Saving Grace

Tekst
0
Recenzje
Przeczytaj fragment
Oznacz jako przeczytane
Czcionka:Mniejsze АаWiększe Aa

Otto

Taino, St. Marcos, Isole Vergini americane

18 agosto 2012

Ava si era accordata per vedersi con il suo amico alle 11:30 in punto. Entrammo nel vecchio edificio che fungeva da Stazione di Polizia con quindici minuti di ritardo, che Ava commentò essere “quasi in anticipo”. Ava, con il suo fare semplice e sexy, ed io, che cercavo di trattenermi dall’essere sempre di corsa, sfoggiando un ridicolo stile virgineo in confronto a lei, con il mio prendisole bianco. Tolsi gli occhiali da sole e li ficcai nella custodia, in borsa.

“Buongiorno,” annunciai, entrando nella stazione. Un coro di “buongiorno” si propagò per la stanza in risposta. Quasi mi misi a ridere. Ava si girò per guardare se la stessi prendendo in giro, poi si complimentò con me con un cenno del capo.

“Buongiorno. Siamo qui per incontrare Jacoby,” disse all’impiegata seduta alla scrivania dietro al front desk, interrompendo il suo dolce far niente.

Ava fu immediatamente circondata da agenti che offrivano il proprio aiuto, da chi diceva di conoscere Jacoby, di essere Jacoby, di essere più uomo di quanto Jacoby sarebbe mai stato. Affollarono la reception al primo piano, una stanzetta che probabilmente, cent’anni prima, era stata il salotto di qualcuno. Adesso era arredata con sedie pieghevoli e un tavolino da caffè in laminato, ricoperto da riviste e giornali piuttosto consumati. Ne presi uno, mentre Ava teneva a bada gli ammiratori, e lessi oziosamente dell’acquisizione di una compagnia telefonica locale da parte di un magnate dell’isola. Il suo nome era Bonds. Gregory Bonds. Risi tra me e me della mia stupida battuta. Ah, sì, doveva trattarsi del futuro marito di Ava, il ragazzo con un pessimo autista. Lo rimisi a posto, non sopportando più il servilismo del giornalista.

Quando il vero Jacoby si fece avanti, rimasi scioccata. Era una specie di Shrek nero, non il dio color ebano dell’isola che mi ero immaginata al fianco della bellezza sensuale di Ava. Ava si lasciò scappare un urletto adolescenziale — un’altra grande sorpresa — e si lanciò su di lui a braccia aperte, con conseguenti mormorii e grugniti delusi, insieme ad alcuni suoni che sembravano come se qualcuno stesse succhiando la saliva attraverso i denti, da parte del pubblico maschile. Bleah. Gli altri agenti di polizia si dispersero, chi tornando in ufficio o ai piani superiori, la cui scala d’accesso si intravedeva oltre la reception.

“Katie, questo è Jacoby. Siamo inseparabili sin dai tempi dell’asilo. Jacoby, Katie.”

Mi porse la mano. “Darren Jacoby.”

Gliela strinsi. “Un piacere conoscerla, Agente Jacoby. Sono Katie Connell.”

Jacoby indicò una delle porte della stanza e ci spostammo. Aprendo la porta in legno massiccio, ci ritrovammo in una sala conferenze vuota, con spesse pareti in cemento. Costruita per resistere a Madre Natura. C’era un tavolo in metallo ripiegabile, e lo stesso tipo di sedie dell’ingresso. Di nuovo, immaginai come potesse essere stata questa stanza una volta. Una camera da letto, decisi. Ci sedemmo intorno al tavolo.

“Quindi, Ava, immagino di non aver sognato la tua chiamata sexy di ieri notte,” disse.

Se cercate un esempio perfetto di come la speranza sia l’ultima a morire, eccolo.

“Hai sognato che fosse sexy, ma sì, ti ho chiamato,” rispose. “Katie ha bisogno di aiuto. I suoi genitori sono morti a St. Marcos l’anno scorso, erano qui in vacanza.”

