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Czyta Edoardo Camponeschi
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Tutti si fermarono dubbiosi mentre Conval si avvicinava a uno dei frutti, di un rosso brillante, e allungava una mano per toccarlo.

Subito si udì un ringhio profondo e minaccioso.

Conval fece un passo indietro e afferrò la spada, mentre gli altri si guardavano ansiosi.

“Cos’è stato?” chiese Conval.

“Veniva da laggiù,” disse Reece, indicando una parte della giungla.

Tutti si voltarono a guardare. ma Thor non riuscì a vedere altro che foglie. Krohn ringhiò. Il rumore si fece più forte, più persistente, e alla fine i rami iniziarono a scuotersi. Thor e gli altri fecero un passo indietro, sguainarono le spade e rimasero in attesa, aspettandosi il peggio.

Ciò che sbucò dalla giungla superava le peggiori aspettative di Thor. Lì di fronte a loro c’era un enorme insetto, grande cinque volte Thor. Sembrava una specie di mantide, con due zampe posteriori, due più piccole zampe anteriori che roteavano nell’aria, e lunghi artigli alle estremità. Il corpo era verde fluorescente, ricoperto di squame e aveva delle piccole ali che ronzavano e vibravano. In cima alla testa c’erano due occhi, un terzo si trovava sulla punta del naso. Si allungò mostrando altri artigli – nascosti sotto la gola – che vibravano e schioccavano.

Rimase lì, incombendo si di loro, e un altro artiglio gli uscì dalla pancia: una lunga zampa che sporgeva. Improvvisamente, talmente veloce che nessuno di loro poté reagire, afferrò O’Connor  per la vita allungando i tre artigli e lo sollevò in aria come fosse una foglia.

O’Connor fece roteare la sua spada, ma non era sufficientemente vicino per poterlo colpire. La bestia lo scosse diverse volte, poi aprì improvvisamente la bocca, mostrando diverse file di denti affilati, ruotò O’Connor a testa in giù e iniziò ad abbassarlo verso le sue fauci.

O’Connor strillò mentre gli si profilava davanti una morte istantanea e dolorosa.

Thor reagì. Senza pensarci due volte mise un sasso nella fionda, prese la mira e tirò contro il terzo occhio del mostro, sulla punta del naso.

Fu un centro diretto. La bestia gridò, un verso orrendo, tanto forte da poter spezzare un albero, poi lasciò cadere O’Connor che precipitò ruotando in aria e andando ad atterrare sul soffice terreno della giungla con un tonfo.

L’insetto si infuriò, poi si voltò verso Thor.

Thor sapeva che opporre resistenza e combattere contro quella creatura sarebbe stato inutile. Almeno uno dei suoi compagni ne sarebbe rimasto ucciso e probabilmente anche Krohn. Ciò avrebbe diminuito le loro preziose energie. Capì che probabilmente erano degli intrusi nel suo territorio e che se fossero riusciti ad andarsene abbastanza velocemente, forse li avrebbe lasciati stare.

“CORRIAMO!” gridò.

Si voltarono, iniziarono a correre e la bestia iniziò a inseguirli.

Thor sentiva il rumore degli artigli del mostro che tagliavano la fitta vegetazione alle loro spalle, fendendo l’aria e mancando di poco proprio la sua testa. Pezzi di foglia volavano in aria e piovevano attorno a lui. Corsero tutti insieme e Thor sentiva che se fossero riusciti a guadagnare sufficiente distanza, avrebbero potuto trovare un modo per ripararsi. Altrimenti avrebbero dovuto lottare.

Ma Reece improvvisamente scivolò dietro di lui, inciampando in un ramo e cadendo lungo disteso tra le foglie. Thor sapeva che non si sarebbe rialzato in tempo. Si fermò, sguainò la spada e si mise tra Reece e la bestia.

“CONTINUATE A CORRERE!” gridò agli altri, rimanendo lì pronto a difendere Reece.

La bestia balzò su di lui, strillando e agitando i suoi artigli mirando alla sua faccia. Thor si abbassò e fece roteare la spada. Il mostro lanciò un grido orribile quando Thor riuscì a tagliare una delle sue zampe. Un liquido verde spruzzò ovunque e Thor vide con orrore che l’artiglio ricresceva tanto veloce quanto era stato tagliato. Era come se Thor non l’avesse mai ferito.

Thor deglutì. Sarebbe stato impossibile uccidere quella bestia. E ora l’aveva anche fatta arrabbiare.

