Za darmo

La principessa romanzo

Tekst
Autor:
0
Recenzje
iOSAndroidWindows Phone
Gdzie wysłać link do aplikacji?
Nie zamykaj tego okna, dopóki nie wprowadzisz kodu na urządzeniu mobilnym
Ponów próbęLink został wysłany

Na prośbę właściciela praw autorskich ta książka nie jest dostępna do pobrania jako plik.

Można ją jednak przeczytać w naszych aplikacjach mobilnych (nawet bez połączenia z internetem) oraz online w witrynie LitRes.

Oznacz jako przeczytane
Czcionka:Mniejsze АаWiększe Aa

Il marchese sedette su una poltrona, sbuffando e voltando le spalle a Marco.

Questi, che si burlava sempre di lui, oltre al tormentarlo, fece una giravolta per andargli a sedere dirimpetto: e, cercando di fissarlo negli occhi, e avvicinandosegli, bisbigliava:

– Rammentatevi ch’io possiedo un importantissimo documento contro di voi; la letterina del dottor Krag: essa è in luogo ben sicuro e può uscir fuori ad ogni istante. So che voi pure avete un mio segreto… ma vi sfido a palesarlo: io, forse, potrò tornare ciò che fui sempre: il vostro disonore, la vostra rovina sono sicuri. Scegliete!… Potreste stare tanto bene, andar innanzi sì prosperamente per la via che vi piacerebbe di percorrere. Siete un briccone tra i più felici: non avete se non un ostacolo.... in me! E io non domando meglio che trarmi in disparte, lasciare sgombra la vostra via: solo dovete esser con me generoso.... Conoscete la contessina Ippolita Gavini? La madre è vedova: sono ridotte povere… e io voglio sposare quella ragazza grassa, paffuta.... Ci vogliono però molti quattrini.... Ecco una delle cose che voglio fare co’ quattrini, che aspetto da voi.... La mamma è tutta ben disposta per me: le accompagno in chiesa: vo in casa a dir con loro le devozioni. Mi tengono per un santo.... Sino ad ora la ragazza dice d’aver in me un padre: così la stringo al mio seno, l’accarezzo.... Ieri era vestita di semplice mussolina.... Se sentiste che floridezza?… Mi sono promesso ormai godermi quella ragazza.... Una contessina!… Vi assicuro sarà, per parte mia, un matrimonio d’amore!… Ho forse troppa esigenza?

Si tacque per un poco: poi domandò languidamente, e con perfida malizia;

– Non ho diritto anch’io a un po’ di felicità nel mondo?… E poi qui si tratta d’aver cura di una povera vedova e di un’orfanella....

– E bene, – disse il marchese, alzandosi, e volendo liberarsi da quell’incubo, – che le parenti milionarie di mia moglie muoiano presto e io abbia in mano i loro milioni: che Diana sia presto sotto la protezione del Re… e allora tu avrai tutto il denaro che vuoi: potrai prender moglie: e io sarò felice… che tu mi ti levi dinanzi! – queste ultime parole pronunziò a bassa voce.

Diana e Adolfo erano ora ben più vicini al punto donde li osservavano il marchese e il suo degno compagno.

Contradizioni della vita! Quale disparità fra le due coppie!

In alto il marchese e Marco, tristi, cinici, ipocriti, raggiratori, senza coscienza, crudeli, rotti a ogni vizio: e, in mezzo alle aiuole di fiori, tra i boschetti verdeggianti, Adolfo e Diana: cioè la bontà, la innocenza, la inesperienza, la poesia, l’amore!

IX

Due giorni appresso, la mattina, di buonissim’ora, il marchese scriveva nella sua biblioteca.

Egli scriveva, come faceva una o due volte per settimana, alle sue ricche parenti.

In queste lettere menzognere parlava loro sempre del suo smisurato amore per Diana, delle nuove cure che sempre si dava per l’educazione di lei, dell’incontro che essa avea avuto, per la sua grazia, la sua bellezza, condotta da lui alla Corte e nel gran mondo.

Aggiungeva ch’egli vegliava su di lei a ogni istante: che la tenea lontana da ogni pericolo: tornava sempre a ripetere che la morte della moglie lo avea guarito da’ suoi eccessi: ch’egli s’era ormai abituato a un tenore di vita serio, anzi austero, e se ne trovava sì lieto da provar rammarico di non averlo sempre seguito.

