuttosto imbarazzata per aver sottoposto Daniel a quello sfogo emozionale, per averlo trascinato giù con lei. E poi c’era il bacio che non c’era mai stato. Non era neanche sicura che sarebbe riuscita a guardarlo negli occhi.

Arrivò alla porta e la aprì.

“Sei in anticipo,” disse sorridendo, cercando di comportarsi normalmente.

“Sì,” disse Daniel spostando il peso da un piede all’altro. Le mani sprofondate nelle tasche. “Pensavo che magari potremmo fare colazione.”

“Certo,” disse lei, facendogli segno di entrare in casa.

“No, intendo dire… fuori?” Cominciò a strofinarsi il retro del collo con disagio.

Emily strizzò gli occhi mentre cercava di interpretare cosa le stesse dicendo. Poi capì e un piccolo sorriso cominciò a diffondersele sulle labbra. “Vuoi dire come per un appuntamento?”

“Be’, sì,” disse Daniel tutto imbarazzato.

Emily fece un sorrisetto. Pensava che Daniel fosse incredibilmente carino lì in piedi sulla soglia così tutto schivo. “Non me lo stai chiedendo solo perché ti dispiace per la lettera?” chiese.

L’espressione di Daniel diventò di orrore. “No! Assolutamente no. Te lo chiedo perché mi piaci e…” Sospirò, le parole che gli scemavano in gola.

“Stavo solo scherzando,” disse Emily. “Mi piacerebbe molto uscire con te.”

Daniel sorrise e annuì, ma continuò a stare lì in imbarazzo.

“Volevi dire proprio adesso?” chiese Emily, sorpresa.

“O più tardi?” disse frettolosamente. “Possiamo uscire a pranzo se preferisci. O venerdì sera? Preferiresti venerdì sera?” Daniel sembrava smontarsi.

“Daniel,” disse Emily ridendo, cercando di salvare la situazione, “adesso va bene. Non sono mai uscita per un appuntamento a colazione. È carino.”

“Ho sbagliato tutto, vero?” disse Daniel.

Emily scosse la testa. “No,” lo rassicurò. “Vai bene. Ma devi darmi il tempo di truccarmi. Spazzolarmi i capelli.”

“Sei fantastica così come sei,” disse Daniel, e poi arrossì immediatamente.

“Sarò anche una donna emancipata,” replicò Emily, “ma non vorrei indossare il pigiama per un appuntamento.” Sorrise timidamente. “Non ci metterò molto.”

Poi si voltò e salì veloce le scale con una nuova elasticità nel passo.

*

La plastica del sedile le si incollava ai polpacci. Emily non la smetteva di muoversi, le mani le correvano giù al tessuto della gonna, e le venne in mente un momento di molti mesi prima quando sedeva davanti a Ben in un ristorante alla moda di New York desiderando che le chiedesse di sposarlo. Solo che adesso sedeva di fronte a Daniel nel ristorantino più nuovo di Sunset Harbor, un posto che si chiamava Da Joe, seduti in silenzio e in imbarazzo mentre Joe lasciava la loro colazione sulla tavola.

“Allora,” disse Emily, sorridendo per ringraziare Joe prima di rivolgere lo sguardo di nuovo a Daniel. “Eccoci qui.”

“Già,” disse Daniel, guardando nella sua tazza. “Di cosa vuoi parlare?”

Emily rise. “Abbiamo bisogno di un argomento di conversazione?”

Daniel sembrò confondersi all’improvviso. “Non volevo dire che dovremmo precisarlo. Voglio dire che dovremmo solo, sai, parlare. Chiacchierare. Di cose.”

“Vuoi dire di qualcosa che non sia la casa?” disse Emily con un piccolo sorriso.

Daniel annuì. “Esatto.”

“Be’,” cominciò Emily, “e se mi dicessi da quanto tempo suoni la chitarra?”

“Da molto,” disse Daniel. “Da quando ero bambino. Direi undici anni, mi pare.”

