Obiettivo Primario

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La gente moriva in guerra. Moriva all’improvviso e spesso per i motivi più assurdi, come il desiderare di non uccidere bambini, che comunque sarebbero morti lo stesso qualche secondo più tardi.

“Detto questo, non morite là fuori. E non lasciate morire i vostri fratelli.”

L’elicottero continuò ad avanzare, lottando contro l’oscurità urlante e sibilante. Il corpo di Luke ondeggiava e sobbalzava insieme al velivolo. Fuori, tutto intorno a loro, schizzavano sabbia e polvere. Ci si sarebbero trovati in mezzo di lì a poco.

“Se becchiamo i nostri uomini mentre stanno dormendo, potremmo farcela con facilità. Di certo questa notte non ci aspettano. Voglio entrare, acquisire l’obiettivo entro dieci minuti e tornare sull’elicottero entro quindici.”

L’elicottero si scuoteva e caracollava. Lottava per rimanere in aria.

Luke si fermò e fece un profondo respiro.

“Non esitate! Cogliete l’occasione e fate quello che dovete. Respingeteli. Fategli paura. Fate quello che vi viene naturale.”

Quello, subito dopo avergli detto di stare attenti ai bambini. Gli stava mandando segnali contrastanti, lo sapeva. Doveva attenersi al copione, ma era difficile. Una notte buia, una tempesta di sabbia pazzesca e un ufficiale al comando che non aveva intenzione di ritirarsi.

Un pensiero gli attraversò la mente, veloce come un lampo, tanto che quasi non lo comprese.

Fermati. Interrompi la missione.

Guardò le due file di uomini. I soldati lo fissarono a loro volta. Il normale entusiasmo che quegli uomini mostravano di norma era visibilmente assente. Qualcuno lanciò uno sguardo fuori dai finestrini.

La sabbia si abbatteva contro l’elicottero. Era come se la macchina fosse un sottomarino sotto l’acqua, a parte che l’acqua era fatta di sabbia.

Luke poteva interrompere la missione. Poteva scavalcare Heath. Quegli uomini avrebbero seguito lui invece del tenente colonnello—erano i suoi uomini, e non di Heath. La sua vendetta sarebbe stata infernale, ovviamente. Heath lo avrebbe punito e Don avrebbe cercato di proteggerlo.

Ma Don sarebbe stato solo un civile.

Le accuse sarebbero state di insubordinazione nel migliore dei casi, ammutinamento nel peggiore. La corte marziale sarebbe stata quasi una certezza. Luke conosceva i precedenti: un ordine folle e suicida non era necessariamente un ordine illecito. Avrebbe perso qualsiasi caso davanti alla corte marziale.

Stava ancora fissando gli uomini. I soldati lo guardavano a loro volta. Lo vedeva nei loro occhi, o almeno credeva di vederlo.

Interrompila.

Luke allontanò quel pensiero.

Guardò Wayne. L’amico inarcò un sopracciglio, scrollandosi piano.

Sta a te.

“Va bene, ragazzi,” disse Luke. “Stanotte colpiamo duro e veloce. Non perdiamo tempo. Entriamo, facciamo il nostro lavoro e usciamo immediatamente. Fidatevi di me. Andrà tutto bene.”

CAPITOLO DUE

10:01 p.m. Afghanistan Time (1:01 p.m. EDT)

Vicino al confine pakistano

Distretto di Kamdesh

Provincia del Nuristan, Afghanistan

“Andate!” gridò Luke. “Muoversi! Muoversi! Muoversi!”

Due grosse corde calarono dal portellone dell’elicottero. Gli uomini scivolarono lungo esse per poi svanire nella sabbia turbinante. Avrebbero potuto essere a decine di metri da terra, oppure a meno di tre.

Il vento ululava. La sabbia pungente e la polvere roteavano. Il volto di Luke era coperto da una maschera con il respiratore. Lui e Heath furono gli ultimi a uscire dal portellone. Heath portava una maschera simile, sembravano due sopravvissuti a una guerra nucleare.