Le vecchie un po’ credevano, un po’ facean sembiante di credere: egoiste, non voleano da lui troppa molestia: amavano Diana, ch’egli avea recato loro più volte: e passavano lauti assegni.

Se Diana si maritasse, e posto che il marito andasse loro a genio, avean promesso dare ciascuna di esse un mezzo milione: ma ciò non garbava al marchese, poichè in tal guisa Diana gli sarebbe sfuggita, le sue rendite si sarebbero assottigliate.

Tenuta in casa, Diana dovea essere strumento della sua ambizione.

Mentre il marchese scriveva, Marco Alboni aprì l’uscio, al solito senza prima battere, e fece capolino tra la porta socchiusa.

– Si può? – disse, sogghignando.

Entrò in punta di piedi, con le mani incrociate sul petto, come quando assisteva, in apparenza tutto compunto, alle funzioni nelle chiese.

– È dunque vero – domandò – che tu dai, tra alcune settimane, una festa da ballo?

– Sì.

– E non mi dicevi nulla?

– Se tu mi avessi dato tempo, l’avresti saputo.

– Chi inviti?

– Tutta Napoli.... Gl’inviti saranno fatti a nome di Diana e mio: avremo qui tutte le amiche di Diana: il fiore della nostra aristocrazia.

– E che ci sarà di particolare nel tuo ballo?

– Sarà un ballo in maschera....

– Oh!

– Il Re ha voluto così.... Ma silenzio! Il Re passerà dalla scala segreta, entrerà ne’ miei appartamenti e in quelli di Diana.... In quelli di Diana, sopra una tavola, si deve trovare un gran domino di raso nero con due grandi fiocchi cilestri e due maschere, pure di raso....

– E la principessa?

– Sarà qui necessariamente.... Non si può evitare d’invitarla.... Non verrà, se è malata: altrimenti la vedremo qui, in uno dei soliti abiti scollatissimi, a far pompa delle sue carni.... Se viene, assisterà al trionfo della rivale.... senza saperlo, poichè il Re non sarà riconosciuto. Egli confida ammaliare Diana in quella sera.... Essa cenerà con lui, in luogo riservato, appartato dalla festa, e l’avvertiremo che è col Re.... La fanciulla vede il sovrano di buonissimo grado, e se ne tiene quando egli le parla da solo a sola....

In fatti Diana avea nell’alto personaggio molta fiducia: si proponeva anzi aprirgli il suo animo perchè egli vincesse le resistenze del padre al matrimonio di lei col Venosa.

E il personaggio avrebbe non pur agevolato, ma voluto tal matrimonio: domandava per sè alcuni dolci preliminari.

– Sapete – osservava Marco, che or trattava con cerimonia, or con la più rozza familiarità il marchese – ciò che si dice della principessa in un cerchio molto intimo.... in quello della mia polizia segreta?

– Parla, parla, Marco.

– Quella Messalina è rovinata!

– Come?

– Il suo lusso, che ecclissa quello della sovrana, non è in relazione con la sua fortuna. Le sue prodigalità sono pazze.... la gente che la circonda e amministra i suoi beni, non ha idee pratiche, è nata per sterminar tutto; tale e quale come la signora, a cui serve.... V’ha di più: essa ha arrischiato somme fortissime in speculazioni.... Le ha dato credito l’influenza, che si supponeva ella esercitasse sul Re.... La magnifica tenuta di Mondrone è già tutta ipotecata.... e non basta a pagare i debiti della principessa. È sempre elegantissima, sempre allegra, continuano i suoi pranzi sfarzosissimi, le sue cene, i suoi splendidi ricevimenti, ma essa lotta fra immense strettezze. E pure è bello vedere una donna, nata per il piacere, una gran dama, combattere una sì gigantesca lotta finanziaria!… Ciò dà un’idea della fibra, della indomitezza di quella donna straordinaria.... Ma ci debbon esser momenti, allorchè nella solitudine si cava la maschera della socievolezza, di gran dama, in cui deve sentirsi ben stanca e sola! Mi fa meraviglia il pensare che una donna abbia potuto affrontare tutto ciò che essa ha affrontato.... Oh, se, invece d’averla nemica, l’avessimo avuta con noi! A che non saremmo arrivati?

