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Ora e per sempre

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Czyta Manuela Farina
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CAPITOLO TREDICI

Emily si svegliò aggrovigliata tra le braccia di Daniel. Il sole splendeva violento, come se la tempesta non ci fosse stata. Ma Emily sapeva che c’era stata, e sapeva che i danni sarebbero stati costosi.

Si liberò dalla stretta da polipo di Daniel e scivolò in un sottile vestito di raso, poi scese di sotto per controllare i danni.

Nel soggiorno, Mogsy era andata chiaramente un po’ fuori di testa durante la tempesta. Un cuscino era tutto masticato, e l’imbottitura era sparpagliata per la stanza. La randagia si era anche infangata di brutto con i vestiti bagnati e pieni di fango smessi da lei e Daniel. Sorrise a se stessa al ricordo del modo in cui si erano spogliati uno con l’altra.

Be’, se una randagia infangato e un cuscino masticato sono le uniche cose rovinate allora mi è andata piuttosto bene, pensò.

La più grande sorpresa per Emily fu che Rain il piccoletto era sopravvissuto alla notte e stava succhiando il latte tutto felice. Ma ciò significava anche che adesso aveva un cane e cinque cuccioli di cui occuparsi. Non aveva idea di cosa ne avrebbe fatto, ma immaginava che se ne sarebbe occupata più tardi – dopo aver preparato un po’ di resti di pollo per Mogsy, che probabilmente aveva fame. E poi pensò alla casa.

Sentì Daniel muoversi di sopra mentre continuava a fare il giro. Quando attraversò la sala da pranzo in direzione dell’entrata alla sala da ballo, sentì i passi di Daniel picchiettare alle sua spalle.

“Va male?” chiese.

Sebbene non l’avesse detto espressamente, Emily sapeva che di tutte le stanze della casa la sala da ballo era la preferita di Daniel. Era la più grande, la più magica, e la stanza che li aveva avvicinati, che aveva scatenato tutta questa cosa. Senza la sala da ballo, la notte precedente magari non ci sarebbe mai stata. Pensare che le fosse accaduto qualcosa era terribile per entrambi.

Emily guardò dentro con esitazione. Daniel le stava appena dietro.

“Sembra a posto,” disse Emily. Ma poi notò qualcosa che splendeva sul pavimento e corse lì. I suoi sospetti furono confermati quando la raccolse e vide che era una scheggia della vetrata. “Oh no,” disse. “Non la finestra Tiffany. Ti prego, non la finestra Tiffany!”

Lei e Daniel rimossero insieme il compensato che copriva le antiche finestre. Mentre lo facevano, cadevano altre schegge che andavano a schiantarsi a terra.

“Non posso crederci,” pianse Emily, sapendo che sarebbe costato troppo rimpiazzarle, che il danno era proprio irreparabile.

“Conosco qualcuno che sarebbe in grado di aiutarci,” disse Daniel, cercando di tirarla su di morale.

“Gratis?” disse lei cupa, senza speranza.

Daniel si strinse nelle spalle. “Non si può mai sapere. Potrebbe farlo solo per passione.”

Emily sapeva che stava cercando di farla sentire meglio, ma era comunque sull’orlo delle lacrime. “È un lavoraccio,” disse.

“E la gente di qui è buona,” disse Daniel. La prese per le spalle. “Coraggio, non c’è niente che possiamo fare adesso, comunque. Lascia che ti prepari la colazione.”

La condusse in cucina cingendole le spalle, ma pure quella era in condizioni pessime. Daniel ed Emily raccolsero la roba che era volata dappertutto, poi Emily mise il caffè sul fuoco, grata che la caffettiera fosse sopravvissuta al fato che aveva scagliato il tostapane sul pavimento.

“Che ne dici dei waffle?” le chiese Daniel.

“Dico piuttosto bene dei waffles,” rispose Emily sedendo al tavolo. “Ma non ho le piastre per farli, giusto?”

“Be’, invece ce le hai,” rispose Daniel. Quando Emily lo guardò torva si mise a spiegare. “Serena le aveva prenotate alla rivendita dell’usato. Aveva detto che sarebbe tornata a pagare in un altro momento. Non avevo capito se stesse scherzando o no, ma non è mai tornata quindi credo che non le volesse sul serio.” Si avvicinò e posò una tazzina di caffè nero fumante davanti a Emily.