Distolse lo sguardo da Ava. “Mi dispiace, Signora Connell,” disse.

“Mi chiami Katie, per favore. Grazie.”

Mi fece segno di continuare a parlare.

Ava non mi aveva chiesto di lasciarla parlare? Decisi che non l’aveva detto seriamente e presi il controllo. “La Polizia ha detto a me e a mio fratello che i nostri genitori sono morti in un incidente stradale. Senza offesa per la Polizia di St. Marcos, ma, date le circostanze per come ce le hanno spiegate, sentivo che c’era qualcosa che non tornava. Non era da loro. Speravo di poter parlare con l’agente che si è occupato del caso e se possibile leggere il loro fascicolo. Appianare i miei dubbi, fare i conti con la situazione,” spiegai.

Strinse gli occhi. “Conosce il nome dell’agente di polizia?” chiese.

“No,” dissi. “Mi dispiace.” Collin l’avrebbe saputo. Avrei dovuto chiederglielo.

“Ha detto che il cognome è Connell?” chiese.

“Sì. Frank e Heather Connell.”

Senza dire altro, spinse indietro la sedia. Una delle gambe aveva perso il cuscinetto ed emise un rumore stridulo che mi ricordò di Shreveport, e di Nick. Jacoby lasciò la stanza.

“Che brusco,” dissi ad Ava.

“Tendono a serrare i ranghi, specialmente se non sei baan ya,” disse Ava. “Ecco perché ti ho detto ieri sera che sarei dovuta venire con te, e che avremmo dovuto lavorare con Jacoby, almeno il più possibile.”

Mi sorse un dubbio. “Spero non fosse lui l’agente che se ne occupò. In quel caso, l’ho appena accusato di aver fatto un casino.”

Ava rimase seduta con un sorriso da Gioconda sulle labbra. I secondi ticchettavano sull’orologio da muro dietro di lei. Passò un minuto, poi un altro, e poi un altro. Ava tirò fuori il telefono e iniziò a smaneggiare. Tolsi la mano dalla bocca, rendendomi conto troppo tardi che avevo strappato la cuticola dall’indice. Stava sanguinando.

Poi Jacoby fece ritorno, riempiendo la stanza con la sua barba ispida. Teneva un fascicolo sotto il braccio e un piccolo pezzo di carta in mano.

“Ho parlato con il mio capo, il vicecomandante Tutein. Ha detto di darle questo.” Si era americanizzato adesso, a scapito della parlata locale. Mi allungò il pezzo di carta, che aveva i buchi da un lato, rivelando di essere stato strappato da un quaderno.

Lessi le parole scritte a matita: Walker, King’s Cross n°32. “È il nome dell’agente?” chiesi.

“No, l’agente che si occupò del caso è annegato undici mesi fa,” disse Darren, con voce piatta. Non aggiunse altri dettagli, e io non feci domande.

“Mi dispiace. Cosa sa dirmi del fascicolo? Posso vederlo?”

Mi fissò. “È stato un semplice incidente stradale.” Si passò la mano sulla nuca. “Abbiamo un rapporto dell’accaduto. Le ho fatto una copia. Forse la scientifica sa qualcosa di più.”

Tirò fuori la cartella e la aprì. Una pagina. La presi in mano cautamente, il mio sguardo cadde sui nomi Frank Connell e Heather Connell. Lessi il resto velocemente, fino a quando non trovai il nome dell’agente che rispose alla chiamata. Scritto con chiarezza, leggeva Michael Jacoby. Firmato in piccolo e storto, diceva George Tutein. Jacoby. Ma non questo Jacoby, perché questo Jacoby — Darren — era più che vivo.

“Walker è un investigatore privato, l’unico di St. Marcos. Tutein dice che Walker ha dei buoni contatti sull’isola e che lavora per un paio delle aziende locali più importanti. Forse può aiutarla.” Jacoby iniziò a farsi da parte. “Ma i suoi genitori sono morti in un incidente stradale. Non sembra esserci molto altro che possa scoprire.”

