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Enrico IV

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Di Nolli Ah si?

Bertoldo Pare che egli li voglia accompagnare…Sì, sì, eccolo, eccolo!

Di Nolli Ritiriamoci allora! Ritiriamoci subito!

Voltandosi a Bertoldo prima di uscire: Voi restate qua!

Bertoldo Debbo restare?

Senza dargli risposta, Di Nolli, Frida e Belcredi scappano per la comune, lasciando Bertoldo sospeso e smarrito. S’apre l’uscio a destra e Landolfo entra per primo, subito inchinandosi, entrano poi Donna Matilde col manto e la corona ducale, come nel primo atto e il Dottore con la tonaca di Abate di Cluny; Enrico IV è fra loro, in abito regale; entrano infine Ordulfo e Arialdo.

Enrico IV (seguitando il discorso che si suppone cominciato nella sala del trono). E io vi domando, come potrei essere astuto, se poi mi credono caparbio…

Dottore Ma no, che caparbio, per carità!

Enrico IV (sorridendo, compiaciuto). Sarei per voi allora veramente astuto?

Dottore No, no, né caparbio, né astuto!

Enrico IV (si ferma ed esclama col tono di chi vuol far notare benevolmente, ma anche ironicamente, che così non può stare): Monsignore! Se la caparbietà non è vizio che possa accompagnarsi con l’astuzia, speravo che, negandomela, almeno un po’ d’astuzia me la voleste concedere. V’assicuro che mi è molto necessaria! Ma se voi ve la volete tenete tutta per voi…

Dottore Ah, come, io? Vi sembro astuto?

Enrico IV No, Monsignore! Che dite! Non sembrate affatto!

Troncando per rivolgersi a Donna Matilde: Con permesso: qua sulla soglia, una parola in confidenza a Madonna la Duchessa.

La conduce un po’ in disparte e le domanda con ansia in gran segreto: Vostra figlia vi è cara veramente?

D. Matilde (smarrita). Ma sì, certo…

Enrico IV E volete che la ricompensi con tutto il mio amore, con tutta la mia devozione dei gravi torti che ho verso di lei, benché non dobbiate credere alle dissolutezze di cui m’accusano i miei nemici?

D. Matilde No no: io non ci credo: non ci ho mai creduto…

Enrico IV Ebbene, allora, volete?

D. Matilde (c.s.). Che cosa?

Enrico IV Che io ritorni all’amore di vostra figlia?

La guarda, e aggiunge subito in tono misterioso, o d’ammonimento e di sgomento insieme: Non siate amica, non siate amica della Marchesa di Toscana!

D. Matilde Eppure vi ripeto che ella non ha pregato, non ha scongiurato meno di noi per ottenere la vostra grazia…

Enrico IV (subito, piano, fremente). Non me lo dite! Non me lo dite! Ma perdio, Madonna, non vedete che effetto mi fa?

D. Matilde (lo guarda, poi pianissimo, come confidandosi). Voi l’amate ancora?

Enrico IV (sbigottito). Ancora? Come dite ancora? Voi forse, sapete? Nessuno lo sa! Nessuno deve saperlo!

D. Matilde Ma forse lei sì, lo sa, se ha tanto implorato per voi!

Enrico IV (la guarda un po’ e poi dice): E amate la vostra figliuola?

Breve pausa. Si volge al Dottore con un tono di riso: Ah, Monsignore, come è vero che questa mia moglie io ho saputo d’averla soltanto dopo – tardi, tardi…E anche adesso: sì, devo averla; non c’è dubbio che l’ho – ma vi potrei giurare che non ci penso quasi mai. Sarà peccato, ma non la sento; proprio non me la sento nel cuore. È meraviglioso però, che non se la senta nel cuore neanche sua madre! Confessate, Madonna, che ben poco v’importa di lei!

Volgendosi al Dottore, con esasperazione: Mi parla dell’altra!

Ed eccitandosi sempre più: Con un’insistenza, con un’insistenza che non riesco proprio a spiegarmi.

