Per Sempre È Tanto Tempo

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CAPITOLO 5

Il giorno in cui finisce la mia punizione a scuola, torno verso casa mia con Jake. Non so se lì continuerà la punizione e ancora non posso uscire per andare da qualche parte che non sia la scuola, ma voglio conversare con il mio amico.

«Bene, credo che ci vedremo domani» lui inizia a salutarmi.

«Non vuoi fermarti un po’?»

«Non stai più chiusa in casa per punizione?» vuole sapere.

«La punizione è il divieto di uscire, ma nessuno ha detto che tu non puoi entrare.» Sorride davanti alla mia idea.

«Va bene, ma se ci sono problemi non dare la colpa a me.»

«Ma dai! Non lo farei mai.»

Apro la porta, senza sapere come affrontare Elena, forse andrà di nuovo da mio padre a spettegolare. Faccio entrare Jake mentre la cerco con lo sguardo.

«Jocelyn, mi ero dimenticata che oggi tornavi presto» la trovo al computer nello studio di papà.

«Sì, sono già qui» dico aprendo le braccia. «Ovviamente, Jake è con me. Credi che papà avrà problemi se vado a casa sua?» decido di tentare.

«Mmm …» è incerta «Non credo che tu abbia ancora il permesso.»

«Va bene, lo sapevo» inizio ad allontanarmi.

«Ma potete restare qui, in salotto o nel patio, io starò ancora un po’ qui al computer» non so come rispondere; sta tentando di essere gentile, ma non mi fido di lei.

«Sì, pensavo proprio di fare così» mi allontano.

Jake è seduto in salotto e si guarda intorno con molto interesse, proprio come ho fatto io quando sono andata a casa sua.

«Possiamo restare qui. Vuoi stare in salotto e guardare la TV o andare fuori sul patio a chiacchierare?»

«Patio» risponde sorridente. «Ho già avvisato a casa che mi fermerò un po’ qui.»

«Ovviamente, non ho una casa sull’albero» annuncio quando apriamo la porta sul retro.

«Bello … così potrai sempre venire sulla mia» queste parole mi fanno sentire qualcosa di strano nello stomaco.

Chiacchieriamo per un’ora di cose banali e cose che ci siamo persi l’uno dell’altra in questi cinque anni. Vengo a sapere che Jake ha portato l’apparecchio ai denti per tre anni, che scuola è rimasto un anno intero senza nemmeno un amico finché è arrivato Bryan quattro anni dopo, che i suoi genitori litigano ancora e che sua nonna materna è un po’ cagionevole di salute e sua madre soffre per non poterla aiutare economicamente dato che non lavora più da quando si è sposata con il padre di Jake. Suo padre continua ad essere severo e sua madre sta sempre zitta, ma a parte questo ciò che più mi sorprende è che è stata lei ad insegnargli a suonare la chitarra. Lei aveva imparato da giovane e cantava in un bar a Manhattan. Inoltre mi racconta che nonostante questo lui non ha mai suonato e cantato per nessuno tranne che per me, e sento il mio cuore sciogliersi un po’ di più.

«Sicuramente, mia madre mi preparerà una cena per il mio compleanno la prossima settimana e vorrei sapere se ti piacerebbe venire.»

«Certo, ci sarò.»

«Verrà anche Bryan.»

«Va bene, capisco che dovrò dividerti con lui» sorrido. Anche se in realtà per me è abbastanza triste.

Per giorni ho continuato a pensare cosa regalare a Jake e ancora non lo so. Per una che vuole studiare letteratura creativa, ho davvero poca creatività. Se avrò fortuna i prossimi giorni mi verrà un’idea. Lui mi ha detto chiaramente che non vuole regali, ma voglio dargli qualcosa lo stesso, anche se materiale. Forse continuerò con la tradizione di regalargli qualcosa che ha a che vedere con la musica. Non potrei mai eguagliare la chitarra, ma forse ho un’idea.