La bestia sferrò un colpo con un’altra zampa spuntata da un’altra parte del suo corpo, colpendo con violenza Thor alle costole e mandandolo a cadere tra degli alberi. Il mostro abbassò un altro artiglio per colpirlo di nuovo e Thor si rese conto di trovarsi in seria difficoltà.

Elden, O’Connor e i gemelli corsero verso di lui e, mentre la bestia stava per colpirlo, O’Connor gli tirò in bocca una freccia che andò a conficcarglisi in gola facendola gridare. Elden prese la sua ascia doppia e la piantò nella schiena dell’insetto, mentre Conven e Conval tiravano una lancia ciascuno, trafiggendogli anche loro la gola. Reece si rimise in piedi e conficcò la spada nella pancia della bestia. Anche Thor balzò in piedi e fece roteare la spada tagliando un’altra zampa del mostro. Infine Krohn si unì a loro, saltando in aria e affondandogli le zanne nel collo.

La bestia continuava a gridare mentre tutti la attaccavano e la ferivano meglio che potevano. Thor si meravigliò che stesse ancora in piedi, le ali ancora vibranti. Sembrava non voler morire.

La guardarono con orrore mentre, una alla volta, si toglieva di dosso le lance e spade e l’ascia e tutte le ferrite si rimarginavano sotto i loro occhi.

Era una bestia imbattibile.

L’animale ringhiò e tutti la guardarono scioccati. Avevano fatto tutto il possibile e non l’avevano minimamente scalfita.

La bestia si preparò ad attaccarli di nuovo, con i suoi denti e artigli affilati come rasoi, e Thor si rese conto che non c’era nulla che potessero fare. Stavano tutti per morire.

“LEVATEVI DI MEZZO!” disse improvvisamente una voce.

La voce proveniva da dietro le loro spalle e sembrava giovane. Thor si voltò e vide un ragazzino di forse undici anni correre portando ciò che sembrava essere una caraffa d’acqua. Thor si abbassò e il ragazzo lanciò l’acqua bagnando completamente il muso della bestia.

L’animale si inarcò all’indietro e stridette, del vapore si levò dal suo muso mentre lei si portava gli artigli alle guance, agli occhi e alla testa. Continuò a strillare, un rumore così potente che Thor dovette ripararsi le orecchie con le mani.

Alla fine la bestia si voltò e sfrecciò via, nel fitto della giungla, scomparendo tra la vegetazione.

Si voltarono tutti a guardare il ragazzino con espressione carica di meraviglia e gratitudine. Era vestito di stracci, aveva lunghi capelli castani e occhi intelligenti di colore verde chiaro. Era ricoperto di polvere e sembrava, a giudicare dai piedi scalzi e dalle mani sporche, che vivesse là fuori.

Thor non aveva mai provato una tale gratitudine per qualcuno.

“Le armi non servono a nulla contro un belvagatore,” disse sollevando gli occhi al cielo. “Fortunati voi che ho sentito le grida e che ero qui vicino. Sennò oramai eravate morti. Non lo sapete che non si affronta mai un belvagatore?”

Thor guardò i suoi amici, tutti senza parole.

“Non l’abbiamo affrontato,” disse Elden. “È stato lui ad affrontare noi.”

“Loro non affrontano mai,” ribatté il ragazzino, “a meno che non vi introduciate nel suo territorio.”

“E cosa avremmo dovuto fare?” chiese Reece.

“Beh, come prima cosa non guardatelo mai negli occhi,” rispose il ragazzo. “E se vi attacca, stendetevi a faccia in giù fino a che non vi lascia stare. E soprattutto, non cercate mai di scappare correndo.”

Thor fece un passo avanti e mise una mano sulla spalla del ragazzo.

“Ci hai salvato la vita,” gli disse. “Ti siamo immensamente debitori.”

Il ragazzo scrollò le spalle.

“Non sembrate soldati dell’Impero,” disse. “Sembra veniate da qualche altra parte del mondo. Quindi perché non avrei dovuto aiutarvi? Sembrate come quelli che sono venuti dalla nave qualche giorno fa.”

Thor e gli altri si scambiarono uno sguardo d’intesa, poi si voltarono verso il ragazzino.

“Sai dove sono andate quelle persone?” chiese Thor.

Il ragazzo scrollò le spalle.

