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Mater dolorosa

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XXIV

Chi dormì meno di tutti, quella notte, o, per dir meglio, chi non dormì affatto, fu il marchese Giacomo di Vharè. Il sì di Lalla, che sentiva sempre vivo nel sangue, lo teneva desto agitato. Egli era ritornato ai turbamenti e alle commozioni dei primi amori. Lalla aveva saputo incatenarlo assai strettamente; ma l’indole sua non poteva resistere a lungo a quella ginnastica platonica, e la sensualità vi si faceva sentire ancora più prepotente per quel tanto ch’era stata trattenuta e domata.

Non potè dormire in tutta la notte; soltanto verso l’alba riposò un poco. Si alzò tardi, con gli occhi pesti, col capo intronato, con un gran desiderio addosso e con un grande sgomento.

Gli era pur cara quella donnina così amorosa, così intelligente e sagace e nello stesso tempo così ingenua! Era l’ultima volta ch’egli amava o, per lo meno, era adesso alla sua ultima passione. Riflettendoci bene, ebbe paura di poter compromettere per imprudenza tutta quella sua grande felicità; poi pensò ai propri guai finanziari… al giorno, non lontano, nel quale non potendo più tirarla innanzi coi ripieghi sarebbe stato costretto a saldare i creditori con un colpo di rivoltella. Morire? E Lalla?… Lalla avrebbe trovato un nuovo amante!… Allora, proprio come un collegiale, gli si affacciò l’idea di morire tutti e due, ma finì presto col ridere di questa sua pensata alla Werther. Lalla era tanto giovane. Ben presto ella stessa lo avrebbe piantato per un altro. Si guardò nello specchio e si consolò; il pericolo non pareva imminente!… Il Vharè era una di quelle fortunate eccezioni, che non invecchiano mai, oppure che, anche invecchiando, colla loro testa grigia, ardita, espressiva, fanno fantasticare le testine romantiche delle fanciulle. Allora poi egli poteva dirsi ancora nel fiore dell’età. Più che essere un bell’uomo, cosa stupida alle volte, quanto, alle volte, lo è anche una bella donna, egli era un bel tipo. Che cosa importa la sostanza, quando al di fuori egli appariva simpatico, attraente, con un tutt’insieme dove c’era del poeta e del gran signore, del diplomatico e del rompicollo?…

Appena vestito se ne andò subito al caffè a far colazione; dopo, accese un sigaro, e girellando a caso, coll’immagine di Lalla che gli vezzeggiava dinanzi agli occhi, fece, come Dio volle, venir le due. Quando passò la soglia del palazzo Della Valle, aveva la faccia ancora più pallida del solito e gli batteva il cuore precipitosamente.

– La contessa è in casa?…

– Sissignore. – Erano già stati dati ordini in proposito; il portiere tirò la corda del campanello senza nemmeno passare nell’atrio a domandare ai servitori se la contessa volesse ricevere. Giacomo, per tali indizi, fu preso da una gioia espansiva, quasi fanciullesca; ma ahimè! – la gioia dei mortali… è un fumo passeggero! – Nella corte c’era il marchese di Toscolano, – stivali alla scudiera, giacca di velluto e il solito scudiscio fra le mani; – col cavallerizzo del conte Della Valle egli stava provando un puledro storno, che uno scozzone faceva passeggiare dinanzi alla scuderia.

Il Vharè sperava di passar via senz’esser veduto, ma la scampanellata aveva messo il Toscolano sull’avviso.

– Oh! caro, carissimo il nostro bel marchese!

– Grazie, altrettanto! – e il Vharè sperava di poter tirar dritto.

– Vai su, da Lalla?

– Appunto, salgo un momento dalla contessa.

– Aspetta; vengo anch’io.

Giacomo, in cuor suo, mandò quell’altro in tanta malora, pure dovette contenersi, ed aspettare l’amico, ammirando insieme il bel puledro. Il Toscolano disse qualche parola, in aria di mistero, al cavallerizzo, poi, dopo di aver regalato allo scozzone, mettendoglielo in bocca, il sigaro di virginia ch’egli stesso fumava, prese Giacomo a braccetto, sbattendo e strisciando i piedi per nettare le suole dalla ghiaia.