«Papà, ho bisogno di andare al supermercato prima del fine settimana, farò una torta a Jake per il suo compleanno e mi mancano alcuni ingredienti.»

«Va bene, Elena ti può accompagnare.»

«Cosa? Credo di poter andare da sola.»

«Signorina, non hai scelta» ribadisce duro.

Perfetto. Una “passeggiata” con Elena, niente mi emoziona di più. Però per Jake la sopporterò. Solo per questa volta.

Andiamo al reparto frutta e verdura e prendo molte mele verdi (ricordo che sono il suo frutto preferito), mentre Elena prende altra frutta da portare a casa. Dopo aver cercato gli altri ingredienti, mi invento una scusa per liberarmi un momento di Elena.

«Mi servono alcune cose per la scuola, vado a prenderle, ci vediamo alla cassa.»

«Va bene, ma non metterci troppo.»

Corro per le corsie e cerco gli articoli di cancelleria, spero di trovare quello che sto cercando o dovrò andare dove ci sono gli articoli musicali. Una ragazza si offre di aiutarmi quando vede che vago lì intorno senza sapere bene dove andare. Per fortuna, con il suo aiuto trovo quello cerco, prendo anche della carta regalo e un altro quaderno per me, per fare finta di niente.

Mi incontro con Elena alla cassa e metto gli oggetti nel carrello, lei li osserva senza nessun commento.

«Jake è interessato alla musica o a qualcosa di simile?» chiede mentre torniamo a casa con la sua auto, non rispondo. «Non sono stupida, so di cosa si tratta e la carta regalo, so che non è per te.»

«Sì, è per lui. Qualche problema?»

«Sto solo cercando di essere gentile, non ho nessun problema.»

«Allora non cercare niente, tu ed io non siamo amiche e non lo saremo mai.»

Dopo aver scritto un biglietto di auguri, impacchetto il regalo di Jake e lo nascondo nel mio zaino, glielo darò domani in anticipo, in privato. È un regalo solo per lui, suo padre non sa che suona la chitarra. Credo sia meglio consegnarglielo senza spettatori.

«Buona sera, signora Johnson» saluto la mamma di Jake appena entro in casa sua e la vedo.

Mio padre mi ha sospeso la punizione. Urrà!

«Oh, Jocelyn! Come sei diventata grande, tesoro» si avvicina e mi abbraccia forte. «Mi dispiace tanto per tua madre, è stata una disgrazia, ma tu andrai avanti perché sei uguale a lei.»

«Io … sono contenta di rivederla» sento un nodo nello stomaco, così cambio argomento.

«Anch’io tesoro, non ho potuto essere a casa a causa del problema di mia madre, ma ora sta meglio e mi vedrai qui più spesso.»

«Bene. Mi fa piacere.»

«Ma entrate pure, venite in cucina, sto preparando la cena, Tu rimani, cara?»

«Mmm, devo tornare a casa presto, ma domani sarò qui presente» guardo il mio amico. «Sicuramente porterò un dolce.»

«Oh cara, non preoccuparti.»

«Lo farò io stessa, per Jake» aggiungo timidamente.

Sento che mi sta fissando, ma non mi giro per guardarlo. Dopo aver mangiato i sandwich che ci prepara sua madre, conversiamo un po’ con lei.

«Perché non andate di sopra a parlare delle vostre cose? Vi starò annoiando. È meglio che andiate in camera di Jake, è molto freddo per stare fuori e non voglio che ti ammali alla vigilia del tuo compleanno.»

«Sì, va bene» dice lui un po’ incerto. «Vuoi andare di sopra?» mi chiede.

«Dai, andiamo» rispondo con tono scherzoso.