“Grazie,” disse Emily, un po’ intimidita dalla naturale intimità con cui Daniel le preparava la colazione.

Mentre sorseggiava il caffè e guardava Daniel cucinare, con la spatola in mano, si sentì rinata. Non era stata solo la casa a trasformarsi durante la notte; anche lei si era trasformata. Il ricordo del loro amore era confuso, ma riusciva a ricordare la sensazione di estasi che le si era sparsa nel corpo. Era stata quasi un’esperienza extracorporea. Si agitava sulla sedia al solo ripensarci.

Lasciando cucinare i waffles, Daniel sedette di fronte a lei e bevve un sorso di caffè.

“Non credo di averti ancora dato il buongiorno come si deve,” disse. Si allungò oltre al tavolo e le prese il viso tra le mani. Ma prima che avesse la possibilità di darle un bacio sulle labbra, un acuto e penetrante suono distrusse il momento.

Emily e Daniel si allontanarono improvvisamente.

“Che diavolo è?” esclamò Emily coprendosi le orecchie.

“È l’allarme antincendio!” urlò Daniel voltandosi indietro verso i fornelli, dove le piastre per i waffle eruttavano nuvole di fumo nero.

Emily balzò in piedi mentre delle scintille volavano nell’aria. Daniel fu svelto a passare all’azione, afferrando un canovaccio per soffocare le fiamme.

Il fumo si levava a ondate nella stanza, facendo tossire Daniel ed Emily.

“Credo che Serena non tornerà per le piastre dopotutto,” disse Emily.

*

Dopo colazione, si misero a sistemare la casa. Daniel salì sul tetto per dargli un’occhiata.

“Tutto bene?” chiese Emily speranzosa una volta che fu tornato giù dalla mansarda.

“Sembra a posto,” disse Daniel. “C’è qualche danno. Difficile da dire. Non sapremo quanto grave è finché non verrà colpito dalla prossima grossa tempesta. Poi, sfortunatamente, lo scopriremo a nostre spese.” Sospirò. “Finché non c’è un’altra tempesta a breve credo che te la caverai.”

“Incrociamo le dita,” disse Emily piano.

“Che c’è che non va?” chiese Daniel resosi conto del suo umore cupo.

“Trovo solo che sia un po’ deprimente,” disse Emily. “Andare in giro per la casa a calcolare cosa c’è di rotto o danneggiato. Perché non andiamo fuori, invece? Almeno splende il sole.”

Era una giornata bellissima. La tempesta sembrava aver spazzato via la primavera, lasciando il posto all’estate.

“Ho un’idea,” disse Daniel. “Non ti ho ancora mostrato il giardino di rose che ho piantato, vero?”

“No,” disse Emily. “Mi piacerebbe vederlo.”

“È da questa parte.”

La prese per mano e la condusse attraverso il prato e poi oltre una stradina che portava verso il sentiero per l’oceano. Mentre percorrevano la discesa di sassolini, Emily vide l’acqua. Il panorama era mozzafiato.

C’era un cespuglio di vegetazione davanti a loro che sembrava non portare a nulla se non a un appezzamento incolto. Ma Daniel la condusse oltre, poi spostò un grosso ramo.

“È un po’ nascosto. Attenta che non ti si impiglino i vestiti.”

Curiosa, Emily si abbassò per passare attraverso il passaggio che Daniel aveva creato. Quello che vide quando uscì sull’altro lato le fermò il fiato nei polmoni. Rose, di ogni colore concepibile, erano ovunque. Rosse, gialle, rosa, bianche, persino nere. Se entrare nella sala da ballo e vedere la luce filtrata dal vetro Tiffany era stato maestoso, questo era ancora meglio.

Emily fece una piroetta, sentendosi più viva e libera di quanto si sentisse da anni.

“È sopravvissuto alla tempesta,” disse Daniel emergendo dal fogliame dietro di lei. “Non ero sicuro che ce l’avrebbe fatta.”