“Era un bel gruppetto, e trasportavano un’arma. Sembrava pesante: ce la mettevano tutta per portarla. Li ho seguito per giorni. Erano facili da pedinare. Si muovevano lentamente. Ed erano pure distratti e approssimativi. So dove sono andati, anche se non li ho seguiti molto dopo il villaggio. Posso portarvi lì e indicarvi la direzione giusta, se volete. Ma non oggi.”

Gli altri si guardarono confusi.

“Perché no?” chiese Thor.

“Tra poche ore scenderà la notte. Non potete stare fuori al buio.”

“Perché?” chiese Reece.

Il ragazzo lo guardò come se fosse un folle.

“Gli etasetti,” disse.

Thor si avvicinò al ragazzo e lo guardò. Gli era piaciuto da subito. Era intelligente, sincero, coraggioso e aveva un grande cuore.

“Conosci un posto dove possiamo trovare riparo per la notte?”

Il ragazzino lo guardò e scrollò le spalle, incerto. Ponderò la situazione.

“Penso che non dovrei,” disse. “Il nonno si arrabbierà un sacco.”

Improvvisamente Krohn apparve alle spalle di Thor e camminò verso il ragazzino, i cui occhi si accesero di gioia.

“Wow!” esclamò.

Krohn gli leccò la faccia e il ragazzino rise divertito accarezzandogli la testa. Poi si inginocchiò, abbassò la lancia e lo abbracciò. Krohn sembrò apprezzare e quasi ricambiare e il ragazzino rise istericamente.

“Come si chiama?” chiese. “Cos’è?”

“Si chiama Krohn,” disse Thor sorridendo. “È un raro leopardo bianco. Viene dall’altra parte dell’oceano. Dall’Anello. Da dove veniamo noi. Gli piaci.”

Il ragazzino baciò Krohn ripetutamente e alla fine si rialzò in piedi e guardò Thor.

“Bene,” disse incerto, “Credo di potervi portare alla mia casa. Speriamo che il nonno non si arrabbi troppo. Se lo farà, la vostra fortuna sarà finita. Seguitemi. Dobbiamo sbrigarci. Presto sarà notte.”

Il ragazzo si voltò e velocemente li guidò attraverso la giungla. Thor e gli altri lo seguirono. Thor era sorpreso dalla sua destrezza e da quanto bene conoscesse quella foresta. Era difficile stargli dietro.

 

“C’è gente che passa di qui di tanto in tanto,” disse il ragazzino. “L’oceano e le correnti li conducono dritti al porto. Alcuni vengono dal mare e tagliano per di qua, diretti in qualche altro luogo. La maggior parte di loro non ce la fanno. Vengono mangiati o gli capita qualcos’altro nella giungla. Voi siete stati fortunati. Ci sono cose ben peggiori dei belvagatori, qui.”

Thor deglutì.

“Peggio di quello? Cosa per esempio?”

Il ragazzino scosse la testa e continuò a camminare.

“Non credo vogliate saperlo. Ho visto cose piuttosto sgradevoli qui.”

“Da quanto sei qui?” gli chiese Thor curioso.

“Da sempre,” rispose. “Mio nonno ci ha fatto trasferire quando ero ancora piccolo.”

“Ma perché qui, in questo posto? Sicuramente ci sono luoghi mille volte più ospitali.”

“Non conoscete l’Impero, vero?” chiese loro il ragazzo. “Le truppe sono ovunque. Non è così facile rimanere inosservati. Se mai ci catturassero, ci farebbero schiavi. Vengono raramente da queste parti e comunque non si addentrano mai così tanto nella giungla.”

Mentre attraversavano una folta macchia di vegetazione, Thor allungò una mano per spostare una foglia dal cammino, ma il ragazzo si voltò e gli spinse via il braccio gridando: “NON TOCCARLA!”

Tutti si fermarono e Thor fissò la foglia che aveva quasi toccato. Era grande e gialla, e sembrava piuttosto innocua.

Il ragazzo allungò un bastone e la sfiorò appena con la punta. Improvvisamente la foglia si avvolse attorno al bastone, con incredibile velocità, e ne seguì un sibilo: il bastoncino evaporò.

Thor era scioccato.

“Una foglia bruciante,” disse. “Veleno. Se l’avessi toccata, saresti senza mano ora.”

Thor si guardò attorno esaminando tutti i tipi di foglie con nuova circospezione. Si meravigliò di quanto fortunati fossero stati a incontrare quel ragazzino.