La sua stanza non è come la ricordo, qui non c’è nessun giocattolo e le pareti sono state dipinte di blu al posto dell’azzurro brillante. Il suo letto è in ordine, ma la scrivania è un disastro. Mi osserva mentre mi guardo intorno, nessuno dei due dice nulla, finché i miei occhi si posano su un piccolo pannello di sughero con varie fotografie e voglio piangere e ridere allo stesso tempo.

«Le hai conservate» confermo a me stessa, più che a lui.

«Come non avrei potuto?» dichiara sedendosi sul letto.

Osservo la foto dove due bambini piccoli si abbracciano al parco, sorridendo come se mai nessuno li potesse separare. Ce ne sono altre con suo fratello, con sua madre e di noi due, all’asilo, alla scuola elementare, nella casa sull’albero. Queste foto le scattarono le nostre madri e le abbiamo entrambi. Pensavo che quando me sono andata le avesse dimenticate, ma sono qui e questo mi rende molto felice.

«Oh, oddio!» trovo qualcosa di inatteso «è vero avevi l’apparecchio ai denti!» esclamo sorridendo mentre cerca di togliermi la foto dalle mani.

«Non prendermi in giro. Cavolo! Non sapevo che saresti salita.»

«Ma se sei così carino» faccio la voce da bambina e sorride con le sue fossette.

«Va bene, prendimi pure in giro, posso sopportarlo.»

«Non ti sto prendendo in giro. Davvero mi sarebbe piaciuto essere qui e vederlo con i miei occhi.»

Restiamo a fissare il soffitto per un momento stesi sul suo letto, quando mi rendo conto che devo consegnargli il suo regalo.

«Va bene» mi alzo per prendere lo zaino. «So che hai detto che non vuoi regali, così questo non è un regalo, è un “mezzo” perché tu possa fare altre cose. Non serve a niente se non lo riempi.»

Tiro fuori il regalo e lo porgo a lui, che è paralizzato, senza sapere cosa dire.

«Grazie» dice infine, accettandolo. Ci sediamo di nuovo sul suo letto, uno di fronte all’altra.

Inizia ad aprirlo con un’attenzione esasperante. È solo carta regalo, rompila, penso. Finalmente ci riesce e lo osserva confuso.

«È un quaderno da musica» chiarisco.«Con fogli con il pentagramma. In bianco» continuo a spiegare dato che non mi risponde.

«So cos’è» sorride stupito. «Ma la musica io la suono soltanto, non la scrivo.»

«Non ancora …»

«Non sono un compositore.»

«Solo perché non ci hai ancora provato. Ti ho ascoltato e una sensibilità come la tua non può andare sprecata, inoltre sarà terapeutico, vedrai.»

«Tu sei la scrittrice, non io.»

«Provaci soltanto, se non ti piace non insisto.»

«Va bene» concede. «Ma di cosa devo scrivere?»

«Non lo so, di quello che vuoi. Se non sai cosa scrivere, potresti scrivere una canzone per me.» scherzo.

 

«Per te?» sorride incredulo.

«Sì, scrivimi una canzone. Se ci riesci vuol dire che sei davvero bravo. Pensaci.»

«Va bene, ci penserò. Ma se io scrivo, tu dovrai cantare.»

«Perfetto …» non posso rifiutare, cosa dovrei dirgli? Che non sono una cantante? E allora lui di nuovo potrebbe dire che non è uno scrittore, così accetto.

«E questa?» chiede estraendo una busta da in mezzo al quaderno.

«È qualcosa che ho scritto per te, ma leggila quando sarai da solo.»

«D’accordo» la rimette al suo posto. «Grazie, andiamo ti accompagnerò a casa.»

CAPITOLO 6

«Chiama a casa quando hai finito. È vicino ma non devi girare da sola con il buio» mi fa notare Elena, io la ignoro. Davvero mi sta dando dei consigli?

«Va bene, arrivederci» rispondo perché non voglio proprio che mi rovini la serata.