Emily si voltò e gli gettò le braccia al collo, lasciando che i capelli scompigliati le cadessero sulla schiena. “È incredibile. Come mai me l’hai tenuto segreto?”

Daniel la strinse forte, respirando il suo profumo che si mischiava a quello pungente delle rose. “Non è che porto tutte le ragazze che frequento qui.”

Emily indietreggiò leggermente in modo da guardarlo negli occhi. “È questo che stiamo facendo? Ci frequentiamo?”

Daniel alzò un sopracciglio e fece un sorrisetto. “Dimmelo tu,” disse suggestivamente.

Emily si alzò sulla punta dei piedi e gli stampò un bacio delicato e dolce sulle labbra. “Questo risponde alla tua domanda?” chiese languida.

Si liberò dal suo abbraccio e si mise a osservare il giardino di rose con più attenzione. I colori erano favolosi.

“Da quanto è qui?” chiese sbalordita.

“Be’,” disse Daniel accucciandosi su una piccola radura, “L’ho piantato dopo essere tornato dal Tennessee. Giardinaggio e fotografia. Non ero particolarmente virile in gioventù,” aggiunse con una risata.

“Be’, ora sei un vero uomo,” rispose Emily con un largo sorriso. Andò dove Daniel sedeva languoroso disteso come un gatto, frammenti di luce solare e ombre gli chiazzavano la pelle. Si distese accanto a lui e appoggiò la testa nella piega del suo collo, sonnolenta, come se avesse potuto fare un sonnelino proprio lì. “Quando sei stato nel Tennessee?” chiese.

“Non è stato un buon momento della mia vita,” disse Daniel con un tono che tradiva che si sentiva molto a disagio a parlarne. Daniel era sempre stato molto riservato, parlava pochissimo di sé. Era più una persona che faceva, una persona pratica. Chiacchierare, soprattutto su argomenti carichi di emozioni, non era il suo forte. Ma Emily condivideva con lui la stessa cosa. Esprimere se stessa era qualcosa che dava problemi anche a lei. “Ero giovane,” continuò Daniel. “Vent’anni. Ero uno sciocco.”

“È accaduto qualcosa?” chiese Emily con delicatezza, attenta a non spaventarlo. Le sue mani erano sul suo petto, tratteggiavano su e giù il tessuto della camicia, tastando i muscoli che erano sotto.

 

Quando Daniel parlò, poté sentirlo attraverso l’orecchio che teneva posato sul suo petto, e la sua voce mandava vibrazioni che rimbombavano verso di lei.

“Ho fatto qualcosa di cui non vado fiero,” disse. “L’ho fatto per una buona ragione ma ciò non la rende una cosa giusta.”

“Che cosa hai fatto?” chiese Emily. Era sicura che qualunque cosa avesse detto non avrebbe potuto diminuire i sentimenti in sboccio che provava per lui.

“Nel Tennessee sono stato arrestato. Per aver aggredito un uomo. Avevo una ragazza. Ma lei aveva un marito.”

“Oh,” disse Emily, come se si stesse rendendo conto della piega che avrebbe preso la conversazione. “E immagino che l’uomo che hai aggredito fosse il marito?”

“Sì,” rispose Daniel. “Era un violento. La molestava, sai? L’aveva cacciato molto prima che la incontrassi ma il tizio continuava a tornare. La situazione cominciava a diventare pericolosa. La polizia non faceva nulla.”

“Cos’hai fatto?” chiese Emily.

“Be’, quando è ritornato per l’ennesima volta, minacciando di ucciderla, gli ho dato una lezione. Mi sono assicurato che non si ripresentasse più alla sua porta. L’ho picchiato. È finito all’ospedale.”

Emily trasalì al pensiero di Daniel che prendeva a pugni qualcuno così forte da mandarlo all’ospedale. Riusciva a malapena a mettere insieme tutte le versioni di Daniel che aveva nella testa: il sensibile e incompreso fotografo fuggito da casa, il giovane e sciocco criminale, e l’uomo che aveva piantato un giardino di rose multicolori. Ma anche la persona che era lei appena qualche mese fa quando era la fidanzata di Ben era completamente diversa dalla persona che era adesso. Nonostante il vecchio adagio dicesse che le persone non cambiano mai, la sua esperienza di vita era stata l’opposto: la gente cambiava sempre.