– Ma tu, scusa, – gli domandò il Vharè infastidito, – ti presenti alle signore… in questa toilette?…

– Sicuro!… O bene che mi prendano così o che non mi prendano! – Bella bestia, non è vero? Se non accade qualche disgrazia, quello si farà un cavallo famoso, e bisognerà che tu corra il ben di Dio, cane d’un marchese, prima di trovarne un altro eguale!… Sai chi mi ricorda quel puledro? Un morello che aveva tuo padre: lo comperò, ci sono entrato anch’io nell’affare, lo comperò da un aiutante di Radetzky, e lo ha poi venduto, con cinquecento svanziche di regalo sul prezzo di costo, allo zio dei Lastafarda, il signor Nicola, – sai! – quello che stava a Sant’Antonio e che mangiava i gatti in salsa, per far economia.

Discorrendo, avevano fatto la scalone. L’anticamera era deserta; altro indizio, codesto, che fece rimaledire a Giacomo l’incontro di Toscolano. Attraversarono l’appartamento e furono incontrati da Lalla che usciva dal salottino. Essa si mostrò meravigliata che non ci fosse nessuno in anticamera, e intanto, non poteva a meno di sorridere; indovinava, dalla faccia stralunata del Vharè, com’egli dovesse trovarsi male per quell’incontro così inopportuno.

Lalla rientrò nel salottino; i due la seguirono. Si parlò del più e del meno, di Giorgio ch’era andato in campagna, del puledro storno e della festa del Prefetto. Il Toscolano si vantava di non averci messo piede, quantunque avesse ricevuto l’invito. – Questo signore aveva ballato da tutti i governatori austriaci succedutisi a Borghignano, ma di Prefetti di sinistra non ne voleva sapere, perchè tutti i sinistri, diceva lui, erano nemici mascherati dell’Italia e della Monarchia. – Giacomo, su le prime, se la cavava con bastante disinvoltura, tanto per mostrare a Lalla che aveva spirito e che sapeva far buon viso alla disdetta, ma poi, rodendosi dentro perchè quell’altro non dava segno di voler andar via, a poco a poco diventò taciturno e imbronciato.

– Vieni o rimani? – gli domandò alla fine il Toscolano, dopo un momento di silenzio.

– Rimarrei, se la contessa lo permette.

– Io… bisogna che me ne vada! – e così dicendo il Toscolano cacciò le mani in tasca e si sdraiò ancora più comodamente nella poltrona. Lalla si godeva assai vedendo quell’altro che pareva sulle spine, in fondo al cuor suo, provava una certa inquietudine, un timore vago, indefinibile… insomma, aveva un gran piacere… a non restar sola col Vharè.

Il Toscolano domandò delle signore meglio vestite della festa, e Lalla, con molto brio descrisse l’abbigliamento dell’avvocatessa, mentre l’altro sobbalzava e lacrimava a forza di ridere. Poi il Toscolano tornò a guardare l’oriuolo, e accavallando una gamba sull’altra, e battendo il tempo col tacco, si pose a cantarellare sull’aria dei cospiratori nella Madama Angot:

– Bisogna che me ne vada! Bisogna che me ne vada! – … E non si moveva.

Giacomo, tuttavia, non aveva perduta ogni speranza: da un momento all’altro quell’importuno se ne sarebbe andato, ed ogni ritornello del Toscolano lo confortava… Ma, sul più bello, si sentì un rumore di passi, un fruscio di vesti, e questa volta, annunziata dal servitore, si fece avanti la Calandrà. Allora sì che il Toscolano battè subito in ritirata; ma rimaneva quell’altra, a guardare la piazza!…

La generalessa domandò conto della Giulia: Lalla rispose che sua cugina aveva detto, ed era vero, di voler dormire fino all’ora del pranzo, perchè si sentiva stanca; allora si tornò da capo a discorrere della festa del Prefetto. Giacomo non ne poteva più, ma le sue pene erano ben lungi dalla fine. Poco dopo la generalessa, capitarono i due Lastafarda, che in quei giorni si affaccendavano in visite, perchè tutti e due avevano da sfoggiare un soprabito ultima novità; poi, andata via la generalessa, venne Gianni Rebaldi, colla zazzera impomatata, non più bionda, ma d’un rosso cupo, avvenimento che a Borghignano si spiegava raccontando d’una certa operazione di credito ch’egli aveva conchiusa di fresco e sulla quale, in conto di altrettanta valuta, avea dovuto accettare i fondi di bottega di un profumiere fallito. Qualche cosa di vero in queste chiacchiere ci doveva essere, perchè il Rebaldi, infatti, sentiva di muschio, di verbena e di violetta lontano un miglio, e i suoi capelli cambiavano ogni giorno di colore.