– Io ho provato sempre un certo terrore dinanzi a quella donna, – disse il marchese. – Me la ricordo giovinetta: e già avea qualche cosa d’insolito, che colpiva: teneva in soggezione noi uomini già avanti in tutte le depravazioni, in tutti i segreti della vita!

Era vero: la principessa ormai si avvicinava alla più assoluta rovina: l’autore principale di questa catastrofe era il Weill-Myot. Egli aveva un disegno: vendicarsi dello sprezzo onde Enrica lo aveva umiliato, servendosi di lui come un semplice uomo d’affari, respingendo tutte le sue proteste d’amore.

Il banchiere era milionario. Avrebbe pagato a qualsiasi prezzo il gaudio di vendicarsi.

Già sappiamo delle somme vistose, che egli avea anticipato alla principessa per eccitarla allo spendere. Un impiegato della banca, che avea l’aspetto d’un diplomatico, avea rimesso, come ci è noto, tutto quell’oro alla principessa contro alcune cambiali, a breve scadenza, da lei firmate. Ella poteva firmare, poichè il marito le avea lasciato facoltà assoluta di amministrare, come credeva, il patrimonio lasciatole dal padre.

Lo stesso impiegato del Weill-Myot avea avuto incarico di allettare la principessa a certe speculazioni. Sulle prime il Weill-Myot facea rimettere alla principessa grossi lucri, qual frutto di certe operazioni; ma quando essa vi ebbe arrischiati grossi capitali si propalò che le speculazioni, in cui s’era avventurata, andavano fallite.

Grandissima potenza, il Weill-Myot cagionava quei disquilibri. Voleva che la principessa, ad ogni modo, rimanesse in sua balìa, per possederla forse, di sicuro per umiliarla e dispregiarla.

Intanto, mellifluamente, le veniva dicendo:

– Io vi ho sconsigliato più volte di gettarvi, a chius’occhi, in certi affari.... – Ed era vero. Egli la sconsigliava. Ma il suo impiegato elegantissimo l’eccitava e le portava i vistosi guadagni, ch’egli stesso gli forniva per un certo tempo.

– Sembrava tutto andasse sì bene!… – osservava la principessa.

– Ma perchè – instava l’ipocrito Weill-Myot – invece di dar retta a me, che vi amo sinceramente, e che ho ormai la pratica degli affari, vi siete lasciata condurre da un giovane, intelligente, di carattere ottimo, che vede però spesso gli affari della finanza come un poeta?… Ah, mia cara, non v’è nulla che sia tanto contagioso quanto l’illusione del far denaro con molta facilità.... Tenete a mente: è difficile il far denaro e più difficile il conservarlo....

La principessa sorrideva: sperava in un modo o nell’altro si sarebbe cavata d’imbarazzo.

 

Un giorno, per distrarsi un poco da certe idee, per sete di nuove commozioni, si mise a pensare a sua figlia, alla figlia, che ella avea avuto da Roberto. Il suo matrimonio col principe era rimasto sterile di prole.

– Oh.... se io cercassi di rivederla? – pensò.

Ormai osava tutto: e poi, fra le tante passioni sfrenate, si svegliava in lei l’amore materno. Quando si era posta in cuore una cosa nessuno avea potere per dissuaderla. Quel puro affetto, un bacio della sua bambina, la voce, il sorriso di lei, le sembrava avrebbero consolato, in tante angustie, il suo animo. Sarebbe stata la forte, la nuova distrazione, della quale sentiva il bisogno.

Da un pezzo non vedeva Cristina.

Essa avea lasciato, morto l’abate, il presbiterio; e se n’era andata a stare in campagna col suo guardacaccia, in un punto vicino a quello ove abitava la famiglia di lui.

Benchè Cristina l’avesse lasciata in pace da sì lungo tempo, la principessa non stava tranquilla: immaginava che costei le preparasse un nuovo tiro. Guardava sempre ogni mattina fra le lettere che riceveva per veder se ci fosse un indirizzo scritto da costei: si aspettava le domandasse, d’un tratto, qualche somma vistosa: venisse a crescere le difficoltà tra le quali si dibatteva.

