Scena seconda
Clara, detti.
Clara
Permesso?
Silia
Avanti.
Clara
(
presentandosi sull’uscio
) Il signore ha sonato dal cortile.
Silia
Ah, eccolo!
Clara
(
seguitando
) Vuol sapere se non c’è nulla di nuovo.
Silia
Sì. Digli che salga! Digli che salga!
Clara
Subito.
Esce.
Guido
Ma perché, scusa, giusto questa sera che ci sono io?
Silia
Appunto per questo!
Guido
No!
Silia
Sì! Per punirti d’esser venuto! E te lo lascio qua… Io mi ritiro…
S’avvia per l’uscio a destra.
Guido
(
correndo a trattenerla
) No… per carità. Sei pazza?… Ma che dirà?
Silia
Che vuoi che dica?
Guido
No… senti… È tardi…
Silia
Tanto meglio!
Guido
Ma no! no, Silia! Tu vuoi proprio cimentarlo… È una pazzia!
Silia
(
svincolandosi
) Non voglio vederlo!
Guido
Ma nemmeno io, scusa!
Silia
Lo riceverai tu.
Guido
Ah no, grazie! Non mi faccio trovare nemmeno io, sai!
Silia
si ritira per l’uscio a destra, e contemporaneamente Guido scappa nel salotto da pranzo. richiudendo la vetrata.
Scena terza
Leone Gala, poi Guido Venanzi, infine Silia.
Leone
(dietro l’uscio a sinistra) Permesso?
Aprendo l’uscio e sporgendo il capo:
Per me…
S’interrompe, vedendo che non c’è nessuno.
Ah…
Guarda intorno.
bene bene…
Cancella subito dal viso la sorpresa; cava dal taschino l’orologio; lo guarda; si reca verso la mensola del camino; apre il vetro del quadrante dell’orologio di bronzo e aggiusta le lancette fino a far scoccare dalla soneria due tocchi; si rimette nel taschino l’orologio e va a sedere placido, impassibile, in attesa che passi la mezz’ora del patto.
Dopo una breve pausa si ode dall’interno del salotto da pranzo, attraverso la vetrata, un bisbiglio confuso. E’ Silia che spinge di là Guido a entrare nel salotto. Leone non si volta nemmeno a guardare verso la vetrata. Poco dopo, una banda di questa si apre, e Guido vien fuori.
Guido
Oh, Leone… Ero qua, a bere un bicchierino di “chartreuse”.
Leone
Alle dieci e mezzo?
Guido
Già… difatti… ma stavo per andare…
Leone
Non dico per questo. Verde o gialla, la “Chartreuse”?
Guido
Ma… non ricordo… verde, mi pare…
Leone
Verso le due, tu sognerai di schiacciare tra i denti una lucertola.
Guido
(
con una smorfia di ribrezzo
) No… ih! che dici?
Leone
Positivo. Effetto dei liquori bevuti a una cert’ora dopo il pasto
Pausa.
Silia
?
Guido
(
impacciato
) Mah… era di là, con me.
Leone
E dov’è adesso?
Guido
Non so… Mi… mi ha fatto venire qua, sentendo che tu eri entrato. Forse ora verrà.
Leone
C’è qualche cosa di nuovo?
Guido
No… ch’io sappia…
Leone
E allora perché m’ha fatto salire?
Guido
Stavo per licenziarmi, quando è entrata la cameriera ad annunziare che tu… non so, avevi sonato dal cortile.
Leone
Come faccio ogni sera.
Guido
Già, ma… pare che voglia che tu salga…
Leone
L’ha detto?
Guido
Sì sì, l’ha detto.
Leone
Stizzita?
Guido
Un po’, sì, perché… credo che… non so, dev’esser nei patti stabiliti tra voi due, quando elegantissimamente…
Leone
Lascia star l’eleganza!
Guido
Voglio dire, senza scandali…
Leone
Scandali? E perché?
Guido
Senza procedure legali…
Leone
Inutili!
Guido
Senza liti, insomma, vi siete separati.
