Za darmo

L’ascesa dei Draghi

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Z serii: Re e Stregoni #1
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CAPITOLO VENTISEI

Kyra aprì gli occhi nell’oscurità, sdraiata sul freddo pavimento in pietra, la testa che le faceva male, il corpo dolorante. Si chiese dove si trovava. Tremando per il freddo, con la gola secca e sentendosi come se non avesse mangiato per giorni, allungò una mano e tastò il pavimento di ciottoli sotto le dita, cercando di ricordare.

Le immagini le scorrevano nella testa e fu inizialmente insicura se si trattasse di ricordi o di incubi. Ricordava che era stata catturata dagli uomini del Lord, gettata in un carro con un portone di ferro che era stato richiuso alle sue spalle. Ricordava un lungo viaggio pieno di scossoni; ricordava di aver opposto resistenza quando il portone si era aperto, lottando per liberarsi; ricordava di aver ricevuto un colpo di mazza alla testa. Dopodiché solo il buio.

Kyra si toccò il bernoccolo dietro la testa e capì che non si era trattato di un sogno. La realtà si radicò in lei come una roccia: era stata catturata dagli uomini del Lord, trasportata via e imprigionata.

Kyra era furiosa con Maltren per il suo tradimento, furiosa con se stessa per essere stata così stupida da credergli. Era anche spaventata e si chiedeva cosa sarebbe successo poi. Era lì sdraiata, da sola, detenuta dal governatore, e poteva prevedere solo cose orribili per lei. Si sentiva sicura che suo padre e il suo popolo non avessero idea di dove si trovava. Forse suo padre avrebbe dato per scontato che era partita per andare verso la torre di Ur. Maltren avrebbe sicuramente mentito, raccontando che l’aveva vista correre via da Volis.

Mentre strisciava nel buio, Kyra portò istintivamente la mano all’arco, al bastone, ma le erano stati tolti. Sollevò lo sguardo e vide un tenue bagliore venire dalle sbarre della cella. Si mise a sedere e vide delle torce lungo le pareti di pietra della prigione, sotto alle quali stavano diversi soldati sull’attenti. C’era una grossa porta di ferro al centro della cella e c’era silenzio là sotto: l’unico rumore era il gocciolio che proveniva da qualche parte nel soffitto, e dei ratti che correvano in qualche oscuro angolo.

Kyra si appoggiò al muro con la schiena, stringendosi le ginocchia al petto e cercando di scaldarsi. Chiuse gli occhi e fece un profondo respiro, sforzandosi di immaginarsi in qualche altro posto, in qualsiasi altro posto. Così facendo vide gli intensi occhi gialli di Theo che la guardavano. Poteva sentire la voce del drago nella sua testa.

La forza non viene definita in tempi di pace. Viene definita nelle difficoltà. Abbraccia la tua difficoltà, non ritrarti timidamente da essa. Solo allora potrai dominarla.

Kyra aprì gli occhi, scioccata dalla visione, guardandosi attorno e aspettandosi di vedere Theo di fronte a sé.

“L’hai visto?” chiese improvvisamente la voce di una ragazza squarciando l’oscurità e facendo sobbalzare Kyra. Kyra si voltò, scioccata dall’udire la voce di un’altra persona in quella cella con lei, proveniente da qualche parte nell’ombra. Ancora più sconvolta che fosse la voce di una ragazza. Sembrava avesse più o meno la sua età e quando una figura emerse dal buio vide che aveva immaginato giusto: era una ragazzina carina, di forse quindici anni, con occhi e capelli castani, i lunghi capelli intrecciati, il viso ricoperto di sporcizia, gli abiti stracciati. Sembrava terrorizzata mentre guardava Kyra.

“Chi sei?” le chiese Kyra.

“L’hai visto?” ripeté la ragazza con urgenza.

“Visto chi?”

“Suo figlio,” rispose.

“Suo figlio?” chiese Kyra confusa.

La ragazza si voltò e guardò fuori dalla cella, terrorizzata, e Kyra si chiese quali orrori avesse visto.

“Io non ho visto nessuno,” disse Kyra.

“Oh Dio, ti prego, non permettere che mi uccidano,” implorò la ragazza. “Ti prego. Odio questo posto!”

