Za darmo

Mater dolorosa

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Giacomo la strinse più fortemente, e colla mano che avea libera, prese una mano di Lalla, poi il braccio, e accarezzandolo ne seguì le linee morbide, tondeggianti, penetrando nei caldi misteri della manica larga, guernita di trine. Egli pure anelava, smorto, tremante. La voce gli si rompeva rauca, ma parlava sempre. Non era più un rimprovero il suo, non era più un lamento; era una preghiera audace, insistente, che tentava Lalla, che la stordiva, avvolgendola in un assopimento, in un’inerzia voluttuosa. Ella si teneva stretta intorno lo scialle e si teneva ancora colla testa appoggiata sulla mano di Giacomo, ma i suoi occhi, a poco a poco, s’erano spenti, aveva la bocca socchiusa, le labbra umide, tremanti, come se nell’estasi sua volesse rispondere coi baci a quell’inno d’amore…

A Giacomo, frattanto, le parole uscivano sempre più rotte, confuse, poi tacque ad un tratto e baciò avidamente quella bocca umida, odorosa che lo tentava; baciò i capelli, gli occhi, di Lalla, la coprì tutta di baci. Lalla si scosse, abbrividì, spalancò gli occhi esterrefatta, ma poi, sciogliendosi dello scialle e sfavillando negl’improvvisi riflessi della sua veste gialla, cacciò le mani nei capelli di lui e balbettando – chiamami Satanella! – con voce rotta, soffocata – chiamami Satanella!… Satanella tua! – si abbandonò così, senza muoversi dalla poltrona, dimentica di tutto, senza lacrime, sorridendo, vinta dai sensi e dalle immagini che le tumultuavano nella mente.

A poco a poco, quando il calore del loro sangue si fu intiepidito, quando all’ebbrezza delirante seguì il dolcissimo e lento risveglio, Giacomo, accoccolato alle ginocchia della sua cara, cercava di riprenderle la mano, ch’ella adesso teneva nascosta sotto lo scialle, per tornare ad accarezzarla; ma Lalla si ritrasse come una sensitiva, e con un’occhiata ed un sorriso significantissimi indicò la porta del salottino. Giacomo sorrise della loro imprudenza e del pericolo che avevano corso; passò nell’anticamera a vedere se l’uscio era chiuso, poi, rientrando, si tirò dietro e serrò colla molla anche quello del salotto e ritornò a baciarla, ad accarezzarla.

– No, sai. Nino; ho paura, troppo paura… – gli rispose Lalla schermendosi. – Egli può venire, da un momento all’altro.

…Egli infatti entrava là dentro poco dopo, e vide il Vharè, diritto, vicino al fuoco, appoggiato al caminetto, che fumava parlando dell’Esposizione, parlando di quadri e di statue, e Lalla, sdraiata nella sua poltrona, avvolta, stretta nello scialle, che lo ascoltava un po’ stanca e un po’ assonnata.

Sul fuoco la baldoria dei fastelli era finita; ma in mezzo al tavolo la fiammella azzurra, mobile, silenziosa della theiera, continuava a far bollire l’acqua che gorgogliava fumando. Nel salottino spirava un’aura di tranquillità e di pace che, certo, non dava nessun indizio delle passate commozioni, come, dopo la tempesta, la calma ritorna sul mare e vi diffonde una serenità limpida e gioconda che ricrea e che consola. Giorgio, entrando là dentro, col tepore dell’ambiente, sentì la soavità di quel benessere e di quella pace; però sorrise a Lalla, e si avvicinò al marchese di Vharè stendendogli la mano.

XXVII

Se a Torino il duca d’Eleda si dava buon tempo, ciò non voleva dire che l’amministrazione comunale di Borghignano navigasse in placide acque: tutt’altro; ed anzi Prospero Anatolio, terminate le feste e ritornato con Lalla e con Giorgio a Santo Fiore, non vi si fermò che un giorno o due, poi corse precipitosamente in città per scongiurare la crisi. Chiuso, solo solo, e sballottato nel suo coupé, egli meditava il piano di difesa. Non c’era da farsi troppe illusioni: lo stato delle cose era molto grave. Fra i più formidabili nemici sollevati contro la Giunta municipale dal nuovo progetto per la riforma delle gabelle e la cessione in appalto del Dazio Consumo si schierava, con un accanimento spietato, anche l’unico organo dell’opinione pubblica di Borghignano, il giornale l’Omnibus, che, di punto in bianco, mutato l’auriga e rotta l’alleanza di prima, s’era messo al servizio dall’Opposizione.