Il silenzio di Cristina non le era certo di buon augurio. In che modo non le avea più chiesto neppur il denaro occorrente alle spese ordinarie per la bambina? Lo anticipava ella stessa per aver diritto di sostenere d’essersi sottoposta a perdite gravi: per accrescer le spese; chi sa: per acquistare sempre maggior preponderanza su di lei e sempre più tenerla avvinta ne’ suoi artigli.

Nello stordimento, fra le continue commozioni della sua vita, non ci avea più, da tempo, messo il pensiero; non si era da tempo ricordata d’esser madre, d’aver una figliuola. Ora gliene veniva il furore. Aveva l’indirizzo di Cristina: era lontana un circa dieci miglia da Napoli: a Torre Annunziata.

Ritrovò subito l’indirizzo, ella non se ne ricordava: e deliberò andare da Cristina il giorno stesso.

– Ma, sola! – ripensò. – Non mi annoierò sola, in carrozza, per tutto quel tratto di strada?

Dopo breve esitanza, risolvette invitar Diana ad accompagnarla.

– Così nessuno, – si diceva, – potrà aver sospetti su la mia gita: una scampagnata, il cui principal motivo è di far fare una passeggiata alla mia giovane amica: e intanto vado a rivedere la donna che ha avuto per anni tanta cura di me.... alla quale, crederanno, io serbo molto affetto.... Una donna scellerata!… Poichè è lei che mi ha messo nelle vene questo fuoco, che m’abbrucia; è lei che, con le sue abili carezze, m’ha posto prima nella via de’ più eccitanti piaceri.... Ma, infine, – disse la principessa guardandosi in uno specchio, – non debbo esserle poi tanto ingrata!… Da che vivo, anche per frutto delle sue lezioni, ho passato più d’un bel momento!

Il suo cinismo voluttuoso la coglieva sempre di bel nuovo.

Scrisse a Diana una lettera affettuosa. Circa un’ora dopo, per risposta, Diana entrava nella stanza ov’era la principessa: le si gettava al collo tutta lieta di passar con lei la giornata.

La principessa, al bacio di Diana, si sentì subito rasserenata. Accanto a lei non poteva aver più cattivi pensieri. Se qualcuno le avesse detto che, in breve, l’avrebbe molto odiata, essa gli avrebbe dato, col massimo calore, del menzognero.

La principessa s’abbigliò alla presenza di Diana che la idolatrava, e diceva non aver mai visto una donna più bella. La principessa le mostrava le sue belle braccia, il suo bel seno, Diana ne vedeva, sotto le finissime tele, i fianchi robusti. In breve, fu abbigliata; era magnifica, seducente, col suo abito chiaro, il suo gran cappello di paglia, adorno di violette, il cui colore spiccava su un gran nastro candidissimo. Salirono in carrozza e partirono. Erano tutt’e due contente, si teneano per mano e sorridevano. Strana situazione quella della principessa! ella andava a cercare notizie della sua figliuola: ardeva di vederla e già l’aveva al suo fianco!

X

Arrivarono alla villa, poichè ben potea chiamarsi così la dimora, assai signorile, di Cristina.

La principessa e Diana dovettero scendere dinanzi a un cancelletto e fare a piedi una stretta, ripida salita; che avea a’ due lati siepi di rose e di melagrani, e che metteva alla villa.

Cristina fu subito avvisata dal bel guardacaccia dell’arrivo della principessa.

Andò a indossare un bell’abito di seta nera e tenne intanto la principessa ad aspettarla, come s’ella fosse un’altra signora.

Enrica avea riconosciuto il bel guardacaccia di Mondrone: e gli avea subito dato un’occhiata, che avea lasciato perplesso quell’uomo assai risoluto e assai vizioso. Ma la principessa avea posto nella sua occhiata, come sapeva, molte e varie espressioni: fra le altre avea saputo significarvi ch’ella ben si ricordava del modo ond’avea sorpreso Cristina e il guardacaccia in un salotto del castello. Perchè il guardacaccia si trovasse lì, dava ad intendere l’occhiata della principessa, non era un mistero per lei.

Intanto che la principessa aspettava, il guardacaccia le offriva di che refocillarsi.