Proseguirono lungo il loro tragitto e Thor mantenne le mani vicine al corpo, così come gli altri. Cercarono di prestare maggiore attenzione a ogni cosa che calpestavano.

“Rimanete vicini e camminate esattamente dove metto i piedi io,” disse il ragazzo. “Non toccate nulla. Non cercate di mangiare quella frutta. E non annusate neanche i fiori, a meno che non vogliate andare all’altro mondo.”

“Ehi, e quello cos’è?” chiese O’Connor voltandosi e guardando un enorme frutto che pendeva da un ramo, lungo e stretto, di un bel giallo brillante. O’Connor vi si avvicinò, allungando una mano.

“NO!” strillò il ragazzino.

Ma era troppo tardi. Non appena O’Connor l’ebbe toccato il terreno si aprì sotto di loro e Thor si sentì scivolare, come correndo giù da una collina ricoperta di fango e acqua. Erano intrappolati in una colata di fango e non riuscivano a fermarsi.

Continuarono a gridare mentre scivolavano per decine di metri, giù verso i bui e profondi recessi della giungla.

CAPITOLO SETTE

Erec era in groppa al cavallo, respirava affannosamente e si preparava ad attaccare i duecento soldati che gli stavano di fronte. Aveva combattuto valorosamente ed era riuscito ed abbattere i primi cento, ma ora le sue spalle erano più deboli e gli tremavano le mani. La sua mente era pronta a combattere per sempre, ma non aveva idea di quanto a lungo il suo corpo avrebbe retto. Eppure era deciso a continuare a battersi con tutte le sue forze, come aveva fatto per tutta la vita, e lasciare che fosse il fato a decidere per lui.

Erec gridò e spronò quel cavallo sconosciuto che aveva rubato a uno dei suoi avversari, lanciandosi contro i soldati.

Quelli a loro volta galoppavano verso di lui e risposero al suo grido solitario con i loro, feroci. Molto sangue era già stato versato su quel campo di battaglia, ma era evidente che nessuno se ne sarebbe andato senza aver prima ucciso l’altra parte.

Mentre avanzava Erec estrasse un coltello da lancio dalla cintura, prese la mira e lo tirò al soldato che stava a capo dell’esercito davanti a lui. Fu un lancio perfetto che gli perforò la gola. L’uomo si portò le mani al collo, lasciò andare le redini e cadde da cavallo. Come Erec aveva sperato, il soldato cadde davanti agli zoccoli degli altri cavalli obbligandone molti a passare sul suo corpo, cadendo a terra a loro volta.

Poi Erec sollevò con una mano un giavellotto, tenendo lo scudo nell’altra, abbassò il para volto e si lanciò alla carica con tutta la sua forza. Aveva intenzione di attaccare quell’esercito quanto più velocemente e violentemente fosse stato capace, sferrare quanti più colpi possibili e tagliarlo a metà.

Lanciò un grido mentre si lanciava nel gruppo. Tutti i suoi anni di tornei gli erano stati utili, e usò il giavellotto lungo con destrezza abbattendo un soldato dopo l’altro, mandandoli a terra in rapida successione. Si accucciò sul cavallo e con l’altra mano si coprì con lo scudo. Sentì una raffica di colpi cadergli addosso – sullo scudo e sull’armatura – da ogni direzione. Fu colpito da spade, asce e mazze, una tempesta di metallo, e pregò che l’armatura reggesse. Stava aggrappato al suo giavellotto, eliminando quanti più soldati poteva nella sua avanzata, creando un passaggio proprio nel mezzo dell’enorme gruppo.

Non rallentò e, dopo circa un minuto, alla fine sgusciò dall’altra parte, all’aperto, avendo creato un canale di devastazione in mezzo all’esercito di soldati. Aveva atterrato almeno una decina di guerrieri, ma aveva anche sofferto parecchio. Respirava affannosamente, il corpo gli doleva, il clangore metallico ancora gli risuonava nelle orecchie. Gli sembrava di essere stato messo in una macina. Si guardò e vide che era ricoperto di sangue: fortunatamente non sentiva di avere ferite gravi. Sembravano per lo più graffi e tagli superficiali.