Landolfo (umile). Forse per levarvi, Maestà, un’opinione contraria che abbiate potuto concepire della Marchesa di Toscana.

E sgomento di essersi permesso questa osservazione, aggiunge subito: Dico, beninteso, in questo momento…

Enrico IV Perché anche tu sostieni che mi sia stata amica?

Landolfo Sì, in questo momento, sì, Maestà!

D. Matilde Ecco, sì, proprio per questo…

Enrico IV Ho capito. Vuol dire allora che non credete che io la ami. Ho capito. Ho capito. Non l’ha mai creduto nessuno; nessuno mai sospettato. Tanto meglio così! Basta. Basta.

Tronca, rivolgendosi al Dottore con animo e viso del tutto diversi

Monsignore, avete veduto? Le condizioni da cui il Papa ha fatto dipendere la revoca della scomunica non han nulla ma proprio nulla da vedere con la ragione per cui mi aveva scomunicato! Dite a Papa Gregorio che ci rivedremo a Bressanone. E voi, Madonna, se avrete la fortuna d’incontrare la vostra figliuola giù nel cortile del castello della vostra amica Marchesa, che volete che vi dica? fatela salire; vedremo se mi riuscirà di tenermela stretta accanto, moglie e Imperatrice. Molte fin qui si son presentate, assicurandomi, assicurandomi d’esser lei – quella che io, sapendo di averla… sì, ho pur cercato qualche volta – (non è vergogna: mia moglie!) – Ma tutte, dicendomi d’essere Berta, dicendomi d’esser di Susa – non so perché – si sono messe a ridere!

Come in confidenza Capite? – a letto – io senza quest’abito – lei anche… sì, Dio mio, senz’abiti…un uomo e una donna…è naturale…Non si pensa più a ciò che siamo. L’abito, appeso, resta come un fantasma!

E con un altro tono, in confidenza al Dottore: E io penso, Monsignore, che i fantasmi, in generale, non siano altro in fondo che piccole scombinazioni dello spirito: immagini che non si riesce a contenere nei regni del sonno: si scoprono anche nella veglia, di giorno; e fanno paura. Io ho sempre tanta paura, quando di notte me le vedo davanti – tante immagini scompigliate, che ridono, smontate da cavallo. – Ho paura talvolta anche del mio sangue che pulsa nelle arterie come, nel silenzio della notte, un tonfo cupo di passi in stanze lontane… Basta vi ho trattenuto anche troppo qui in piedi. Vi ossequio, Madonna; e vi riverisco, Monsignore.

Davanti alla soglia della comune, fin dove li ha accompagnati, li licenzia, ricevendone l’inchino. Donna Matilde e il Dottore, via. Egli richiude la porta e si volta subito, cangiato. Buffoni! Buffoni! Buffoni! – Un pianoforte di colori! Appena la toccavo: bianca, rossa, gialla, verde…E quell’altro là: Pietro Damiani. – Ah! Ah! Perfetto! Azzeccato! – S’è spaventato di ricomparirmi davanti!

Dirà questo con gaja prorompente frenesia, movendo di qua, di là i passi, gli occhi, finché all’improvviso non vede Bertoldo, più che sbalordito, impaurito del repentino cambiamento. Gli si arresta davanti e additandolo ai tre compagni anch’essi come smarriti nello sbalordimento: Ma guardatemi quest’imbecille qua, ora, che sta a mirarmi a bocca aperta…

Lo scrolla per le spalle. Non capisci? Non vedi come li paro, come li concio, come me li faccio comparire davanti, buffoni spaventati! E si spaventano solo di questo, oh: che stracci loro addosso la maschera buffa e li scopra travestiti; come se non li avessi costretti io stesso a mascherarsi, per questo mio gusto qua, di fare il pazzo!

Landolfo Arialdo Ordulfo (sconvolti, trasecolati, guardandosi tra loro). Come! Che dice? Ma dunque?