Emily si era abituata allo stile di comunicazione di Daniel, al modo in cui diceva il minimo numero di parole per comunicare il maggiore quantitativo di informazioni. Di solito andava bene quando entrambi stavano guardando un muro mentre lo dipingevano o se si stavano chiedendo di passarsi altri chiodi. Ma quando erano seduti uno di fronte all’altra in un ristorante, d’altra parte, rendeva le cose un po’ difficili. Era chiaro a Emily adesso perché Daniel avesse scelto il ristorante nuovo ed economico di Sunset Harbor per il loro appuntamento. Era il posto meno formale del mondo. Non poteva immaginare Daniel in giacca e cravatta in un ristorante elegante come quelli in cui la portava Ben.

Proprio allora arrivò Joe. “La colazione va bene?” chiese.

“Perfetta,” rispose Emily, sorridendo cortese.

“Altro caffè?” aggiunse Joe.

“Per me no, grazie,” disse Emily.

“Neanche per me,” rispose Daniel.

Ma invece di capire le cose e lasciarli soli, Joe rimase esattamente dov’era, con la caffettiera in mano.

“È un appuntamento, ragazzi?” chiese.

Daniel sembrava volesse essere inghiottito dalla terra. Emily non riuscì a fare a meno di reprimere una risatina.

“Appuntamento di lavoro, in realtà,” disse, sembrando del tutto sincera.

“Oh, bene, vi lascio allora,” replicò Joe prima di andarsene con la sua caffettiera a importunare un altro tavolo di clienti.

“Hai l’aria di uno che se ne vuole andare da qui,” disse Emily riportando l’attenzione a Daniel.

“Non a causa tua,” disse Daniel, mortificato.

“Relax,” rise Emily. “Ti prendo solo in giro. Anch’io sento un po’ di claustrofobia qui dentro.” Guardò oltre la spalla. Joe si stava attardando lì accanto. “Facciamo due passi?”

Sorrise. “Certo. C’è un festival oggi giù al porto. È un po’ kitsch.”

“Mi piace il kitsch,” disse Emily, percependo la sua esitazione.

“Bene. Be’, caliamo le barche in acqua. C’è ogni anno. La gente ha trasformato la cosa in una specie di celebrazione. Non so, forse te la ricordi, da quando venivi in vacanza?”

“A dire il vero, no,” disse Emily. “Mi piacerebbe dare un’occhiata.”

Daniel sembrava timido. “Ho una barca laggiù,” disse. “Non la uso da molto. Probabilmente ormai è arrugginita. Scommetto che nemmeno il motore funziona.”

“Perché non la usi più?” chiese Emily.

Daniel evitò i suoi occhi. “Questa è un’altra storia per un altro giorno,” fu tutto quello che disse.

Emily sentì di aver toccato un nervo scoperto. Il loro imbarazzante appuntamento era in qualche modo diventato ancora più imbarazzante.

“Andiamo al festival,” disse.

“Davvero?” chiese Daniel. “Non dobbiamo andarci solo per causa mia.”

“Voglio andare,” replicò Emily. E diceva il vero. Nonostante i lunghi silenzi e le occhiate di sghembo, le piaceva la compagnia di Daniel e non voleva che l’appuntamento finisse.

“Coraggio,” disse sbattendo allegramente un po’ di banconote sulla tavola. “Ehi, Joe, ti abbiamo lasciato dei soldi, spero sia tutto okay,” urlò all’uomo più vecchio prima di afferrare la giacca dallo schienale della sedia e alzarsi.

“Emily, guarda, non fa niente,” disse Daniel. “Non devi per forza venire a un noioso festival con me.”

“Voglio venirci,” Emily lo rassicurò. “Davvero.”

Si avviò verso l’uscita, lasciando a Daniel l’unica scelta di seguirla.

Non appena furono fuori in strada Emily poté vedere le bandierine e i palloni a elio presso il porto, lontano. Il sole era alto, ma c’era un sottile strato di nuvole che rendeva l’aria fresca. Molte persone stavano scendendo lungo la strada in direzione del porto ed Emily realizzò che la calata delle barche in acqua era davvero una cosa importante lì. Lei e Daniel seguivano la folla verso il porto. Una banda in marcia suonava musica vivace mentre camminava. In fila lungo i lati delle strade c’erano delle bancarelle che vendevano zucchero filato e caramelle.