Questo colpo, i costituzionali, la Giunta e il duca Sindaco, erano ben lungi dall’aspettarselo; capitò loro addosso, tra capo e collo, proprio come un colpo d’accidente. L’Omnibus, col fervore dei neofiti, non la risparmiava a nessuno – di quei signori della camorra – e menava botte da orbi: e ciò sia detto senza metafora, perchè appunto il suo nuovo direttore era orbo di un occhio: era il celebre Frascolini!

Fra le varie ditte aspiranti all’appalto del dazio comunale c’era anche una Società Anonima, che s’era apposta costituita e della quale faceva parte l’antico direttore dell’Omnibus. Costui sostenne, da principio, a spada tratta, il progetto e le riforme proposte dalla Giunta, finchè ebbe la speranza che gli fosse aggiudicato l’appalto; ma poi, quando invece i signori del Municipio, non trovando abbastanza solide le garanzie proposte da quell’impresa, conchiusero il contratto con una casa bancaria di Genova, l’ira del direttore dell’Omnibus non ebbe più ritegno. Egli cominciò dal fare una guerra sorda, coperta all’amministrazione d’Eleda; ma, per quanto avrebbe desiderato, senza contradire tutti i precedenti della sua vita politica e giornalistica. Si trovava sbilanciato, in certo qual modo, combattuto fra l’utile proprio e il proprio partito, e cercava una via di cavarsela con decenza, se non con onore, e… di vendicarsi! In quei giorni, bazzicava spesso negli uffici dell’Omnibus, per l’appunto, il Frascolini, il quale voleva combinare colla medesima stamperia della gazzetta un contratto per la pubblicazione del suo giornale L’amico del contadino. Il direttore dell’Omnibus, da uomo pratico, subito, appena lo vide, trovò in lui tutte le qualità dello Sparafucile che tornavano bene al suo caso.

– Coll’impianto di un giornale nuovo, tu, – e lo lusingavo con quel tu, buttato lì come a un confratello, – tu ci rimetti de’ bei quattrini per il gusto di dare al mondo un morto di più. Ti converrebbe meglio rilevare addirittura un giornale che avesse già i suoi abbonati, il suo nome, il suo pubblico, il suo ambiente insomma… mi capisci?

– Eh, per capire, capisco; ma io voglio spiegare le mie forze, voglio combattere qui, su questa zona di territorio.

– E chi ti dice il contrario?

– Ma di giornali, a Borghignano, non vedo altro che il vostro; che il tuo!

– E così?… Se vuoi, io te lo cedo! È una mia creatura, lo amo come un figliuolo, ma in questo caso so di affidarlo in buone mani. Sono vecchio, sono stanco, sono seccato di questa vita, di queste lotte quotidiane. Credilo, caro Frascolini, a lavare la testa all’asino ci si rimette il ranno ed il sapone e poi si corre anche il rischio di buscarsi dei calci per soprammercato.

Comperare l’Omnibus?… Essere lui, Sandro Frascolini, il padrone, il despota(), quello che avrebbe dettata la legge a Borghignano?… Poter mandare all’aria, nello stesso tempo, il Duca d’Eleda costituzionale e il Della Valle progressista?… Ripresentarsi minaccioso, terribile, dinanzi alla signora Duchessina? – L’occhio di Sandrino, – peccato ne avesse uno solo, – scintillava fiammeggiando.

– Ma… – c’era un ma. – L’Omnibus non è un giornale del mio colore.

– E che importa?… Il colore d’un giornale è quello del suo direttore. Impara dall’America; perchè è dall’America che dobbiamo tutti imparare!

– Sicuro… sicuro. E quali sarebbero le tue pretese? Io non ne ho molti da spendere.