Il tenente colonnello lo guardò. La sua bocca si mosse sotto la maschera.

“Diventeremo delle leggende, Stone!”

Luke premette il pulsante verde di AVVIO sul cronometro. Dovevano fare in fretta.

Lanciò uno sguardo sotto di sé. Non riusciva a vedere nulla laggiù, né da nessun altra parte. C’era solo da fidarsi. Si lanciò lungo il lato e cadde in un’oscurità desolante. Due secondi più tardi, forse tre, arrivò violentemente a terra. L’atterraggio gli mandò una scarica di dolore su per le gambe.

Lasciò andare la corda e si guardò attorno, cercando di ambientarsi.

Heath atterrò un istante più tardi.

Uomini in maschera emersero dalle ombre. Martinez, Hendricks. Quest’ultimo fece un gesto dietro di sé.

“C’è un muro!”

Qualcosa di grosso incombeva alle loro spalle. Okay, quello era il muro del complesso. In cima brillavano un paio di luci fioche.

Hendricks stava dicendo qualcosa, ma Luke non riusciva a sentirlo.

“Cosa?”

“Lo sanno!”

Lo sanno? Chi? E sapevano cosa?

Sopra le loro teste, il suono dei motori dell’elicottero cambiò, mentre iniziava a riprendere quota. All’improvviso, una luce brillante lampeggiò sopra al muro.

Qualcosa sfrecciò su di loro, ululando nell’aria.

Un mortaio.

“Siamo sotto attacco!” gridò Luke. “In arrivo!”

Tutto intorno a lui, vaghe ombre si gettarono al suolo.

Altri due lampi di luce si accesero.

Poi un altro

E un altro ancora.

Come facevano a saperlo?

Nella densa oscurità del cielo, qualcosa esplose. Deflagrò accedendosi di un cupo arancio e rosso. In mezzo alla tempesta di sabbia, l’esplosione sembrò il rimbombo di un tuono lontano. L’elicottero. Era stato colpito.

Dal suo punto di vista a terra, Luke lo guardò volteggiare in cerchio nel cielo, una striscia arancione contro il nero. Pendeva verso destra, girando su se stesso. I motori stridevano, e a Luke sembrava di riuscire a sentire il rumore delle pale.

Whump. Whump. Whump. Whump.

Era come se si muovesse al rallentatore, di lato e verso il basso. Illuminò la notte come un segnalatore, mentre oltrepassava le mura di pietra del campo.

BOOM!

Esplose dalla parte opposta del muro, all’interno del complesso. Si alzò una palla di fuoco, alta due o tre piani. Per un istante, Luke pensò che fosse tutto finito. L’elicottero abbattuto, i piloti morti. L’elicottero di supporto era inutilizzabile. Erano intrappolati lì, e i talebani sembravano sapere del loro arrivo.

Ma poi l’elicottero saltò per aria all’interno del campo.

Come una bomba.

E ciò gli concedeva un’occasione.

Diversi uomini mascherati erano stesi lì vicino.

Martinez, Hendricks, Colley, Simmons. La sua squadra.

Heath doveva essere da qualche parte lì vicino.

“In piedi!” gridò Luke. “In piedi! Andiamo!”

Si alzò con un balzo, trascinando con sé l’uomo più vicino. In un istante, furono tutti i piedi e in movimento, una dozzina di uomini che correvano disperatamente. La visione notturna era inutile. Le luci erano inutili, e avrebbero solo attirato colpi. Potevano solo correre nell’oscurità vorticante più totale.

In dieci secondi raggiunsero le mura. Luke decise di andare a sinistra e si mosse in quella direzione, stretto contro la pietra. Dopo pochi istanti arrivò a un’apertura. C’era l’elicottero, un’apocalisse. Qualche figura correva in mezzo alla luce del fuoco, allontanando i feriti.