Enrico IV (si volta subito alle loro esclamazioni e grida, imperioso): Basta! Finiamola! Mi sono seccato!

Poi subito, come se, a ripensarci, non se ne possa dar pace, e non sappia crederci: Perdio, l’impudenza di presentarsi qua, a me, ora col suo ganzo accanto… – E avevano l’aria di prestarsi per compassione, per non fare infuriare un poverino già fuori del mondo, fuori del tempo, fuori della vita! – Eh, altrimenti quello là, ma figuratevi se l’avrebbe subita una simile sopraffazione! – Loro sì, tutti i giorni, ogni momento, pretendono che gli altri siano come li vogliono loro; ma non è mica una sopraffazione, questa! – Che! Che! – È il loro modo di pensare, il loro modo di vedere, di sentire: ciascuno ha il suo! Avete anche voi il vostro, eh? Certo! Ma che può essere il vostro? Quello della mandra! Misero, labile, incerto…E quelli ne approfittano, vi fanno subire e accettare il loro, per modo che voi sentiate e vediate come loro! O almeno, si illudono! Perché poi, che riescono a imporre? Parole! parole che ciascuno intende e ripete a suo modo. Eh, ma si formano pure così le così dette opinioni correnti! E guai a chi un bel giorno si trovi bollato da una di queste parole che tutti ripetono! Per esempio: «pazzo!» – Per esempio, che so? – «imbecille» – Ma dite un po’, si può star quieti a pensare che c’è uno che si affanna a persuadere agli altri che voi siete come vi vede lui, a fissarvi nella stima degli altri secondo il giudizio che ha fatto di voi? – «Pazzo» «pazzo»! – Non dico ora che lo faccio per ischerzo! Prima, prima che battessi la testa cadendo da cavallo…

S’arresta d’un tratto, notando i quattro che si agitano, più che mai sgomenti e sbalorditi. Vi guardate negli occhi?

Rifà smorfiosamente i segni del loro stupore. Ah! Eh! Che rivelazione? – Sono o non sono? – Eh, via, sì, sono pazzo! Si fa terribile Ma allora, perdio, inginocchiatevi! inginocchiatevi!

Li forza a inginocchiarsi tutti a uno a uno: Vi ordino di inginocchiarvi tutti davanti a me – così! E toccate tre volte la terra con la fronte! Giù! Tutti, davanti ai pazzi, si deve stare così!

Alla vista dei quattro inginocchiati si sente subito svaporare la feroce gajezza, e se ne sdegna. Su, via, pecore, alzatevi! – M’avete obbedito? Potevate mettermi la camicia di forza… – Schiacciare uno col peso d’una parola? Ma è niente! Che è? Una mosca! – Tutta la vita è schiacciata così dal peso delle parole! Il peso dei morti – Eccomi qua: potete credere sul serio che Enrico IV sia ancora vivo? Eppure, ecco, parlo e comando a voi vivi. Vi voglio così! – Vi sembra una burla anche questa, che seguitano a farla i morti la vita? – Sì, qua è una burla: ma uscite di qua, nel mondo vivo. Spunta il giorno. Il tempo è davanti a voi. Un’alba. Questo giorno che ci sta davanti – voi dite – lo faremo noi! – Sì? Voi? E salutatemi tutte le tradizioni! Salutatemi tutti i costumi! Mettetevi a parlare! Ripetete tutte le parole che si sono sempre dette! Credete di vivere? Rimasticate la vita dei morti!

 

Si para davanti a Bertoldo, ormai istupidito. Non capisci proprio nulla, tu, eh? – Come ti chiami?

Bertoldo Io?…Eh…Bertoldo…

Enrico IV Ma che Bertoldo, sciocco! Qua a quattr’occhi: come ti chiami?

Bertoldo Ve… veramente mi… mi chiamo Fino…

Enrico IV (a un atto di richiamo e di ammonimento degli altri tre, appena accennato, voltandosi subito per farli tacere). Fino?

