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Ettore Fieramosca: ossia, La disfida di Barletta

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– Oh sì, sì – diceva scotendo il capo, e passandosi la mano sulla fronte e sui capelli, come per dissipare i pensieri che v'erano aggruppati – badiamo a farci onore prima di tutto… e forse domani a quest'ora avrò già potuto dirle: Ginevra abbiam vinto… – poi fermatosi un momento a pensare: – oppure m'avrà già veduto entrar in Barletta sulla bara, ed avrà detto: Povero Ettore, hai fatto quel che hai potuto… E se ciò accadesse? sarei morto da uomo dabbene; ed essa piangerebbe la mia morte; ma non mi vorrebbe vivo a patto d'una viltà; anzi andrebbe superba di poter dire: Eravamo amici sin da fanciulli… Sì… ma intanto rimarrà qui sola, senz'un ajuto; neppur sa che suo marito è al campo francese, e se anche lo sapesse, come presentarsi a lui dopo tanto tempo? —

Ettore aveva formato e parte eseguito il disegno di raccomandarla a Brancaleone; ma riflettendo che anch'esso poteva venir ucciso con lui, si risolvette di scriver una lettera a Prospero Colonna, nella quale fosse ordinato che il poco suo avere in Capua, cioè la sua casa, un podere, e gli arnesi ed i cavalli, che pure eran del valore di molte migliaja di ducati, tutto fosse di Maria Ginevra Rossi di Monreale. Riaccese il lume, ed in poco tempo ebbe scritta la lettera: allora pensò d'acchiudervene un'altra per Ginevra come di commiato, e per raccomandarle la giovane saracina, alla quale aveva pur tanti motivi d'essere riconoscente: e come già cantavano i galli, e s'accorgeva che gli uomini sotto nella stalla cominciavano a risentirsi, a far romore, mancandogli il tempo, scrisse soltanto queste poche righe:

«Ginevra, io sto per montare a cavallo, e non so s'io n'abbia a scender vivo stasera. Se il Cielo ha disposto che debba esser altro di me, non dubito punto che dopo aver dato qualche lagrima a quello che sin da fanciullo ti fu con tanta fede amico e servo, tu non ti rallegri aver io incontrata una morte della quale non si poteva immaginare nè la più gloriosa nè la più bella. Sarai contenta goderti per amor mio la poca roba che ho di casa; sai che son libero e senza parenti prossimi. Solo ti raccomando, e non accaderanno per questo molte parole, il mio famiglio Masuccio, che dal giorno in cui all'Ofanto toccò quella ferita nella spalla, poco si può ajutare, e correrebbe rischio, ove tu non lo soccorressi, di dover accattar per Dio, e ne sarebbe poco onore alla mia memoria. Un'altra cosa mi rimane a dirti. Tuo marito è al soldo dei duca di Nemours. Non ho più tempo: sento che in casa Colonna si sta per dar il segno: Dio ti guardi: ti raccomando anche Zoraide.

ETTORE.»

Difatti si udiva il trombetta il quale, com'è loro uso, preparandosi per sonar la sveglia si metteva alle labbra la tromba ricavandone suoni brevi ed interrotti, come per prova. Un tal qual ronzìo, ed un rumoreggiar sordo che veniva dal terreno della casa e da quelle dei vicini, voci indistinte e passi d'uomini e di cavalli per le strade, indicavano che la maggior parte di coloro che dovevan essere attori o spettatori del fatto d'arme, avean principiato a mettersi in moto: in cielo però non si scorgeva ancora alcun principio di albeggiare; anzi una caligine oscura nascondeva le stelle, e condensava l'atmosfera.

Fieramosca, che stava chiudendo le due lettere seduto accanto alla finestra aperta, se n'accorse guardando fuori, ove il piccol raggio della candela usciva divergente, illuminando quel tratto di nebbia ove poteva percuotere. La brutta apparenza del tempo, trovandolo già disposto alla mestizia, gliel'accrebbe; i pipistrelli che trapassavano con volo tremolo e veloce avanti la finestra, chiamati dallo splendore, le sentinelle poste sulle torri del castello e che, accostandosi l'ora del mutar le guardie, si chiamavano con un certo gridar lugubre, tutto in somma accresceva la tristezza di quest'ora, ed il combattuto giovane ne rimase oppresso un momento. Ma i passi gravi e sonanti di due uomini che, salita la scala gli entravano in camera, gli fecero alzar la fronte e comporre il viso in atto lieto ed ardito, onde non s'avvedessero del suo vero stato.