“Quindi non c’è nessun altro qui con cui possa parlare?” Un fuoco di rabbia si accese dentro di me e iniziò a diffondersi.

“Solo Michael. Ed è morto.” Si girò verso Ava. “È stato bello rivederti.” Girò i tacchi e se ne andò.

Le mie guance e orecchie stavano andando a fuoco. Tutto questo scatenava un campanello d’allarme per me. Feci per parlare ma Ava si portò un dito alle labbra. Chiusi la bocca strinsi i denti. Indicò l’uscita con un cenno della testa e si alzò per andarsene, gridando a tutti i presenti, “Un buon pomeriggio a tutti voi.”

Un muro di afa mi aspettava alla porta, ma mi ci lanciai all’interno, alimentata dalla frustrazione. Due agenti di polizia ci passarono vicino ed entrarono nell’edificio, e adesso eravamo da sole. Strizzai gli occhi, scavando nella borsa in cerca degli occhiali da sole.

Consapevole della loro amicizia, smorzai un po’ la mia collera. “Ava, so che è tuo amico, ma non ti sembra che volesse mettermi a tacere? So che non sono di qui, ma qualcosa non torna.”

Lo sguardo di Ava sfrecciò a destra e sinistra. “Shh, Katie. Le cose qui sono diverse dagli Stati Uniti.”

Aprii la macchina e sbloccai le portiere. Entrammo.

“Fammi vedere quel rapporto,” disse Ava.

Glielo passai. Non c’era molto da vedere. Incidente stradale, caduti da un dirupo sugli scogli sottostanti. Guidatore e passeggero deceduti. I miei genitori.

Senza alzare lo sguardo dal foglio, Ava chiese, “Cos’è che ti fa essere così sicura che non sia stato un incidente?”

“Non sono sicura. Credo molto nelle intuizioni, ed è una mia sensazione, che scaturisce da alcuni dettagli che non hanno molto senso. Come il fatto che mia madre indossasse l’anello di matrimonio di mia nonna, ma la polizia non l’ha ritrovato. Né su di lei, né tra le sue cose in hotel. Mi è sembrato strano. In più, parlai con i miei genitori quella sera. Erano stati a cena e stavano tornando al Peacock Flower Resort. Mi hanno chiamato mentre erano in macchina. Stavano benissimo. E poi sono morti.” Merda. I miei occhi iniziarono ad ingrossarsi.

“Okay, okay. Qui dice che tuo padre era abbastanza ubriaco.” La sua parlata si fece più formale. Più americanizzata.

“Sì, è un’altra cosa che mi disturba. Mio padre era un ex-alcolista. Non sembrava ubriaco quando gli parlai al telefono. E non riesco ad immaginare mia madre che lo osserva bere senza fare una piega.” Mamma aveva domato bambini dell’asilo per vent’anni e le piaceva affermare che quel tipo di lavoro aveva fatto sì che domare papà fosse una passeggiata. Era per metà dolcezza e per l’altra metà risolutezza d’acciaio. La sorpresa dell’arrivo di Collin era l’unica cosa che le aveva impedito di diventare avvocato.

 

“Forse non se n’è accorta?” Ava propose.

“Forse. Non lo so. Tutto è possibile.” Confessai. “È ciò che pensa mio fratello. Collin. È un agente di polizia. Quando i nostri genitori sono morti, ha chiamato la stazione e ha parlato con un agente del posto. Collin disse che era stato gentile, disponibile, e che aveva detto che succede spesso a St. Marcos che i turisti si ubriachino e si infilino in brutte situazioni. Collin pensò che forse papà avesse avuto una ricaduta e lo stesse nascondendo — il bere — a mamma.”

Ava mi appoggiò la mano sul braccio. “Odio doverlo dire, Katie, ma turisti e guidatori ubriachi sono come sinonimi per noi.”

Questo non aiutò i miei occhi a trattenersi dalle lacrime. “Ma il tuo amico è stato strano. Non credi?”