Scendo dall’auto e subito il freddo dell’imbrunire mi dà il benvenuto. O forse sono solo i miei nervi. Comunque, sono contenta di aver indossato i pantaloni e non un vestito. Jake mi aveva detto che era una cena informale, solo la sua famiglia e un paio di amici (Bryan ed io), aveva anche invitato Meryl, per cortesia suppongo, perché non erano molto in confidenza, ma lei aveva altri impegni con la sua famiglia.

Mi dirigo verso la porta d’ingresso osservando l’auto di Scott – una Mustang del 64 color nero – parcheggiata da una parte, il che significa che è venuto a fare gli auguri a suo fratello. Suono il campanello e subito vedo una figura che si avvicina distorta dal vetro della porta.

«Buona sera» saluta Scott con aria divertita, «e tu chi sei …? La ragazza di Jake?»

Aspetta. Cosa?

«Mmm … io …» Non mi lascia finire.

«Oh, per Dio! Sei Jocelyn. Allora è vero che sei tornata e non sei solo una fantasia di mio fratello» sorride tra sé.

Non ho idea di cosa significhino le sue parole, ma preferisco non chiedere.

«Sì, sono Jocelyn. Ciao Scott.»

«Ma entra pure, dammi questo, lo metterò in cucina» indica il dessert che ho tra le mani. «Jake è di sopra con Bryan, non ho idea di cosa stiano facendo lì, ma puoi andare a vedere. Io ho paura di quello che potrei vedere, così preferisco non farlo.»

Scott è sempre lo stesso, spiritoso e divertente; popolare, ma accessibile, per niente stupido. Un mix strano da vedere, ma è impossibile non divertirsi se stai con lui. Tuttavia posso dire che esteticamente sì, è cambiato, e molto. Mi sono persa tutta la sua scuola superiore, così posso capire perché mi risulta difficile associare la sua figura a quella che ricordo. È molto alto, senza dubbio più di un metro e ottanta, i capelli ben tagliati, di un castano più chiaro di quelli di Jake, ha un corpo definito, che qualunque ragazza vorrebbe vedere in spiaggia o suppongo anche in un altro posto. Sorride, e i suoi occhi chiari illuminano questo posto. Senza dubbio è molto bello, ma così diverso da Jake.

«Buona sera, signori Johnson» saluto appena entro in cucina, dove ci sono loro.

«Buona sera, cara» risponde la mamma di Jake, un po’ meno espansiva del giorno prima. «Grazie per il dessert, lo metterò in frigo.»

«Buona sera, Jocelyn. Vedo che davvero sei tornata. Resterai questa volta?»

“Ci risiamo”, penso. Perché tutti mi parlano con questo tono di sottile rimprovero. Non è stata colpa mia se me ne sono andata cinque anni fa. Se solo potessero evitare di ricordarmelo ogni minuto.

«Sì signore, Resterò qui per tutta la scuola superiore» annuncio.

«Mi dispiace molto per tua madre, ma sono contento che sei tornata. Sei una buona influenza per mio figlio, spero che continuerai ad esserlo. Il suo nuovo amico non mi piace granché.»

«Io … ci proverò, signore.»

«Perché non vai di sopra dai ragazzi, vi avvisiamo quando la cena è pronta» propone la signora Johnson.

Va bene, è strano, ma credo che il peggio ormai sia passato. Il papà di Jake mi rendeva nervosa e lo fa ancora. Come se potesse leggere la mia mente o vedere le mie intenzioni.

Quando arrivo davanti alla porta della stanza di Jake, dai rumori, capisco immediatamente cosa stanno facendo. Videogiochi. Non voglio interromperli, ma non voglio nemmeno tornare al piano di sotto.

«Jocelyn, non sapevo fossi arrivata» lui dice aprendo la porta.

«Sono qui» sorrido. «Ciao, Bryan» lo vedo oltre la spalla di Jake.