I Lastafarda se ne andarono presto: a Milano si usa di far visite corte; ma il Rebaldi rimase duro, fermo, al suo posto. Egli, dopo aver ripetute le spiritosaggini dette la sera innanzi, voleva che Lalla gli trovasse moglie e per un bel pezzo continuò a cantare e a descrivere la verginità del suo cuore, tanto che Giacomo, stizzito, gli buttò in faccia, un po’ sgarbatamente, che a cinquant’anni, sonati, non si poteva più sposare che la propria governante. Il Rebaldi rimase imbronciato, ma non andò via, tanto più che, ad aumentare il ghiaccio fattosi d’intorno, capitò la Bertù, colla sua aria da ficcanaso, la quale si mostrò molto sostenuta col Vharè, affettando di chiamarlo sempre il signor Vharè, e niente marchese.

Giacomo era arrivato al colmo dell’impazienza!… Aveva la testa intronata da tutti quei discorsi così vuoti, inconcludenti, interminabili; si dondolava sulla seggiola, strappava convulsamente la fodera del cappello e, cogli occhi levati, numerava ad uno ad uno i putti del soffitto, Lalla, invece, gaia e ridente, si godeva a lanciare sul Vharè certe occhiate maliziose, significantissime, che la rendevano ancora più attraente.

Ad ogni costo egli avrebbe aspettato di restar solo! Almeno un bacio, ma glielo voleva dare!

La Bertù e Gianni Rebaldi stavano finalmente combinando d’andar via insieme, in carrozza. Lui sarebbe disceso al club; lei ci doveva passar sui piedi, tornando a casa. Si alzarono, cominciarono i saluti, il Vharè era lì lì per spuntarla, quando, – chi è? chi non è? – si affaccia sull’uscio Pier Luigi da Castiglione, che arrivava in quel punto da Viareggio, senza avere scritto prima, perchè voleva fare un’improvvisata.

L’arrivo di Pier Luigi non fu molto gradito alla duchessina: essa ebbe il presentimento che quell’uomo capitava apposta per farle del male. Tuttavia si mostrò lieta, e sonò, perchè avvertissero subito la Giulia.

 

Il Vharè era proprio spacciato.

– Sicuro; vengo da Viareggio… vengo. Ho per te – e si rivolse a Lalla – i saluti della Raimondi, della Rescalvi e della Vigofanti; sicuro. Sì sperava che saresti venuta a Viareggio, ma… Tò, tò, tò, guarda chi vedo! Il nostro caro marchese!… A Borghignano, voi?!… Ma, come mai?… Eh! Eh! Eh! cherchez la femme, cherchez!… Cercate la donna, cercate!

Si strinsero la mano e si guardarono in viso, tutti e due.

Il Vharè se ne andò presto con la Bertù e col Rebaldi. Egli sperava di sfuggire all’occhio maligno di Pier Luigi, ma aveva cominciato troppo tardi ad essere prudente; quella sua visita a Lalla, così prolungata, determinò e precipitò la catastrofe.

Appena la Calandrà e la Bertù si trovarono insieme nella serata, quella domandò a questa chi ci aveva veduto dalla duchessina: – Gianni Rebaldi e il signor Vharè – rispose l’anemica discendente dei Saint-Florin.

– Come?… il Vharè era ancora da Lalla quando ci sei stata tu? Se ce l’ho trovato io pure!

– Mah! – Questo mah della Bertù esprimeva un sospetto e un lamento insieme.

– Allora le fa la corte?

– Pare…

– Lalla, ci casca per inesperienza. Bisogna impedire che la cosa si faccia seria.

– Certo, bisogna salvarla.

– Bisogna salvarla!

