Za darmo

Enrico IV

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Belcredi E guardate il dottore!

Dottore Eh, pazienza… pazienza.

D. Matilde Ma no, meno male, il dottore…Voi fate proprio ridere!

Dottore (a Landolfo). Ma si fanno dunque molti ricevimenti qua?

Landolfo Secondo. Tante volte ordina che gli si presenti questo o quel personaggio. E allora bisogna cercar qualcuno che si presti. Anche donne…

D. Matilde (ferita, e volendo nasconderlo). Ah! Anche donne?

Landolfo Eh, prima, sì…Molte.

Belcredi (ridendo). Oh bella! In costume?

indicando la Marchesa: Così?

Landolfo Mah, sa: donne, di quelle che…

Belcredi Che si prestano, ho capito!

Perfido, alla Marchesa: Badate, che diventa per voi pericoloso!

Si apre il secondo uscio a destra e appare Arialdo, che fa prima, di nascosto, un cenno per arrestare ogni discorso nella sala, e poi annunzia solennemente:

Arialdo Sua Maestà l’Imperatore!

Entrano prima i due Valletti che vanno a postarsi ai Piedi del trono. Poi entra tra Ordulfo e Arialdo, che si tengono rispettosamente un po’ indietro, Enrico IV. È presso alla cinquantina, pallidissimo, e già grigio sul dietro del capo; invece sulle tempie e sulla fronte, appare biondo, per via di una tintura quasi puerile, evidentissima; e sui pomelli, in mezzo al tragico pallore, ha un trucco rosso da bambola, anch’esso evidentissimo. Veste sopra l’abito regale un sajo da penitente, come a Canossa. Ha negli occhi una fissità spasimosa, che fa spavento; in contrasto con l’atteggiamento della persona che vuol essere d’umiltà pentita, tanto più ostentata quanto più sente che immeritato è quell’avvilimento. – Ordulfo regge a due mani la corona imperiale. Arialdo lo scettro con l’Aquila e il globo con la Croce.

Enrico IV (inchinandosi prima a Donna Matilde, poi al dottore). Madonna… Monsignore… Poi guarda il Belcredi e fa per inchinarsi anche a lui, ma si volge a Landolfo che gli si è fatto presso, e domanda sottovoce con diffidenza: È Pietro Damiani?

Landolfo No, Maestà, è un monaco di Cluny che accompagna l’Abate.

Enrico IV (torna a spiare il Belcredi con crescente diffidenza e, notando che egli si volge sospeso e imbarazzato a Donna Matilde e al Dottore, come per consigliarsi con gli occhi, si rizza sulla persona e grida): È Pietro Damiani! – Inutile, Padre, guardare la Duchessa!

Subito volgendosi Donna Matilde come a scongiurare un pericolo: Vi giuro, vi giuro, Madonna, che il mio animo è cangiato verso vostra figlia! Confesso che se lui indica il Belcredi non fosse venuto a impedirmelo in nome del Papa Alessandro, l’avrei ripudiata! Sì: c’era chi si prestava a favorire il ripudio: il vescovo di Magonza, per centoventi poderi.

Sogguarda un po’ smarrito Landolfo, e dice subito: Ma non debbo in questo momento dir male dei vescovi.

Ritorna umile davanti a Belcredi: Vi sono grato, credetemi che vi sono grato, ora, Pietro Damiani, di quell’impedimento! – Tutta d’umiliazioni è fatta la mia vita: – mia madre, Adalberto, Tribur, Goslar – e ora questo sajo che mi vedete addosso.

Cangia tono improvvisamente e dice come uno che, in una parentesi di astuzia, si ripassi la parte: Non importa! Chiarezza d’idee, perspicacia, fermezza di contegno e pazienza nell’avversa fortuna!

Quindi si volge a tutti e dice con gravità compunta: So correggere gli errori commessi; e anche davanti a voi, Pietro Damiani, mi umilio!

Si inchina profondamente, e resta lì curvo davanti a lui, come piegato da un obliquo sospetto che ora gli nasce e che gli fa aggiungere, quasi suo malgrado, in tono minaccioso: Se non è partita da voi l’oscena voce che la mia santa madre, Agnese, abbia illeciti rapporti col vescovo Enrico d’Augusta!