Mi guardò, con occhi dolci e tristi. “L’agente sul caso che è morto? Michael Jacoby? Era il fratello di Darren. Suo fratello minore.”

“Mi dispiace. Oddio, mi dispiace tanto. Sto pensando solo a me stessa. Io—”

Un improvviso colpo sul finestrino dietro di me mi interruppe. Feci un urlo e saltai sul sedile, sbattendo la testa contro il tettuccio. Anche Ava sussultò.

Mi girai e vidi il faccione di Darren Jacoby incorniciato dal mio finestrino. Provai ad abbassarlo ma i bottoni non funzionavano. Solo allora mi resi conto che eravamo sedute in macchina bollente con i finestrini alzati e aria condizionata spenta. Inserii le chiavi e azionai il motore, poi abbassai i finestrini.

Ava si sporse su di me, tornando ai suoi modi locali. “Jacoby, ci hai fatto prendere un accidente.”

Non sorrise. “Volevo dirle,” disse, guardandomi negli occhi, “Dirle, che dispiace per suoi genitori. So quanto duro perdere qualcuno che si ama. So che fa venire molte domande. Ma mio fratello era buon poliziotto, mi fido di lui. Se dice che sono morti in incidente stradale, è questo che è successo.” Era tornato ad esprimersi nella parlata locale.

“Mi dispiace per tuo fratello,” dissi.

Inclinò la testa, con lo sguardo abbassato, poi tornò a guardarmi negli occhi. “Buona giornata, signora Connell.”

Alzai nuovamente il finestrino mentre se ne andava. Ero più confusa adesso di quando ero arrivata alla Stazione di Polizia. Sarebbe stato meglio lasciar perdere, fidarmi del giudizio di Collin, cercare pace, non problemi. Lo sapevo questo. E normalmente mi fidavo ciecamente di Collin. Ma aveva avuto problemi sentimentali proprio prima della morte di mamma e papà. La sua futura moglie l’aveva lasciato per un’altra donna, e non era più lo stesso allora, era distratto dai suoi stessi problemi. Se avevo dei dubbi, lo dovevo ai miei genitori di cercare la verità. Li avevo delusi per un anno, lasciando che tutto fosse più importante dei miei istinti, di loro, e fintantoché anche il minimo dubbio non venisse risolto, dovevo continuare.

Uscii dal parcheggio e mi misi a guidare.

Nove

Taino, St. Marcos, Isole Vergini americane

18 agosto 2012

Quindici minuti dopo, io e Ava sedevamo di fronte alla scrivania di un certo signor Paul Walker, n°32 di King’s Cross Street. Il suo ufficio era una lunga e stretta stanza dalle pareti e pavimenti in mattone rosso. Probabilmente una volta si trattava di un corridoio o di un porticato. Era spremuto tra un mercatino dell’usato e un negozio di dischi abbandonato, il quale aveva ancora album coperti di polvere in vetrina ed emanava un’aura di vergogna, o fallimento. Mi chiedevo se ci fossero dei tesori nascosti nelle sue profondità. Probabilmente no.

Walker si era allontanato in fondo alla stanza per raggiungere un mini-frigo, dal quale prese due bottiglie d’acqua. Usò la manica per asciugare le bottiglie, mentre si faceva strada verso di noi sul pavimento irregolare. Le pareti si facevano sempre più strette alle sue spalle, o così mi sembrava. Era come una casa degli specchi ad un festival di carnevale di bassa lega.

“Allora, mi parli del caso, signora Connell,” disse Walker mentre ci porgeva l’acqua dall’altra parte della scrivania, per poi sedersi.

Avevo lavorato a stretto contatto con un solo investigatore prima d’ora: Nick. I due erano agli antipodi. A giudicare dalla pancia, racchiusa in una maglietta di rum Cruzan, Walker sembrava incinta di cinque mesi. Il sudore gli costellava la fronte. L’intero ufficio sembrava aver bisogno di una doccia. Se avessi avuto un fazzoletto con me, l’avrei usato per coprirmi naso e bocca, — dopo aver pulito la bottiglia d’acqua. Sistemai la bottiglia sul pavimento, accanto a me.