Bertoldo Fino Pagliuca, sissignore.

Enrico IV (volgendosi di nuovo agli altri). Ma se vi ho sentito chiamare tra voi, tante volte!

A Landolfo

Tu ti chiami Lolo?

Landolfo Sissignore…

Poi con uno scatto di gioja: Oh Dio…Ma allora?

Enrico IV (subito, brusco). Che cosa?

Landolfo (d’un tratto smorendo). No… dico…

Enrico IV Non sono più pazzo? Ma no. Non mi vedete? – Scherziamo alle spalle di chi ci crede.

Ad Arialdo So che tu ti chiami Franco…

A Ordulfo E tu, aspetta…

Ordulfo Momo!

Enrico IV Ecco, Momo! Che bella cosa, eh?

Landolfo (c.s.). Ma dunque… oh Dio…

Enrico IV (c.s.). Che? Niente! Facciamoci tra noi una bella, lunga, grande risata…

E ride. Ah, ah, ah, ah, ah, ah!

Landolfo Arialdo Ordulfo (guardandosi tra loro, incerti, smarriti, tra la gioja e lo sgomento). È guarito? Ma sarà vero? Com’è?

Enrico IV Zitti! Zitti!

A Bertoldo: Tu non ridi? Sei ancora offeso? Ma no! Non dicevo mica a te, sai? – Conviene a tutti, capisci? conviene a tutti far credere pazzi certuni, per avere la scusa di tenerli chiusi. Sai perché? Perché non si resiste a sentirli parlare. Che dico io di quelli là che se ne sono andati? Che una è una baldracca, l’altro un sudicio libertino, l’altro un impostore…Non è vero! Nessuno può crederlo! – Ma tutti stanno ad ascoltarmi, spaventati. Ecco, vorrei sapere perché, se non è vero. – Non si può mica credere a quel che dicono i pazzi! – Eppure, si stanno ad ascoltare così, con gli occhi sbarrati dallo spavento. – Perché? – Dimmi, dimmi tu, perché? Sono calmo, vedi?

Bertoldo Ma perché… forse, credono che…

Enrico IV No, caro… no, caro…Guardami bene negli occhi… – Non dico che sia vero, stai tranquillo! – Niente è vero! – Ma guardami negli occhi!

Bertoldo Sì, ecco, ebbene?

Enrico IV Ma lo vedi? lo vedi? Tu stesso! Lo hai anche tu, ora, lo spavento negli occhi! – Perché ti sto sembrando pazzo! – Ecco la prova! Ecco la prova! E ride.

Landolfo (a nome degli altri, facendosi coraggio, esasperato). Ma che prova?

Enrico IV Codesto vostro sgomento, perché ora, di nuovo, vi sto sembrando pazzo! – Eppure, perdio, lo sapete! Mi credete; lo avete creduto fino ad ora che sono pazzo! – È vero o no? Li guarda un po’, li vede atterriti. Ma lo vedete? Lo sentite che può diventare anche terrore, codesto sgomento, come per qualche cosa che vi faccia mancare il terreno sotto i piedi e vi tolga l’aria da respirare? Per forza, signori miei! Perché trovarsi davanti a un pazzo sapete che significa? trovarsi davanti a uno che vi scrolla dalle fondamenta tutto quanto avete costruito in voi, attorno a voi, la logica, la logica di tutte le vostre costruzioni! – Eh! che volete? Costruiscono senza logica, beati loro, i pazzi! O con una loro logica che vola come una piuma! Volubili! Volubili! Oggi così e domani chi sa come! – Voi vi tenete forte, ed essi non si tengono più. Volubili! Volubili! – Voi dite: «questo non può essere!» – e per loro può essere tutto. – Ma voi dite che non è vero. E perché? – Perché non par vero a te, a te, a te, indica tre di loro, e centomila altri. Eh, cari miei! Bisognerebbe vedere poi che cosa invece par vero a questi centomila altri che non sono detti pazzi, e che spettacolo danno dei loro accordi, fiori di logica! Io so che a me, bambino, appariva vera la luna nel pozzo. E quante cose mi parevano vere! E credevo a tutte quelle che mi dicevano gli altri, ed ero beato! Perché guai, guai se non vi tenete più forte a ciò che vi par vero oggi, a ciò che vi parrà vero domani, anche se sia l’opposto di ciò che vi pareva vero jeri! Guai se vi affondaste come me a considerare questa cosa orribile, che fa veramente impazzire: che se siete accanto a un altro, e gli guardate gli occhi – come io guardavo un giorno certi occhi – potete figurarvi come un mendico davanti a una porta in cui non potrà mai entrare: chi vi entra, non sarete mai voi, col vostro mondo dentro, come lo vedete e lo toccate; ma uno ignoto a voi, come quell’altro nel suo mondo impenetrabile vi vede e vi tocca…