Leone
E che liti volevi che avvenissero con me? Ho dato sempre ragione a tutti.
Guido
Già. È difatti una tua invidiabile prerogativa, questa. Forse però… lasciamelo dire, eccedi un po’…
Leone
Ti pare che ecceda?
Guido
Sì, perché, vedi? tante volte tu…
Lo guarda e s’impunta.
Leone
Io?
Guido
Tu sconcerti.
Leone
Oh bella! Io sconcerto? Chi sconcerto?
Guido
Sconcerti, perché… far tutto, sempre, a modo degli altri… come vogliono gli altri… Scommetto che se tua moglie ti diceva: “
Litighiamo!
”
Leone
Io le rispondevo: “Litighiamo!”
Guido
Tua moglie ti disse: “
Separiamoci!
”
Leone
E io le risposi: “Separiamoci!”
Guido
Vedi? Se tua moglie ti avesse allora gridato. “
Ma così non possiamo litigare!
”
Leone
Io le avrei risposto: “E allora, cara, non litighiamo!”
Guido
E non comprendi che tutto questo, per forza, sconcerta? Perché, fare come se tu non ci fossi… capirai, per quanto uno faccia, poi, a un certo punto, si… si resta come trattenuti… impacciati… perché… perché è inutile… tu poi ci sei!
Leone
Già.
Pausa.
Ci sono.
Pausa. Con altro tono:
Non dovrei esserci?
Guido
No, Dio mio, non dico questo!
Leone
Ma sì, caro! Non dovrei esserci. T’assicuro però che mi sforzo, quanto più posso, d’esserci il meno possibile, e non solo per gli altri, ma anche per me stesso. La colpa è del fatto, caro mio! Sono nato. E quando un fatto è fatto, resta là, come una prigione per te. Io ci sono. Ne dovrebbero tener conto gli altri, almeno per quel poco, di cui non posso fare a meno, dico d’esserci. L’ho sposata; o, per esser più giusti, mi son lasciato sposare. Fatto, anche questo: prigione! Che vuoi farci? Quasi subito dopo, lei si mise a sbuffare, a smaniare, a contorcersi rabbiosamente per evadere… e io… t’assicuro, Guido, che ne ho molto sofferto… S’è trovata poi questa soluzione Le ho lasciato qua tutto, portandomi via soltanto i miei libri e le mie stoviglie di cucina (cose, come sai, per me inseparabili). Ma capisco che è inutile: nominalmente, la parte assegnatami da un fatto che non si può distruggere, resta: sono il marito. Anche di questo, forse, si dovrebbe tenere un po’ di conto. Mah! Sai come sono i ciechi, mio caro?
Guido
I ciechi?
Leone
Non sono mai accanto alle cose. Di’ a un cieco, che vada cercando a tasto una cosa: L’hai costì accanto! le si volta subito contro. E così è quella benedetta donna! Mai accanto; sempre contro!
Pausa; guarda verso la vetrata; poi:
Pare che non voglia venire…
Cava l’orologio dal taschino; vede che la mezz’ora non è ancora passata: lo ripone.
Non sai, se avesse in mente di dirmi qualche cosa?
Guido
No… niente, mi pare…
Leone
E allora, il gusto di…
Compie la frase in un gesto che significa: “noi due”.
Guido
(
non comprendendo
) Come dici?
Leone
Sì, il gusto di tener noi due così, uno di fronte all’altro…
Guido
Forse suppone che io —
Leone
– te ne sii già andato?
Fa segno di no col dito.
Entrerebbe.
Guido
(
facendo atto d’andarsene
) Ah, ma allora…
Leone
(
subito trattenendolo
) No, ti prego. Vado via io a momenti. Se sai che non aveva nulla da dirmi…
Pausa. Alzandosi.
Ah, triste cosa, caro mio, quando uno ha capito il giuoco!
Guido
Che giuoco?
Leone
Mah… anche questo qua. Tutto il giuoco! Quello della vita.
Guido
Tu l’hai capito?
Leone
Da un pezzo. E anche il rimedio per salvarsi.