Belcredi (poiché Enrico IV resta ancora curvo, col dito appuntato minacciosamente contro di lui, si pone le mani sul petto, e poi negando). No… da me, no…

Enrico IV (alzandosi). No, è vero? Infamia!

Lo squadra un po’ e poi dice: Non ve ne credo capace.

Si avvicina di Dottore e gli tira un po’ la manica ammiccando furbescamente.

Sono «loro»! Sempre quelli, Monsignore!

Arialdo (piano, con un sospiro, come per suggerire al Dottore). Eh, sì, i vescovi rapitori.

Dottore (per sostenere la parte, volto ad Arialdo). Quelli, eh già… quelli…

Enrico IV Nulla è bastato a costoro! – Un povero ragazzo, Monsignore… Si passa il tempo, giocando – anche quando, senza saperlo, si è re. Sei anni avevo e mi rapirono a mia madre, e contro lei si servirono di me, ignaro, e contro i poteri stessi della Dinastia, profanando tutto, rubando, rubando; uno più ingordo dell’altro: Anno più di Stefano, Stefano più di Anno!

Landolfo (sottovoce, persuasivo, per richiamarlo). Maestà…

Enrico IV (subito voltandosi). Ah, già! Non debbo in questo momento dir male dei vescovi. – Ma questa infamia su mia madre, Monsignore, passa la parte!

Guarda la Marchesa e s’intenerisce.

E non posso neanche piangerla, Madonna. – Mi rivolgo a voi, che dovreste aver viscere materne. Venne qua a trovarmi, dal suo convento, or’è circa un mese. Mi hanno detto che è morta.

Pausa tenuta, densa di commozione. Poi sorridendo mestissimamente

Non posso piangerla, perché se voi ora siete qua, e io così

mostra il sajo che ha indosso, vuol dire che ho ventisei anni.

Arialdo (quasi sottovoce dolcemente per confortarlo). E che dunque ella è viva, Maestà.

Ordulfo (c.s.). Ancora nel suo convento.

Enrico IV (si volta a guardarli). Già; e posso dunque rimandare ad altro tempo il dolore.

Mostra alla Marchesa, quasi con civetteria, la tintura che si è data ai capelli: Guardate: ancora biondo… Poi piano, come in confidenza: Per voi! – Io non ne avrei bisogno. Ma giova qualche segno esteriore. Termini di tempo, mi spiego, Monsignore? Si riaccosta alla Marchesa, e osservandole i capelli: Eh, ma vedo che…anche voi, Duchessa… Strizza un occhio e fa un segno espressivo con la mano: Eh, italiana… come a dire: finta; ma senz’ombra di sdegno, anzi con maliziosa ammirazione: Dio mi guardi dal mostrarne disgusto o meraviglia! – Velleità! – Nessuno vorrebbe riconoscere quel certo potere oscuro e fatale che assegna limiti alla volontà. Ma, dico, se si nasce e si muore! – Nascere, Monsignore: voi l’avete voluto? Io no. – E tra l’un caso e l’altro, indipendenti entrambi dalla nostra volontà, tante cose avvengono che tutti quanti vorremmo non avvenissero, e a cui a malincuore ci rassegniamo!

Dottore (tanto per dire qualche cosa, mentre lo studia attentamente). Eh sì, purtroppo!

Enrico IV Ecco: quando non ci rassegniamo, vengono fuori le velleità. Una donna che vuol essere uomo…un vecchio che vuol esser giovine… – Nessuno di noi mente o finge! – C’è poco da dire: ci siamo fissati tutti in buona fede in un bel concetto di noi stessi. Monsignore, però, mentre voi vi tenete fermo, aggrappato con tutte e due le mani alla vostra tonaca santa, di qua, dalle maniche, vi scivola, vi scivola, vi sguiscia come un serpe qualche cosa, di cui non v’accorgete. Monsignore, la vita! E sono sorprese, quando ve la vedete d’improvviso consistere davanti così sfuggita da voi; dispetti e ire contro voi stesso; o rimorsi; anche rimorsi. Ah, se sapeste, io me ne son trovati tanti davanti! Con una faccia che era la mia stessa, ma così orribile, che non ho potuto fissarla…

Si riaccosta alla Marchesa.