La ragazza iniziò a singhiozzare senza controllo, rannicchiata sul pavimento di pietra e Kyra, con il cuore che le si spezzava per lei, le si avvicinò e le mise un braccio attorno alle spalle, cercando di consolarla.

“Shhh,” le disse cercando di calmarla. Kyra non aveva mai visto nessuno in una condizione così pietosa: quella ragazza sembrava tremendamente spaventata da quel qualcuno di cui parlava. Questo dava a Kyra il brutto presentimento di ciò che stava per accadere.

“Raccontami,” disse Kyra. “Di chi stai parlando? Chi ti ha fatto del male? Il governatore? Chi sei tu? Cosa ci fai qui?”

Vide gli ematomi sul volto della ragazza, le cicatrici sulle sue spalle e cercò di pensare a cosa potessero aver fatto a quella povera ragazza. Attese pazientemente che smettesse di piangere.

“Mi chiamo Dierdre,” disse. “Sono qui da… non lo so. Penso sia passato un ciclo lunare, ma ho pesto la cognizione del tempo. Mi hanno strappata alla mia famiglia da quando è uscita quella nuova legge. Ho cercato di opporre resistenza e mi hanno portata qui.”

Dierdre fissava nel vuoto come se stesse rivedendo la scena.

“Ogni giorno ci sono in serbo nuove torture per me,” continuò. “Prima il figlio, poi il padre. Mi usano come una bambola e ora… io sono… niente.”

Guardò Kyra con un’intensità che la spaventò.

“Voglio morire adesso,” la implorò Dierdre. “Ti prego, aiutami a morire.”

Kyra la guardò inorridita.

“Non dirlo neanche,” le disse.

“Ho cercato di prendere un coltello l’altro giorno, per uccidermi, ma mi è scivolato dalle mani e mi hanno rinchiusa di nuovo. Ti prego, ti darò ogni cosa. Uccidimi.”

Kyra, a bocca aperta, scosse la testa.

“Ascoltami,” disse Kyra sentendo una forza interiore crescerle dentro, una nuova determinazione vedendo la pena di Dierdre. Era la forza di suo padre, la forza di generazioni di guerrieri che scorreva ora in lei. E più ancora: era la forza del drago. Una forza che non aveva saputo di avere fino a quel giorno.

Afferrò Dierdre per le spalle e la guardò negli occhi, volendola scuotere.

“Tu non morirai,” le disse con fermezza. “Loro non ti faranno del male. Mi capisci? Vivrai. Me ne assicurerò io.”

Dierdre sembrò calmarsi, traendo la forza da quella di Kyra.

“Qualsiasi cosa ti abbiano fatto,” continuò Kyra, “adesso è nel passato. Presto sarai libera, saremo libere. Ricomincerai a vivere. Saremo amiche e io ti proteggerò. Ti fidi di me?”

Dierdre la fissò, chiaramente scioccata. Alla fine annuì, calma.

“Ma come?” le chiese. “Tu non capisci. Non c’è via di fuga da qui. Non capisci come sono…”

Entrambe sobbalzarono mentre la porta di ferro si apriva di schianto. Kyra guardò il Lord governatore entrare di fretta, seguito da una decina di uomini e da un giovane che sembrava la sua copia, con lo stesso naso a patata e l’aspetto compiaciuto. Aveva forse trent’anni e doveva essere suo figlio. Aveva lo stesso sorrisino di suo padre, la stessa faccia stupida, la stessa espressione arrogante.

Attraversarono tutti la prigione e si avvicinarono alle sbarre della cella. Gli uomini si avvicinarono con delle torce, illuminando l’ambiente. Kyra si guardò attorno e fu inorridita vedendo la cella per la prima volta, le macchie di sangue su tutto il pavimento. Non voleva pensare a chi altri fosse stato lì, a cosa fosse loro successo.

“Portatela qui,” ordinò il governatore ai suoi uomini.

La porta della cella si aprì e gli uomini entrarono e Kyra si trovò ad essere sollevata in piedi con le braccia piegate dietro la schiena, incapace di liberarsi per quanto ci provasse. La portarono vicino al Lord governatore che la guardò dalla testa ai piedi come fosse un insetto.