«Ciao, ragazza» Bryan mi chiama solo ragazza, come se davvero non sapesse il mio nome. Credo solo che sia geloso dell’attenzione che Jake mi sta dando da quando sono arrivata. Per quanto mi riguarda, non farò nulla per evitarlo, così che prima o poi gli dovrà passare, o no?

«Siamo provando il nuovo videogioco che ho regalato a Jake» dichiara Bryan come se non fosse ovvio.

«Lo immaginavo» mi siedo sul letto.

«Puoi sederti e guardare come gli faccio il culo al tuo …» si ferma per fissarmi «amico.»

Dopo altre due corse di auto, Bryan salta in piedi.

«Va bene, fratello» si rivolge a Jake, «Lei non è proprio» mi indica «il tuo amuleto portafortuna, non ci stai nemmeno provando, amico. Che succede?»

So che Jake non è concentrato nel gioco, perché l’ho visto un paio di volte osservarmi per troppo tempo. Ma sono stanca dell’atteggiamento di Bryan e muoio dalla voglia di dargli una lezione.

«Posso provare?» chiedo a Bryan. «Tu, contro di me. Chiaro, se ne hai il coraggio.»

«Stai parlando seriamente?! Non avrai nessuna possibilità e non voglio vedere le tue lacrime quando piangerai per aver perso la gara.»

«Vuoi scommettere? Se vinco mi chiamerai per nome per almeno una settimana.»

«E se vinco io? Sparirai dalla mia vista per una settimana?» vedo Jake in tensione vicino a me, ma non dice nulla perché io lo anticipo.

«È una sfida.»

Ci stringiamo le mani e ringrazio quel topo molesto di mio cugino Kevin, che in un pomeriggio di noia mi aveva insegnato come giocare con la sua Xbox, e da allora ogni volta che andavo a casa sua passavamo il tempo a stordirci il cervello fino a non poterne più, e lo strascinavo con me a prendere un po’ di sole.

«Che diavolo!» grida Byan, quando taglio il traguardo prima di lui. Molto prima, devo aggiungere.

«Una sfida è una sfida.»

«Non hai detto che sapevi giocare» mi accusa.

«Non me lo hai chiesto» rispondo con tono innocente e vedo Jake trattenere una risata.

«Va bene … per questa volta hai vinto tu, Jocelyn» pronuncia il mio nome così lentamente che riesco ad assaporare ancora di più la mia vittoria.

«Ragazzi, mettete via la roba da bere e venite giù a cena» è Scott che apre la porta di colpo.

«Non stiamo bevendo, Scott.»

«Sì, mi aspetto che continui a dirlo per tutte le superiori, fratellino.»

Scendiamo al piano di sotto e trovo un paio di suoi zii e zie che nemmeno mi riconoscono. “Ci risiamo”, penso. Ci sediamo a tavola e dopo il brindisi del padre di Jake al compleanno di suo figlio minore e un’esaltazione del ritorno del primogenito, procediamo a mangiare. Scott è seduto a fianco di suo padre, poi ci sono Jake, Bryan ed io. Lo osservo, ignorando quel noioso di Bryan e anche lui mi osserva, c’è una specie di complicità tra noi, sono molto contenta che continui dopo tutti questi anni.

Quando sua madre ci serve il dessert che ho portato, un sorbetto alla mela verde, lo vedo gesticolare un “grazie” verso di me e so che ne è valsa la pena.

«Credo che chiamerò a casa per farmi venire a prendere» dico in salotto, dove stiamo tutti parlando dopo la cena.

«Ti posso accompagnare io» si offre Jake.

«Assolutamente no» interviene Scott. «Ti porterò io Jocelyn, andiamo.»

Si alza senza lasciare spazio a dubbi. Alzo le spalle verso Jake e poi saluto tutti.

Lui ci accompagna fino al portico davanti a casa con le mani in tasca. Indosso la mia giacca nera e lo abbraccio forte.

«Di nuovo auguri e grazie per avermi invitata.»