Allora intavolarono le prime proposte: un altro giorno si discusse più a fondo il negozio, e in una settimana e coll’intervento di un avvocato, scelto di comune accordo, fu combinato e accettato dalle due parti un contratto, in forza del quale, Alessandro Frascolini diventava il direttore-proprietario del giornale l’Omnibus, obbligandosi al pagamento di una certa somma, divisa in varie rate semestrali.

La notizia della vendita e della compera dell’Omnibus scoppiò come un fulmine a ciel sereno: i moderati, quei della Giunta specialmente, ne erano rimasti sbigottiti e andavano dicendo roba da chiodi dell’ex direttore del giornale, chiamandolo un Girella, un venduto, un farabutto. Però si vedeva che erano avviliti e che cercavano colle chiacchiere, colle scappellate, colle proteste di liberalismo e di vera democrazia, di crearsi degli aderenti e parare il colpo. I progressisti, invece, insuperbivano ed esaltavano il coraggio, il patriottismo, la lealtà e soprattutto il carattere antico dell’ex direttore dell’Omnibus e, per sottoscrizione, indissero un gran banchetto in suo onore. In quanto poi al Frascolini, il nuovo direttore, nessuno lo conosceva; ma per gli avversari, cioè per i moderati, era una canaglia, una specie di mezzo analfabeta, un fallito, un porco; per gli altri il vero tipo del giornalista americano, un carattere integerrimo, un grande amico di Cairoli e di Zanardelli.

Il Caffè di Borghignano era stato il centro di tutte queste commozioni; mattina e sera, non vi si parlava d’altro. Là si sparse, per la prima volta, la notizia della vendita dell’Omnibus e là arrivarono le prime informazioni intorno alla somma pattuita nel contratto, somma che subiva rialzi e ribassi favolosi; là si discutevano con pazienza e con amore i vari articoli del contratto. Il notaio che doveva redigerlo era uno della comitiva, e il giorno in cui fu messa la firma i progressisti e moderati del Caffè, tutti uniti e d’accordo, lo aspettarono curiosi, e appena capitò dentro gli furono addosso, se lo strapparono l’un l’altro di mano, soffocandolo sotto una grandine fitta fitta di domande, tante domande che non gli lasciavano nemmeno il tempo di rispondere, di capire, di tirare il fiato. Figurarsi poi come rimasero la prima mattina che il Frascolini, con un fascio di giornali sotto il braccio (la posta del mezzogiorno), entrò nel Caffè a far colazione: pareva che tutti quegli avvocati e tutti quei cavalieri avessero mutato mestiere e vocazione: stavano attenti e attoniti a guardarlo, a studiarlo, ad ammirarlo, senza fiatare.

 

Il Frascolini, intanto, duro duro, faceva colazione, sfogliava i giornali, con un gran sussiego, e strapazzava democraticamente il cameriere. Quando ebbe finito e se ne andò via, scoppiarono tutti insieme a gridare pro e contro il nuovo direttore; e si riscaldavano specialmente per quell’occhio che gli mancava.

Lo aveva perduto in battaglia – no – lo aveva perduto in un duello – no – era stato accecato da un questurino durante una dimostrazione; – ma nessuno sapeva o diceva la verità.

Tutto questo gran rumore era quello che precede lo scoppio del temporale; e il temporale in fatti, anzi la tempesta, si scatenò sulla Giunta con articoloni sesquipedali che tuonavano fino dal titolo: Fame e camorra – I proletari – La tratta dei bianchi – L’agonia di un delinquente, ovvero gli ultimi giorni dell’Amministrazione d’Eleda, – catilinaria, infocata contro il duca Prospero Anatolio, – I tentennanti, ovvero i rossi di ieri, – fiera botta, diretta contro il deputato Della Valle.