La stessa osservazione, la stessa maraviglia, i medesimi commenti, si erano fatti al club fra il Toscolano e il Rebaldi.

A poco a poco, la notizia importante fu divulgata, smentita, confermata, e tutta Borghignano fu messa sossopra. Alcuni assicuravano che ormai al conte Della Valle non rimaneva più altro che reprimere, altri sostenevano, con pari calore, che c’era tutto il tempo per poter prevenire. Al club si notava la faccia del Vharè quando entrava, l’ora e la strada che prendeva quando ne usciva. In una farmacia, vicina al palazzo Della Valle, nascosti dietro le tendine verdi dei cristalli, c’erano sempre parecchi curiosi che spiavano il Vharè mentre si recava a far visita alla contessa Della Valle. Nel caffè di Borghignano, la mattina all’ora di colazione e la sera dopo il teatro si sospese, per il momento, di salvare la patria, volendo salvare invece il conte Della Valle, dal serio pericolo che correva. Pochi accusavano Lalla; i più la difendevano; tutti esaltavano i meriti di Giorgio, e condannavano, senza pietà, il marchese Vharè: quelle brave persone erano diventate, ad un tratto, altrettanti Catoni, altrettanti Collatini insieme e in solido! E non indietreggiavano neppure dinanzi a qualche grave incomodo. – Lalla e il Vharè non poteva mai uscir di casa senza avere, l’uno o l’altra, un bracco dilettante alle calcagna, il quale poi, secondo la direzione della pesta, correva a mettere la quiete o l’allarme in città.

Il Lastafarda, numero due, girava attorno in cerca di notizie e di aneddoti che riferiva poi al Lastafarda numero uno, il quale, in tal modo, era riuscito a diventare piacevole alle signore. Gianni Rebaldi assicurava che a Bologna uno spiantato, roso dai debiti, non sarebbe stato ricevuto nella buona società, e il marchese di Toscolano, ora scommetteva la testa e ora la coda di Adamastor, sostenendo che il Vharè aveva fatto un buco nell’acqua. La Prefettessa difendeva Lalla a spada tratta; la Calandrà elogiava con molto calore il conte Della Valle, la Bertù faceva da pubblico ministero con requisitorie draconiane che condannavano tutti quanti!…

Pier Luigi era il solo della famiglia che gli amici mettessero a parte di quello scandalo; uno scandalo che, a sentire lo stesso Pier Luigi, pareva scandalizzare anche lui!… Tutti lo consigliavano circa il da farsi: gli uni, trovavano necessario di aprire gli occhi al marito, altri, invece, di aprirli alla moglie. La Bertù voleva che Pier Luigi ne parlasse subito al duca Prospero, la Calandrà alla duchessa Maria, ma la Prefettessa suggeriva di star a vedere come si mettevano le cose.

– Mio fratello, – esclamava smaniando il giovane Lastafarda, – ha detto stamattina che s’egli fosse nel conte Pier Luigi, se la prenderebbe col Vharè, soltanto col Vharè, tagliando i nodi alla militare, con una buona sciabolata!

Ben presto anche la contessa Della Valle e l’amico suo si accorsero del nuovo ambiente che si andava loro formando intorno. Nel palchetto, in teatro, erano lasciati soli, quasi sempre: in casa, appena arrivava Giacomo, le altre visite si dileguavano subito. Poi, le allusioni degli amici e delle amiche, le mezze parole, i sorrisi a freddo, i musi lunghi della Bertù, l’aria diplomatica della Prefettessa, e le effusioni della Calandrà, la quale, se dietro le spalle non risparmiava la Della Valle, a tu per tu con lei, faceva l’impossibile per entrarle in amicizia, per ottenere le sue confidenze. Inoltre l’austerità, gli scrupoli, l’onore della famiglia, roba nuova di zecca, colla quale Pier Luigi rimpinzava ogni sua cicalata, e finalmente qualche parolina, qualche scherzo della Giulia, tutto ciò non lasciava dubbio: il loro segreto incominciava ad essere il segreto di Pulcinella! Il Vharè ne fu seccato; Lalla spaventata, e si consolava pensando che era ancora – a tempo – di ritirarsi, che, ancora, non aveva fatto – niente di male.