Fece un ampio cerchio, una sorta di inversione di marcia, preparandosi a riaffrontare l’esercito. Anche loro si erano girati e si preparavano nuovamente all’attacco. Erec era fiero delle sue vittorie fino a quel momento, ma stava diventando più difficile riprendere fiato e sapeva che un altro passaggio attraverso quel gruppo avrebbe potuto finirlo. Eppure si ripropose di lanciarsi nuovamente all’attacco, determinato a non fuggire mai da una battaglia.

Da dietro l’esercito si levò improvvisamente un grido diverso, ed Erec fu inizialmente confuso nel vedere un contingente di soldati che attaccavano dalle retrovie. Ma poi riconobbe l’armatura e il cuore gli si gonfiò di sollievo: era il suo grande amico dell’Argento, Brandt, insieme al duca e a decine di uomini. Il cuore gli balzò in gola quando scorse anche Alistair tra loro. Le aveva chiesto di rimanere al sicuro al castello e lei non lo aveva ascoltato. Per questo la amava più di quanto riuscisse ad esprimere.

Gli uomini del duca attaccarono l’esercito lanciando un feroce grido di battaglia e scatenando il caos. Metà dell’esercito si voltò per affrontarli, e si scontrarono con loro con forte clangore di metallo. Brandt era a capo dei rinforzi brandendo la sua ascia doppia. La fece roteare contro il soldato a capo dell’esercito nemico e gli tagliò la testa di netto, poi, senza interrompere il movimento, andò a colpire anche il petto di un altro uomo.

Erec, spronato, ebbe un  nuovo momento di slancio: prese vantaggio dal caos e si avventò contro l’altra metà dell’esercito. Mentre galoppava si chinò in avanti e afferrò una lancia che era conficcata in terra, poi la scagliò con la forza di dieci uomini. La lancia perforò la gola di un soldato e continuò poi il suo volo conficcandosi nel petto di un altro.

Erec poi sollevò la spada e la calò sul primo soldato che gli capitò a tiro, tagliando a metà il manico della sua mazza, poi roteando gli mozzò la testa.

Continuò a combattere, gettandosi nel gruppo con tutta l’energia che gli rimaneva, spingendo, bloccando, parando, attaccando tutti i soldati che gli arrivavano addosso da ogni parte. Alternatamente sollevava lo scudo per fermare dei colpi e attaccava. Nel giro di pochi istanti tutti i soldati – decine di uomini – stavano convergendo su di lui attaccandolo da ogni direzione.

Ne uccise più di quanti riuscì a contarne, ma ce n’erano troppi, anche con gli uomini del duca che tenevano a bada il resto. Uno di loro mirò ad Erec con la sua mazza e andò a colpirlo alla schiena, tra le lamine della spalle. Erec gridò di dolore quando la palla di metallo gli piombò sulla colonna vertebrale. Cadde da cavallo e rotolò a terra.

Ma non si arrese. Il suo istinto lo spinse ad andare avanti ed ebbe la prontezza di ruotare subito su se stesso, sollevare lo scudo e bloccare il colpo successivo che mirava alla sua testa. Poi parò con la spada e andò a tagliare il braccio dell’uomo.

Un altro soldato cercò di calpestargli la testa, ma Erec ruzzolò via dalla sua traiettoria, fece ruotare la spada e tagliò le gambe del cavallo, mandando a terra il cavaliere. Subito si alzò e pugnalò l’uomo al petto.

Sempre più uomini convergevano su di lui ed Erec, in ginocchio, bloccava un colpo dopo l’altro, controbattendo quando poteva. Le spalle gli si stavano indebolendo. Un cavaliere piuttosto corpulento, con una barba lunga e liscia, gli si avvicinò e sollevò un’ascia. Erec alzò lo scudo per bloccarla, ma un altro soldato glielo calciò via dalle mani e, prima che lui potesse reagire, un terzo gli piombò sul petto, bloccandolo a terra. Erano troppo per lui ed Erec era ormai troppo esausto. Non c’era altro da fare ormai che restare a guardare mentre il grosso cavaliere iniziava a calare la sua ascia.

Improvvisamente vi fu una grande confusione ed Erec, sollevando lo sguardo, vide sopraggiungere Brandt, che sollevò la spada lanciando un grido feroce, la fece roteare con tutte le sue forze e con un unico colpo tagliò il manico dell’ascia e la testa del cavaliere.

Subito arrivarono anche il duca e diversi altri uomini, attaccando tutti i soldati che avevano circondato Erec e creando un passaggio per lui. Erec ruotò, afferrò la gamba del soldato che gli stava addosso e lo tirò a terra. Poi rotolò e spezzò il collo dell’uomo a mani nude.