Comparì Brancaleone tutto coperto delle sue armi fuorchè il capo, accompagnato da Masuccio che portava l'arnese di Fieramosca. La campana di San Domenico sonava la messa che dovevano udire i combattenti prima di partire pel campo.

– Armati Ettore, chè a momenti saranno tutti in chiesa – disse Brancaleone; ed aiutato da Masuccio in pochi minuti ebbe coperto il suo amico della perfetta e lucente armatura che usava portare nelle maggiori occasioni. Fabbricata da un de' migliori artefici di Milano, s'adattava così bene alle belle membra del cavaliere, ed era nelle giunture tanto maestrevolmente connessa, che seguiva i contorni del corpo senza alterarne la grazia in nessuna parte, lasciandolo nel tempo stesso interamente libero e sciolto in tutti i suoi moti. Finito d'armarsi, ed appeso alla sinistra la spada ed alla destra la daga scesero uniti, e facendosi portar dietro dai famigli lancia, elmo e scudo, e condurre a mano i cavalli, vennero a San Domenico, ove in pochi minuti insieme con molto popolo si trovaron radunati i tredici campioni e Prospero Colonna.

La chiesa era un quadrilungo a tre navate separate da colonne ed archi a sest'acuto, d'assai rozza maniera, e verso l'altar maggiore due sfondi ai lati formavano una croce col corpo principale dell'edifizio: il coro de' frati, secondo l'uso antico, avanti l'altare era di legno, divisi gli stalli de' religiosi da molti ornati in rilievo, ai quali il tempo avea data una tinta lucida e bruna: nel mezzo era posto un banco capace di tredici persone, ove stavano gli uomini d'arme italiani. La luce del giorno andava crescendo, ma non era ancora abbastanza chiara per poter passare attraverso delle invetriate dipinte che chiudevano gli stretti finestroni, onde tutto l'interno della chiesa rimaneva quasi nell'oscurità, e il lume rossiccio delle poche candele dell'altare si ripercoteva soltanto un po' vibrato sulle corazze de' guerrieri, lasciando tutte le altre figure quasi invisibili. Prospero Colonna armato anch'esso stava un po' innanzi agli altri, ed aveva a' piedi per inginocchiarsi un ricco cuscino di velluto rosso colla colonna ricamata in argento, recatogli da due paggi che si tenean ritti pochi passi dietro di lui. Uscì la messa: Fra Mariano la diceva, ed i cuori di quelli fra gli spettatori, che eran capaci di sensi generosi ed alti, forse non rimasero indifferenti alla vista di que' valorosi ed arditi giovani che atterravan innanzi al Dio degli eserciti le fronti solcate dal ferro e dalle fatiche, per domandargli che fosse dato alle loro spade di vincere chi volea trascinar nel fango il nome italiano.

Nelle loro mosse, alle quali il lungo uso dell'armi dava anche nel pregare una cert'aria brava, esprimevano però i pensieri religiosi che avean nell'animo. All'estremo del banco, a man sinistra, era Fieramosca ritto, immobile, colle braccia intrecciate sul petto. Gli stava in faccia a pochi passi la porta della sagrestia aperta; e gli uomini della chiesa, che andavano avanti e indietro pei loro uffici, avrebbero forse potuto soli distrarlo dalla preghiera; ma s'aggiunse una vista ed un dialogo, che in quel momento più che mai eran tali da fissar dolorosamente i suoi pensieri.

Un uomo vestito d'una cappa oscura tutta sdruscita, coi capelli rossi in disordine, ed un viso di tristo augurio era fermo in mezzo alla sagrestia: e, volto ad un frate domenicano che occupava colla sua corpulenza tutto un seggiolone di cuojo posto fra un armadio e l'altro, solito mobile di questi luoghi, gli domandava con parlar ruvido, e voce rauca e sottile:

– Quale ho d'ammannire, quella dei poveri o quella dei signori?