La principessa era gaia: avea sempre il suo vigoroso appetito, e accettò. Le destava curiosità il veder come Cristina l’avrebbe trattata.

Cristina scese, dopo che il guardacaccia era già salito a concertarsi con lei, ed entrò, tutta sorridente, nella stanza ove erano Diana e la principessa.

Subito fu stupita, mettendo gli occhi su Diana, della grande somiglianza che era fra lei e la principessa. L’antica serva, dandosi tutte le arie e il sussiego di una gran dama, ringraziava le due signore dell’onore che le facevano: onore da lei immeritato: le pregava con ostentazione a scusare l’umiltà di quella povera casetta, ma ella avrebbe tutto messo in opera perchè rimanessero soddisfatte.... quanto si potea soddisfare da chi avea, come lei, sì pochi mezzi, a persone di sì alto affare. Sarebbe andata ella stessa a impartire gli ordini.

– Cristina dà ordini? – pensava la principessa. – Che trasmutazione ha operato il mio denaro.... Quanta gente io ho arricchito a questo modo! – pensava, guardando i mobili, gli oggetti di non piccol valore, ond’era ornato, arredato il salotto. – Gli ho arricchiti, sì, – continuava fra sè, pensando con la rapidità del baleno, – ma sono stati tutti schiavi de’ miei piaceri!

Non rifletteva che, forse, erano stati un tempo schiavi dei piaceri di lei, ma essa avea sempre finito per essere la loro schiava, per fornire ad essi, come in esempio a Cristina, il modo di soddisfare a’ loro propri piaceri.

C’erano in tutta la casa immagini di santi, un non so che, a ogni tratto, rivelava la pietà, la devozione di chi vi abitava.

Enrica si rammentava le lezioni di Cristina: ingannar tutti con le apparenze, burlarsi di tutto: e in segreto godersi le più strane fantasie.

Venivano a trovarla monache: le più giovani le baciavan la mano come a una grande benefattrice: ella pregava, s’inginocchiava a dire orazioni con esse: fra la gente di quel contado passava per un’anima austera, esemplare.

La sera, chiusi gli usci, chiuse ermeticamente le finestre, dopo cena, dopo aver fatto una lauta cena, gli abiti discinti, attirava a sè il bel guardacaccia: e con lui rideva, scherzava su tutto, gettava, con scoppii di risa fescennine, con motti salaci, procaci, il ridicolo su tutte le persone più rispettabili, su tutto ciò che v’ha di più alto e di più puro. E il giovinetto, gigante, fortissimo, si stupiva sempre d’una cosa, della sapienza, delle novità in amore, che aveva e sapea trovar quella megera. Poi, sul far del dì, Cristina usciva, e andava la prima di tutti a udir la messa nella chiesa della parrocchia: talvolta si vedeva con la fronte toccar terra, si udiva sospirare, si agitava, come se si pentisse di atroci peccati.

Burlarsi di tutto era il forte di questa perversa creatura: ed era lieta in tal giorno che la principessa fosse venuta a lei: non le avrebbe risparmiato beffe e umiliazioni. Ne voleva usare a suo diletto.

Sempre più osservava quanto Diana somigliasse alla principessa, anche parlando: la principessa, fanciulla, pensava Cristina, era proprio così.

La refezione fu pronta: per cerimonia la principessa invitava Cristina a porsi a tavola con loro. Non era apparecchiato per lei, ma Cristina aspettava l’invito: e non se lo fece ripeter due volte: sedette a tavola, e con gli ordini rumorosi che dava, con le preferenze che esprimeva, facea sentire alle altre due che essa era la padrona, e che le teneva sotto il suo imperio.

Qualche volta Diana fu irritata, ma la principessa la tratteneva con lo sguardo, con un cenno: Enrica si era poi pentita d’aver accettato l’invito. Vedea che Cristina abusava di lei: che godeva d’aver un’occasione di sfogare la sua malizia selvaggia. E già Enrica prevedeva la scena, che avrebbero insieme, fra non molto.

In fatti, finita la refezione, la principessa si alzò e disse a Cristina che la seguisse per un istante.

– Emilio, – disse Cristina rivolta al guardacaccia, – accompagna la signorina nel giardino e coglile i più be’ fiori!