Giorgio alzava le spalle e non ci badava; tutt’al più quelle sfuriate senza logica e senza grammatica lo mettevano di buon umore; ma il duca d’Eleda, che a Borghignano era sempre stato trattato coi guanti, leccato, adulato, ed anche discusso, ma col rispetto col quale si discutono le cose sacre, il povera duca d’Eleda, a sentirsene dire di cotte e di crude, e da un Frascolini qualunque, s’infuriava e diventava di tutti i colori, come i capelli del Rebaldi. Cominciò col dire che quel Frascolini bisognava farlo bastonare; che era un ignorante, un mariuolo; ma a mano a mano che quell’altro aumentava la dose delle ingiurie s’intimoriva sempre di più, e considerava l’Omnibus come una forza, e domandò a Giorgio s’egli non credeva fosse il caso di avere un’intervista per sapere, almeno, da quel Maramaldo, qual era lo scopo de’ suoi attacchi, della sua guerra insensata. Il conte Della Valle non ne volle sapere; anzi, disse chiaro al suocero, che un tal passo, disdicevole sempre, nel loro caso particolare, sarebbe stato ancora più sconveniente e indecoroso, e gli lasciò trapelare qualcosa delle strambe impertinenze del Frascolini verso Lalla.

– Ah, già, già! Allora… allora, sicuro; bisogna lasciar correre!… – rispose sospirando Prospero Anatolio; ma nel suo interno pensò che Giorgio non era altro che un famoso egoista.

– Certo, – borbottava, – a lui le tirate di questo ciuco imbizzarrito non possono far nessun danno, e per questo si diverte a lasciar correre e a disprezzarlo. È infeudato, lui, nel suo collegio, e se quell’altro gli grida contro che smonta di colore questo gli giova, invece di nuocergli. Nel Consiglio Provinciale, poi, le votazioni sdrucciolano come l’olio! Ma vorrei vederlo un po’ ne’ miei panni. Oh, se vorrei vederlo, colla marea che monta e la tempesta che soffia da tutte le parti!… Quel becero affamato voleva fare il patito a Lalla?… Sciocchezze!… Sarà stato ubriaco, appunto come lo è sempre, anche quando scrive. Del resto Lalla è come la Giulia; a sentirle tutti s’innamorano come matti, appena le vedono, principi e villani!… E intanto chi si cura, chi si dà pensiero di questo povero vecchio?… Nessuno. – Ah, Signore Iddio, che mondaccio egoista! – e il duca sospirava, alzando gli occhi al cielo.

Quando, dunque, il senatore d’Eleda, sballottato nel suo coupé, ritornava da Santo Fiore a Borghignano per prepararsi alla battaglia ultima e definitiva, egli riandava nella mente tutta la storia degli ultimi avvenimenti si affaticava indarno per trovare, nel buio fosco e minaccioso, una qualunque via di salvezza.

La sua condizione e quella della Giunta era ancor più disperata perchè non potevano disporre d’un giornale per difendersi dalle accuse, per dissipare gli equivoci, per soffocare le calunnie che inventava e diffondeva l’Omnibus quotidianamente. Tutt’al più dovevano limitarsi a far scrivere corrispondenze su qualche giornale di fuori, che poi arrivavano in ritardo a Borghignano e che l’Omnibus riproduceva stronche e alterate, con cappelli e code che toglievano loro ogni efficacia. Si era pensato, in quel frangente, di pubblicare un altro giornale, ma ormai era troppo tardi: un giornale nuovo non avrebbe avuto tempo di acquistarsi il credito, e uscito proprio all’ultima ora, apposta per difendere il Sindaco e la Giunta, avrebbe fatto più male che bene.

– Se il Frascolini fosse stato un uomo onesto e… abile? Perchè non provare… cercando d’illuminarlo sulla vera condizione delle cose?… Uno scopo, e recondito, ci doveva pur essere che lo spingeva in quella guerra fiera e sleale. Bisognava cercare di conoscerlo questo scopo e poi… poi chi sa; colle buone avrebbero forse potuto addomesticare la bestia!… Ma!…

Tuttavia… tuttavia se il signor conte Della Valle era un famoso egoista, il duca d’Eleda non voleva essere un minchione, e non era obbligato a seguirlo, tanto più che militavano ciascuno in un campo opposto. D’altra parte il Sindaco di Borghignano aveva non solo la sua Amministrazione da difendere, ma eziandio l’utile superiore del partito, al quale doveva sacrificare anche il risentimento personale. Poteva andare incontro a certa rovina, senza tentare ogni via per scongiurarla?