La prima, che parlò a Lalla del Vharè, fu sua madre. A Maria nessuno avea osato dire una sola parola, ma lei stessa, per suo conto, aveva finito col notare la grande assiduità del marchese. Allora mostrò con lui un contegno così freddo ch’egli, per forza, dovette accorgersene. Due o tre volte di seguito, gli fece dire, senza una parola di scusa, che non lo poteva ricevere. – Giacomo cessò dal presentarsi in casa d’Eleda; ma, naturalmente, Maria si avvide presto, che allontanandolo da sè, non era riuscita ad allontanarlo anche da sua figlia.

Lalla, dapprima, ascoltò le rimostranze della mamma un po’ inquieta e cogli occhi bassi: temeva avesse capito, scoperto qualcosa. Ma poi, quando fu ben sicura che la mamma era lontana da qualunque sospetto, allora si ribellò contro una morale troppo rigida, troppo austera. Quella sorveglianza la inquietava e la infastidiva: – alla fine era donna, e delle sue azioni non doveva render conto a nessun altro che a suo marito!…

– So bene, cara mamma; non ricevendo alcuno, chiudendosi in casa, come fai tu, è certo: non si corre nemmeno il rischio di prendersi un raffreddore; ma, a me pare, scusa, sai, a me pare sia anche lecito… si possa anche tenersi qualche amica, qualche amico d’intorno. Dovrei offendermi perchè il marchese preferisce la mia compagnia, alla compagnia della Bertù, che non sa parlar d’altro che di abbigliamenti e d’araldica? o a quella della Calandrà, che discorre soltanto di affari di servizio?… In quanto a me poi, lo confesso, fra il puzzo di scuderia del Toscolano e le spiritosaggini del Rebaldi, preferisco il Vharè, che ha spirito e che è molto per bene! – Lalla si era fatta un po’ ardita, perchè punta sul vivo, e perchè sentiva, in fondo, che la mamma aveva ragione.

– Il Toscolano e il Rebaldi sono persone… indifferenti e senza conseguenze!

– E tu, mamma, credi il Vharè… pericoloso?

– Non gode certo una buona opinione – rispose ingenuamente la duchessa, che non aveva notata l’ironia birichina della figliuola.

– Oh, sai!… Ci vorrebbe altro!… Preoccuparsi di tutte le chiacchiere!

– Una donna deve preoccuparsi moltissimo di tutto ciò che può dire la gente quando le sta veramente a cuore non soltanto il proprio onore, ma anche l’onore di suo marito.

Lalla non sapeva più che rispondere, e tormentava nervosamente le stecche del suo ventaglio; Maria, temendo di essere stata un po’ dura, si avvicinò a Lalla e, dopo averla abbracciata, mentre con una mano le accarezzava i bei capelli, le domandò con un’espressione piena di dolcezza:

– Senti, carina mia, tu non ci tieni molto alle visite del Vharè?…

– No.

– Ebbene, in tal caso, puoi fare un piccolo sacrificio alla tua mamma: quel Vharè, mandalo a spasso! Sarà un capriccio, ma che vuoi!… si può accontentare la mamma anche in un suo capriccio. Quando eri bimba io ne ho appagati tanti de’ tuoi! – e Maria le sorrise teneramente.

– Ma… Come si può fare?… Metterlo alla porta? Egli non me ne ha dato nessun motivo. – Lalla capiva che non doveva ostinarsi, che doveva cedere, o almeno fingere di cedere, per non compromettersi.

– Fa, come ho fatto io. Veniva da me con troppa frequenza e la cosa non mi accomodava perchè veniva sempre quando c’eri anche tu; ebbene, ho dato ordine che gli dicessero alla porta, per due o tre volte, che non ero in casa… e non è più venuto. Se così ti par troppo, gli puoi far dire che hai fissato di non ricever più fino al tuo ritorno dalla campagna. Tanto, tra un mese, andiamo via tutti.

– Buona ragione… per anticipare la noia d’un mese!

– Ma santo Dio!… Si direbbe, a sentirti parlare, che non sei innamorata di tuo marito!

– Innamoratissima, mamma cara, ma non l’ho sposato per morir d’amore!