Quando furono in un salotto sole, la principessa disse improvvisamente:

– La bambina è molto lontana di qui?… Non ho mai saputo dov’era....

– Non lo avete mai domandato.... è molto lontana....

– Senti, m’e venuto un desiderio irresistibile di vederla!

– Oh, è impossibile! – replicò Cristina.

– E perchè?… – domandò, con veemenza, la principessa.

– È morta! – rispose Cristina, grave, e senza indugio.

– Morta?

– Morta, sì, e nel giorno stesso in cui era condotta dalla balia. – Cristina credea d’aver aperto una ferita nel cuore della principessa e si divertiva ad irritarla.

– Dici tu il vero?… – e la principessa, furibonda, avea preso per un orecchio Cristina e la faceva inchinare.

Cristina, livida dalla collera, esclamava:

– Potrei chiamar gente: potrei farvi svergognare; è la prima volta che voi osate abusare della vostra forza con me, sottopormi a una vostra prepotenza.... Ma se io avessi gridato e fosse qui accorsa la signorina, che avete condotto con voi, e in faccia sua vi avessi mostrato i documenti, che posseggo: l’uno prova il vostro matrimonio con Roberto, l’altro la nascita della bambina.... Que’ documenti sono ora nelle mie mani e non ne usciranno.... Vi odio tanto che voglio farvi soffrire lentamente, e voglio godere, a poco a poco, delle vostre sofferenze.... E vi assicuro saranno atroci.... Per ora, io ho tenuto in me tutto il mio segreto.... ma se ne palesassi ad altri anche una parte?…

– Hai detto di odiarmi: ma vorrei sapere perchè mi odii? Non t’ho io sempre beneficata? – disse la principessa, che ardeva di collera.

– Beneficata, sì, come beneficate, come fate tutto voi, con sprezzo, con alterigia.... Fin quando servivo da ministra a’ vostri piaceri, fin quando eravate nelle gioie supreme, che sogliono accomunare i corpi e le anime, voi eravate sdegnosa, pungente, trovavate un maggior godimento a darmi prove di spregio.... E quante altre umiliazioni ho poi sofferto da voi.... Insomma vi odio per cento altri motivi, che sento e non so spiegarvi. Vi odio perchè voi siete una persona trista, e, benchè io non sia nulla di buono, ho orrore del male.... negli altri. E sappiate per sempre che la concordia, l’unione fra due anime tristi non può durare: si muta in odio, in persecuzioni. Io voglio vedervi alle mie ginocchia, supplicante; e respingervi, insultarvi nella vostra umiliazione. Voi dovete servir da mezzana anche ai miei amori col guardacaccia: troverò uno stratagemma, a scusa innanzi agli altri, perchè voi abbiate ragione d’invitarci nella vostra villa, mentre siete sola, e dovrete subirmi! E non potrete sottrarvi da me. Vi farò pagar cara la stessa prepotenza, che avete voluto ora usarmi. Intanto.... vi annunzio che nello spazio di otto giorni, dovrete pagarmi lire ventimila. Quindicimila serviranno ad arrotondare una somma, che ho in deposito: con le altre cinquemila voglio far un viaggio in Italia e in Inghilterra con lui.... Non voglio rimaner sempre qui.... Ed è giusto che voi.... voi, la signora che ha tanta alterezza, paghiate le spese dei miei piaceri!

Cristina era sempre livida, col suo malvagio sorriso sulla sua larga bocca.

– Come, – insistè, – posso riscuotere questi ventimila franchi?… Ho fretta di partire, ricordatevelo! Un viaggio deve darmi forze nuove per nuovi piaceri.... Il mio amante è giovane e voglio distrarlo.... Vorreste voi, anzi, esser tanto compiacente da indicarmi su questa carta l’itinerario che dovremmo seguire?

E le accennava un mappamondo disegnato su un’ampia carta e attaccato alla parete.

 

– Vi prometto che parleremo anche di voi nel nostro viaggio.... La sera, quando saremo tornati agli alberghi, dopo cena, fra una risata e l’altra....

– Non m’irritare!… – disse la principessa, pallidissima, digrignando i denti. Poi, mutando stile:

– Se tornassimo amiche?