“I miei genitori sono stati a St. Marcos per una settimana l’anno scorso. Sono venuti per festeggiare quarant’anni di matrimonio. Si stavano divertendo molto, mi chiamavano ogni giorno.” Una fitta di senso di colpa mi attanagliò, nel ricordare come mi irritava vedere il loro numero sullo schermo. Persone che amavo interrompendo una vita che odiavo. E loro mi irritavano. “Facevano cose da turisti. Hanno preso un catamarano per raggiungere uno degli atolli. Hanno fatto una camminata nella foresta tropicale. Sono andati in una spiaggia isolata per fare snorkeling. Era come se stessero recuperando la gioventù persa. Mi hanno persino chiamata un giorno per dirmi che avevano visto due persone che facevano sesso in spiaggia. Mia mamma rideva come una ragazzina mentre me lo diceva, un tipo con dei lunghi e increspati capelli biondi e una ragazza nera mingherlina, mi aveva detto. Ma le stava piacendo. Stava amando tutto del viaggio.”

Arriva al punto, Katie. Buffo come io possa essere perspicace con i problemi altrui, ma goffa con i miei. Finii di raccontare la storia senza perdermi in dettagli irrilevanti.

Walker mi puntò con lo sguardo per tutto il tempo in cui parlai. Quando ebbi finito, rimase in silenzio, battendo lentamente la penna contro le labbra.

“Signor Walker? Ha qualche domanda?” chiesi.

“Oh. Scusi. Mi ricorda qualcuno che conoscevo,” disse. Il suo commento mi fece rabbrividire. “Sì, giusto alcune domande per cominciare. Prima che morissero, dove cenarono i suoi genitori?”

Me lo ricordavo. Avevano adorato il ristorante e ci erano tornati per la loro ultima cena sull’isola. “Da Fortuna. Lo conosce?”

“Sì, è un posto molto popolare.”

Il mio sguardo andò a posarsi sul riconoscimento per i dieci anni di servizio presso il Dipartimento di Polizia di New York che era appeso al muro, sopra la sua spalla sinistra. Accanto, era appesa una foto di pesca, oggetto di design obbligatorio sull’isola: Walker e un uomo nero ugualmente grosso, e un altro uomo biondo ancora più grosso, in piedi sul ponte di poppa di una barca chiamata Big Kahuna, sollevando insieme un enorme pescespada.

Per la prima volta da quando ci eravamo scambiati i saluti all’inizio dell’incontro, Ava parlò. “Il Promontorio di Baptiste non è esattamente nel tragitto tra il ristorante e l’hotel.”

Walker la ignorò e continuò a parlare con me. “Si diressero da qualche altra parte quella notte, che lei sappia?”

“Non che io sappia.”

“Al casinò? Una passeggiata al chiaro di luna sulla spiaggia, forse?”

“Mi dispiace, non lo so. Ho il rapporto dell’incidente della polizia, però. E hanno detto che la scientifica potrebbe averne un altro.” Sventolai il documento della polizia, e lui lo prese, lo aprì e lo sistemò davanti a sé.”

“Okay, mi procurerò quello della scientifica.”

“In più,” esitai, guardai Ava, poi proseguii. “L’agente che ha investigato sulle loro morti è deceduto poco dopo. Può vedere sul rapporto che un agente diverso da quello dell’investigazione ha firmato il documento. Non so se sia rilevante, ma—”

Walker mi interruppe. “Verificherò. Molto bene.” Buttò uno sguardo alla cartelletta sulla scrivania con il rapporto della polizia. “Penso di aver raccolto tutte le informazioni che mi servono da lei. Chiedo un acconto di cinquecento dollari, per iniziare la ricerca.”