“Il fatto è,” disse Daniel, “che lei ha rotto con me dopo l’episodio. Ha detto che l’avevo spaventata. Lui ha fatto la vittima e lei è tornata da lui. Aveva un’influenza così forte su di lei che dopo tutto quanto è stato capace di manipolarla per farla tornare esattamente dove la voleva lui. Mi sono sentito proprio tradito.”

“Non dovresti sentirti tradito. Tornare con lui è stata una questione più di controllo da parte del marito che dell’amore di lei per te. Dovrei saperlo. Io…” Emily perse la voce. Non aveva mai parlato a nessuno di quello che stava per dire a Daniel. Neanche ad Amy. “Lo so come funziona,” disse alla fine. “Mi sono trovata in una relazione emozionalmente violenta, una volta.”

Daniel sembrava scioccato.

“Non mi piace parlarne,” aggiunse Emily. “Ero giovane anch’io, ancora una ragazzina, in effetti. Tutto è stato fantastico finché non sono partita per il college. Pensavo di essere innamorata di lui. Siamo stati insieme per più di un anno, che sembrava tantissimo all’epoca. Ma quando gli ho detto che volevo studiare fuori dallo stato, qualcosa in lui è cambiato. È diventato gelosissimo, sembrava convinto che l’avrei tradito non appena partita. Ho rotto con lui per il modo orribile in cui si stava comportando, ma ha minacciato di uccidersi se non l’avessi ripreso. Ecco come comincia, la manipolazione. Il controllo. Sono finita con lo stare con lui per la paura.”

“Ti ha impedito di andare al college che avevi scelto?”

“Sì,” disse. “Ho rinunciato a uno dei miei obiettivi a causa sua, anche se mi trattava di merda. E tu lo sai che quello che accade è folle ma fai tutti questi giochetti psicologici con te stessa, riscrivendo situazioni che nel tuo cuore sai essere sbagliate, ma dicendoti che è un segno di quanto sei amata. Per tutti da fuori sembra pazzia. Quando è finita, sembra pazzia anche a te. Ma finché sei lì, finché la vivi, trovi modi per giustificare tutto.”

“Che cosa gli è successo alla fine?”

“Be’, è abbastanza buffo, ma è stato lui a tradire me. Io ne fui devastata all’epoca ma non mi ci volle molto per capire quanto fosse in realtà una benedizione. Ho paura a pensare a cosa sarebbe potuto accadere se non lui non avesse posto fine alla storia. Sarei rimasta incastrata con lui per tutto il tempo che avrebbe voluto, e qualunque danno mi avesse già fatto si sarebbe incancrenito ancora di più.”

Tacquero entrambi. Daniel le carezzò i capelli.

“Vuoi venire alla scogliera con me?” disse lui all’improvviso.

“Certo,” disse Emily, un po’ sorpresa dalla proposta ma entusiasta allo stesso tempo. “Come ci arriviamo?”

“Prendiamo la moto.”

“La moto? La tua moto?” balbettò Emily.

Emily non era mai salita su una moto. Il pensiero la terrorizzava ed eccitava in egual misura.

Tornarono indietro fino al vialetto della rimessa. Daniel recuperò la moto dal garage, uno degli edifici esterni fortunatamente sopravvissuti alla tempesta. Mentre preparava la moto per il viaggio, Emily controllò Mogsy e i cuccioli. Rain era ancora aggrappato alla vita. Lo convinse ad attaccarsi al capezzolo della madre e accarezzò la testa della randagia. Mogsy alzò su di lei i suoi grandi occhi riconoscenti, poi le leccò la mano. Era quasi come se la ringraziasse di averla salvata dalla tempesta, e si scusasse per averla attaccata per il timore che Emily le stesse portando via i suoi cuccioli appena nati. Emily sentì un momento di comprensione tra loro, e per la prima volta da quando aveva salvato il cane, sentì di poterla forse tenere con sé. Forse prendersi cura di un’altra creatura vivente era esattamente ciò che era mancato nella sua vita.

“Vai benissimo,” disse a Mogsy. “Ora riposati un po’. Tornerò più tardi.”