Credeva invescar l’altra. Ma Cristina era forse più trista e certo più astuta di lei.

– Ecco una prima concessione! – le disse. – Non vi trovereste umiliata d’esser chiamata amica da una vostra antica serva?

Poi gettò là alcune parole impertinenti e atte a turbar sempre più l’animo di Enrica.

– Lo so.... lo so.... che voi non cercate gli amici fra gente sì umile.... Il migliore vostro amico, – e sottolineava con malizia queste parole: – è il Re....

– Bocca di demonio! – disse la principessa irritatissima.

– A quando le ventimila lire, signora? – domandò Cristina, con le mani su le anche, un piede innanzi, e guardandola di sotto in su con aria spavalda.

– Se io andassi dal Re, gli provassi che voi siete la moglie di Roberto, che avete fatto morire la vostra bambina per allontanarla troppo presto da voi.... che avete accusato, denunziato, fatto imprigionare vostro marito....

– E se io ti uccidessi? – rispose la principessa, pallidissima, con una calma spaventosa. – Sai ch’io so preparare un agguato, sbarazzarmi di chi mi nuoce....

– Sarebbe inutile, ve lo avverto; ho già preso tutte le mie precauzioni. Ho già denunziato in un foglio, che può esser trovato subito dopo la mia morte, come voi abbiate interesse a sopprimermi.

– Ma io ti farò uccidere da persona, che m’è devota; e a cui posso comandar tutto, sicura d’essere obbedita! – disse la principessa con una risolutezza che ispirava terrore.

Ci fu tra quelle due donne, ambedue scellerate, un terribil silenzio. Il loro rapido dialogo era durato pochi istanti.

La principessa, cedendo alle gravi commozioni, che le parole di Cristina destavano in essa ad ogni istante, non avea potuto volgere a costei le domande che le cadevan dal labbro proprio nel momento nel quale Cristina s’era indignata per l’atto violento ch’avea dovuto sostenere.

– La mia bambina è morta? – riprese, a un tratto, con voce rauca, la principessa.

– Sì, – ribattè l’altra!

– E perchè allora tante menzogne, tanti raggiri, tante doppiezze?… Ma qual inferno ti ha vomitato sulla terra, demonio?… Qual è stato lo scopo di tutte le tue imposture?… Sfruttarmi?

– Sì, sfruttarvi, – rispose impavida Cristina. – Sfruttarvi, sino a che io non ebbi i documenti. Da ora in poi sarebbe inutile che mi dessi la pena di mentir tanto, d’ingannarvi; ho ben altri mezzi per tenervi obbediente; perchè siate mia schiava.... Vedete a che conducono i vizii.... La vostra vita sregolata vi ha posto in balìa di tutti, non vi appartenete più; e che sarebbe, se molti conoscessero i vostri segreti?… Voi siete la moglie di due mariti: uno lo tradite, lo disonorate per mera vanità: l’altro l’avete tradito, calunniato, disonorato, lo avete voi stessa fatto chiudere in una prigione.... Ma – disse Cristina dopo breve pausa – non avete mai pensato ciò che vi potrebbe avvenire, se quella prigione si aprisse, se quell’uomo tornasse fra noi.... Che direste di trovarvi al suo cospetto?…

Diana s’era a dirittura esaltata in mezzo a’ fiori del giardino. Erano sì belli, sì ben tenuti, scelti con tanta cura!

Il guardacaccia pareva, per la sua bellezza, per la persona aitante e svelta, non ostante la colossale struttura, un nume antico; avea un dolce sorriso e cortesi maniere per uomo adusato a star sempre nella campagna, allevato fra costumi contadineschi.

A poco a poco Diana prese ad amarne la franchezza e la dolcezza di modi, poichè l’una, per natura, temperava l’altra.

Ed entrarono in ragionamenti su’ più varii soggetti. Diana si prestava ben volentieri a quella familiarità,

– Ho conosciuto la principessa, quando era giovinetta, – disse a un certo punto Emilio. – Mio nonno stava col padre di lei: la mia famiglia ha servito quella del duca per ottant’anni. Che buoni signori.... fino a che non è venuta questa pazzerella!… – soggiunse fra ironico e severo.

– Parlate così della principessa?