A voi non è mai avvenuto, Madonna? Vi ricordate proprio di essere stata sempre la stessa, voi? Oh Dio, ma un giorno… – com’è? com’è che poteste commettere quella tale azione…

La fissa così acutamente negli occhi, da farla quasi smorire. – sì, «quella», appunto! – ci siamo capiti. (Oh, state tranquilla che non la svelerò a nessuno!). E che voi, Pietro Damiani, poteste essere amico di quel tale…

Landolfo (c.s.). Maestà…

Enrico IV (subito). No no, non glielo nomino! So che gli fa tanto dispetto!

Voltandosi a Belcredi, come di sfuggita: Che opinione eh? che opinione ne avevate… – Ma tutti, pur non di meno, seguitiamo a tenerci stretti al nostro concetto, così come chi invecchia si ritinge i capelli. Che importa che questa mia tintura non possa essere, per voi, il color vero dei miei capelli? – Voi, Madonna, certo non ve li tingete per ingannare gli altri, ne voi; ma solo un poco – poco poco – la vostra immagine davanti allo specchio. Io lo faccio per ridere. Voi lo fate sul serio. Ma vi assicuro che per quanto sul serio, siete mascherata anche voi, Madonna; e non dico per la venerabile corona che vi cinge la fronte, e a cui m’inchino, o per il vostro manto ducale; dico soltanto per codesto ricordo che volete fissare in voi artificialmente del vostro color biondo, in cui un giorno vi siete piaciuta; o del vostro color bruno se eravate bruna: l’immagine che vien meno della vostra gioventù. A voi, Pietro Damiani, invece, il ricordo di ciò che siete stato, di ciò che avete fatto, appare ora riconoscimento di realtà passate, che vi restano dentro – è vero? – come un sogno. E anche a me – come un sogno – e tante, a ripensarci, inesplicabili… – Mah! – Nessuna meraviglia, Pietro Damiani; sarà così domani della nostra vita d’oggi!

Tutt’a un tratto infuriandosi e afferrandosi il sajo addosso: Questo sajo qua!

Con gioia quasi feroce facendo atto di strapparselo, mentre Arialdo, Ordulfo subito accorrono spaventati, come per trattenerlo: Ah per Dio!

Si tira indietro e, levandosi il sajo, grida loro: Domani, a Bressanone, ventisette vescovi tedeschi e lombardi firmeranno con me la destituzione di Papa Gregorio VII: non Pontefice, ma monaco falso!

 

Ordulfo (con gli altri due, scongiurandolo di tacere). Maestà, Maestà, in nome di Dio!

Arialdo (invitandolo coi gesti a rimettersi il sajo). Badate a quello che dite!

Landolfo Monsignore è qua, insieme con la Duchessa, per intercedere in vostro favore!

E di nascosto fa pressanti segni al Dottore di dire subito qualche cosa.

Dottore (smarrito). Ah, ecco… sì…Siamo qua per intercedere…

Enrico IV (subito pentito, quasi spaventato, lasciandosi dai tre rimettere sulle spalle il sajo e stringendoselo addosso con le mani convulse). Perdono… sì, sì…perdono, perdono, Monsignore; perdono, Madonna…Sento, vi giuro, sento tutto il peso dell’anatema! Si curva, prendendosi la testa fra le mani, come in attesa di qualche cosa che debba schiacciarlo; e sta un po’ così, ma poi con altra voce, pur senza scomporsi, dice piano, in confidenza a Landolfo, ad Arialdo e a Ordulfo: Ma io non so perché, oggi non riesco a essere umile davanti a quello lì! E indica, come di nascosto, il Belcredi.

Landolfo (sottovoce). Ma perché voi, Maestà, vi ostinate a credere che sia Pietro Damiani, mentre non è!

Enrico IV (sogguardandolo con timore). Non è Pietro Damiani?