Luke non esitò. Corse attraverso l’apertura, con l’MP5 spianato. Sparò con l’arma, una raffica di fuoco automatico. Le figure scapparono, adesso dirette verso un’altra ombra incombente, dove luci illuminavano il caos.

La casa.

I suoi uomini correvano insieme a lui.

Davanti a loro, le figure in ritirata salirono rapidamente la piccola scalinata della casa di pietra. Luke corse dietro di loro.

Due uomini erano davanti alla porta, e si stavano sollevando le armi automatiche dalle spalle. Portavano le barbe lunghe e i turbanti dei talebani.

POP! POP! POP! POP! POP!

Luke sparò senza pensarci. I due uomini cadere a terra.

All’improvviso, dietro di lui ci fu un’esplosione. Si lanciò un’occhiata alle spalle, ma era impossibile vedere che cosa stava succedendo. Entrò in casa. Un istante più tardi, altri quattro uomini apparvero al suo fianco, il suo A-Team. Assunsero posizione di tiro nell’ingresso di pietra, rivolti verso il resto della casa.

Si tolsero simultaneamente le maschere con i respiratori, come un sol uomo. Martinez si avvicinò ai talebani stesi a terra e sparò entrambi alla testa. Non toccò nessuno dei due.

“Morti!” disse.

Lì era più silenzioso.

“Capo del B-Team,” disse Luke nel microfono del suo elmetto. “Situazione?”

Heath entrò correndo nella casa dall’oscurità.

“Capo del B-Team…”

“Stiamo difendendo l’ingresso,” disse una voce nell’elmetto di Luke. Era Murphy. Il suo accento del Bronx era inconfondibile. “Stone! Non siamo messi bene. È un’imboscata! Ci stavano aspettando!”

“Continua a difendere l’ingresso, Murph . Usciremo tra un paio di minuti.”

“Sarà meglio che facciate in fretta, amico. Qualcuno sapeva che stavamo arrivando. Non ci vorrà molto perché ne arrivino altri, e non riesco a vedere a due metri dal naso.”

La squadra di Luke era già avanzata nella casa. Heath entrò subito dopo di lui.

“Tieni duro. Siamo dentro.”

“Datevi una mossa,” disse la voce di Murphy. “Non so se saremo ancora qui.”

“Murphy! Continuate a tenere l’ingresso! Noi usciremo subito.”

“Ricevuto,” rispose lui.

Luke si voltò verso il corridoio buio.

Un altro uomo apparve, uno robusto con una veste bianca. Era riuscito a mettere il dito sul grilletto, ma sparò senza criterio. Luke si inginocchiò e lo prese di mira.

 

POP! Un cerchio rosso scuro gli apparve sul petto.

Sembrò sorpreso, ma poi scivolò senza forze a terra.

Luke avanzò nei corridoi bui, facendo attenzione a qualsiasi suono davanti a sé. Non dovette aspettare a lungo.

BANG!

Un lampo seguito da uno scoppio risuonò, e poi un altro.

BANG!

Più avanti esplosero urla e colpi di pistola. Luke vi si avvicinò lentamente, scivolando lungo il muro. C’erano dei suoni anche alle sue spalle, fuori dalla casa: fuoco automatico e scoppi.

Luke controllò il cronometro. Erano arrivati a terra da meno di quattro minuti e l’intera missione era già andata completamente a monte.

“Stone!”

Di nuovo la voce di Murphy. “Ci sono guai. Barbari alle porte. Ripeto: l’ingresso principale è sotto attacco. Gli ostili stanno arrivando. Abbiamo uomini a terra. Hastings è a terra. Bailey è a terra. Ci stiamo ritirando dentro la casa.”

“Uh, negativo, B-Team. Mantenete la posizione!”

“Non c’è niente da mantenere,” disse Murphy. “Ci stanno facendo a pezzi! Hanno dei fucili anti carro là fuori.”

“Mantenetela lo stesso. È la nostra unica via d’uscita.”

“Maledizione, Stone!”

“Murphy! Proteggi l’ingresso!”