Pausa lungamente tenuta. L’ombra, nella sala, comincia ad addensarsi, accrescendo quel senso di smarrimento e di più profonda costernazione da cui quei quattro mascherati sono compresi e sempre più allontanati dal grande Mascherato, rimasto assorto a contemplare una spaventosa miseria che non è di lui solo, ma di tutti. Poi egli si riscuote, fa come per cercare i quattro che non sente più attorno a sè e dice: S’è fatto bujo, qua.

Ordulfo (subito, facendosi avanti). Vuole che vada a prendere la lampa?

Enrico IV (con ironia). La lampa, si…Credete che non sappia che, appena volto le spalle con la mia lampa ad olio per andare a dormire, accendete la luce elettrica per voi – qua e anche là nella sala del trono? – Fingo di non vederla…

Ordulfo Ah! – Vuole allora…?

Enrico IV No: m’accecherebbe. – Voglio la mia lampa.

Ordulfo Ecco, sarà già pronta, qua dietro la porta.

Si reca alla comune; la apre; ne esce appena e subito ritorna con una lampa antica, di quelle che si reggono con un anello in cima.

Enrico IV (prendendo la lampa e poi indicando la tavola sul coretto). Ecco, un pò di luce. Sedete, lì attorno alla tavola. Ma non così! In belli e sciolti atteggiamenti… Ad Arialdo: Ecco, tu così… lo atteggia, poi a Bertoldo: E tu così… lo atteggia: Così ecco… Va a sedere anche lui. E io, qua… Volgendo il capo verso una delle finestre. Si dovrebbe poter comandare alla luna un bel raggio decorativo… Giova, a noi, giova, la luna. Io per me, ne sento il bisogno, e mi ci perdo spesso a guardarla dalla mia finestra. Chi può credere, a guardarla, che lo sappia che ottocent’anni siano passati e che io, seduto alla finestra non possa essere davvero Enrico IV che guarda la luna, come un pover’uomo qualunque? Ma guardate, guardate che magnifico quadro notturno: l’Imperatore tra i suoi fidi consiglieri…Non ci provate gusto?

Landolfo (piano ad Arialdo, come per non rompere l’incanto). Eh, capisci? A sapere che non era vero…

Enrico IV Vero, che cosa?

Landolfo (titubante, come per scusarsi). No… ecco… perché a lui indica Bertoldo entrato nuovo in servizio…io, appunto questa mattina, dicevo: Peccato, che così vestiti… e poi con tanti bei costumi, là in guardaroba… e con una sala come quella… accenna alla sala del trono.

Enrico IV Ebbene? Peccato, dici?

Landolfo Già… che non sapevamo…

Enrico IV Di rappresentarla per burla, qua, questa commedia?

Landolfo Perché credevamo che…

Arialdo (per venirgli in aiuto). Ecco… sì, che fosse sul serio!

Enrico IV E com’è? Vi pare che non sia sul serio?