Poteva assistere impavido alla sua prossima sconfitta? Poteva vedere, in una parola, minacciato il reale benessere di Borghignano, della sua diletta Borghignano, senza tentare, per quanto almeno era fattibile, di scongiurare la catastrofe?… Sicuro, era assai penoso il dover scendere a spiegazioni con un Frascolini qualunque; ma, e perciò?… Doveva egli arrestarsi sulla via del dovere? – No, mai. – Quel passo era penosissimo, ma bisognava compierlo od ogni modo. Forte della sua coscienza, avrebbe sacrificato l’uomo privato all’utile del paese. Egli certo non voleva essere un perfetto egoista come il conte Della Valle; quel suo caro signor genero senza carattere, senza coraggio, senza iniziativa.

Meditato e approvato il bel disegno, Prospero Anatolio volle subito metterlo in esecuzione, e appena giunto a Borghignano mandò un bigliettino al direttore dell’Omnibus, pregandolo d’indicargli un’ora nella giornata, per discorrere insieme su vari argomenti di interesse pubblico.

Il Frascolini aspettava e desiderava da molto tempo un simile invito, e per ottenerlo più presto spingeva ogni giorno di più la violenza e l’acredine della sua polemica.

Egli aveva dubitato, prima ancora di rivederla a Santo Fiore, che anche l’ultima promessa di Lalla fosse stata una promessa bugiarda come tutte le altre. Ma quando s’incontrò con lei; quando la rivide, sebbene perdesse allora anche l’ultima illusione, tuttavia l’immagine di quella creatura fatale gli riaccese nel sangue un tumulto di memorie e di desideri, che la lontananza aveva solo intiepidito. La contessa Della Valle, colla sua indifferenza superba, non riuscì a cancellare Lalla dal suo cuore, soltanto, prima vi era circonfusa d’amore, e adesso invece, quella figuretta gentile vi sollevava impeti feroci di gelosia e di odio.

Sandro era smanioso d’incontrarla, di rivederla, di ridestare in lei qualche sensazione, fosse pure di sgomento, di essere ancora qualche cosa nella sua vita, fosse pur la sventura.

Egli la vedeva sempre, aveva sempre la signorina, viva, dinanzi agli occhi; e nelle ore tetre, uggiose del giorno e nei lunghi sogni affannosi delle sue notti, tutto era pieno del sorriso, dei capelli biondi, del viso di lei, ora acceso d’amore, ora freddo e ironico ed ora pallido, scolorito, come in quei tempi beati delle loro angosciose ebbrezze di fanciulli.

Non curato dalla contessa Lalla, egli cercò della Nena colla quale aveva sempre tenuta viva l’amicizia, pensando di valersene in ogni evenienza; ma non potè trovarsi con la Nena che una sol volta, perchè la padroncina, già informata da miss Dill, aveva vietato aspramente alla cameriera di avere rapporti e tener colloqui col Frascolini.

Sandro, finchè rimase a Santo Fiore, non amava più, odiava la duchessina, e avrebbe dato tutto il suo sangue, pur di riuscire a vendicarsi. Tuttavia, quando egli si trovò a Borghignano, a cassetta dell’Omnibus, da quella posizione elevata sperò ancora di poter giungere fino alla contessa Della Valle; e a mano a mano che nella sua fantasia vagheggiava un seguito avventuroso di quell’amore infelice, l’odio nuovo svaniva e ritornava l’antico affetto colle belle illusioni e le sue belle speranze.

Nella breve dimora che la contessa Della Valle fece quell’anno a Borghignano, ritornando da Nervi per andare a Santo Fiore, il Frascolini cercò d’incontrarla ma non gli riuscì: incontrò invece la Nena, e allora, e perchè gli piaceva, essendo un bel pezzo di ragazza, e perchè avrebbe potuto valersene per vedere e spiare in casa della padrona, strinse i nodi a quell’amoretto; e una domenica, dopo averla condotta a passeggiare per viuzze deserte, la fece capitare nelle vicinanze degli uffici dell’Omnibus, che erano nella casa medesima dove c’era la tipografia del giornale, e dov’egli aveva il suo alloggio. Sandro, fingendo d’essere capitato a caso in quel luogo, offerse alla Nena di condurla a vedere le macchine: ma poi, dopo le macchine, dopo la stamperia, forzandola un po’, violentando i no – no – debolissimi, paurosi ch’ella opponeva, volle mostrarle anche il suo quartierino e lì… E quando la Nena pallida, sconvolta uscì da quella casa, confessava a se stessa di aver fatto male, assai male, a disubbidire la padrona e a ritornare a discorrere col signor Sandrino.