Luke continuò ad avanzare nella casa.

C’erano delle urla davanti a lui. Attraversò una porta, varcò la soglia… e trovò una scena di caos totale.

Nella grande stanza nel retro dell’edificio c’erano almeno quindici persone. I pavimenti erano coperti di grossi tappeti sovrapposti. Alle pareti erano appesi tappeti, stoffe ornate e riccamente colorate che raffiguravano vasti panorami, deserti, montagne, giungle, cascate.

Simmons era morto. Era steso sulla schiena, il suo corpo scomposto, gli occhi aperti e fissi. Non aveva più l’elmetto e la parte del cranio al di sopra dei suoi occhi era scomparsa. Anche due donne erano morte. Un ragazzino, un maschio, era morto. Tre uomini in turbante e tunica erano morti. Era un massacro. C’erano pistole e sangue su tutto il pavimento.

In fondo, vicino a una porta chiusa, era assiepato un gruppo di persone. Diversi uomini in tunica e turbante tenevano dei bambini davanti a loro, e puntavano dei fucili. Dietro a tutti, era nascosto un ultimo uomo, tanto riparato che Luke riusciva a malapena a vederlo.

Doveva essere l’obiettivo.

In tutta la camera, la squadra di Luke era accovacciata o inginocchiata, immobile come statue, i facili puntati sul gruppo, alla ricerca del colpo. Il tenente colonnello Heath era in piedi al centro della stanza, con la mitragliatrice MP5 puntata verso l’assembramento.

“Va bene,” disse Luke. “Va bene. Nessuno faccia…”

“Abbassate le armi!” gridò Heath in inglese. Aveva uno sguardo folle. Era concentrato solo su una cosa: raggiungere l’obiettivo.

“Heath!” intimò Luke. “Rilassati. Ci sono dei bambini. Possiamo…”

“Vedo i bambini, Stone.”

“Allora—”

Heath sparò, una scarica dell’arma automatica.

Subito Luke si lanciò a terra, mentre da ogni direzione partivano spari. Si coprì la testa, si strinse su se stesso, e diede le spalle alla scena.

La sparatoria durò diversi secondi. Persino quando fu conclusa qualche colpo continuò a risuonare, uno ogni pochi secondi, come gli ultimi popcorn a cuocersi. Quando finalmente tutto finì, Luke sollevò la testa. Il gruppo di persone vicino alla porta chiusa era una pila gemente a terra.

Heath era stato abbattuto. Non gli importava, era il tenente colonnello il colpevole di quell’incubo.

Un altro dei suoi uomini era a terra, in un angolo della stanza. Dio, che macello. Tre uomini abbattuti. Un numero sconosciuto di civili morti.

Luke si alzò in piedi. Due uomini fecero lo stesso in contemporanea. Uno era Martinez. L’altro era Colley. I due si avvicinarono al gruppo in fondo, muovendosi lentamente, con i fucili ancora spianati.

Luke si guardò intorno. C’erano cadaveri ovunque. Simmons era morto. Heath… un grosso buco si apriva nella sua testa dove avrebbe dovuto avere la faccia. Non aveva più un volto. Luke non provò niente per lui. Quella era la missione di Heath. Era andata quanto peggio possibile e ora lui era morto.

E c’era un altro uomo a terra.

Sembrava un complicato problema matematico, ma in realtà era una semplice sottrazione che chiunque avrebbe potuto risolvere. La sua mente non funzionava correttamente. Era ovvio. Sei uomini erano entrati lì dentro. Heath e Simmons erano morti. Martines, Colley e Stone erano ancora vivi. Significava che l’ultimo uomo a terra poteva solo essere…

Luke corse verso di lui. Sì, era lui. Era Hendricks, Wayne.

WAYNE.

Si muoveva ancora.

Luke si inginocchiò di fianco a lui e gli sfilò l’elmetto.

Le braccia e le gambe di Wayne si agitavano debolmente, quasi come se fosse sott’acqua.