– Oh, io darei la vita per lei! – Cristina non gli avea mai detto nulla de’ suoi segreti, non avea creduto prudente ispirargli i suoi odii; al contrario gli avea sempre finto gran rispetto alla famiglia del duca. – Ma l’ho veduta crescere con me, sebbene io fossi un po’ più giovane, e l’ho veduta far tante stravaganze.... Le corse, le caccie della duchessina nel parco, le sue cavalcate; poichè essa maneggiava lo schioppo e stava a cavallo come i migliori tra noi: le sue visite improvvise nelle case dei contadini, a’ quali faceva sempre qualche paura, o qualche dispetto, son sempre ricordate.... Era molto cattiva: percoteva, a volte, i vecchi, i bambini: un giorno io l’ho veduta con un ferro, che avea arroventato, bruciar la mano, per divertirsi, a un giovinetto contadino, che le stava sempre d’attorno: Roberto Jannacone.

– Roberto Jannacone.... l’avete voi conosciuto? – chiese Diana, la quale da molto tempo, senza che sapesse il perchè, si appassionava tanto pel disgraziato prigioniero.

– Se l’ho conosciuto? era mio camerata: un tempo, il mio migliore amico.... Ci confidavamo tutti i nostri piccoli dispiaceri, passavamo insieme le domeniche, e, negli altri giorni, ogni ora in cui fossimo liberi. Ma, dacchè la duchessina principiò a trastullarsi con lui, a volerlo a sè, a perseguitarlo, Roberto non fu più quello....

– E perchè?

– Non so: diventò taciturno, schivò ogni compagnia....

– E poi....

– E poi.... – replicò Emilio, – ma non voglio spaventarvi, raccontandovi cose, che forse non sapete, e potrebbero rattristarvi.

– No, no, dite, dite.... – incalzò Diana.

– E poi… ammazzò un signore.... il conte di Squirace, che si dicea dovesse sposare la principessa, gettandolo da un ponte altissimo, il ponte che avrete veduto, passeggiando pel parco, nel mare....

– Ma voi lo credete un assassino?…

– Se lo credo!… – esclamò Emilio, battendo una mano contro l’altra. – C’è chi lo vuol difendere, lo so: ma le belle parole sono inutili.... Bastava conoscere il conte di Squirace! Che volete che possano certi farfallini con uomini come Roberto, o come me! Gli stritoliamo fra le nostre braccia, a ogni nostro desiderio.... Roberto abusò della sua forza: chi sa.... non dico.... come l’altro l’avea fatto salire in furia.

Diana era rimasta molto pensosa.

Il linguaggio semplice, rude di quell’uomo la persuadeva più di tanti cavilli, di tanti discorsi contorti, studiati, reticenti, che avesse udito sin allora.

L’uno e l’altra continuavano, chinati, a cogliere i fiori.

Diana ripensava molto a quelle parole: il conte di Squirace, che si dicea dovesse sposare la principessa. La principessa poteva aver avuto qualche influsso su quel delitto? Volle tornare a sobillar Emilio.

– Mi avete detto, – ripigliò, a un tratto, alzando la testa, – che il conte di Squirace dovea sposare la principessa?

– Sicuro, si diceva: egli, almeno, le avea fatto e le faceva, anche in tal momento, una corte molto assidua.

– Possibile! possibile! – pensava Diana. – Come tutto si spiegherebbe! La presenza de’ due uomini e di Enrica vicino al ponte nello stesso tempo.... Una disputa fra’ due rivali!…

La giovinetta innocente vedeva il vero meglio di tanti altri uomini serii, pratici, come da sè s’intitolavano, che aveano studiato, discusso, ragionato tanto questo affare.

– Enrica, Enrica! – proseguiva a dir Diana fra sè. – Potrebbe ella esser consapevole di un tal delitto: e viver così tranquilla, sicura? – Ciò le ripugnava.

Ma, ammessa tale ipotesi, come tutto si spiegherebbe!… Anche il babbo di Adolfo, anche altri avrebbero avuto ragione, credendo Roberto innocente; in una mischia, il signor di Squirace era forse caduto dal ponte, senza che niuno lo spingesse, o per un urto che non gli era stato dato certo con l’intendimento di ucciderlo.

Inne książki tego autora