Mogsy fece un lamento di soddisfazione, poi lasciò che la testa le sprofondasse sulle zampe anteriori.

Mentre chiudeva piano la porta del soggiorno, Emily sentì il rumore di un motore che si avviava e corse fuori. Daniel era lì sulla moto e le rivolgeva un largo sorriso. Emily saltò sul sedile posteriore e lo cinse con le braccia. Daniel diede gas e la moto partì ruggendo.

*

Il vento soffiava tra i capelli di Emily. Si sentiva libera e viva. Il sole era caldo sulla sua pelle. La scogliera era bellissima, e le dava una nuova prospettiva su Sunset Harbor che non aveva ancora mai visto. Lo adorava, essere lì, ad assaporare l’aria del mare, a sentire i profumi degli alberi in fiore e le onde che si infrangevano lontane.

“È incredibile!” urlò Emily, intontita dall’esaltazione.

Daniel la condusse lungo tutta la scogliera, poi si impennarono in discesa, correndo a una velocità che rovesciava lo stomaco di Emily.

Li condusse lungo tutta la costa, poi sterzò nel piccolo porto. Non appena la moto si fu fermata, la aiutò a scendere.

“Divertente?” le chiese, stringendole le dita.

“Esilarante,” rispose Emily con un largo sorriso. Poi si guardò intorno, nel porto. “Sai, non ero mai stata qui,” disse.

“Qui tengo la mia barca,” disse Daniel. “Andiamo.”

Lo seguì lungo il percorso del porto, oltrepassando il luogo in cui erano ormeggiati le barche a remi e i motoscafi. Proprio alla fine c’era una piccola barca arrugginita dall’aria desolata e abbandonata.

“Questa è tua?” chiese Emily.

Daniel annuì. “Non è granché a vedersi, lo so. Non riesco a sistemarla io e rimetterla in acqua.”

“Perché?” chiese Emily.

Daniel non parlò per lungo tempo. Alla fine disse solo, “In realtà non lo so.” Poi tornò a guardare lei. “Probabilmente dovremmo tornare verso casa. Posso ripararti la porta della cucina.”

Emily gli toccò delicatamente il braccia, tenendolo lì fermo sul posto. “Mi permetti di aiutarti? Con la barca? Posso usare un po’ dei miei risparmi.”

Daniel la guardò sinceramente scioccato – e commosso.

“Nessuno si era mai offerto di pagare qualcosa per me, prima,” disse.

Il pensiero la addolorò.

“Grazie,” le disse. “Significa molto per me. Ma non posso accettare.”

“Ma voglio farlo,” gli disse Emily. “Tu mi hai aiutata così tanto. Cioè, potresti riparare la barca adesso invece di venire a casa a riparare la mia porta! Per favore. Lascia che ti aiuti. Che cosa ti serve? Un motore nuovo? Devi ridipingerla? Potremmo far sì che sia il nostro nuovo progetto. Prima sistemiamo la casa e poi la barca?”

Daniel distolse lo sguardo, non incontrò i suoi occhi. Emily sapeva che aveva qualcosa che gli frullava nella testa. Lui si strinse nelle spalle e infilò le mani in tasca. Poi tornò a guardare la moto, come dicendo silenziosamente che era pronto ad andarsene, che aveva smesso di pensare alla barca e alle condizioni disperate in cui aveva permesso che si ritrovasse.

Alla fine parlò, esalò le parole in un’unica lunga e pesante espirazione.

“È che non so se basterà a sistemare noi stessi.”

CAPITOLO QUATTORDICI

Con le braccia cariche della spesa, Emily arrancò fino alla macchina e buttò tutto nel bagagliaio. Era la sera della festa. Aveva ricevuto venti risposte e scoperto di essere più agitata come ospite di quanto si sarebbe aspettata. Si era svegliata presto quella mattina per mettere il manzo a stufare nella pentola a cottura lenta. I dolci erano già pronti; li aveva preparati la notte precedente sul tardi e li aveva lasciati nel frigorifero per la notte. Ciò significava che una volta arrivata a casa tutto quello che doveva fare era guarnire e mettere su il risotto per i vegetariani un’ora prima che arrivassero gli ospiti.