– Bella interrogazione! – rispose il frate, e la sola parte che si movesse nel suo corpo eran le labbra. – Non lo sai che il signor Consalvo fa la spesa? non è già uno di questi affamati di Barletta, che per non dar la torcia al curato, si fan portar via per poveri… Di prima classe, ve l'ho già detto a tutti, di prima classe, campane, catafalco e messa cantata. Mi sembrate più balordi del solito. —

L'altro si strinse nelle spalle ed andando verso uno dei lati della sagrestia si tolse dalla vista di Fieramosca: questi però udì metter la chiave in un uscio ed aprirlo; poscia distinse un romore di passi che s'allontanavano, e per alcuni minuti non udì altro: poco stante i medesimi passi che ritornavano con uno stropiccìo come di cosa trascinata sul pavimento; e lo strepito veniva innanzi finchè ricomparì l'istess'uomo tirando e lasciando in mezzo alla sagrestia una bara nera filettata d'argento, avente una croce alla testa, ed ai piedi un teschio retto da due ossa poste sotto a guisa di croce di Sant'Andrea; vi buttò sopra un copertone di velluto nero, dopo che con un panno n'ebbe scossa per tutto la polvere. Mentre il beccamorto compiva quest'ufficio con quel fare sbadato e di mal umore, che pur troppo appare spesso negl'inservienti alle sagrestie, un'idea lieta trovò pure strada di fargli aggrinzar con un riso la pelle che gli copriva l'ossa delle guance.

– Dunque ci sarà da bere anche per me questa volta? È un gran pezzo che non v'è altro lavoro che di marinari e pescatori… ringraziarne Dio che ogni tanto ne capita anche qualcuno di questi pe… (si voltò a un tratto quasi temendo d'esser udito, ed abbassata la voce seguitò) di questi pezzi grossi.

– Una volta tocca a tutti – disse il frate, tagliando la frase in due con uno sbadiglio.

– E può essere – seguitava il becchino, adattando la coperta sulla bara, e scostandosi per vedere che non pendesse più da una parte che dall'altra – può essere che la Beca, quella strega di mia moglie, ci abbia azzeccato. Jer sera (sentite questa) eravamo in letto, e si discorreva che si sta a spasso e non si lavora, e che la guarnaccia della donna e 'l sajo nuovo che mi potei fare coi danari che buscai nella morìa, cascan a pezzi… E vedete se è vero (in così dire tirandosi le maniche sui gomiti mostrava la verità delle sue asserzioni); e in somma si diceva che, se tirava innanzi così un altro poco, saremmo morti di fame. Poi stamattina prima dell'avemaria, intanto che m'alzavo per iscender in chiesa: – Ohè Rosso! – dice: – sai che mi son sognato? – Dico: – che ti sei sognato? – Dice: – mi pareva che la cucina dell'osteria di Veleno fosse piena di letti, e l'oste giallo giallo per il primo, e in somma – dice – era tornata la peste, e c'eravamo rifatti, e tu andavi per Barletta vestito come un cavaliere… In somma, dite voi fra Biagio, tra la guerra e la peste siamo lì?.. e può essere che prima di stasera (e qui di nuovo abbassò la voce, e vedendo che dalla chiesa nessuno gli badava, accennò col pollice sulla spalla verso i tredici giovani), può esser in somma che qualcuno torni a casa sul quattropiedi… —

 

Il frate, o per isbadataggine o per mantenere i dritti della gerarchia, non si curò di rispondere, onde finì il dialogo. Il becchino, quand'ebbe messa in ordine ogni cosa, scomparve: e la bara rimase in mezzo alla sagrestia. Non venne in mente a Fieramosca, e se gliene fosse balenato un qualche sospetto l'avrebbe cacciato come una pazzia, per chi dovesse servire: non ostante non ne potè staccar gli occhi durante il rimanente della messa. I suoi pensieri si fermarono naturalmente sull'idea che quel giorno poteva esser l'ultimo della sua vita, e volse con più fervore lo spirito a Dio domandando di nuovo il perdono delle sue colpe. Riandava colla mente tutto il tempo trascorso da quando avea tolta Ginevra di Santa Cecilia; e gli pareva non aver rimorso d'altro, fuorchè del non averle palesato che Grajano era vivo. Di questo però come d'ogni altro fallo se n'era confessato la sera innanzi. Gli parve d'esser tranquillo, e di poter franco incontrar la morte. Terminò la messa, uscirono i tredici, seguitando Prospero Colonna, e vennero a casa sua, ove si posero a tavola per non andar digiuni a combattere.