Arialdo Ma no, è un povero monaco, Maestà!

Enrico IV (dolente, con sospirosa esasperazione). Eh, nessuno di noi può valutare ciò che fa, quando fa per istinto…Forse voi, Madonna, potete intendermi meglio degli altri, perché siete donna. [Questo è un momento solenne e decisivo. Potrei, guardate, ora stesso, mentre parlo con voi, accettar l’ajuto dei vescovi lombardi e impossessarmi del Pontefice, assediandolo qui nel Castello; correre a Roma a eleggervi un antipapa; porgere la mano all’alleanza con Roberto Guiscardo. – Gregorio VII sarebbe perduto! – Resisto alla tentazione, e credetemi che sono saggio. Sento l’aura dei tempi e la maestà di chi sa essere quale deve essere: un Papa! – Vorreste ora ridere di me, vedendomi così? Sareste tanti stupidi, perché non capireste che sapienza politica mi consiglia ora quest’abito di penitenza. Vi dico che le parti, domani, potrebbero essere invertite! E che fareste voi allora? Ridereste per caso del Papa in veste di prigioniero? – No. – Saremmo pari. – Un mascherato io, oggi, da penitente; lui, domani, da prigioniero. Ma guai a chi non sa portare la sua maschera, sia da Re, sia da Papa. – Forse egli è ora un po’ troppo crudele: questo sì.] Pensate, Madonna, che Berta, vostra figlia, per cui, vi ripeto, il mio animo è cangiato

si volta improvvisamente a Belcredi e gli grida in faccia, come se avesse detto di no – cangiato, cangiato, per l’affetto e la devozione di cui ha saputo darmi prova in questo terribile momento!

S’arresta, convulso, dallo scatto iroso, e fa sforzi per contenersi, con un gemito d’esasperazione nella gola; poi si volge di nuovo con dolce e dolente umiltà alla Marchesa.

È venuta con me, Madonna, è giù nel cortile; ha voluto seguirmi come una mendica, ed è gelata, gelata da due notti all’aperto, sotto la neve! Voi siete sua madre! Dovrebbero muoversi le viscere della vostra misericordia e implorare con lui, indica il Dottore dal Pontefice, il perdono: che ci riceva!

D. Matilde (tremante, con un filo di voce). Ma sì, sì, subito…

Dottore Lo faremo, lo faremo!

Enrico IV E un’altra cosa! Un’altra cosa! Se li chiama intorno e dice piano, in gran segreto: Non basta che mi riceva. Voi sapete che egli può «tutto» – vi dico «tutto» – Evoca perfino i morti! Si picchia il petto. Eccomi qua! Mi vedete! – E non c’è arte di magia che gli sia ignota. Ebbene, Monsignore, Madonna: la mia vera condanna è questa – o quella – guardate indica il suo ritratto alla parete, quasi con paura, di non potermi più distaccare da quest’opera di magia! – Sono ora penitente, e così resto; vi giuro che ci resto finché Egli non m’abbia ricevuto. Ma poi voi due, dopo la revoca della scomunica, dovreste implorarmi questo dal Papa che lo può: di staccarmi di là indica di nuovo il ritratto, e farmela vivere tutta, questa mia povera vita, da cui sono escluso…Non si può aver sempre ventisei anni, Madonna! E io ve lo chiedo anche per vostra figlia: che io la possa amare come ella si merita, così ben disposto come sono adesso, intenerito come sono adesso dalla sua pietà. Ecco. Questo. Sono nelle vostre mani… Si inchina. Madonna! Monsignore! E fa per ritirarsi, così inchinandosi, per l’uscio donde è entrato; se non che, scorto il Belcredi che s’era un po’ accostato per sentire, nel vedergli voltar la faccia verso il fondo e supponendo che voglia rubargli la corona imperiale posata sul trono, tra lo stupore e lo sgomento di tutti, corre a prenderla e a nascondersela sotto il sajo, e con un sorriso furbissimo negli occhi e sulle labbra torna a inchinarsi ripetutamente e scompare. La Marchesa è così profondamente commossa, che casca di schianto a sedere, quasi svenuta.