“Wayne! Wayne! Dove ti hanno colpito?”

Gli occhi di Wayne rotearono e si fissarono su Luke. Scosse la testa. Iniziò a piangere. Respirava a fatica, quasi non riuscisse a prendere fiato.

“Oh, amico…” disse.

“Wayne! Parlami!”

Freneticamente, Luke iniziò a slacciargli il giubbotto antiproiettile.

“Medico!” gridò. “Medico!”

Un istante dopo, Colley fu lì, inginocchiato dietro di lui. “Simpson era il medico. Io sono quello di riserva.”

Wayne era stato colpito al petto. In qualche modo una scheggia del proiettile si era infilata sotto il giubbotto. Luke lo tastò ovunque. Era anche stato preso a una gamba. Quella era una ferita decisamente peggiore di quella al petto, e di molto. Aveva i pantaloni saturi di sangue. La sua arteria femorale doveva essere stata colpita. Le mani di Luke si alzarono gocciolanti di rosso. C’era sangue ovunque. Ce n’era un lago sotto il corpo di Wayne. Era un miracolo che fosse ancora vivo.

“Di’ a Katie,” ansimò Wayne.

“Zitto!” Lo interruppe Luke. “Glielo dirai tu stesso.”

“Dille…”

Wayne sembrò fissare qualcosa di molto lontano. Guardò e poi sobbalzò, come se fosse confuso da quello che vedeva. Un istante più tardi, il suo sguardo si spense.

Rimase immobile rivolto verso Luke. Aveva le labbra socchiuse. Il suo corpo era solo un guscio vuoto.

“Oh, Dio, Wayne. No.”

Luke guardò Colley. Era come se lo stesse vedendo per la prima volta. Colley sembrava giovane, a malapena dell’età giusta per iniziare a radersi. Non poteva essere, ovviamente. Quell’uomo apparteneva alla Delta Force. Era un assassino esperto. Un professionista consumato. Ma il suo collo sembrava grosso quando l’avambraccio di Luke. Appariva sperso nei suoi vestiti.

“Esaminalo,” gli disse, anche se sapeva già che cosa avrebbe detto. Ricadde seduto a gambe incrociate, e rimase in quella posizione per un lungo momento. Una volta avevano avuto una giornata libera mentre frequentavano la Ranger School. Un gruppo di ragazzi aveva organizzato una partita di football. Era stata una giornata calda, e la partita era stata magliette contro torsi nudi. Luke aveva passato tutto il tempo a lanciare palle rapide e precise a quel redneck grosso, muscoloso e sboccato, senza un incisivo.

“Wayne.”

“Se n’è andato,” disse Colley.

In un attimo, Wayne era morto. Il fratello di sangue di Luke. Il padrino del figlio non ancora nato. A Luke sfuggì un lungo sospiro.

Era così che succedeva in guerra, lo sapeva. Un secondo prima, il tuo amico, tua sorella, tua moglie, persino tuo figlio, erano vivi. Quello seguente non c’erano più. Non esisteva un modo per far tornare indietro l’orologio, nemmeno di un istante.

Wayne era morto. Erano molto lontani da casa. E quella notte era appena iniziata.

“Stone!”

Luke si sollevò in piedi ancora una volta. Martinez era vicino al mucchio di cadaveri che un tempo avevano protetto l’obiettivo. Sembravano tutti morti, tranne uno, l’uomo che era stato dietro agli altri. Era alto, ancora giovane, con una lunga barba nera appena spruzzata di grigio. Era steso tra i caduti, crivellato da proiettili ma ancora vivo.

Martinez puntò la pistola contro di lui.

“Come si chiama il tizio? Quello che stiamo cercando?”

“Abu Mustafa Faraj al-Jihadi?” rispose Luke. Non era veramente una domanda. Non era niente, solo una sfilza di sillabe.

L’uomo annuì. Non rispose. Sembrava che stesse soffrendo.