Fra gli altri patti fermati d'accordo dalle due parti italiana e francese, v'era quello: che ogni uomo d'arme che venisse fatto prigione potesse, senza dover seguir il suo vincitore, riscattarsi coll'arme e 'l cavallo mediante lo sborso di cento ducati. Ognuno degl'Italiani consegnò il danaro al signor Prospero, ed i mille trecento ducati posti in un sacco furon caricati su alcuni muli, i quali avviati innanzi portavan sul campo provvisioni e masserizie che forse avrebber potuto bisognare.

Finita la colezione, tutti uniti andarono alla rocca ove il gran Capitano gli aspettava nella sala del ballo; preser commiato con poche parole e volto sereno da lui, che disse nel congedarli come gli aspettava a cena, e faceva preparare per ventisei persone, onde se i Francesi avesser dimenticato di portar con loro i danari del riscatto, non avessero ad andar a letto a digiuno. Scesero nel cortile ove erano in fila disposti i cavalli tenuti dai famigli. Montarono in sella, e a due a due s'avviarono, preceduti dalle trombe, ed accompagnati da molti amici e da una folla di curiosi.

CAPITOLO DECIMONONO.

Ad uguale distanza da Barletta e dal campo francese, dove la pianura accostandosi alle colline comincia ad elevarsi, si stende, fra certi monticelli bassi, un piano di circa trecento passi per ogni verso, formato probabilmente da qualche[Pg 228] antica alluvione. Il terreno di minuta ghiaja e di sabbia silicea rassodato dal tempo è sgombro d'arbusti e d'erbe, ed offre alla zampa dei cavalli un andar franco e sicuro. Questo era il luogo scelto pel combattimento. Dal giorno innanzi per cura d'uomini mandati dalle due parti, fu livellato ove era qualche ineguaglianza di terreno; fissati i limiti con un solco e con grosse pietre disposte all'intorno; ed all'ombra di grandissimi lecci che crescevano sul ciglio d'un greppo, dal quale si dominava tutto il campo, vennero situati sedili pei giudici, sotto una specie di tenda a strisce bianche e vermiglie annodata ai rami degli alberi. Avanti a questo tribunale eran piantate in fila alla vista di tutti ventisei lance cogli scudi degli uomini d'arme delle due nazioni, ed i loro nomi scritti a grandi lettere su un cartellone. Dalle terre e ville del contorno la curiosità aveva radunata gran folla di contadini e signorotti di campagna, che prima del levar del sole già si trovavano allogati per l'alture circonvicine. Quelli che fra loro tenevano un certo grado sedean coi vecchi e colle donne sull'erba; gli altri, come ragazzi, poveri, monelli, s'arrampicavano su per gli alberi, e mostrandosi qua e là fra le foglie facean contrastare col verde il colore de' visi e de' panni.