Avevo bisogno di andare avanti, ma firmare un assegno a quest’uomo e fidarmi che avrebbe fatto il suo lavoro sarebbe stato abbastanza? Spendere gli inutili soldi dell’assicurazione mi avrebbe fatto sentire meno in colpa? Avrei voluto chiamare Nick e sapere cosa ne pensasse. Avrei voluto correre fuori dalla porta. Volevo un punch al rum. Volevo indietro mamma e papà. Deglutii e tirai fuori il libretto degli assegni.

Mentre gli firmavo l’assegno, continuò a parlare. “Ho molti casi da seguire al momento. So già che non potrò dedicarmici per alcune settimane. Non è un’emergenza, dopotutto, i suoi genitori sono già morti.”

Rabbrividii di nuovo. Però, aveva ragione. Era un cafone, ma aveva ragione. Misi l’assegno sulla scrivania insieme al mio biglietto da visita e, con le dita, li allungai verso di lui. Scavarono una striscia di pulito fra la polvere.

“Beh, grazie, signora Connell. Mi farò vivo,” disse, afferrando l’assegno prima che potessi togliere le dita.

Mentre Ava ed io ci alzavamo per andare, disse, “Oh, un’ultima cosa. È meglio se parlo prima io con i potenziali testimoni. Interferisce con la mia investigazione quando i clienti cercano di farlo prima da soli. Quindi, per favore, mi lasci fare ciò che mi ha ingaggiato per fare e si goda la sua vacanza sulla nostra isola paradisiaca.”

“Va bene,” dissi.

E ce ne andammo, più in fretta che potei.

Dieci

Taino, St. Marcos, Isole Vergini americane

18 agosto 2012

Ava ed io camminavamo lungo il marciapiede, in silenzio come una coppia sposata, invece che due donne che si erano conosciute quindici ore prima. Camminavo davanti a lei, ma cercavo di rallentare. Dalla vita, però, non tanto per prendermela comoda.

Quando raggiungemmo la macchina, Ava mise entrambe le mani sul tettuccio. “Dimmi che hai fame e che sei pronta per un drink.” Portò l’avanbraccio davanti alla faccia, come per controllare l’ora su un orologio immaginario. “Sì, decisamente ora di pranzo.”

“Devo vedere il Promontorio di Baptiste” dissi. “Devo solo vederlo. Non penso di poter lasciare tutto nelle mani di Walker senza vederlo coi miei occhi.”

Ava si mise come in posa, con le braccia piegate in aria, tutte e dieci le dita puntate verso il cielo, muovendo la spalla a ritmo. “Beh, ovviamente devi vederlo.” Lasciò perdere la posa drammatica e si chinò verso di me. “E ti ci porterò, ma avrai un panino di pesce volante in una mano e una Red Stripe nell’altra quando arriveremo là.” Indicò una strada davanti a noi e poi la sinistra. “Guida, segui questa direzione.”

Dopo essere rientrate nella caldissima Chevrolet Malibu, guidammo fuori città lungo la ventosa costa nord, l’azzurro alla nostra destra, il verde alla nostra sinistra. Abbassammo i finestrini e lasciammo volare i capelli. Avrei avuto bisogno di un uragano per far volare via la tempesta dentro di me nell’aria di mare, ma una forte brezza marittima andava bene per ora. Passammo un porto. Il tanfo di benzina e pesci morti si fece intenso per un momento e iniziai a buttare fuori aria dal naso. Tolsi dalla bocca alcuni dei capelli che il vento aveva spostato e presi un sorso dalla bottiglia d’acqua che avevo preso dall’ufficio di Walker. La stessa bottiglia a cui avevo dato una strofinata punitiva con le salviette disinfettanti che avevo in borsa, una volta arrivata in macchina.

Dopo dieci minuti al volante, Ava indicò una capanna sulla spiaggia.

“Fermati qui,” disse.

La capanna si rivelò essere un piccolo ristorante d’asporto, con un bar e qualche sgabello da spiaggia. Non c’era nessuna insegna che potessi leggere. Ava si tolse le (mie) scarpe e scese dalla macchina, ed io la seguii. Attraversammo la spiaggia per arrivare al ristorante senza nome e fummo accolte da un paio di cani.