Afferrò poi un coltello dalla cintura del guerriero appena ucciso, si voltò e ne pugnalò un altro perforandogli la gola mentre questo cercava di colpirlo. Si rimise in piedi, prese la spada da terra e riprese la carica per la terza volta.

Roteò in ogni direzione, incoraggiato dal fatto di combattere di nuovo insieme all’amico Brandt, rinforzati anche dagli uomini del duca. Fecero presto piazza pulita, uccidendo la decina di uomini che li stavano attaccando.

Erec trovò un cavallo e rimontò in sella, ritrovandosi subito insieme agli altri. Prese la guida della situazione: era sostenuto da diverse decine di uomini del duca e insieme affrontarono ciò che rimaneva dell’esercito avversario, circa un centinaio di uomini. Cercò subito Alistair e la scorse in sella a Warkfin a lato del campo di battaglia, spettatrice di tutto. Era sana e salva ed Erec ne fu sollevato.

Erec aveva il fiato lungo, come anche Brandt, accanto a lui pure ricoperto di sangue.

“Sapevo che avrei combattuto ancora al tuo fianco,” gli disse Brandt. “Solo non credevo così presto.”

Erec sorrise.

“Pare che ti debba la vita un’altra volta,” gli disse.

“No,” rispose Brandt. “Ricordi Artania dieci anni fa? Ora siamo pari.”

Mentre si preparavano ad attaccare il centinaio di uomini che erano rimasti, improvvisamente si levò un altro grido dal retro del gruppo ed Erec si voltò confuso, cercando di capire cosa stesse accadendo. Strizzò gli occhi e in lontananza gli parve di vedere una battaglia in corso nelle retrovie. Non riusciva a capire cosa stesse succedendo. Gli uomini dell’esercito nemico stavano combattendo tra loro?”

“Sono altri tuoi uomini?” chiese Erec al duca.

Ma io duca scosse la testa, anche lui visibilmente confuso.

“I miei uomini sono tutti con me. Non so chi stia attaccando.”

Erec rimase senza parole quando nell’esercito avversario si propagò il caos e gli uomini iniziarono a voltarsi e a scappare dal campo di battaglia.

Quando il trambusto fu più vicino, Erec vide finalmente di cosa si trattava. E gli si gelò il sangue.

L’esercito nemico era attaccato dalle retrovie da un enorme gruppo di creature. Erano alte e larghe il doppio di un uomo normale, la loro pelle era gialla, avevano due teste e braccia lunghe più di due metri. Erec li riconobbe subito. Coveni. Erano creature mitiche, note per avere una forza più che umana, capaci di spezzare un uomo a metà con una sola mano. Non avevano armi: non ne avevano bisogno.

Nonostante tutto il cuore di Erec si colmò di paura.

“Non è possibile,” disse Brandt. “I Coveni vivono solo all’estremità più remota del Canyon. Cosa ci fanno qui?”

 

“L’unica spiegazione è che abbiano trovato una breccia nel Canyon,” disse il duca.

“O che lo Scudo si inattivo,” disse Erec cupamente.

Pronunciando quelle parole, Erec capì che erano vere ed ebbe per la prima volta veramente paura. Lo scudo inattivo. L’Anello aperto per ogni attacco. Era più di quanto potesse capire tutto in una volta. Non si preoccupava per sé, ma per il destino dell’Anello. Se lo scudo era inattivo in quel punto, poteva darsi che lo fosse attorno a tutto l’Anello. Avrebbero potuto subire un’invasione. O peggio, potevano essere invasi dall’Impero.

L’esercito davanti ad Erec si sciolse e tutti fuggirono mentre sempre più Coveni apparivano, attaccandoli alle spalle, prendendoli con una sola mano e mangiando le loro teste.

“Ritiratevi a Silesia!” ordinò il duca. “Dobbiamo chiudere i cancelli il prima possibile!”

Tutti insieme si voltarono e lasciarono il campo di battaglia. Erec si fermò solo per galoppare accanto ad Alistair, salire su Warkfin davanti a lei e partire insieme. Sentiva le sue mani morbide tenerlo stretto da dietro e quel contatto, il sapere che erano finalmente ancora insieme, che lei era salva, lo fece sentire bene.

“Ti devo la vita,” le disse Erec mentre galoppavano insieme agli altri.

“E io ti devo la mia,” rispose lei.

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