“Non ti avevo avvisata?” le disse sottovoce con tono cupo.

Kyra si accigliò.

“La legge pandesiana permette che tu prenda le donne non sposate come mogli, non come prigioniere,” gli rispose Kyra con tono di sfida. “Violi la tua stessa legge imprigionandomi.”

Il Lord governatore scambiò un’occhiata con gli altri e tutti si misero a ridere.

“Non preoccuparti,” le disse lanciandole un’occhiataccia. “Ti renderò mia moglie. Molte volte. E anche i miei figli, e chiunque altro io voglia. E quando avremo finito con te, se non ti avremo ancora uccisa, ti lascerò finire i tuoi giorni qua sotto.”

Le rivolse un sorriso malvagio, chiaramente godendo della situazione.

“Per quanto riguarda tuo padre e il tuo popolo,” continuò, “ho cambiato idea: li uccideremo tutti fino all’ultimo. Molto presto saranno solo un ricordo. E non solo questo, temo: mi assicurerò che Volis venga rasa al suolo e radiata dai libri di storia. Mentre parliamo un’intera divisione di Pandesiani si sta avvicinando per vendicare i miei uomini e distruggere il tuo forte.”

Kyra provò una profonda indignazione crescerle dentro. Cercò disperatamente di richiamare i suoi poteri, qualsiasi cosa l’avesse aiutata sul ponte, ma con suo sconforto non ci riuscì. Si dimenò e si oppose, ma non riusciva a liberarsi.

“Hai uno spirito forte,” le disse il governatore. “Mi divertirò a spezzare quello spirito. Mi divertirò molto.”

Le voltò la schiena, come accingendosi ad andarsene, ma improvvisamente, senza preavviso, ruotò su se stesso e le diede un manrovescio con tutte le sue forze.

Era una mossa che non si era aspettata e Kyra sentì il forte colpo prenderle la mascella e spingerla a terra accanto a Dierdre.

Kyra, dolorante e con la mascella che le pulsava, rimase a terra e alzò lo sguardo guardandoli andare. Quando tutti lasciarono la cella chiudendo la porta alle loro spalle, il Lord governatore si fermò con il volto contro le sbarre e la guardò.

“Aspetterò domani per torturarti,” disse sogghignando. “Trovo che le mie vittime soffrano di più se gli viene data un’intera notte per pensare a cosa sta per accadere.”

Emise una risata orribile, deliziato da se stesso, poi si voltò insieme ai suoi uomini e lasciò la prigione facendo sbattere la massiccia porta di ferro dietro di sé come il coperchio di una bara sul suo cuore.

 

CAPITOLO VENTISETTE

Merk camminava attraverso Boscobianco al tramonto, con lo stomaco che brontolava, cercando di essere fiducioso che la torre di Ur si trovasse all’orizzonte e che alla fine l’avrebbe raggiunta. Tentava di concentrarsi su ciò che sarebbe stata la sua nuova vita una vota arrivato; a come sarebbe diventato un sorvegliante e avrebbe ricominciato da capo.

Ma non riusciva a concentrarsi. Da quando aveva incontrato quella ragazza e aveva udito la sua storia, tutto questo gli rodeva dentro. Voleva levarsela dalla testa, ma per quanto ci provasse non ci riusciva. Era stato così certo che si sarebbe allontanato da una vita di violenza. Se fosse tornato da lei e l’avesse aiutata ad uccidere quegli uomini, quando mai sarebbe finito tutto quell’uccidere? Non ci sarebbe stato u altro lavoro, un’altra causa subito dopo quella?

Merk continuò a camminare, picchiettando il terreno con il suo bastone, con le foglie che scricchiolavano sotto i suoi piedi, furioso. Perché aveva dovuto incontrarla? Era un bosco enorme: perché non potevano semplicemente essersi mancati? Perché la vita doveva sempre mettere le cose a quel modo? Le cose oltre la sua comprensione?

Merk odiava le dure decisioni, odiava l’esitazione: per tutta la sua vita era sempre stato sicuro di tutto e aveva considerato questo aspetto un suo punto di forza. Aveva sempre saputo cos’era. Ma ora non ne era più sicuro. Ora si trovava a vacillare.