Sorrise a se stessa guidando verso casa, assaporando la possibilità di organizzare e pianificare, chance che le era stata negata durante i sette anni di relazione con Ben.

Quando accostò nel vialetto, notò che Daniel non era fuori. Afferrò la spesa dal bagagliaio ed entrò, poi la lasciò sul tavolo della cucina. Prestò orecchio ma non riuscì a sentire i rumori del martello né del trapano da nessun angolo della casa. Era strano per Daniel non essere in giro, ma Emily ignorò la cosa e si mise al lavoro per addobbare la casa. Mise candele ovunque, poi vasi di fiori freschi sul tavolino da caffè e sulla tavola da pranzo, le due stanze dove stava pensando di tenere la festa, sebbene si fosse assicurata che la cucina fosse comunque in condizioni accettabili, sapendo che la gente tendeva ad andarsene in giro durante quelle serate, soprattutto se in cerca di altro alcol. Appese delle bandierine fatte a mano nel soggiorno, mise un vaso in vetro di pot-pourri nel bagno, e preparò la tavola con l’argenteria più raffinata – pezzi di valore che aveva recuperato tra la roba da buttare. Versò del vino rosso in sei bellissime caraffe di cristallo che aveva recuperato dalla credenza della cucina.

Emily risistemò i cuccioli nella dispensa sul retro in modo da poter utilizzare il soggiorno per la festa. Il suo piano era socializzazione e aperitivi nel soggiorno, poi cena in sala da pranzo.

L’orologio arrivò a segnare le 17, quindi doveva mettersi al lavoro sul risotto. Entrando in cucina, il profumo dello stufato che era stato sul fuoco lento tutto il giorno le si diffuse nelle narici e le fece venire l’acquolina in bocca. Aveva perso l’abitudine di trascorrere il tempo cucinando quando era con Ben – lui preferiva uscire a cena – e ora se la stava godendo davvero molto. Venti persone erano tante per cui cucinare, però, quindi era un po’ stressante indovinare le giuste quantità e le giuste tempistiche. Ma con la grande cucina e tutti i suoi utensili a disposizione, non era così male come si era aspettata. Si chiedeva solo di Daniel. Sarebbe dovuto essere lì per aiutarla a preparare la cena; si era autoproclamato buongustaio, dopotutto. Ma ogni volta che sbirciava dalla finestra, di lui nessun segno. Non nel giardino, né nella rimessa, che stava lì nell’oscurità.

Quando ebbe finito, salì nella sua stanza e si cambiò. Era strano agghindarsi dopo così tanti mesi senza aver neanche mai messo un po’ di eyeliner, ma le piacquero i vecchi rituali. Cercò un look che colpisse con le labbra di un cremisi sfrontato e delle linee nere che le facessero risaltare il colore degli occhi. Il vestito che aveva scelto era blu elettrico e le fasciava la figura. Indossò scarpe col tacco coordinate, poi concluse il tutto con una collana d’argento. Completato l’abbigliamento, fece un passo indietro e si ammirò allo specchio. Si era completamente trasformata e rise di gioia.

Erano le 18:45 quindi accese tutte le candele profumate per dare all’essenza il tempo di permeare la casa, poi controllò lo stufato e il risotto.

Una volta che fu tutto pronto, Emily si guardò ancora intorno alla volta di Daniel. Andò alla rimessa e controllò lì, ma non c’era. Fu a quel punto che si accorse che la moto non era nel garage. Doveva essersene andato a fare un altro giro.

 

Tempismo perfetto, pensò guardando l’orologio. Sarebbe dovuto essere lì. Non voleva fare l’appiccicosa, ma non poteva fare a meno di preoccuparsi, specialmente quando Daniel non fu ancora tornato all’arrivo dei primi ospiti.

Emily dovette toglierselo dalla testa e prepararsi a sorridere felice.

Aprì la porta e vide Charles Bradshaw del ristorante di pesce e sua moglie Barbara sulla soglia. Lui le porse una bottiglia di vino rosso; lei dei fiori.

“Molto gentile da parte vostra,” disse Emily.