“Vuoi che ti prenda qualcosa?” disse Daniel ridendo. “È una cosa che si fa agli appuntamenti, no?”

“Mi farebbe molto piacere,” disse Emily.

Ridacchiò a voce alta mentre Daniel serpeggiava tra la folla fino alla macchina dello zucchero filato che era circondata da bambini, comprava un enorme cono di zucchero filato blu brillante per lei e glielo portava attento attraverso la moltitudine di gente. Glielo porse con un gesto plateale.

“Che gusto è?” chiese Emily ridendo, guardando il colore fosforescente. “Non sapevo che si potesse prendere il gusto blu brillante.”

“Credo che sia uva,” disse Daniel.

“Uva brillante,” aggiunse Emily.

Tolse un po’ di zucchero. Erano passati circa trent’anni dall’ultima volta che aveva mangiato una di queste cose e quando si mise un fiocco in bocca scoprì che era molto più dolce di quanto avesse potuto immaginare.

“Ah, mal di denti istantaneo!” esclamò. “Tocca a te.”

Daniel prese una manciata di fiocchi blu brillante e la portò alla bocca. Immediatamente fece una faccia disgustata.

“Oddio. La gente dà da mangiare questa roba ai figli?” disse.

“Hai la bocca blu!” urlò Emily.

“Anche tu,” ribatté Daniel.

Emily rise e avvolse il braccio attorno al suo mentre passeggiavano lenti fino al bordo dell’acqua, con i passi che seguivano il ritmo della musica della banda in marcia. Guardando le barche che venivano calate una dopo l’altra nell’acqua, Emily riposava la testa sulla spalla di Daniel. Riusciva a sentire la festa della gente del paese, e la fece riflettere su quanto questo posto aveva cominciato a piacerle. Ovunque posasse lo sguardo vedeva facce sorridenti, bambini che correvano spensierati e soddisfatti. Un tempo era stata proprio come loro, prima che gli eventi oscuri della sua vita l’avessero cambiata per sempre.

“Scusami, è una cosa stupida,” disse Daniel. “Non avrei dovuto portarti qui. Possiamo andare se vuoi.”

“Che cosa ti fa pensare che me ne voglia andare?” replicò Emily.

“Sembri triste,” disse Daniel infilando le mani in tasca.

“Non sono triste,” replicò Emily con malinconia. “Sto solo pensando alla mia vita. Al mio passato.” La voce le si fece più bassa. “E a mio padre.”

Daniel annuì e riportò lo sguardo sull’acqua. “Hai trovato quello che stavi cercando qui? Le tue domande hanno avuto una risposta?”

“Non so neanche a quali domande volessi dare una risposta quando sono venuta qui,” rispose Emily senza guardarlo. “Ma è come se la lettera mi avesse risposto.”

Ci fu un lungo silenzio prima che Daniel parlasse di nuovo. “Vuol dire che te ne andrai, allora?”

Aveva un’espressione seria. Per la prima volta Emily pensò di leggere qualcosa nei suoi occhi. Un desiderio. Un desiderio di lei? “Non ho mai pianificato di rimanere,” disse con calma.

Daniel distolse lo sguardo. “Lo so. Ma pensavo che potessi aver cambiato idea.”

“Non è quello,” rispose Emily. “Dipende se me lo posso permettere. È già tre mesi che vivo di risparmi. E se Trevor Mann insiste spenderò il resto per le spese legali e per le tasse non pagate.”

“Non lascerò che accada,” disse Daniel.

Lei fece una pausa, studiò il suo viso. “Perché ti importa tanto?”

“Perché nemmeno io ho il diritto legale di stare lì,” disse Daniel guardandola con un’espressione sorpresa, come se non potesse credere che non ci avesse pensato. “Se te ne vai tu, me ne vado io.”