Maledisse gli dei per essersi imbattuto in quella ragazza. Perché la gente comunque non poteva badare a se stessa? Perché avevano sempre bisogno di lui? Se lei e la sua famiglia non erano capaci di difendersi, perché allora adesso meritavano comunque di vivere? Se li avesse salvati, non sarebbe arrivato prima o poi qualche altro predatore a ucciderli?

No. Non poteva salvarli. Questo li avrebbe ostacolati. La gente doveva imparare a difendersi da sola.

Eppure forse, pensava, c’era un motivo per cui quella ragazza era giunta davanti ai suoi occhi. Forse era una prova.

Merk guardò il cielo, il tramonto ormai una stretta fascia all’orizzonte, appena visibile attraverso Boscobianco. Si pose delle domande sulla sua nuova fede.

Messo alla prova.

Erano parole potenti, un’idea potente, un’idea che non gli piaceva. Non gli piaceva ciò che non capiva, ciò che non poteva controllare, ed essere messo alla prova era esattamente questo. Mentre continuava a camminare, colpendo le foglie con il bastone, Merk sentiva che il suo mondo costruito con meticolosità gli stava crollando attorno. Prima la sua vita era stata facile, ora sembrava uno scomodo stato di dubbio. Essere sicuro delle cose della vita era facile, avere dei dubbi a proposito era difficile. Era uscito da un mondo in bianco e nero ed era entrato in uno pieno di sfumature di grigio. L’insicurezza lo spiazzava. Non capiva chi stava diventando e questa era la cosa che lo preoccupava di più.

Merk raggiunse la cima di una collina, le foglie scricchiolavano, il suo respiro affannato per la stanchezza. Quando fu sulla sommità e si guardò attorno, per la prima volta da quando aveva iniziato quel viaggio provò un raggio di speranza. Non riusciva quasi a credere a ciò che vedeva.

Era lì all’orizzonte, luccicante alla luce del tramonto. Non una leggenda, non un mito, ma un luogo reale: la torre di Ur.

Arroccata in una piccola radura nel mezzo del vasto e buio bosco, essa si ergeva: era un’antica torre di pietra a pianta circolare dal diametro di forse cinquanta metri, alta fino alla linea degli alberi. Era la cosa più antica che Merk avesse mai visto, addirittura più vecchia dei castelli nei quali aveva prestato servizio. Aveva un’aura misteriosa e impenetrabile che la avvolgeva. Un luogo di potere.

Merk fece un profondo sospiro di stanchezza e sollievo. Ce l’aveva fatta. Vederla lì era come un sogno. Alla fine avrebbe avuto un posto al mondo, un posto da chiamare casa. Avrebbe avuto una possibilità di ricominciare la sua vita da capo, una possibilità di espiazione. Sarebbe diventato un sorvegliante.

Sapeva che avrebbe dovuto rimanere in estasi, avrebbe dovuto accelerare il passo in quell’ultimo tratto di cammino prima che calasse la notte. Ma per quanto ci provasse, per qualche motivo non riusciva a fare il primo passo. Rimase lì, paralizzato, con qualcosa che gli rodeva in testa.

Merk si voltò, capace di scrutare l’orizzonte in ogni direzione, e in lontananza, contro il sole che tramontava, vie del fumo nero che si levava. Fu come un pugno nello stomaco. Sapeva da dove proveniva: la ragazza. La sua famiglia. Gli assassini stavano dando fuoco a ogni cosa.

Seguendo la traccia del fumo capì che non avevano ancora raggiunto la sua fattoria. Erano ancora ai confini dei suoi campi. Molto presto l’avrebbero raggiunta. Ma per ora, per gli ultimi precari minuti, lei era ancora al sicuro.

Merk fece scricchiolare il collo, come era solito fare quando combattuto da un conflitto interiore. Rimase lì, muovendosi sul posto, pervaso dal disagio e incapace di andare avanti. Si voltò a guardare un’altra volta la torre di Ur, la destinazione dei suoi sogni, sapendo che avrebbe dovuto andare avanti, non mollare. Era arrivato e voleva riposarsi, festeggiare.