Luke prese una piccola fotocamera digitale da dentro il giubbotto. Era dentro una custodia di plastica rigida. Avrebbe potuto farla rimbalzare sul pavimento e non si sarebbe rotta. Ci armeggiò per un secondo, e poi scattò qualche foto dell’uomo. Controllò le immagini prima di spegnere la fotocamera. Andavano bene, non erano propriamente di qualità professionale, ma Luke non lavorava per il National Geographic. Gli bastava avere le prove. Abbassò lo sguardo sul leader dei terroristi.

“Beccato,” disse. “Grazie per aver giocato con noi.”

BANG!

Martinez sparò un singolo colpo, e la testa dell’uomo esplose.

“Missione compiuta,” disse il soldato. Scosse il capo e si allontanò.

La radio di Luke si accese con un crepitio.

“Stone! Dove sei?”

“Murphy. Come è la situazione?”

La voce del soldato andava e veniva. “È un bagno di sangue qua fuori. Ho perso tre uomini. Ma abbiamo assunto il controllo di uno dei loro cannoni, e ci siamo aperti un varco. Se vogliamo uscire di qui, dobbiamo andare ADESSO.”

“Saremo fuori tra un minuto.”

“Io non ci metterei così tanto,” replicò Murphy. “Non se volete vivere.”

***

Sei uomini correvano attraverso il villaggio.

Dopo il combattimento il posto era diventato una città fantasma. Da un momento all’altro, Luke si aspettava che spari o missili emergessero con fragore dalle piccole case. Ma non succedeva niente. Non sembrava nemmeno che fosse rimasta della gente.

Nella direzione da dove erano venuti si alzava del fumo. Le mura del complesso erano distrutte. L’elicottero continuava a bruciare, le fiamme scoppiettavano nel silenzio inquietante.

Luke riusciva a sentire il respiro ansimante degli altri uomini, che correvano in salita carichi dell’attrezzatura e le armi. In dieci minuti arrivarono alla vecchia base operativa avanzata sulle colline rocciose fuori dal villaggio.

Con sorpresa di Luke, il posto andava bene. Non c’erano scorte, ovviamente, ma le sacche di sabbia erano ancora al loro posto, e da lì si vedeva tutta l’area circostante. Luke riusciva a intravedere le luci accese nelle case, e l’elicottero in fiamme.

“Martinez, vedi se riesci a richiamare Bagram alla radio. Ci serve un’estrazione. La partita di nascondino è finita. Digli di mandarci aiuti in forze. Dobbiamo tornare dentro al campo e portare fuori i nostri uomini.”

Martinez annuì. “Te l’avevo detto, amico. La fortuna finisce per tutti.”

“Non parlarmene, Martinez. Tiraci fuori di qui, va bene?”

“Certo, Stone.”

Era una notte buia. La tempesta si era calmata. Avevano ancora le armi, e in mezzo al terrapieno protetto dalle sacche di sabbia gli uomini stavano ricaricando le munizioni e controllando l’equipaggiamento.

Non era fuori questione che…

“Murphy, lancia un raggio di segnalazione,” disse. “Voglio vedere con cosa abbiamo a che fare.”

“E rivelare la nostra posizione?” contestò Murphy.

“Credo che sappiano già dove siamo,” replicò lui.

Murphy scrollò le spalle e sparò nel cielo notturno.

Il razzo si alzò lentamente nell’aria, gettando ombre spettrali sul terreno roccioso al di sotto. La terra sembrava quasi ribollire. Luke fissò e fissò, cercando di dare un senso a quello che stava vedendo. C’era talmente tanta attività da sembrare un formicaio, o una colonia di ratti.

Erano uomini. Centinaia di uomini stavano portando loro stessi, la loro attrezzatura e le loro armi in posizione.

“Direi che avevi ragione,” disse Murphy. “Sanno che siamo qui.”

Luke guardò Martinez.

“Martinez, come è la situazione dell’estrazione?”