Bello spettacolo era (specialmente per chi, ponendosi all'estremità del campo, volgesse le spalle all'interno delle terre ed il viso alla marina) il vedere una così ricca scena campestre ravvivata da tal moltitudine piena di tanto moto e di tanta vita: a destra elevarsi sul cielo le grandiose masse degli elci, ed al color cupo delle lor foglie mischiarsi il verde più vivace e gajo d'arboscelli minori; su un piano più lontano dietro questi, la terra di Quarato, della quale si scopriva soltanto la porta difesa da una torre addossata a rupi, al cui piede serpeggia la strada: in mezzo il campo, ed al di là il lido dell'Adriatico, la città e il castello di Barletta, e le forme colorite degli edifizi spiccate sulla tinta azzurra del mare: più lontano il ponte e l'isola di Sant'Orsola, gli alti gioghi del Gargano, e la linea dell'orizzonte: a manca poi, le colline che a poco poco si vengono alzando; e rimpetto al luogo destinato ai giudici, sovra un terreno disuguale, vestito d'erba fresca, gruppi di altissime querce coi tronchi rivestiti d'edera, e nel pieno vigore della più ricca vegetazione. La nebbia formatasi nella notte, squarciandosi alla brezza dell'aurora, veleggiava nelle regioni superiori dell'aria in nuvole di forme fantastiche, che già percosse dal sole ne rifrangevan i raggi indorati. Altre strisce di nebbia più densa restavano leggermente posate sulla pianura, somigliando a letti di cotone bianchissimo, sovra i quali sorgevano qua e là gruppi d'alberi più alti, e le creste di qualche collinetta. Il disco del sole vicino ad uscir dal mare spandeva in cielo la sua luce rancia, lasciando muti gli oggetti terrestri, illuminati soltanto dal riflesso dell'atmosfera. Tutti gli spettatori avean come involontariamente gli occhi volti verso il punto dove stava per comparire. Sull'ultima linea del mare parve alla fine quasi generata una scintilla di luce vivissima; crebbe, prese forma, uscì il sole maestoso come un globo di fuoco, e diffuse la sua luce, che diede forma e colore agli oggetti, e si duplicava oscillando riflessa nel mare.

Una squadra di fanti venuta quivi per tempo teneva sgombro il campo dal popolo che stava disperso in gruppi tutt'all'intorno, radunandosi più frequente nei luoghi ove molti venditori di comestibili e di vino avean tese le loro tende, ed alzati banchi e tavole. V'era fra questi l'oste del Sole, Veleno, che il lettore ben conosce, e che in uno dei luoghi più in vista aveva piantato il suo negozio ambulante sotto una frascata, alla quale già eran concorsi molti de' soldati suoi soliti avventori: due o tre gran padelle da friggere eran al fuoco su altrettanti fornelli di ferro portatili; una tavola composta d'asse rozze, e connesse alla meglio su varj pali, che fitti nel suolo servivano di gambe, era coperta di canestroni di pesce, carciofi, ortaglie d'ogni genere da friggere. Egli, con due grembiuli e la berretta di bucato, colle maniche della camicia rimboccate sino alla spalla, teneva sotto il braccio la pentola da infarinare, in una matto il piatto col fritto ancor crudo, nell'altra le mollette per prenderlo, e si affaccendava a preparar questo cibo tanto gradito agli Italiani meridionali, senza restar mai un momento dal cicalare, ridere, domandare e rispondere a tutti in una volta, e soltanto interrompeva a quando a quando questi dialoghi, o per cantar La bella Franceschina, o per gridar quanto n'avea nella canna: Ah che alici! ah che alici! son vive le trigliarelle! o non avete occhi, o non avete danari! ed altre simili inculcazioni che s'udivano da mezzo miglio lontano.

Alla fine, un mormorar più forte della folla che occupava i luoghi superiori fece volgere a tutti il viso verso quella parte, e passando di bocca in bocca giunse la nuova, che già si scorgeva il drappello francese. Pochi minuti dopo compariva alla voltata d'una strada, che usciva di dietro una collina, ed avanzandosi, venne a porsi in battaglia nella parte superiore del campo, volgendo la fronte al mare. Scavalcati i guerrieri ed un centinaio e mezzo di compagni ed amici che eran con loro, lasciaron ai famigli i cavalli, e, saliti al luogo dei giudici, si dispersero sotto i lecci aspettando l'arrivo degli Italiani. Sulla strada di Barletta un nuvolo di polvere, fra il quale si potè presto distinguere il lampeggiar dell'armi, mostrò che non eran per farsi troppo aspettare. Le turbe sin allora disperse si strinsero ai confini della lizza, studiando ognuno di cacciarsi avanti, malgrado che i fanti di guardia, con que' modi amorevoli che in ogni tempo ha sempre usato la soldatesca in simili occasioni, battendo sul suolo, e talvolta sulle punte dei piedi i calci delle ronche e delle picche, ricacciassero indietro l'onda che tentava di sopraffarli.