Ma per la prima volta in vita sua un desiderio sorse dentro di lui. Era il desiderio di non agire egoisticamente, il desiderio di agire per puro senso di giustizia. Non per una ricompensa né per un premio. Merk odiava quella sensazione.

Si drizzò e gridò, in guerra con se stesso, con il mondo. Perché? Perché proprio adesso?

E poi, nonostante tutto il suo buon senso, si ritrovò a voltarsi e allontanarsi dalla torre, diretto verso la fattoria. Inizialmente camminò, poi si mise a correre, poi scattò a tutta velocità.

Mentre correva qualcosa nel profondo dentro di lui si stava liberando. La torre poteva aspettare. Era ora per Merk di fare la cosa giusta. Era ora che quegli assassini trovassero qualcuno alla loro altezza.

CAPITOLO VENTOTTO

Kyra era seduta appoggiata alla fredda parete di pietra, gli occhi cerchiati di rosso mentre guardava i primi raggi di sole filtrare attraverso le sbarre, invadendo la stanza di una pallida luce. Era rimasta sveglia tutta la notte come il Lord governatore aveva predetto, rigirando nella sua testa l’orribile punizione che la aspettava. Pensò a cosa avevano fatto a Dierdre e cercò di non pensare ai crudeli modi in cui gli uomini avrebbero cercato di spezzarle lo spirito.

Ripensò nella sua mente a migliaia di piani per resistere, per fuggire. Lo spirito guerriero in lei si rifiutava di essere distrutto: sarebbe piuttosto morta. Eppure, mentre rimuginava su tutti i possibili modi di opporsi, di fuggire, continuava a tornare a una sensazione di mancanza di speranza e disperazione. Quel posto era meglio sorvegliato di ogni luogo avesse mai visitato. Era nel mezzo del forte del Lord governatore, una fortezza pandesiana, un massiccio complesso militare che conteneva migliaia di soldati. Era lontana da Volis e anche se in qualche modo fosse stata capace di fuggire, sapeva che non sarebbe mai riuscita a tornare prima che la prendessero e uccidessero. Sempre ammesso che Volis fosse ancora in piedi quando fosse mai tornata. Ancora peggio, suo padre non aveva idea di dove lei fosse e non l’avrebbe mai saputo. Era completamente da sola nell’universo.

“Non dormi?” chiese una voce delicata, risvegliandola dai suoi pensieri.

Kyra si voltò e vide Dierdre appoggiata alla parete con il volto illuminato dalla prima luce dell’alba. Sembrava pallidissima e aveva delle occhiaie scure sotto gli occhi, sembrava profondamente scoraggiata e guardava Kyra con sguardo spettrale.

“Non ho dormito neppure io,” continuò Dierdre. “Ho pensato tutta la notte a cosa ti faranno: la stessa cosa che hanno fatto a me. Ma per qualche motivo mi fa più male pensare che lo facciano a te. Io sono già distrutta, non rimane niente nella mia vita. Ma tu sei ancora intatta.”

Kyra provò un più intenso senso di paura considerando le sue parole. Non poteva immaginare gli orrori che la sua nuova amica aveva dovuto sopportare e vederla in quel modo la rendeva solo più determinata a resistere.

“Deve esserci un altro modo,” disse Kyra.

Dierdre scosse la testa.

“Qui non c’è altro che una misera esistenza. E poi la morte.”

Si udì l’improvviso rumore di una porta che sbatteva nell’atrio della prigione e Kyra si alzò in piedi, pronta ad affrontare qualsiasi cosa la aspettasse, pronta a combattere fino alla morte se fosse stato necessario. Dierdre balzò improvvisamente in piedi e le corse vicino, afferrandole il gomito.

“Promettimi una cosa,>” insistette.

Kyra vide la disperazione nei suoi occhi e annuì.

“Prima che ti prendano,” disse, “uccidimi. Strangolami se non c’è altro modo. Non lasciarmi vivere a questo modo. Per favore. Ti imploro.”

Mentre Kyra la guardava provò un senso di risoluzione nascerle dentro. Scosse via la sua autocommiserazione e tutti i suoi dubbi. Capì all’istante che doveva vivere. Se non per lei, almeno per Dierdre. Non importava quanto grama apparisse la vita: sapeva che non doveva arrendersi.

