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Orlandino

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par orso al mele e cingiale alle ghiande
e che carnoval faccia un ser pedante,
soldato a descrizion d’un ventott’anni,
che quanti ha denti tanti ha saccomanni.
 

24

 
Mentre il pasto era in gloria Astolfo invita
a ber[e] Rinaldo e brindisi! dicea,
et una tazza d’un bocal forbita
di Montalban el sir convien che bea,
e com’il vin va in volta, sbalordita
la tavola ritonda se volgea,
donde i bon paladin, briachi e matti,
pel capo s’aventar vivande e piatti.
 

25

 
Messer marchese Olivier borgognone
finge non riguardar veruno in volto
e mentre si riscaldan le persone,
in trarsi il brodo l’uno e l’altro acolto,
una <s>palla arrostita di montone
trasse a un tratto e contra Gan fu volto:
la carne gli aventò tra il capo <e> il collo
e tramortito da pachiar levollo.
 

26

 
Ma tosto in sé tornato, il conte Gano
el me’ che può si strinse nelle spalle
e sopra il petto si pose la mano,
fra sé dicendo: “ Io non son Aniballe,
ma ne farò vendetta “; e dissel piano
e per questa cagione in Roncisvalle
condusse Orlando a morir con sua gente
e chi dice altro ne mente e stramente.
 

27

 
Ridea con Carlo tutti i paladini
di don Cano, che uscì del scanno fori,
et eran molli di più ragion vini,
ricamati a minestra et a savori;
i loro abiti d’oro e cremesini
paiono i panni dove i dipintori,
finiti ch’hanno questi quadri e quelli,
le mani si forbiscano e ‘ penelli.
 

28

 
Odorava la sala come odora
un gran tinel d’un monsignor francese
o come quel d’un cardinal ancora
quando Febo riscalda un bestial mese.
Finito il pacchio, si svagina fora
una giornea, ch’a farla un maestro atese
de gli anni trenta, in be’ quadri distinti
dove i capricci umani eran dipinti.
 

29

 
Eravi grili, gatti, topi e piche,
priapi et anni, vulve larghe e strette,
tafani, zanzale, farfalle e formiche,
gli aloch’, i barbagianni e le civette,
di mellon fiori, di zuche e d’ortiche,
fino a le calze da far le borsette;
eravi teste, braccia, pesci e ucelli,
vari sì come son vari i cervelli.
 

30

 
Chiunque senza proposito dicea
scomunicata onoranda bugia
de iure acquisteria quella giornea,
ch’averla indosso era una signoria
e tanto gloriosa si [se] tenea;
ch’un altro sfodri altra coglionaria
(o menzogna – tanto è) che la sua passi;
in altro modo la giornea non dassi.
 

31

 
Terigi, il paggio d’Orlando, avea cura
di recamarve quel che meglio frappa.
Apunto Astolfo, gentil creatura,
che a dir folate sé sbandendo scappa
e meglio sa contar una sciagura
che uno spagnol non sa portar la cappa,
cominciava ad intrar sul ciel del forno
quando ognun sente un crudel son di corno.
 

32

 
Goffi, perché sappiate, un almansore,
assai più che un fachin asin gagliardo,
de la Sabomia altissimo signore,
qual mul vizioso, altier com’un bastardo,
era quel che sonava a gran furore,
dal quinci al quindi nominato Cardo:
Cardo almansor si chiamava il pagano,
che porta per cimier Ettor troiano.
 

33

 
Dicea Cardo (son bestiale e orrendo):
– S’alcun di voi ha cor, lena, polmone,
armisi e venga a trovarmi, ch’intendo
sostentargli che gli è più che poltrone! -
– Paladin mie, – non miga sorridendo,
disse farnaticando el re Carlone,
– nipote mio, i’ mi ti raccomando;
armati presto e va’ combatti, Orlando. -
 

34

 
Rispose allora il coragioso conte:
– [Signor] Lassami andar pria a far un servigio,
poi m’armerò e manum proprie e sponte
mando colui che brava al fiume estigio. -
 

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