– Come rispondi a sproposito, certe volte!… Dovresti sentirti orgogliosa di tuo marito…

– Lo sono tanto, ma…

– Dovresti essere felice solamente per lui e con lui, non dovresti domandare, non cercar più nulla, non pensare più ad altro, dovresti sentirti gelosa contro tutto ciò che potesse togliertelo per un’ora soltanto, che…

– Oh! oh! quale entusiasmo, mammina cara!

Maria tacque d’improvviso, arrossendo.

– Eppure – continuò Lalla, – che vuoi?… Non mi pare tu abbia sempre riscontrato in Giorgio le virtù più sublimi.

– Non capisco!…

– Volevo dire che… non sono senza memoria. Mi ricordo quando eravamo fidanzati. Tu non eri, certo, la più contenta, di noi tre. Mi ricordo che ti mostravi pochissimo espansiva; e una volta, che io ho desiderato ch’egli ti abbracciasse, tu, quasi, volevi buttarti giù dalla carrozza.

Maria senti stringersi il cuore e non potè trattenere le lacrime, e allora fu Lalla, che l’abbracciò, che cercò di consolarla, che le promise di fare sempre e in tutto ciò che la mamma le avrebbe consigliato. Non le conveniva disgustarla() e temeva, persuasa com’era della poca simpatia di sua madre pel conte Della Valle, di aver fatto male mostrando di averci badato.

Lalla e il Vharè si trovarono insieme poco dopo e fu convenuto, fra di loro, ch’egli diraderebbe le visite; anche Giacomo capiva bene che, per il momento, bisognava usare molta prudenza. Si sarebbero incontrati qualche volta, si sarebbero veduti la sera al teatro, o al caffè… Ma fra un paio di mesi, si troverebbero liberamente a Roma… A Roma dove Lalla doveva ritornare con suo marito, per la riapertura della Camera. Quanta felicità allora!… Sì; bisognava essere prudenti per non arrischiare di perderla.

Giacomo, intanto, voleva almeno approfittare dell’occasione; voleva indurla a scrivergli direttamente; ma non ci fu verso. Lalla aveva paura; era troppo tenuta d’occhio; potevano sorprenderla da un momento all’altro. No, no, non avrebbe mai avuto il coraggio di mettere lei, colle sue proprie mani, una lettera in buca!… Da che aveva imparato a scrivere, consegnava le lettere al servitore, il quale le rimetteva, colle altre della casa, al maggiordomo, e il maggiordomo, due volte al giorno, le portava alla posta. Pensandoci solamente di doversi fermare vicino alla cassetta per gettarvi dentro una lettera, si sentiva diventar rossa dalla vergogna. Le pareva che tutti dovessero guardarla e ghignare, dicendo fra di loro: – quella lì, manda una lettera all’amante! – Insomma, la ripugnanza era più forte di lei; no, no; era impossibile!…

– Questo… come il resto… tutto prova che non mi vuoi bene; – rispondeva il Vharè secco secco. Lalla cercava di persuaderlo del contrario, ed egli a lungo andare non aveva più il coraggio d’insistere, sebbene sentisse che quella donnina non era ancor sua, che non la teneva ancora ben stretta fra le sue mani e che, anzi, da un momento all’altro gli poteva sfuggire.

Si combinò uno scambio di libri per l’indomani, e fissarono d’incontrarsi il venerdì prossimo, mentre lei sarebbe andata a piedi dalla Prefettessa.

– Venerdì?… Brutto giorno! – pensava Lalla che era superstiziosa; ma poi dovette cedere, perchè sabato era troppo tardi per Giacomo, e giovedì troppo presto per lei.

Ma intanto il temporale si addensava sul loro capo. Pier Luigi ne sapeva già abbastanza e gli premeva di vendicarsi in qualche modo di Lalla, e di mettere il bastone fra le ruote a quel marchese conquistatore. Certo, egli, adesso, aveva il diavolo dalla sua, e se l’intenzione era cattiva, gli effetti erano quelli di un’opera santa. Pier Luigi, faceva il bene per disperazione, per non aver potuto fare il male; ma, ad ogni modo, egli restava sempre dalla parte della morale e delle… istituzioni.