I soldati si avvicinarono, gli stivali che riecheggiavano, le chiavi tintinnanti. Kyra, capendo che le restava poco tempo, si voltò e prese Dierdre per le spalle con stretta salda e la guardò negli occhi.

“Ascoltami,” la implorò. “Tu vivrai. Mi capisci? Non solo vivrai, ma scapperai con me. Ricomincerai la tua vita da capo e sarà una vita bellissima. Scateneremo la vendetta su tutta la feccia di uomini che ti hanno fatto questo, insieme. Mi senti?”

Dierdre la fissava titubante.

“Ho bisogno che tu sia forte,” insistette Kyra, rendendosi conto che parlava a se stessa. “La vita non è cosa da deboli. Morire e arrendersi è da deboli, vivere è da forti. Vuoi essere debole e morire? O desideri essere forte e vivere?”

Kyra continuò a fissarla con intensità mentre la luce inondava la cella provenendo dalle torce man mano che i soldati si avvicinavano. Alla fine pensò di poter scorgere qualcosa muoversi negli occhi di Dierdre. Era come un bagliore di speranza, seguito da un piccolo cenno di conferma.

Si udì rumore di chiavi e la porta della cella si aprì. Voltandosi Kyra vide i soldati che si avvicinavano. Mani rudi e callose le afferrarono i polsi e la trascinarono fuori dalla cella richiudendo la porta alle sue spalle. Si lasciò condurre. Doveva conservare la sua energia. Ora non era il momento di combattere. Doveva prenderli alla sprovvista, trovare il momento perfetto. Anche un nemico potente, lo sapeva bene, aveva sempre un momento di vulnerabilità.

Due soldati la tennero ferma e dalla porta di ferro apparve un uomo che Kyra riconobbe appena: il figlio del governatore.

Kyra sbatté le palpebre confusa.

“Mio padre mi ha mandato a prenderti,” le disse avvicinandosi, “ma prima intendo averti. Non sarà contento quando lo scoprirà, ovviamente, ma del resto cosa può mai fare quando sarà troppo tardi?”

Il volto del giovane si contorse in un sorriso freddo e malvagio.

Kyra provò un freddo brivido di paura e guardò quell’essere malato che si leccava le labbra e la fissava come se fosse un oggetto.

“Vedi,” disse facendo un passo verso di lei e iniziando a togliersi la pelliccia, il suo respiro visibile nella cella fredda, “mio padre non ha bisogno di venire a sapere tutto ciò che succede in questo forte. A volte mi piace avere un primo assaggio di ciò che capita qui, e tu mia cara sei un bell’esemplare. Ho intenzione di divertirmi con te. Poi ti torturerò. Ti terrò in vita però, così che resti qualcosa da portargli.”

Sorrise, avvicinandosi così tanto che Kyra poté sentire il suo alito disgustoso.

“Io e te, mia cara, ci conosceremo molto bene.”

Il ragazzo fece un cenno alle due guardie e Kyra fu sorpresa di sentire che lasciavano la presa e si facevano indietro, al lato della stanza, per lasciargli spazio.

Lei rimase lì, con le mani libere, e si guardò furtivamente attorno nella stanza, considerando le sue probabilità. C’erano le due guardie, entrambe armate con una lunga spada, il figlio del governatore molto più robusto e alto di lei. Non sarebbe stata capace di prevalere su tutti e tre, anche se fosse stata armata.

Notò in un angolo, appoggiate alla parete, e sue armi – l’arco e il bastone, la faretra con le frecce – e il cuore iniziò a batterle più velocemente. Cosa avrebbe dato per averle in mano adesso.

“Ah,” disse il giovane sorridendo. “Cerchi le tue armi. Pensi ancora di poter sopravvivere. Vedo l’atteggiamento di sfida in te. Non preoccuparti, lo spezzerò presto.”

 

Improvvisamente le diede un fortissimo manrovescio, tale da mozzarle il fiato e farle bruciare tutto il viso di dolore. Kyra inciampò indietro, cadendo in ginocchio con il sangue che le gocciolava dalla bocca. Il dolore l’aveva scossa violentemente, le risuonava nelle orecchie e nella testa. Rimase in ginocchio, con le mani a terra, cercando di riprendere fiato e rendendosi conto che questo era solo un assaggio di ciò che stava per accadere.