Guido
Se tu me l’insegnassi!
Leone
Eh, caro. Non è rimedio per te. Per salvarsi, bisogna sapersi difendere. Ma è una certa difesa… dirò, disperata, che tu forse non puoi neanche intendere.
Guido
Come sarebbe, disperata? Accanita?
Leone
No, no, disperata, caro, nel senso d’una vera e propria disperazione, ma pur tuttavia senza neanche un’ombra d’amarezza per questo.
Guido
E che difesa, allora, scusa?
Leone
La più ferma, la più immobile, appunto perché nessuna speranza più t’induce a piegarti verso una, sia pur minima, concessione ne agli altri né a te stesso.
Guido
Non capisco. E la chiami difesa? Difesa di che cosa, se dev’esser così?
Leone
(lo guarda un tratto severo e fosco; poi, dominandosi e quasi riassorbendosi in una impenetrabile serenità) Di niente, in te, se in te riesci, come sono riuscito io, a non aver più nulla. Che vuoi difendere? Difenderti, io dico! Dagli altri, e soprattutto da te stesso; dal male che la vita fa a tutti, inevitabilmente; quello che io mi son fatto per lei
indica di nuovo la vetrata, dietro alla quale suppone che Silia sia nascosta.
tant’anni! quello che io faccio a lei, anche così del tutto isolato come mi tengo. quello che tu fai a me…
Guido
Io?
Leone
Ma sì, inevitabilmente.
Spiandolo negli occhi.
Credi di non farmi nessun male tu?
Guido
(
smorendo
) Mah… ch’io sappia…
Leone
(
per rinfrancarlo
) Oh, anche senza saperlo, mio caro! Tu mangi carne, a tavola. Chi te la dà? Un pollo, o un vitello. Non ci pensi nemmeno. Ce lo facciamo tutti, il male, a vicenda; e ciascuno a se stesso, poi… Per forza! È la vita. Bisogna vuotarsene.
Guido
Bravo! E che ti resta allora?
Leone
Contentarsi, non più di vivere per sé, ma di guardar vivere gli altri, e anche noi stessi, da fuori, per quel poco che pur si è costretti a vivere.
Guido
Ah, troppo poco, scusa!
Leone
Sì, ma ti compensa un godimento meraviglioso: il giuoco appunto dell›intelletto che ti chiarifica tutto il torbido dei sentimenti, che ti fissa in linee placide e precise tutto ciò che ti si muove dentro tumultuosamente. Capirai però, che sarebbe molto pericoloso il godimento di questo lucido e tranquillo vuoto che ti fai dentro, perché, tra l›altro, rischierebbe di farti andare come un pallone su tra le nuvole, se tu non ti mettessi anche dentro, con arte e con perfetta misura, una necessaria zavorra.
Guido
Ah, ecco! Mangiando bene?
Leone
Per ristabilire l›equilibrio; perché tu possa sempre, insomma, restare in piedi come quei buffi giocattoli, che tu puoi buttar come vuoi: ti restan sempre ritti per il loro contrappeso di piombo. Non siamo altro, credi. Ma bisogna saperselo fare, questo vuoto e questo pieno: se no, si resta per terra e nei più goffi atteggiamenti. Insomma, via, la salute è qui: trovare un pernio, caro, il pernio d›un concetto per fissarsi.
Guido
Ah, no, no! Grazie tante! Non è per me! Non è per me davvero! E non è neppur facile!
Leone
Già. Perché non si trovano belli e fatti in commercio, questi pernii: te li devi fabbricare da te, e non uno solo: tanti! uno per ogni caso, e ben solido, perché il caso, che t›arriva spesso imprevisto e violento, non te lo schianti.
Guido
Eh! ma quando t›avvengono certi casi, caro mio!
Leone
Ma perciò appunto la cucina! Che il caso ti trovi cuoco, è una gran cosa! Del resto, non è mai il caso… dico non devi mai guardarti dal caso, veramente. Scusa: che vuol dire il caso? Gli altri, o le necessità della natura.
Guido
Appunto, che possono essere terribili!