Giunsero gl'Italiani, si fermarono in faccia ai loro avversarj nell'ordinanza medesima, e scavalcati, salirono anch'essi sul rialto degli elci.

Dopo i saluti e le cortesie scambievoli, il signor Prospero e Bajardo, che erano i due padrini, s'abboccarono, e decisero che prima di tutto conveniva trarre a sorte i giudici.

Il lettore si maraviglierà, son certo, di non trovar il famoso Bajardo fra i combattenti in così importante occasione, e vederlo invece adempiere le parti di padrino: gli dirò dunque che non ne abbiam provata minor maraviglia di lui, nè sapremmo formar su questo fatto altra congettura se non supporre che qualche ferita non interamente sanata gl'impedisse di trattar l'armi, o che forse la quartana che lo travagliava in quel tempo, troppo gli scemasse le forze: a ogni modo sappiamo certissimo che egli non era fra i campioni.

Scritti dunque i nomi di alcuni caporali de' due eserciti spagnuoli, francesi ed italiani in egual numero; rotolati i brevi, e posti in un elmo, cadde la sorte su Fabrizio Colonna, Obignì e Diego Garcia di Paredes; i quali, sedendo al luogo preparato per loro, aprirono su una tavola il libro dei Vangeli, e ricevettero il giuramento de' ventisei guerrieri: col quale s'impegnavano a non adoperar frode nel combattere; asserivano non aver incanti nè sui loro corpi, nè sull'arme; ed incontrar quel cimento valendosi della sola virtù e delle forze naturali. Furon letti di nuovo ad alta voce i patti coi quali si rimaneva d'accordo che ogni uomo potesse riscattar sè, l'arme e 'l cavallo mediante cento ducati; ed uno fra gl'Italiani, votando sulla tavola il sacco del danaro che avean recato, lo contò, e lo consegnò ai giudici. S'aspettava quindi che i Francesi facessero altrettanto: visto che nessuno si moveva, Prospero Colonna disse loro più modestamente che potè: – Signori, e il vostro danaro? —

Si fece avanti La Motta, e rispose sorridendo:

– Signor Prospero, vedrete che questo basterà. —

Montò la stizza al barone romano per la millanteria inopportuna, ma si frenò, e disse soltanto: – Prima di vender la pelle conviene ammazzar l'orso. Ma non importa; e quantunque fosse patto fra noi di portar il riscatto, neppur per questo non vogliamo metter ostacoli alla battaglia. – Signori (aggiunse poi volto ai suoi), avete udito: questo cavaliere tien la cosa per fatta; sta a voi a chiarirlo del suo errore. —

Sarà inutile il dire che questi modi sprezzanti fecero ribollire il sangue agl'Italiani, ma nessuno rispose nè a La Motta, nè al signor Prospero, fuorchè con qualche digrigno, o qualche occhiata fulminante.

Terminati questi apparecchi, furon dai giudici licenziate le due parti e data loro una mezz'ora per prepararsi; dopo la quale un trombetta a cavallo, situato all'ombra degli elci, accanto ai giudici, darebbe tre squilli di tromba, segnale dell'assalto.

Ritornati a' loro cavalli e montati in sella, furon dai padrini disposti in fila a quattro passi di distanza l'uno dall'altro; e tanto il Colonna quanto Bajardo osservarono di nuovo i barbazzali, le cigne delle selle, le corregge e le fibbie dell'armature; e, se v'eran occhi esercitati ne' due campi, eran senza dubbio i loro.

Finita questa rivista, fermato il cavallo nel mezzo della linea, il signor Prospero disse ad alta voce:

– Signori! non crediate ch'io voglia dirvi parola per eccitarvi a combatter da uomini pari vostri: vedo fra voi Lombardi, Napoletani, Romani, Siciliani. Non siete forse tutti figli d'Italia ugualmente? Non sarà ugualmente diviso fra voi l'onore della vittoria? Non siete voi a fronte di stranieri che gridan gl'Italiani codardi? Una cosa sola vi dico: vedete là quel traditor scellerato Grajano d'Asti. Egli combatte per mantener l'infamia sul capo de' suoi compagni!.. m'intendete!.. Ch'egli non esca vivo di questo campo. —