«Grazie a te per essere venuta e per il dessert, era delizioso.

«Grazie. Ci vediamo lunedì?»

«Sì, buona notte.»

Mi dirigo alla macchina di Scott, lui mi aspetta con la portiera aperta e un gesto cavalleresco, rende tutto così comico che è impossibile non ridere. Guida piano e si ferma ad un paio di case di distanza dalla mia.

«Mmm, credo che forse non ti ricordi che casa mia è più in là» gli faccio notare.

«Mi ricordo, non sono così vecchio come sembro.» non posso fare a meno di ridere di nuovo. Sì, certo, Scott vecchio «Voglio solo dirti una cosa.»

«Va bene» divento nervosa.

Lui spegne il motore e si volta il più possibile per stare di fronte a me, cerco di fare la stessa cosa in attesa delle sue parole.

«Ascolta, Lyn. Davvero sono molto contento che tu sia tornata, nonostante le circostanze che ti hanno riportata qui. Ma sono preoccupato per mio fratello» fa una pausa troppo prolungata. «Per favore non dirgli che te l’ho detto, ma quando te ne sei andata lui ha sofferto molto, forse penserai che era un bambino affezionato a te, ma forse tu eri e sei molto importante per lui e non so se sopporterebbe di perderti un’altra volta. Non mi piacerebbe vedere la sua faccia da bambino piagnone.»

«Io … non sono andata via di mia volontà ed anch’io ho sofferto nel separarmi da lui.»

«Lo so, ma adesso che entrambi siete un po’ cresciuti, restate uniti, okay?»

«Okay.»

«Ma non tanto, non voglio ancora diventare zio» e torna sull’argomento.

«Scott! Basta. Jake è il mio migliore amico.»

«Ricorda solo quello che ti ho detto “piccola” Jocelyn.»

«Basta» rido di fronte al suo tono sardonico.

Non riesco a smettere di pensare a quello che mia detto Scott nella sua auto. Jake aveva sofferto tanto per me? Ero tanto concentrata sulla mia sofferenza da sminuire quella degli altri. Ma allora, perché non mi ha ancora rinfacciato niente? Dovrebbe essere furioso con me, urlarmi contro, ignorarmi, darmi qualche segnale che è ancora ferito per la mia partenza e non chiamarmi più. Invece mi ha accolta a braccia aperte.

Decisamente non mi merito la sua amicizia, ma da adesso farò di tutto per conservarla. Mi addormento sognando due bambini che vanno in bicicletta e ridono. Bei tempi.

CAPITOLO 7

«Jocelyn, la colazione è pronta» l’inconfondibile voce di Elena che mi sveglia di domenica. C’è un modo peggiore per svegliarsi?

«Adesso scendo!» É il mio unico commento.

Ho tanto sonno che l’ultima cosa che voglio è fare colazione con la famiglia felice. Ma davvero non ho molta scelta. Prima di andare in bagno controllo il mio cellulare e vedo che ho un messaggio di Jake di questa mattina presto.

“Grazie per il quaderno, ma più di tutto grazie per le tue parole sul biglietto. È molto importante per me saperlo, anch’io ti voglio molto bene.”

Un enorme sorriso si allarga sul mio viso, e non mi importa più chi mi sveglia a con chi farò colazione fra poco. Questa è diventata una bella giornata, con cinque parole di Jake il mio cuore torna a vivere. Penso di rispondere al suo messaggio, ma forse sta ancora dormendo, così rinuncio. Ricordo cosa gli ho scritto.

“Mi dispiace essermi persa i tuoi compleanni precedenti, ma oggi sono qui per dirti che non ti ho mai dimenticato, che sei molto importante per me e che ti voglio tanto bene. Buon compleanno, Jake!!! Con affetto: Jocelyn.”

«Come è andato il compleanno di Jake?» chiede papà.

Ieri sera appena tornata sono andata nella mia stanza e ho detto a tutti e due che stamattina avrei raccontato quello che volevano sapere. Ero stanchissima.