“Non riesco proprio a credere ai miei occhi,” disse Charles guardando tutto intorno a lui. “Ha restaurato questo posto magnificamente. E così velocemente.”

“Ancora non è finito,” disse Emily. “Ma grazie.”

Prese i cappotti e li condusse in soggiorno, dove ci furono altri sospiri di apprezzamento. Prima che avesse la possibilità di offrire qualcosa da bere, suonò di nuovo il campanello. La gente di Sunset Harbor spaccava il minuto, a quanto pareva.

Aprì la porta e vide che c’era Birk, da solo. Si scusò per sua moglie, che non stava tanto bene. Poi disse, “È vero. Non è stato il suo fantasma a venirmi a far visita alla pompa di benzina. È davvero sopravvissuta da sola!” Si mise a ridere e le strinse la mano.

“Io stessa ci credo appena,” disse Emily ridendo. Stava per aggiungere che non l’aveva fatto da sola, che era stata aiutata da Daniel per tutto il tempo, ma dato che non c’era le parole in qualche modo non le uscirono di bocca. Capì allora di sentirsi delusa da lui perché non era lì.

Emily accompagnò Birk in soggiorno. Non aveva bisogno di presentarlo; conosceva già Charles e Barbara.

Suonò ancora il campanello ed Emily aprì la porta e vi trovò Cynthia. Cynthia aveva una piccola libreria in città. Aveva i capelli ricci di un rosso brillante e indossava sempre degli abiti che gli si abbinavano malissimo. Quella sera si era presentata in uno strano ensemble verde lime e viola che non faceva nulla per donarle alla figura leggermente sovrappeso, con un rossetto rosso brillante e sulle unghie uno smalto verde brillante. Emily sapeva che Cynthia aveva la reputazione di essere schietta e un po’ offensiva ma l’aveva invitata lo stesso per benevolenza. Forse avrebbe fornito una fonte di intrattenimento per gli altri ospiti se davvero era all’altezza delle voci che su di lei circolavano!

“Emily!” esclamò Cynthia, la voce così acuta da far male.

“Salve, Cynthia,” rispose Emily. “Grazie davvero per essere venuta.”

“Be’, lo sa quello che dicono i locali a Sunset Harbor. ‘Non è una festa se non c’è Cynthia.’”

Emily sospettò che la frase non fosse mai stata proferita da nessuno a Sunset Harbor. Fece segno a Cynthia di raggiungere gli altri nel soggiorno, poi sentì un gridolino di eccitazione quanto Cynthia si salutò gli altri ospiti con lo stesso entusiasmo e lo stesso volume.

Suonò di nuovo il campanello e quando Emily rispose vide la dottoressa Sunita Patel e suo marito, Raj, sulla soglia. Poco dietro di loro, Serena stava aiutando Rico a percorrere il viale del giardino.

“Ho visto l’albero sul suo cortile,” disse la dottoressa Patel, baciando Emily sulla guancia e porgendole una bottiglia di vino. “La tempesta ha fatto danni anche da noi.”

“Oh, lo so,” rispose Emily. “È stato piuttosto spaventoso.”

Raj strinse la mano di Emily. “Lieto di conoscerla. Sono un giardiniere paesaggista, comunque, quindi se vuole che mi occupi dell’albero caduto ne sarò più che felice. Faccia un salto quando vuole. Ho il vivaio giù in paese.”

Emily era passata davanti al bellissimo negozio di giardinaggio con i suoi meravigliosi fiori in mostra e i cesti appesi molte volte durante le sue capatine in città. Aveva avuto la voglia di entrare in più di un’occasione per dare un’occhiata a tutte le vasche per uccelli, alle meridiane e alle siepi di topiaria, ma non ne aveva ancora avuto l’occasione.

“Lo farebbe?” chiese Emily, presa in contropiede dalla generosità. “Sarebbe fantastico.”

“È il minimo che posso fare considerando che sta aprendo casa sua per noi.”

Raj e Sunita andarono in soggiorno ed Emily portò l’attenzione su Serena e Rico, che avevano quasi raggiunto la porta. Serena era bellissima in un vestito nero a schiena scoperta e un girocollo d’oro, i capelli neri e ondulati sciolti, le labbra di un bellissimo rosso.