Il soldato scosse la testa. “Dicono che non è possibile. Ci sono violente tempeste di sabbia ovunque tra qui e la base. Zero visibilità. Non riescono neanche a far decollare gli elicotteri. Ci ordinano di tenere duro fino al mattino. Il vento dovrebbe abbassarsi dopo l’alba.”

Luke lo fissò. “Devono fare di meglio di così.”

Martinez scrollò le spalle. “Non possono. Se gli elicotteri non volano, non c’è niente da fare. Vorrei che le tempeste fossero iniziate prima della nostra partenza.”

 

Luke fissò la massa brulicante di talebani sul fianco della collina sotto di loro. Si rivoltò verso il commilitone.

Martinez aprì la bocca come per parlare.

Lui gli puntò contro il dito. “Non dirlo. Preparati a combattere e basta.”

“Sono sempre pronto a combattere,” replicò il soldato.

Gli spari iniziarono un momento più tardi.

***

Martinez stava gridando.

“Arrivano da tutti i lati!”

Aveva gli occhi sgranati. Le sue pistole erano svanite. Aveva preso un AK-47 da un talebano, e stava infilzando con la baionetta chiunque oltrepassasse il muro. Luke lo guardava in preda all’orrore. Era un’isola, una piccola nave in un mare di combattenti talebani.

E stava naufragando. Poi svanì sotto un gruppo di uomini.

Stavano cercando di sopravvivere fino all’alba, ma il sole si rifiutava di sorgere. Le munizioni erano finite. Era freddo, e Luke non aveva più la maglietta. Gli era stata strappata nella foga della mischia.

Combattenti talebani barbuti e con il turbante si riversavano oltre le mura dell’avamposto. Gli uomini gridavano tutto intorno a lui.

Un guerriero superò le mura con un’accetta di metallo.

Luke gli sparò in faccia. L’uomo ricadde senza vita contro le sacche di sabbia. Così era Luke ad avere l’accetta. Si gettò in mezzo ai talebani che circondavano Martinez, agitando selvaggiamente l’arma. Il sangue schizzò. Lui colpì e tagliò.

Martinez riapparve, di nuovo in piedi, e sferrò colpi con la baionetta.

Luke affondò l’accetta nel cranio di un uomo. Andò a fondo e non riuscì più a estrarla. Anche con l’adrenalina che gli scorreva nelle vene, non gli rimanevano più forze. Guardò Martinez.

“Stai bene?”

Il soldato scrollò le spalle e indicò i corpo che li circondavano. “Sono stato meglio di così, devo ammetterlo.”

C’era un AK-57 ai piedi di Luke. Lo prese e controllò il caricatore. Vuoto. Lo gettò via ed estrasse la pistola. Sparò verso il fossato, invaso dai nemici. Una fila stava correndo verso di loro. Altri ancora arrivavano scivolando, cadendo e saltando al di là del muro.

Dove erano i suoi uomini? Qualcun altro era ancora vivo?

Uccise il combattente più vicino con un proiettile in faccia. La sua testa esplose come un pomodoro maturo. Poi afferrò il suo corpo per la tunica e lo tenne come uno scudo. L’uomo senza testa era leggero, quasi come se fosse un mucchio di vestiti vuoti.

Uccise quattro uomini con quattro colpi. Continuò a sparare.

Ma poi finì i proiettili. Di nuovo.

Un talebano lo caricò con un AK-47 con la baionetta attaccata. Luke gli spinse contro il cadavere, poi gettò la pistola come un tomahawk. Rimbalzò sulla testa dell’uomo, distraendolo per un secondo. Luke sfruttò quel momento. Lo aggredì, superando la lama della baionetta. Affondò due dita negli occhi dell’avversario e tirò.

L’uomo gridò. Sollevò le mani al volto. Ora era Luke ad avere l’AK. Pugnalò il nemico con la baionetta al petto, due, tre, quattro volte. La spinse in fondo.

L’uomo tirò il suo ultimo respiro davanti a lui.