“Sai come domiamo i nostri cavalli, cara?” le chiese il giovane portandosi sopra di lei e sorridendole crudelmente. Una guardia gli lanciò il bastone di Kyra e lui lo prese e senza perdere un attimo lo sollevò in alto abbattendolo contro la schiena esposta di Kyra.

Kyra gridò per il dolore insopportabile e collassò a faccia in giù sulla pietra, sentendosi come se le si fosse spezzato ogni osso del corpo. Riusciva a respirare a malapena e sapeva che se non avesse fatto presto qualcosa sarebbe stata resa storpia a vita.

“No!” gridò Dierdre implorandolo da dietro le sbarre. “Non fatele del male! Prendete me piuttosto!”

Ma il giovane la ignorò.

“Si inizia con il bastone,” disse a Kyra. “I cavalli selvaggi resistono, ma se li colpisci ripetutamente, li picchi senza pietà giorno dopo giorno, prima o poi si sottomettono. Diventano tuoi. Non c’è niente di meglio che infiggere dolore a un’altra creatura, no?”

Kyra percepì del movimento e con la coda dell’occhio vide che sollevava ancora il bastone con sguardo sadico, pronto a darle un colpo ancora più forte.

I sensi di Kyra erano all’erta e il mondo rallentò. La sensazione che aveva provato sul ponte la pervase, il calore familiare che partiva dal plesso solare e si irradiava attraverso tutto il corpo. Si sentì riempire di energia, di maggiore forza e velocità rispetto a ogni possibile sogno.

Le immagini lampeggiarono davanti ai suoi occhi. Si vide negli allenamenti con gli uomini di suo padre, ricordò gli innumerevoli confronti con la spada; l’aver imparato a sentire il dolore ma non esserne sopraffatta; come combattere contro numerosi aggressori contemporaneamente. Anvin l’aveva addestrata implacabilmente per ore, giorno dopo giorno, fino a che lei aveva perfezionato la sua tecnica, fino a che l’aveva fatta diventare una parte di sé. Aveva insistito perché gli uomini le insegnassero ogni cosa, per quanto dura fosse la lezione, e ora tutto le tornava. Si era allenata proprio per un momento come quello.

Mentre stava lì, lo shock del dolore ormai alle spalle, il calore pervase il suo corpo e Kyra sollevò lo sguardo verso il figlio del governatore e sentì che l’istinto prendeva il sopravvento. Sarebbe morta, ma non lì, non quel giorno, e soprattutto non per mano di quell’uomo.

Le tornò velocemente alla mente una delle prime lezioni: la posizione bassa può darti un vantaggio. Più alto è l’avversario, più egli è vulnerabile. Le ginocchia sono un bersaglio facile da trovare da terra. Colpiscile. Cederanno.

Mentre il bastone calava su di lei, Kyra improvvisamente mise i palmi piatti a terra, si sollevò abbastanza da ottenere una leva e fece ruotare le gambe con rapidità e decisione verso le ginocchia del giovane. Con tutta la sua forza sentì il soddisfacente suono del calcio contro il punto soffice dietro ad esse.

Le gambe infatti gli si piegarono e lui si trovò sollevato in aria, cadendo di schiena sulla pietra con un tonfo e lasciando cadere il bastone che rotolò sul pavimento. Kyra stentava a credere che avesse funzionato. Cadendo sbatté la testa e il rumore fu così forte che lei ebbe quasi la certezza di averlo ucciso.

Ma era probabilmente invincibile perché iniziò immediatamente a mettersi a sedere, guardandola con la furia di un demone, pronto a balzarle addosso.

Kyra non aspettò. Si rimise i piedi e si lanciò verso il bastone che si trovava sul pavimento a diversi passi da lei. Sapeva che se fosse riuscita a prendere la sua arma avrebbe potuto avere una possibilità contro tutti quegli uomini. Ma mentre correva verso di esso il giovane saltò in piedi e la afferrò per le gambe cercando di trattenerla.