Ma, oramai, era inutile il rimpianto, e la Nena, che aveva un debole per quel bel ragazzo e che in lui, anche adesso che il Frascolini aveva un occhio solo, vedeva sempre l’eroe dei Due Sergenti, da quella domenica in poi fu roba sua, tutta sua, anima e corpo.

Povera Nena!… Era tanto innamorata da non accorgersi nemmeno, da principio, che il suo amante le parlava sempre della sua padrona, più della sua padrona che di lei; ma ci badò più tardi e ne fu gelosa, e ne pianse.

In quel tempo, ricomparsa Lalla a Borghignano, si ritornò a discorrere dei suoi amori col Vharè, e la notizia giunse naturalmente anche alle orecchie del direttore dell’Omnibus, il quale, allora, ritornando a perdere le speranze, ritornò ad odiarla e d’un odio ancor più feroce di prima, perchè oltre di non amarlo più lui, Lalla adesso faceva peggio, ne amava un altro.

Domandò subito alla Nena, in uno di quei loro ritrovi domenicali, se era vera, propriamente vera la – infame tresca – ; ma la Nena gli rispose negando tutto e arrabbiandosi contro quelle pitocche di Borghignano che dicevano male della sua padrona perchè era più bella e più ricca di loro.

– Se la signora contessa, – concluse poi – aveva agito male con lui – Sandro le aveva raccontato che era stata la sua amorosa e che erano stati soli insieme e che si erano baciati per notti intere – se la signora contessa aveva agito male con lui, bisognava scusarla, perchè allora era ancora una bimba, e non sapeva quello che si facesse, ma adesso era un angelo di virtù, e non amava altri che il signor conte.

Simili assicurazioni non calmavano certo il Frascolini: la signora contessa non avrebbe dovuto amare nemmeno suo marito, anzi suo marito meno degli altri. Non gli aveva giurato che lo sposava per forza?

Tutte queste contradizioni, tutti questi opposti sentimenti ispiravano ogni atto della vita del Frascolini e perciò egli aveva voluto far paura al duca Prospero perchè il duca, smessa la superbia, si facesse umile e cercasse di cattivarselo per averlo alleato, se non amico. Il Sindaco di Borghignano non aveva obbligo di usare molta deferenza verso il quarto potere? verso gli uomini dell’avvenire? E se lui, Frascolini, lo attaccava anche ingiustamente, non era tenuto a invitarlo a reciproche e franche spiegazioni? Non doveva illuminarlo perchè potesse condurre il suo Omnibus sulla buona strada?… Sicuro, Sandro Frascolini non desiderava altro che questo: condurre l’Omnibus sulla buona strada, e lo desiderava per le aspirazioni del proprio cuore prima di tutto… ed anche per certi interessi, che egli chiamava – di tipografia. – È poi da notare che in questi ultimi tempi il Frascolini si era di molto dirozzato e aveva perduto un po’ di quelle sue arie di cantante a spasso che lo facevano primeggiare nelle sedute burrascose del Circolo democratico degli Operai Agricoltori.

Sandro Frascolini entrò dal duca d’Eleda, serio, impettito, colla tuba e col vestito nero: il duca, gli corse incontro, scusandosi graziosamente di averlo incomodato; gli prese la mano che strinse cordialmente, con effusione, fra le sue, e lo fece sedere sul canapè.