Landolfo Eh, se dice che…

Enrico IV Dico che siete sciocchi! Dovevate sapervelo fare per voi stessi, l’inganno; non per rappresentarlo davanti a me, davanti a chi viene qua in visita di tanto in tanto; ma così, per come siete naturalmente, tutti i giorni, davanti a nessuno a Bertoldo, prendendolo per le braccia, per te, capisci, che in questa tua finzione ci potevi mangiare, dormire, e grattarti anche una spalla, se ti sentivi un prurito; rivolgendosi anche agli altri: sentendovi vivi, vivi veramente nella storia del mille e cento, qua alla Corte del vostro Imperatore Enrico IV! E pensare, da qui, da questo nostro tempo remoto, così colorito e sepolcrale, pensare che a una distanza di otto secoli in giù, in giù, gli uomini del mille e novecento si abbaruffano intanto, s’arrabattano in un’ansia senza requie di sapere come si determineranno i loro casi, di vedere come si stabiliranno i fatti che li tengono in tanta ambascia e in tanta agitazione. Mentre voi, invece, già nella storia! con me! Per quanto tristi i miei casi, e orrendi i fatti, aspre le lotte, dolorose le vicende: già storia, non cangiano più, non possono più cangiare, capite? Fissati per sempre: che vi ci potete adagiare, ammirando come ogni effetto segua obbediente alla sua causa, con perfetta logica, e ogni avvenimento si svolga preciso e coerente in ogni suo particolare. Il piacere, il piacere della storia, insomma, che è così grande!

Landolfo Ah, bello! bello!

Enrico IV Bello, ma basta! Ora che lo sapete, non potrei farlo più io! Prende la lampa per andare a dormire. Nè del resto voi stessi, se non ne avete inteso finora la ragione. Ne ho la nausea adesso! Quasi tra sè, con violenta rabbia contenuta: Perdio! debbo farla pentire d’esser venuta qua! Da suocera oh, mi s’è mascherata…E lui da padre abate… – E mi portano con loro un medico per farmi studiare…E chi sa che non sperino di farmi guarire…Buffoni! – Voglio avere il gusto di schiaffeggiargliene almeno uno: quello! – È un famoso spadaccino? M’infilzerà…Ma vedremo, vedremo… Si sente picchiare alla comune. Chi è?

Voce di Giovanni. Deo gratias!

Arialdo (contentissimo, come per uno scherzo che si potrebbe ancora fare). Ah, è Giovanni, è Giovanni, che viene come ogni sera a fare il monacello!

Ordulfo (c.s., stropicciandosi le mani). Sì, sì, facciamoglielo fare! facciamoglielo fare!

Enrico IV (subito, severo). Sciocco! Lo vedi? Perché? Per fare uno scherzo alle spalle di un povero vecchio, che lo fa per amor mio?

Landolfo (a Ordulfo). Dev’essere come vero! Non capisci?

Enrico IV Appunto! Come vero! Perché solo così non è più una burla la verità! Si reca ad aprire la porta e fa entrare Giovanni parato da umile fraticello, con un rotolo di cartapecora sotto il braccio. Avanti, avanti, padre!

Poi assumendo un tono di tragica gravità e di cupo risentimento: Tutti i documenti della mia vita e del mio regno a me favorevoli furono distrutti, deliberatamente, dai miei nemici: c’è solo, sfuggita alla distruzione, questa mia vita scritta da un umile monacello a me devoto, e voi vorreste riderne? Si rivolge amorosamente a Giovanni e lo invita a sedere davanti alla tavola: Sedete, padre, sedete qua. E la lampa accanto. Gli posa accanto la lampa che ha ancora in mano. Scrivete, scrivete.

Giovanni (svolge il rotolo di cartapecora, e si dispone a scrivere sotto dettatura). Eccomi pronto, Maestà!

Enrico IV (dettando). Il decreto di pace emanato a Magonza giovò ai meschini ed ai buoni, quanto nocque ai cattivi e ai potenti.

Comincia a calare la tela.

Apportò dovizie ai primi, fame e miseria ai secondi…