“Cani della spiaggia,” disse Ava. Ordinò loro di stare indietro con una voce profonda che non l’avevo mai sentita usare, e i cani obbedirono, scodinzolando.

Ava salutò il proprietario come fosse un suo vecchio amico e gli diede il nostro ordine. Lasciò il palmo della mano aperto, così tirai fuori venti dollari. Gli brillavano gli occhi, e mostrò anche l’altro palmo. Tirai fuori altri venti dollari. Annuì, così misi una banconota in ciascuna mano. Mise il denaro in un cestino sotto al bancone e tornò alla friggitrice, risucchiando le gote nello spazio una volta occupato dai denti. Niente resto. Il paradiso non è economico.

Ava saltò sopra uno degli sgabelli, affacciati sul mare. Mi unii a lei. Che bel modo di pranzare. Mi sarei potuta abituare. Appoggiai i piedi sul supporto tra le gambe dello sgabello, con i gomiti sulle ginocchia e il viso tra le mani.

 

“Il pranzo è sempre così caro su quest’isola?” chiesi.

Yah mon. Se non sei baan ya.”

Ero indignata. “Quindi ti avrebbe fatto spendere meno di quanto ha chiesto a me?”

Tirò su col naso. “Lui? No, è un ladro. Ma normalmente c’è uno sconto per i locali.”

Ah beh. Non era sorprendente. Girai la testa, godendomi gli scricchiolii del collo. L’acqua mi stava chiamando a sé. “Ti dispiace se metto i piedi in acqua mentre aspettiamo?” chiesi ad Ava.

“Vai pure. Rimango qui e ti chiamo quando è pronto.”

La sabbia era tiepida, quasi calda. Appoggiavo prima i talloni, prendendomela comoda. Come mi avvicinavo al bagnasciuga, la sabbia si faceva più dura e fresca. Non esitai. Mi immersi nell’acqua, fino alle caviglie, fino alle ginocchia. Alzai di diversi centimetri il prendisole. Le onde si scontravano con le mie ginocchia, schizzandomi le cosce. Dopo che l’acqua si era infranta su di me, sentii la brezza marina che arrivò a seccarmi. Potevo vedermi i piedi, sul fondale dell’oceano. Lasciai entrare la sabbia fra le dita. Un’altra onda arrivò e mi sollevò con sé. Un banco di pesciolini argentati guizzava attorno a me, da un lato e dall’altro, a pochi centimetri dalla superficie.

“Katie,” mi chiamò Ava. “È pronto.”

Sarei potuta rimanere lì per ore. Ma uscii dall’acqua, schizzandola coi piedi negli ultimi passi prima del bagnasciuga. Immaginando mia madre, chiedendomi se avesse fatto lo stesso, se lo avesse fatto proprio qui, in questa spiaggia. Se l’uomo della capanna che mi guardava adesso da lontano l’avesse vista, e se avesse pensato che avessi un volto familiare. Sin dall’adolescenza, ci dicevano che sembravamo gemelle. Mamma alzava gli occhi al cielo e diceva: “Forse per un settantenne, da un centinaio di metri.” Si sbagliava. Era troppo giovane per morire.

Raggiunsi Ava e portammo i panini, arrotolati in un’unta carta cerata, in macchina. La Johnnycake è un pane fritto, l’equivalente caraibico dello Youtiao cinese o della Sopaipilla messicana. Tutto ciò di cui la mia cellulite aveva bisogno. Anche se in realtà la mancanza di esercizio fisico negli ultimi cinque anni, da quando avevo mollato karate, non le troppe calorie, era il mio problema. Ava reggeva anche due Red Stripes gelate fra le dita.

“Quanto manca?” chiesi.

“Dieci minuti,” disse.

Guidammo lungo la costa per un altro chilometro, poi ci addentrammo nell’entroterra, in salita. Non mi piaceva abbandonare la calma del litorale. Gli ultimi otto minuti di tragitto erano stati su strade sporche e dissestate che a cadenza regolare si trasformavano in foreste di cespugli.