Allora Prospero Anatolio cominciò a ricordare l’antica famigliarità dei Santo Fiore coi Frascolini; gli disse che si ricordava di lui, Sandro, quando era ragazzo e che si ricordava di suo padre col quale era stato sempre in ottimi rapporti – un uomo integerrimo operoso, intelligente!… – E a mano a mano commovendosi, concluse ch’egli aveva creduto di evocare tante care memorie per scusare e per spiegare in certo modo, il grave passo fatto dal Sindaco di Borghignano verso l’egregio uomo che dirigeva l’Omnibus, dal quale (e qui cominciava un pochino a riscaldarsi) egli non si sarebbe mai aspettato una guerra accanita, personale, ingiusta; no, mai, perchè si era abituato a considerarlo come un amico!…

 

Sandro, a questo punto, credeva che il duca avesse finito, ma questi, invece, non si fermò nemmeno per pigliar fiato e non lasciandogli il tempo di risponderci cominciò a giustificarsi, a difendersi, saltando() da un argomento in un altro, dal Dazio Consumo alle Riforme, dalla Costituzione alla Progressista. Poi tornò a commoversi, a intenerirsi, e finì coll’aggiungere che quella guerra dell’Omnibus, – accanita, personale ed ingiusta – aveva dato un gran dolore anche alla duchessa Maria, alla sua moglie diletta e… e (sospirò) e così malandata in salute.

Il Frascolini aveva la testa piena, confusa da tanti discorsi; non sapeva che cosa dire, non sapeva come regolarsi, non sapeva più se doveva accusare o se doveva difendersi.

– Veramente – cominciò poi, lisciando adagio, col palmo della mano, il cappello a cilindro, – veramente, la polemica sostenuta del nostro giornale non è diretta al duca d’Eleda, ma all’Amministrazione del Comune.

– E all’uno e all’altra, amico mio; ed anzi, se volete dirlo francamente, forse più all’uno che all’altra, ed è ciò che mi addolora, ed è ciò che mi sconforta, come uomo privato e come uomo pubblico. – Io posso aver sbagliato, avrò sbagliato… ho sbagliato! Ditemelo voi, chi è infallibile a questo mondo?… Ma l’Omnibus, viva Dio, mi attacca anche nelle intenzioni!… Sono in errore?… Le mie idee non si accordano colle vostre?… Il progetto delle nuove riforme, che mi costa tanti studi, tante veglie angosciose, lo giudicate improvvido?… Ebbene, discutiamolo! Dio buono, discutiamolo! Io non domando di più, non domando di meglio: discutere!… E se mi convincerete che sono in errore, sarò io il primo a ringraziarvi e a sottomettermi, perchè, credete, egregio e caro amico, io non sono un ambizioso! Io amo il mio paese al quale ho sacrificata la quiete, la vita: ecco tutto!

– Scusate – replicò Sandro, mettendo il cappello sopra una sedia, e familiarizzando con quel voi che gli accarezzava l’orecchio. – Scusate, ma ammesso, come dite, che l’Ominibus abbia combattuto qualche volta il duca d’Eleda, ha combattuto solamente l’uomo pubblico, e non ha mai tirato in ballo l’uomo privato, quantunque…

– Grazie tante, ma…

– Lasciatemi finire! Quantunque anche l’uomo privato, abbia aspirazioni diametralmente opposte a quelle che informano la nostra vita di pubblicisti; perchè mentre noi siamo gli uomini dell’avvenire, siamo l’avanguardia, siamo… siamo… dirò così… – Il direttore dell’Omnibus cercava un’altra bella frase per tornir meglio il periodo, ma non riuscendo a imbroccarla dovette troncarlo a mezzo: – siamo liberali insomma, – soggiunse, – e voi no!…