 

Fieramosca che era vicino a Brancaleone gli disse sottovoce: – Ah! se il voto non mi legasse le mani!.. – E Brancaleone gli rispose: – Lascia far a me che non ho voti; so io dove gliel'ho da appiccare! —

La voglia d'uccider Grajano era nata in lui dal giorno in cui, udite le vicende del suo amico, vide che poteva così toglier di mezzo l'ostacolo che si frapponeva fra esso e Ginevra. Sapendolo poi nel numero dei campioni francesi, conobbe che l'occasione non gli sarebbe mancata; ed il giorno della giostra, si rammenterà il lettore delle informazioni che si procacciò, mentre il cavalier astigiano s'armava accanto all'anfiteatro. Ora la fine impreveduta di Ginevra distruggeva il suo primo pensiero; tuttavia non abbandonò il disegno, e gli crebbe poi il desiderio di eseguirlo, per le parole del signor Prospero, al quale, come al capo della parte colonnese, obbediva ciecamente in tutto.

I due padrini intanto s'eran ritirati ai loro posti: Bajardo presso i giudici, ed il Colonna sotto le querce. Questi tutto armato, fuorchè il capo, su un gran cavallo nero coperto di una gualdrappa vermiglia ricamata in oro, alzava la fronte grave ed ardita verso i suoi, aspettando in silenzio la tromba. Avea accanto un suo paggio, bel giovane di sedici anni, vestito di cilestro, colle calze color di carmino, e varj caposquadra dell'esercito in diverse attitudini che, malgrado la loro immobilità, mostravano non so che d'energico e di marziale. A misura che s'avvicinava il momento, venivano a tutti mancando le parole; al più, s'udiva qualche monosillabo bisbigliato sommessamente fra' vicini; ed in questa quiete che dava all'adunanza un aspetto grave e solenne risonava solo di tempo in tempo lo scalpitare ed il nitrir dei cavalli, che tenuti in riposo e ben pasciuti, non potevan ora star fissi nell'ordinanza, rodevano i lunghi freni dorati, li coprivan di spuma, facendo arco del collo e della coda; e, rizzandosi sui piè di dietro, sbuffavano colle nari tese e sanguigne, e parevan dagli occhi gettar faville.

È difficile ai giorni nostri formarsi un'idea dell'aspetto marziale d'un uomo d'arme di quel tempo, coperto tutto di ferro esso e 'l cavallo. Ogni cavaliere colla visiera abbassata, chiuso nell'arnese, collo scudo al petto e la lancia alla coscia, inforcava una sella, i cui arcioni ferrati s'alzavano avanti e dietro come due ripari che rendevano quasi impossibile il cadere; incastrato così, stringendo le ginocchia, era talmente aderente al cavallo, che tutti i suoi moti gli si comunicavano con quell'unità che dovrebbe legare le due nature del centauro.

I cavalli avean le parti anteriori e laterali del capo difese da un guernimento di ferro, nel quale eran soltanto due buchi per gli occhi; in mezzo alla fronte una punta; il collo, le spalle ed il petto ugualmente coperto da piastre soprapposte a guisa di scaglie, e snodate, onde lasciar liberi tutti i moti; ed un arnese dello stesso artificio si stendeva sulla groppa e le parti laterali del ventre, lasciandone scoperto soltanto il luogo per le spronate. Le belle fattezze di questi nobili animali eran così deturpate da tutte quell'armature che parevano dalle gambe in fuori quasi altrettanti rinoceronti. Vedendoli fermi si sarebbe creduto impossibile che potessero muoversi non che correre; ma uno scuoter di briglia od un accostar del calcagno del cavaliere li trovava agili e pronti come fosser nudi, tanto maestrevolmente eran congegnate quell'armi.