 

Dopo averci riflettuto lungamente, trovò che il meglio da farsi era di tenerne parola, come già gli aveva consigliato la Bertù, a Prospero Anatolio, e gliene parlò in fatti, avendo cura di protestare che riteneva la duchessina pienamente innocente e che soltanto agli occhi del mondo avrebbe potuto correre un serio pericolo. – E bisognava soffocare le chiacchiere subito subito, ipso facto, perchè, se la virtù della donna – diceva il conte da Castiglione – può parer di cristallo ed essere invece di diamante; l’onore dell’uomo, è sempre di vetro, è sempre, anche quando lo si crederebbe d’acciaio; il che vuol dire che è fragilissimo; vuol dire.

Il duca Prospero lo ringraziò colle lacrime agli occhi, premendosi, sul cuore, le due mani di Pier Luigi.

– Grazie, grazie; non dico altro. È un tratto… d’amico vero, di parente affezionato! – E il duca, volle abbracciarlo, spinto da uno slancio di tenerezza e di riconoscenza. – Ma, in questo caso, più dell’autorità del padre deve agire, deve imporsi la prudente oculatezza del marito. Sapete, caro Pier Luigi?… Io non potrei altro che consigliare, e i consigli, entrano da un orecchio, per uscire da quell’altro!…

– Se ne fa l’abitudine… se ne fa.

– Bravo! Precisamente!… Giorgio, invece, è un altro paio di maniche. È il marito, è l’autorità costituita… Mi spiego?

– Parlatene voi stesso, a Giorgio.

– No, no, no, ottimo amico; non mi pare. La cosa, per sè stessa delicatissima, si farebbe subito troppo grave, per il mio medesimo intervento. Capite, Pier-Luigi?… Fra suocero e genero, fra la destra, come sarebbe a dire, e la sinistra – e Prospero lasciò scappare una risatina maliziosetta – -si fa sempre una politica d’opposizione. Sapete qual’è il miglior partito?… Di questo dolor di testa incaricatevene voi!… Voi, che non solo siete lo zio, ma l’amico dilettissimo del nostro Giorgio. Egli vi ama, vi stima e vi professa tutta quella considerazione che…

– Non facciamo complimenti, non facciamo…

– No, no; lasciatemi dire – che giustamente, giustissimamente vi è dovuta. Dunque?… Siamo intesi?

Il conte da Castiglione si fece pregare, ma poi, in fine, disse di sì: tuttavia prima di parlare con Giorgio, ben conoscendo il predominio di Lalla, volle aver tanto in mano da non poter essere smentito. Allora si pose a far la posta, non perdendo più d’occhio la cara nipotina, e quel venerdì, appunto, nel quale Lalla e Giacomo dovevano vedersi per andare dalla Prefettessa, egli le tenne dietro appena uscì di casa, la vide incontrarsi col Vharè, salutarsi, fermarsi e poi, bel bello continuar la strada… insieme.

Pier Luigi affrettò il passo, li raggiunse e, oltrepassandoli, salutò la nipote e il marchese con una grande scappellata, un grande inchino e un cordialissimo sorriso.

I due rimasero colpiti, spaventati e si lasciarono subito: Lalla, col solito espediente dei libri, avrebbe fatto sapere a Giacomo se mai l’incontro di quel – iettatore – avesse portato disgrazia; se invece non vedeva libri, egli sarebbe andato la domenica prossima, alle quattro, ora diplomatica, a farle visita.

La Della Valle si fermò un minuto solo dalla Prefettessa; dopo, corse a casa inquietissima, con mille timori nell’animo. Essa temeva la linguaccia e l’odio di Pier Luigi! Era sicurissima che quel vecchio esoso non si lascerebbe sfuggire una così buona occasione per vendicarsi.

Appena a casa si spogliò del cappellino, della mantellina, poi si accomodò nel cantuccio del suo salotto, tranquillissima in apparenza, e prese a sfogliare una rivista, aspettando che Giorgio andasse a cercarla. Ma non leggeva; pensava al suo metodo di difesa. – Aveva ben ragione quando temeva che il venerdì le sarebbe stato fatale!… E… Giorgio, crederebbe più a lei, o a Pier Luigi?…

In quelle ore – eterne – non pensò che al pericolo dal quale era minacciata la sua pace e il suo avvenire. Se pensava al Vharè, era soltanto per confortarsi di… – non aver rimorsi – e, al caso, di poterlo anche giurare!