– Ecco l’errore!… Ecco l’equivoco!… Ecco la grande Ingiustizia! – Non siamo liberali noi? – Non sono liberale io? – E Prospero Anatolio accavallò una gamba sull’altra, dondolandola democraticamente. – Non sono liberale?… Liberale lo sono quanto voi, più di voi. Sissignore! Solamente non voglio correre, voglio camminare… per non dover precipitare, o peggio, per non dover tornare indietro. – A questo punto il duca Prospero sfoggiò un’eloquenza tribunizia da far strabiliare. Citò la Francia e la Germania, l’Inghilterra e l’America, il conte di Cavour e Leone Gambetta, gli ultramontani e i nichilisti, i fatti delle Romagne, Cantelli e la spedizione di Crimea; il quarantotto, il novantatrè ed il settanta; la legge elettorale, l’abolizione del corso forzoso e la trasformazione dei partiti. I partiti – concluse finalmente, – che cosa vogliono, che cosa rappresentano i partiti in Italia? Qual’è la vera demarcazione fra la destra e la sinistra, tenuto calcolo, specialmente, delle oscillazioni dei centri? Noi, vedete, amico mio, noi dai nostri stalli tranquilli del Senato teniamo d’occhio la baraonda della Camera giovane e… Volete proprio sapere qual’è lo studio più assiduo che vediamo farsi là dentro? Quello di cercare una scusa tutti i giorni, tutti i giorni un pretesto nuovo, per non venire fra destra e sinistra a spiegazioni reciproche, per continuare nell’equivoco, altrimenti, – è chiaro come il sole – destri e sinistri non avrebbero ragione di esistere. – Prospero Anatolio scoppiò in una risata, il riso fa buon sangue, e il Frascolini approvò.

– Ma vedete, duca Prospero – cominciò dopo un momento di silenzio, – noi…

– Noi siamo radicali?… È questo che volete dire?

– Appunto; rispose il direttore dell’Omnibus, – noi siamo radicali.

– Ma Dio mio, caro Frascolini, chi oggi non è radicale, non è repubblicano… in teoria?… Ci si cammina, non dubitate, ci si cammina, verso la repubblica; ma se non vogliamo esser noi stessi i necrofori dell’opera nostra, dobbiamo attendere lo sviluppo naturale degli avvenimenti, dobbiamo preparare il terreno gradatamente, dobbiamo educare il popolo a questa libertà benedetta, se no, gli potrebbe dare le vertigini! Ricordate le parole di un mio amico carissimo: – fatta l’Italia, bisogna fare gl’Italiani. – E perciò, è necessario uno scambio d’idee, un connubio, direi quasi, fra gli uomini della permanente, gli uomini di ieri, come sono io, cogli araldi della rivoluzione, cogli uomini del domani, come siete voi.

Il Frascolini non ci capiva più nella pelle!… Quantunque avesse viaggiato, fosse stato applaudito nella Favorita e si trovasse ora alla direzione dell’Omnibus, in fondo in fondo egli restava sempre il ragazzotto di Santo Fiore, che, per tradizione di padre in figlio, riconosceva nel duca d’Eleda una autorità istintivamente subìta e che la lettura dei Misteri del Popolo aveva scossa, ma che non era riuscita a vincere interamente.

Quella familiarità del signor duca, quel voi alla buona, quell’amico mio, quel carissimo Frascolini lo facevano arrossire di piacere, e per il momento non avrebbe potuto desiderare di più. Dalla burbanzosa protezione del signor Domenico, il sindaco sensale di Santo Fiore, era arrivato all’amicizia del duca d’Eleda! – Nei primi giorni del suo amore, – quando Sandrino passeggiava per la campagna solo solo, colle mani in tasca e il sigaro spento in bocca, fantasticando il romanzo del proprio avvenire, egli non era giunto ad immaginare un capitolo più luminoso. Che cosa ne avrebbe pensato la contessa Lalla sentendo suo padre parlare con ammirazione del carissimo, dell’onorevole Frascolini?… Egli le aveva giurato che sarebbe arrivato a farsi un nome, una posizione e… e Prospero Anatolio lo chiamava amico, lo invitava in sua casa e lo trattava da pari a pari!… Oh la cara signora contessa avrebbe veduto bene come le sue promesse egli sapeva mantenerle!

Intesi e d’accordo in massima, sulla politica interna ed esterna, si cominciò a discorrere diffusamente intorno al progetto sulla riforma delle gabelle ed alla cessione in appalto del Dazio consumo; l’argomento del giorno, come diceva il duca d’Eleda, o la questione vitale e palpitante, come la chiamava Sandro Frascolini.

Il duca Prospero, cominciò allora a spiegare, al direttore dell’Omnibus, tutti i vantaggi morali e materiali che dovevano venire da tali riforme alle esauste finanze del Comune; gli fece toccar con mano che l’opposizione era mossa da interessi privati, e riuscì facilmente a convincerlo che il partito, il colore politico, ci entrava come il cavolo a merenda.