Oltre lancia, spada e pugnale che ogni uomo d'arme portava sulla persona, avea appese all'arcione davanti una mazza d'acciajo, ed un'azza: e gl'Italiani avean gran nome nel maneggio di quest'armi. Il modo poi d'ornarsi era vario, secondo il capriccio d'ognuno: sulla cima degli elmi svolazzavan penne di molti colori disposte per lo più intorno ad un lungo pennacchio formato della coda del pavone. Alcuni invece di penne aveano strisce di stoffa frastagliata, dette dai Francesi lambrequins. Chi portava sopravveste, chi tracolle, chi avendo un'armatura ricca e ben lavorata, la lasciava scoperta: anche i cavalli avevan sul capo o penne o qualche altro ornamento, e le briglie larghe quasi un palmo a festoni, e di colori che chiamavan l'occhio: spesso per la fattura e per la ricchezza degli ornati erano esse sole di gran valore. Sugli scudi, oltre l'impresa che solevan portarvi dipinta, avean gl'Italiani fatto scrivere motti convenienti a quell'occasione: quello di Fieramosca diceva, per citarne uno: Quid possit pateat saltem nunc Itala virtus.

Un araldo alla fine venne avanti in mezzo al campo, e bandì ad alta voce, che alcuno non ardisse favorire o disfavorire nessuna delle parti nè con fatti, nè con voci, nè con cenni: ritornato presso i giudici, il trombetta diede il primo squillo di tromba: diede il secondo… si sarebbe sentito volar una mosca: diede il terzo, ed i cavalieri con moto simultaneo allentate le briglie, curvati i dorsi sul collo dei cavalli, e piantando spronate che li levavan di peso, si scagliarono a slanci prima, poi di carriera serrata rapidissima gli uni su gli altri, levando il grido, Viva Italia! da una parte, e Viva Francia! dall'altra, che s'udì fino al mare. Avean circa centocinquanta passi da correre per incontrarsi. S'alzò a poco a poco la polvere, crebbe, si fece più densa, gli avvolse prima che si fossero giunti, li coperse e nascose affatto come un nuvolo quando si dieder di cozzo, urtandosi i cavalli fronte contra fronte, e i cavalieri rompendo le lance sugli scudi e le corazze degli avversarj con quel fragore che produce una frana di massi che rovinando su un pendio senza ostacoli da prima, poi trova una selva nella quale si caccia, e fiacca, sradica, fracassa ciò che trova. Fu tolto così agli spettatori la vista del primo scontro, ed appena in quell'ammasso confuso e polveroso d'uomini e di cavalli potevan distinguere il balenar dell'armi percosse dal sole, e qualche brano di penne, che la furia dei colpi aveva lacerate, volare avvolgendosi in quel turbine, ed allontanarsene poi sollevato dal vento. Il frastuono rimbombò per le valli dei contorni; Diego Garcia si percosse col pugno sulla coscia per la maraviglia e per la smania di non esser anch'esso là in mezzo; e questo fu il solo atto che si notasse fra gli spettatori attoniti ed immoti.

Rimase per alcuni secondi riunito quel gruppo di battaglia, ed un certo luccicar più sottile che qua e là balenava a traverso la polvere, mostrò che i cavalieri avean posto mano alle spade: s'udiva uno scrosciar di ferri, un martellar così a minuto come se in quello spazio fossero state in opera dieci paja d'incudini. Tutto quell'ammasso pieno d'una luce vivissima, e direi guizzante in sè stessa, era simile ad una macchina di fuoco d'artifizio, quando è velata in parte dal fumo: tanto era complicato e rapido il muoversi, lo stringersi, l'aprirsi, il ravvolgersi che faceva in tutte le sue parti.

L'ansietà di poter veder qualche cosa e sapere a chi toccasse il primo onore, era tale che ormai si stava per prorompere in grida; e già s'udiva un crescente bisbiglio, che fu però soffocato dai cenni degli araldi, non meno che dal vedere uscir fuori da quel viluppo un cavallo sciolto, talmente coperto di polvere, che neppur più si capiva di che colore avesse la sella: scorrendo pel campo di mezzo galoppo si trascinava fra le zampe la briglia mezza lacerata, e, mettendovi su or un piede, or un altro, si veniva dando strappate al freno che gli facean abbassar il capo, e lo mettevano a rischio di cadere; una larga ferita dietro la spalla versava una fontana di sangue nero e segnava la traccia; dopo non molti passi cadde sulle ginocchia sfinito, e si arrovesciò sul terreno. Fu conosciuto esser della parte francese.