“Ce l’abbiamo fatta!” sorrise, allungando un braccio attorno al collo di Emily e abbracciandola.

“Sono così contenta,” disse Emily. “Sei praticamente l’unica persona qui che conosco davvero.”

“Oh davvero?” disse Serena ridendo. “E mister Fustacchione?”

Emily scosse la testa. “Oddio, non nominarmelo nemmeno adesso.”

Serena fece una delle sue facce. Emily rise e portò l’attenzione su Rico.

“Grazie per essere venuto, Rico,” disse. “Sono davvero felice di vederti.”

“È bello anche solo uscire di casa alla mia età, Ellie.”

“Emily,” lo corresse Serena.

“È quello che ho detto,” rispose Rico.

Serena alzò gli occhi al cielo, e i due entrarono nell’ingresso. Emily non ebbe la possibilità di chiudere la porta dietro di sé perché vide Karen parcheggiare lungo la strada. Di tutte le persone sulla cui risposta era stata scettica, Karen era la principale. Ma forse il fatto che Emily avesse fatto tutta la spesa per la festa nel negozio di Karen aveva influenzato la donna e l’aveva convinta. Era una sommetta niente male da spendere in un negozietto locale.

Poi appena dietro a Karen, Emily vide il sindaco della città. Non aveva ricevuto una risposta da lui! Era scioccata che fosse voluto venire alla sua umile cena, ma preoccupata allo stesso tempo di non aver abbastanza cibo per tutti.

Karen fu la prima a raggiungere la porta ed Emily la salutò.

“Ho portato uno dei miei origani e del pane preparato con pomodoro essiccato al sole,” disse Karen porgendole un cestino dal profumo delizioso.

“Oh, Karen, non avresti dovuto,” disse Emily prendendo il cestino.

“A dire il vero è una tattica commerciale,” disse Karen in tono cospiratorio. “Se piace al gruppo verranno a farne il pieno in negozio!” Strizzò l’occhio.

Emily sorrise e si spostò per lasciarla entrare. Non era stata sicura di Karen, ma sembrava che le solite maniere amichevoli della donna fossero tornate.

Emily poi si voltò verso il sindaco. Annuì con cortesia e gli allungò la mano.

“Grazie per essere venuto,” disse.

Il sindaco diede un’occhiata alla mano, poi la lasciò perdere e strinse Emily in un abbraccio. “Sono solo contento che finalmente tu abbia aperto il cuore alla nostra cittadina.”

All’inizio Emily si sentì a disagio ad essere abbracciata così dal sindaco, ma le sue parole la commossero e si rilassò.

Alla fine, tutti gli ospiti erano in casa, per lo più riuniti nel soggiorno, ed Emily ebbe l’occasione di socializzare.

“Stavo proprio dicendo a Rico,” le disse Birk, “che dovrebbe pensare di far tornare questo posto in un Bed and Breakfast.”

“Non sapevo che lo fosse stato,” rispose Emily.

“Oh sì, prima che tuo padre comprasse la casa, lo era,” disse Rico. “Credo che sia stato un Bed and Breakfast dal 1950 fino agli anni Ottanta.”

Serena rise e diede un colpetto sulla mano di Rico. “Non riesce a ricordarsi come mi chiamo ma si ricorda questo,” disse sottovoce.

Emily rise.

“Scommetto che si ripaga da solo,” aggiunse Birk. “Ed è proprio il tipo di posto di cui questa città ha bisogno.”

Più parlava con la gente, più Emily capiva quanto gentili erano. L’idea di trasformare la casa in un Bed and Breakfast sembrò propagarsi a macchia d’olio, e più ci pensava, più sembrava una buona idea anche a lei. Era stato, in effetti, un suo sogno quando era più giovane lavorare in un Bed and Breakfast, ma dopo essere diventata un’adolescente scontrosa aveva perso fiducia nella sua capacità di relazionarsi con le persone. L’abbandono di suo padre l’aveva colpita duramente, l’aveva sconvolta, ed era stata guardinga e ostile da allora. Ma la città si era fatta più dolce con lei. Forse aveva ancora in lei la capacità di essere una brava padrona di casa?