Leone
Ma più o meno, a seconda di chi le subisce. E perciò ti dicevo! Tu devi guardarti di te stesso, del sentimento che questo caso suscita subito in te e con cui t›assalta! Immediatamente, ghermirlo e vuotarlo, trarne il concetto, e allora puoi anche giocarci. Guarda, è come se t›arrivasse all›improvviso, non sai da dove, un uovo fresco…
Guido
Un uovo fresco?
Leone
Un uovo fresco.
Guido
E se t›arriva invece una palla di piombo?
Leone
Allora ti vuota lei, e non se ne parla più.
Guido
Ma perché un uovo fresco, scusa?
Leone
Per darti una nuova immagine dei casi e dei concetti. Se non sei pronto a ghermirlo, te ne lascerai cogliere o lo lascerai cadere. Nell›un caso e nell›altro, ti si squacquererà davanti o addosso. Se sei pronto, lo prendi, lo fori, e te lo bevi. Che ti resta in mano?
Guido
Il guscio vuoto.
Leone
E› questo è il concetto! Lo infilzi nel pernio del tuo spillo e ti diverti a farlo girare, o, lieve lieve ormai, te lo giuochi come una palla di celluloide, da una mano all›altra: là, là e là… poi:
paf!
lo schiacci tra le mani e lo butti via.
A questo punto, all’improvviso, scoppia dal salotto da pranzo una gran risata di Silia.
Silia
(
riparata dietro la banda della vetrata rimasta causa
) Ah! ah! ah! Ma non sono mica un guscio vuoto, io, nelle tue mani!
Leone
(
subito, voltandosi e appressandosi alla vetrata
) Oh no! E tu non mi vieni più addosso, cara, perché io ti prenda, ti fori, e ti beva!
Finisce appena di dir questo, che Silia, senza mostrarsi, gli chiude in faccia l’altra mezza vetrata. Leone resta un po’ lì a tentennare il capo: poi riviene avanti. rivolto a Guido:
Ecco un grande svantaggio per me, mio caro. Era una straordinaria scuola d’esperienza per me. È venuta a mancarmi.
Alludendo a Silia di là:
Piena d’infelicità, perché piena di vita. E non d’una sola: di tante. Nessuna però, che riesca a trovare il suo pernio. E non c’è salute, né per lei, né con lei.
Guido
(
assorto, senza rifletterci, tentenna il capo anche lui, malinconicamente
).
Leone
Approvi?
Guido
(
riprendendosi
) Eh!… sì… perché… è proprio così!
Leone
E forse tu non sai tutta la ricchezza che è in lei… certe cose che ha, che non parrebbero sue, non perché non siano, ma perché tu non vi badi, perché tu la vedi sempre e solamente a quel modo che per te é il vero suo. Ti pare impossibile, per esempio, che possa canticchiare qualche mattina… così… svagata… Eppure canticchia, sai? La sentivo io, certe mattine, da una stanza all’altra. Con una cara vocina trillante, quasi di bimba. Un’altra! Ma ti dico un’altra, non così per dire. Proprio un’altra; e lei non lo sa. Una bimba che vive un minuto e canta, quando lei è assente da sé. E se vedessi come qualche volta resta… così… con una certa luce di brio lontano negli occhi, mentre con due dita che non sanno si tira lentamente i riccioli sulla nuca… Mi sai dire chi è, quando è così? Un’altra lei, che non può vivere, perché ignota a se stessa, perché nessuno le ha mai detto: “Ti voglio così; devi esser così…”. C’è il rischio ch’ella ti domandi: “Come?” Tu le rispondi: “Ma com’eri dianzi!” E che ella torni a domandarti: “Com’ero?” “Cantavi…” “Cantavo?” “Si… e ti stiravi i riccioli sulla nuca… così…”. Non lo sa; ti dice che non è vero. Non riconosce affatto se stessa nell’immagine che tu le prospetti di lei come l’hai veduta dianzi, seppure la vedi! perché tu la vedi sempre a un modo, come è per te, e basta. Che