Kyra si ritrasse, aiutata dalla sua agilità, e balzò come un gatto oltre al lui sfuggendogli e atterrando sul pavimento rotolando alle sue spalle e afferrando il bastone.

Si rimise in piedi, con il bastone in mano, felice di avere di nuovo con sé la sua arma, quel bastone che le stava perfettamente in pugno. Le due guardie si avvicinarono con le spade sguainate e la accerchiarono. Lei guardò velocemente in ogni direzione, come un animale ferito stretto in un angolo. Si rendeva conto che era fortunata e che tutto era accaduto così velocemente, guadagnandole tempo prima che le guardie potessero raggiungerla.

Il ragazzo si alzò, si asciugò il sangue dal labbro con il dorso della mano e le lanciò un’occhiataccia.

“Questo è stato il più grosso errore della tua vita,” le disse. “Ora non solo ti torturerò…”

Kyra ne aveva abbastanza di lui e non aveva certo intenzione di lasciarlo colpire per primo. Prima che potesse finire di parlare si lanciò in avanti, sollevò il bastone e lo colpì rapidamente, proprio come un serpente, in mezzo agli occhi. Fu un colpo perfetto e il giovane gridò con il naso spezzato in un rumore riecheggiante.

Cadde in ginocchio, piagnucolando e tenendosi il naso.

Le due guardie le si avvicinarono facendo roteare le spade verso la sua testa. Kyra ruotò il bastone e bloccò una delle lame facendo volare scintille, poi immediatamente si voltò e parò l’altra subito prima che la colpisse. Continuò a parare da una parte e dall’altra mentre la attaccavano così rapidamente da darle appena il tempo di reagire.

Una delle guardie fece un movimento troppo ampio e Kyra trovò uno spazio: sollevò il bastone e lo calò sul polso esposto dell’uomo colpendolo e facendogli allentare la presa sulla spada. Mentre la lama cadeva a terra con un clangore metallico, Kyra colpì di lato prendendo l’altra guardia alla gola sorprendendola. Poi ruotò e colpì la prima alla tempia, mandandola a terra.

Kyra non perse tempo: mentre una guardia, sdraiata sulla schiena, cercava di rialzarsi, balzò in aria e gli spinse il bastone nel plesso solare. Poi, mentre si sedeva, gli diede un calcio in faccia e lo mandò definitivamente al tappeto. Mentre l’altra guardia rotolava tenendosi la gola e iniziando a rimettersi in piedi, Kyra gli diede un colpo alla nuca atterrandolo.

Kyra sentì improvvisamente delle mani rozze che la cingevano da dietro e si rese conto che il figlio del governatore era tornato all’attacco e stava cercando di strozzarla per farle cadere il bastone di mano.

“Bel tentativo,” le sussurrò in un orecchio con la bocca così vicina da poter sentire il suo fiato caldo sul collo.

Kyra, con un lampo di energia che le scorreva dentro, trovò una nuova forza in sé, giusto quella che bastava per allungare la braccia indietro, agganciare i gomiti e liberarsi dalla stretta dell’uomo. Poi afferrò il bastone e lo fece roteare dietro di sé, verso l’alto, con entrambe le mani, portandolo tra le gambe dell’avversario.

Lui gemette lasciando la presa e cadendo in ginocchio, quindi lei si voltò e si portò sopra di lui, finalmente innocuo mentre la guardava con occhi scioccati e sofferenti.

“Salutami tuo padre da parte mia,” gli disse sollevando il bastone e calandoglielo sulla testa con tutte le sue forze.

Questa volta l’uomo collassò, privo di conoscenza, sulla pietra.

Kyra, ancora respirando affannosamente, ancora infuriata, controllò il suo lavoro: tre uomini, uomini formidabili, giacevano immobili sul pavimento. Lei, una ragazza indifesa, li aveva messi fuori combattimento.

“Kyra!” gridò una voce.

Kyra si voltò ricordandosi di Dierdre e senza aspettare un attimo di più attraversò la stanza. Afferrando le chiavi dalla vita della guardia, aprì la cella e Dierdre corse tra le sue braccia stringendola a sé.

Kyra la tirò indietro e la guardò negli occhi, volendo sapere se era veramente pronta a fuggire.

“È ora,” le disse con fermezza. “Sei pronta?”