«Solo una cena con la sua famiglia e degli amici.»

«A proposito di compleanni, voglio chiederti cosa vuoi fare per il tuo.»

Non ci voglio nemmeno pensare. Sarà il primo compleanno senza la mamma e in questa farsa di famiglia. L’idea non mi entusiasma per niente. Come può chiedermi una cosa del genere?

«Non voglio niente …» dico fissando i pezzi di frutta nel mio piatto.

«Potresti invitare Jake e chi vuoi. Potremmo organizzare un pranzo o una cena, quello che vuoi tu.»

In realtà l’unica attrattiva di questa proposta è stare con Jake, così la prendo in considerazione.

«Ci penserò» rispondo alla fine, senza decidere niente.

«Va bene, fammelo sapere entro il fine settimana» annuisco soltanto riempiendomi la bocca di pezzi di mela.

 

Mio padre fa qualche commento su cose di lavoro con Elena; chiacchierano in realtà, non parlano solo superficialmente, non presto attenzione al contenuto, posso solo vedere un uomo diverso da quello che stava con mia madre e non posso evitare di sentirmi arrabbiata con lui. Dov’era quest’uomo quando mia madre ne aveva bisogno? Dov’era quando il suo matrimonio cadeva in pezzi e lui non faceva nulla per evitare che i pezzi mi seppellissero in mezzo a loro due? Perché questa donna poteva averlo e mia madre non ha mai potuto farlo? Non è giusto. Desidero solo non aver mai conosciuto questa donna o voglio soltanto di nuovo mia madre, di nuovo la mia famiglia.

«Jocelyn» una voce mi sussurrava all’orecchio, «Tesoro. Buon compleanno …»

Aprii subito gli occhi vedendo un luce riempire la mia piccola stanza a casa di mia nonna.

«Grazie, mamma» pronunciai con voce roca.

«Alzati così facciamo colazione e poi andremo a casa di tua zia, sulla spiaggia.»

«Sì, mamma. Ma non sono più una bambina, ora ho quattordici anni.»

«Lo so e anche quando ne avrai quaranta sarai sempre la mia bambina» mi abbracciò quasi soffocandomi.

Trascorsi tutto il giorno sulla spiaggia con Kevin (rimasi anche assente da scuola, Urrà!), che pur essendo un bambino di dieci anni molto indisciplinato, era una buona compagnia. Non mi ero fatta dei veri amici qui a Tampa, solo compagni di scuola; mi sembrava di tradire l’amicizia di Jake.

Due settimane prima ero stata così tentata di chiamarlo nel giorno del suo compleanno, ma prima di digitare l’ultimo numero lasciai perdere, non sapevo cosa dire.

Mamma e la nonna fecero tutto quello che mi piaceva, chiamò anche papà augurandomi buon compleanno (sì, come no, pensai) e per la mia piccola collezione Kevin mi regalò una conchiglia molto strana che aveva trovato pochi giorni prima. Davvero avevo delle cose belle per le quali essere felice, ma negli ultimi anni sentivo sempre che la mia felicità non poteva essere completa.

«Oggi cosa scrivi?» chiese mia madre sedendosi sulla sabbia vicino a me e indicando il mio quaderno giallo.

«Non lo so … lascio solo scivolare le mie dita …»

«A proposito, ho un altro regalo per te.»

Sì, mamma oggi mi aveva riempita di regali. Mi regalò un fondo per l’università (mamma pensava a tutto), un pc portatile, disse che così avrei risparmiato carta, ma finivo sempre per tornare ai miei quaderni gialli; inoltre, il giorno prima avevamo preso d’assalto alcuni negozi tentando di modernizzare il nostro look. Mi regalò una giornata incredibile, nonostante tutto. Tuttavia sembrava che avesse qualcos’altro per me. Mi porse una piccola scatola quadrata di velluto con un fiocco enorme.