“Non è un posto da esplorare da soli,” disse Ava, indicando una delle traverse. “Troppo isolato.”

“Però è bellissimo quassù,” dissi. Di fatto, ero scioccata da quanto fosse bello. Diverso dalla costa, ovviamente, ma diverso in senso buono, in modo perfetto. Gli alberi erano più alti e si intrecciavano sopra la strada, creando un tetto sopra di noi e smorzando il rumore dell’infrangersi delle onde sulla sabbia e sugli scogli, a un solo chilometro di distanza. Intravidi delle piume colorate fra gli alberi.

“È un pappagallo?”

Yah mon. Vivono quassù.”

Al contrario di Ava, non credevo mi sarei mai abituata a questo tipo di flora e fauna. Ne venni assorbita: orchidee più belle di qualsiasi fiore cittadino, con venature fucsia e rosa, e Flamboyant da un arancione fiammeggiante, imponenti e maestosi, che mi ricordavano le mimose di casa.

“Gira qui,” disse Ava, così curvai velocemente, in direzione all’oceano, anche se a centinaia di metri più in alto.

Guidammo ancora mezzo chilometro, per poi uscire dalla boscaglia. Il cambio di scenario fu improvviso e spazzò via tutta la calma della foresta. Anche il mio umore cambiò. Ma chi voglio prendere in giro? Le mie emozioni erano grezze e il mio umore oscillava da su a giù più velocemente di Sarah Brightman nel Fantasma dell’Opera.

“Puoi parcheggiare dove vuoi,” disse.

Accostai l’auto e parcheggiai, spegnendo il motore e trattenendo il respiro.

Venire nel posto in cui i miei genitori erano morti era come entrare nelle chiese colorate della Navidad Valley, in Texas. Avevo visitato La Grange mentre ero alle medie, con la mia famiglia. In quelle antiche chiese di legno, sapevo di essere davanti a qualcosa di sacro e potente e che, sotto quei tetti, sofferenza e venerazione andavano di pari passo, proprio come era successo all’incontrarsi della foresta e degli scogli. Dove la vita incontrava la morte.

Ava era già scesa, di nuovo a piedi nudi, e stava procedendo verso la salita. Mi incamminai dietro di lei. Volevo sentire di nuovo i miei genitori, far loro sapere che ero venuta qui, che per me erano importanti. Che anche se non fossi riuscita a fare altro in questo viaggio, almeno avrei detto loro addio.

“Vi voglio bene, mamma e papà,” sussurrai.

Ava raggiunse la vetta della collina e in tre passi era già sparita, accelerai. Arrivando alla cima, mi mancò l’aria e feci un passo indietro per l’improvvisa vertigine. Il terreno scendeva per circa trenta metri, e poi semplicemente svaniva. All’orizzonte, solo il cielo, che si ricongiungeva in lontananza con il Mar dei Caraibi.

“Non sono i primi a cadere da questo promontorio,” disse Ava, con tono solenne.

“Oh mio Dio,” dissi, non riuscendo a pensare ad altro. Affondai nell’erba. Mi accovacciai in una collinetta, cercando di schiarirmi le idee. Perché? Perché erano venuti qui?

“Questo è come un ritrovo per gli innamorati, nel suo modo desolato e inaccessibile. Molte delle ragazze che conosco hanno perso la verginità qui. Alcuni si sono anche buttati per amore. Ha sempre avuto un fascino romantico a cui le persone non riescono a resistere.”

Rimuginai sulle sue parole. Era possibile che i miei genitori avessero cercato questo posto? Un’ultima avventura per concludere la vacanza? Li immaginai mano nella mano, testa contro testa. Speravo fosse così. Qualcosa dentro di me non ci credeva, ma Dio, se lo speravo.

“Addio, mamma e papà,” sussurrai. Chiusi gli occhi di nuovo, contai fino a cento, cercando di non pensare a nulla, e offrii il mio cuore al cielo.

To koniec darmowego fragmentu. Czy chcesz czytać dalej?