“Oh,” rispose Emily, sgonfia. Non le era venuto in mente che perdere la terra avrebbe voluto dire sconvolgere non solo lei, che anche Daniel se ne sarebbe dovuto andare. Aveva sperato che si occupasse della casa per lei, ma forse aveva capito male la situazione. Si chiedeva se Daniel avesse un altro posto dove andare.

Improvvisamente, Emily vide il sindaco in mezzo alla folla. Gli occhi le si fecero larghi e maliziosi. Si voltò dalla parte opposta rispetto a Daniel e indietreggiò fin dentro la folla.

“Emily, dove vai?” disse, esasperato, guardandola allontanarsi.

“Vieni!” urlò invitandolo a seguirla.

Emily serpeggiò tra i gruppi di gente mentre il sindaco entrava nel negozio di alimentari. La campanella sopra la porta tintinnò quando Emily entrò dopo di lui, e lo fece di nuovo quando Daniel la seguì. Il sindaco si voltò e li guardò entrambi.

 

“Salve!” disse allegramente mentre il sindaco si voltava per guardarsi alle spalle. “Si ricorda di me? Emily Mitchell. Emily Jane.”

“Oh sì, sì,” rispose il sindaco. “Ti stai divertendo al festival?”

“Sì,” rispose Emily. “Sono contenta di essere venuta a vederlo.”

Il sindaco le sorrise in un modo che sembrava suggerire che avesse fretta e volesse occuparsi delle sue cose. Ma Emily non aveva intenzione di muoversi.

“Volevo parlarle,” disse. “Mi chiedevo se potrebbe aiutarmi.”

“Con cosa, mia cara?” rispose il sindaco, non guardandola, superandola per prendere una confezione di farina dallo scaffale.

Emily gli si posizionò di fronte. “Trevor Mann.”

Il sindaco rimase in silenzio. “Oh?” disse, con lo sguardo che saettò a Karen dietro al banco e poi di nuovo a Emily. “Che cosa combina adesso?”

“Vuole la mia terra. Ha detto che c’è una scappatoia legale con la proprietà e che ho bisogno di un certificato di residenza.”

“Be’,” disse il sindaco, sembrando agitato. “Lo sai che dipende dalla gente di qui. Sono loro che contano. Sono loro a votare su queste cose e non è che tu ti stia facendo tanti amici.”

Il primo istinto di Emily fu di rifiutare la sua affermazione, ma capì che aveva ragione. Oltre a Daniel, l’unica persona a Sunset Harbor che era gentile con lei era Rico, e non riusciva a tenere a mente il suo nome da una settimana all’altra. Trevor, Karen, il sindaco, nessuno di loro aveva ragione di essere gentile con lei.

“Non posso cavarmela in quanto figlia di Roy Mitchell?” disse con un sorriso imbarazzato.

Il sindaco rise. “Credo che quel ponte tu l’abbia già bruciato, no? Ora, se non ti spiace, ho delle compere da portare a termine.”

“Certo,” disse Emily spostandosi e lasciando passare il sindaco. “Karen,” aggiunse, annuendo cordialmente alla donna dietro la cassa. Poi afferrò il braccio di Daniel e lo condusse fuori dal negozio.

“Che cos’è quella roba?” le sibilò all’orecchio mentre uscivano dal negozio, con la campanella che li congedava.

Gli lasciò andare il braccio. “Daniel, non voglio andarmene. Mi sono innamorata. Della città,” si affrettò ad aggiungere quando vide il lampo di panico nei suoi occhi. “Sai quando mi hai chiesto se avevo trovato le risposte che cercavo? Be’, sai cosa, non le ho trovate. La lettera di mio padre non ha risposto proprio a niente. C’è ancora così tanto in quella casa che devo scoprire.”

“Okay…” disse Daniel buttando fuori la parola come se non capisse del tutto come si stavano mettendo le cose. “Ma i soldi? E Trevor Mann? Pensavo che avessi detto che non dipendeva da te scegliere se restare o meno.”

Emily fece un largo sorriso e alzò le sopracciglia. “Credo di avere un’idea.”