«E questa?» sorrisi indicando la scatolina.

«Aprila e basta» rispose come se fosse una cosa normale.

Sollevai il coperchio e sorrisi per quello che vedevo. Era bellissimo. Un anello d’argento con un enorme girasole che copriva il mio dito. Era il fiore preferito di mia madre. Lei aveva una collana con un pendente a forma di girasole come quello che io ora avevo davanti.

«Avevo pensato ad una collana anche per te» spiegò, «ma mi è sembrata migliore l’idea di un anello, così lo vedrai sempre mentre scrivi. Cioè quasi tutto il tempo» sorridemmo entrambe.

«Grazie mamma, è bellissimo. Mi piace tanto!» la abbracciai, sull’orlo delle lacrime.

Lo infilai al mio dito indice destro, così avrei sempre potuto vederlo mentre scrivevo. Mi accorsi che era regolabile, mamma disse che sarei cresciuta ancora molto e che voleva che lo indossassi sempre.

«Sai perché il girasole è il mio fiore preferito?»

«Sì, mamma» risposi, «me lo hai detto un milione di volte. Così tante che ora è anche il mio fiore preferito» sorrise.

«Bene, ma data l’occasione te lo ripeterò; a parte che il girasole è giallo e questo colore evoca allegria e giorni luminosi, il girasole, come indica il suo nome, gira cercando il sole, perché il sole gli dà la vita. Sii come il girasole, Lyn. Cerca il tuo sole, percorri la tua strada e vai in cerca di ciò che ti rende felice, che ti riempie la vita di allegria. Cerca il tuo sole» ripeté.

A quel punto entrambe eravamo in lacrime, non sapevo se mamma parlasse di qualcosa in particolare o cercasse solo di insegnarmi qualcosa, in quel momento potevo solo annuire, avrei capito le sue parole più tardi, purtroppo quando lei non c’era più.

Osservo l’anello nella mia mano, l’ultimo regalo di mia madre. Lei era il mio sole. Ma sento che devo trovare un altro sole a cui aggrapparmi o appassirò prima che arrivi la notte.

«Bell’anello» è la voce di Jake che mi riporta al presente.

«Me lo ha regalato mia madre quando ho compiuto quattordici anni.»

Lui annuisce soltanto sedendosi al mio fianco.

Dopo la colazione vado al parco vicino a casa con il mio quaderno, anche se in realtà non ho scritto niente e mi siedo solo ad osservare l’anello e a pensare a mia madre.

«Scott mi ha detto che ti ha vista da queste parti quando è passato e che eri da sola. Ho pensato di farti compagnia, se non ti dà fastidio, ovvio.»

«Sono contenta che tu sia qui» ammetto, infilandomi di nuovo l’anello al dito.

«Ti ho mandato un messaggio ieri sera, o meglio, oggi … molto presto.»

«L’ho visto oggi … molto tardi. Pensavo dormissi e non volevo disturbare.»

Sorride con il suo sorriso con le fossette guardando verso la strada, dove passano le auto estranee a questo posto dove noi ci siamo incontrati, il sole brilla un po’ di più.

«Tu non disturbi mai, Joce»

Solo lui mi diceva e mi dice così, e mia madre a volte. Sorrido anch’io.

«Come va la canzone?» decido di cambiare argomento.

«Me lo hai regalato appena ieri sera, dammi un po’ di tempo.»

«Va bene, ti darò il tuo “spazio”» dico mimando le virgolette nell’aria con le dita in modo drammatico.

Sorride di nuovo e osservo il mio dito. Il girasole brilla come Jake, illuminando la mia vita.

I giorni passano, a volte lenti – quando papà e Elena mi stanno intorno, o a volte rapidi, quando sto con Jake. Ma sempre avvicinandosi inevitabilmente al mio compleanno. Davvero odio pensarci. Mamma non sarà più con me per questo giorno.