Del resto s’inquietava a torto; nessuno, nemmeno Pier Luigi, e suo marito meno ancora degli altri, voleva mettere in dubbio la sua innocenza.

Pier Luigi, uscendo dal club con Giorgio, lo prese a braccetto e gli disse appena, in via di discorso, che nella sua qualità di stretto parente si trovava in obbligo di consigliarlo a impedire l’assiduità del Vharè presso sua moglie, perchè il mondo l’aveva notata; e soprattutto, doveva vietare a Lalla di lasciarsi accompagnare per via da quel pessimo soggetto. – La moglie di Cesare – concluse Pier Luigi – non deve essere nemmeno sospettata, non deve essere!

Giorgio non pronunziò una parola; ma fu preso da un impeto d’ira contro la leggerezza di Lalla… – poteva far supporre a qualche imbecille, anche ciò che non era!… – E si avviò difilato a casa, risoluto, questa volta, a parlar chiaro e ad imporre la propria volontà.

Lalla lo sentì subito, al passo che risonava lungo l’appartamento: c’erano molte sale da attraversare, e le pareva ch’egli non arrivasse mai; lo affrettava quell’istante e tuttavia avrebbe voluto allontanarlo all’infinito. Appena Giorgio si presentò sulla porta, Lalla capì che lo zio non aveva perduto tempo: Giorgio era pallido, col volto contratto. – In quel momento, se il Vharè avesse potuto guardare nel cuore della sua amica, non vi avrebbe trovato nemmeno più l’ombra di un po’ d’amore: l’amore era tutto sparito; non c’era dentro altro che una gran paura!

Giorgio le parlò brevemente, duramente. Lalla rispose balbettando, poi scoppiò in lagrime, giurando e spergiurando la propria innocenza.

– Ah, viva Dio, credo bene! – rispose l’altro, sempre più adirato. – Non sarei qui da te, se ne potessi dubitare! – A Lalla si allargò il cuore, ma continuò a gemere e a piangere. – Era stato lui, il marchese, a fermarla… per caso… perchè aveva da farle i saluti del commendator Pasoletti…; poi, il Vharè, sentendo che lei andava dalla Prefettessa, le offrì di accompagnarla… le seccava… le seccava molto… ma non poteva mandarlo via!

– E questo è avvenuto, perchè?… Perchè gli hai data troppa confidenza! perchè lo hai ammesso, quasi, nella tua intimità, e io non volevo, te l’ho detto cento volte, non una, cento volte che non lo volevo fra i piedi!… Intanto si mormora, capisci? ed io, ridicolo, non lo voglio essere, e non lo voglio nemmeno parere!

– Dimmi tu… tutto quello che vorrai… lo farò, lo farò senza esitare… ti prometto… ti giuro… tutto tutto. Nino mio!

– Domani… andremo in campagna, e… ricordati bene: non devi dirlo a nessuno.

– E a chi lo dovrei dire! – esclamò Lalla alzando gli occhi bellissimi, ancora scintillanti di lacrime.

Ma quando Giorgio uscì, essa respirò sorridendo: l’uragano era passato. Ci avrebbe pensato lei, a far ritornare il bel tempo.

Poco dopo, venne sua madre a trovarla: Lalla le raccontò la scena, gettandole le braccia al collo e singhiozzando. Maria l’accarezzò e la consolò, pur facendole capire, delicatamente, come sarebbe stato assai meglio se avesse badato subito a’ suoi consigli; e dopo non la lasciò più, in tutta la giornata.

Il Della Valle, dinanzi alla pronta ubbidienza e al dolore di Lalla, si era calmato pienamente. Egli temeva, anzi, di essere stato troppo severo; e accompagnando Maria, quando se ne andò, fino alla carrozza, se ne scusò anzi con lei, ringraziandola del suo affetto, baciandole e ribaciandole la mano, con tenerezza affettuosa.

Si era combinato, che i Della Valle sarebbero andati in campagna subito, il giorno dopo, e che Maria e il Duca li avrebbero raggiunti nella settimana. Appunto, per essere tutti uniti, anche gli sposi andavano a Santo Fiore: questi, per altro, nel Villino che Giorgio Della Valle aveva comperato dal Vharè.