Le mani di Luke si mossero sul suo cadavere. C’era una granata nel taschino del morto. La prese, tolse la sicura e la gettò al di là del bastione sull’orda in arrivo.

Arrivò a terra.

BOOOM.

L’esplosione fu vicina, e alzò polvere e roccia e sangue e ossa. Il muro di sacche di sabbia quasi gli collassò addosso.

Luke si rialzò a fatica, assordato e con le orecchie che fischiavano. Controllò l’AK. Vuoto. Ma aveva ancora la baionetta.

“Avanti, bastardi!” gridò. “Andiamo!”

Altri uomini oltrepassarono il muro, e lui li pugnalò in preda alla frenesia. Li colpì e macellò a mani nude. Li sparò con le loro stesse pistole.

Un uomo superò quello che era rimasto del muro. Ma non era un uomo, era un ragazzo. Non aveva la barba. Non gli serviva un rasoio. La sua pelle era liscia a scura. I suoi occhi marroni erano rotondi per il terrore. Si stringeva le mani al petto.

Luke stava affrontando un ragazzino che doveva avere appena quattordici anni. Ce n’erano altri che si avvicinavano alle sue spalle. Scivolavano e atterravano contro la barriera. Il passaggio era ostruito dai cadaveri.

Perché tiene le mani così?

Luke sapeva il motivo. Era un attentatore suicida.

“Granata!” gridò, anche se nessuno era vivo per sentirlo.

Balzò all’indietro, scavando sotto un corpo e poi un altro. Ce n’erano così tanti che non poteva smettere di strisciare, avanzando fino al centro della terra, mettendo una coperta di uomini morti tra di sé e il ragazzo.

BOOOM!

Udì l’esplosione, soffocata dai cadaveri, e percepì l’ondata di calore. Sentì gli strilli degli attaccanti morenti. Ma poi arrivò un altro boato, e poi un altro ancora.

E un altro.

Luke stava perdendo i sensi per i traumi. Forse era stato colpito. Forse stava morendo. Se era così che si moriva, non era poi così male. Non c’era dolore.

Pensò al ragazzino, un adolescente magrolino, con il torso largo quanto quello di uomo robusto. Aveva avuto indosso un giubbotto esplosivo.

Pensò a Rebecca, incinta del suo bambino.

L’oscurità lo avvolse.

***

A un certo punto il sole era sorto, ma non aveva portato con sé alcun calore. Il combattimento era finito. Lui non riusciva a ricordare quando, né come si fosse concluso. Il terreno era frastagliato e bucherellato. C’erano cadaveri ovunque. Uomini magri e barbuti erano stesi a terra, con gli occhi fissi e sgranati.

Luke. Il suo nome era Luke.

Era seduto su un mucchio di corpi. Si era svegliato sotto di essi, ed era emerso strisciando come un serpente.

Erano impilati come legname. Non gli piaceva sedere su di loro, ma era comodo. Era abbastanza alto da dargli una visuale sul lato della collina attraverso i resti del muro di sacchi di sabbia, ma comunque basso quanto bastava perché nessuno tranne un cecchino estremamente bravo avrebbe potuto colpirlo.

I talebani non avevano molti cecchini bravi. Alcuni, ma non molti, e la maggior parte dei soldati attorno a lui sembravano morti.

Nelle vicinanze ne notò uno che strisciava sulla collina, lasciandosi dietro una traccia di sangue come la bava di una lumaca. Avrebbe dovuto andare lì e ucciderlo, ma non voleva rischiare di spostarsi all’aperto.

Luke abbassò lo sguardo su se stesso. Non aveva un gran bell’aspetto. Il suo petto era macchiato di rosso. Era intriso del sangue dei morti. Tremava per la fame e la stanchezza. Fissò le montagne circostanti, illuminate dal sole che sorgeva. Sarebbe stata una bella giornata. Quello era un paese splendido.

Quanti altri ce n’erano là fuori? Quanto tempo ci sarebbe voluto prima che arrivassero?

Scosse la testa. Non lo sapeva. Non aveva importanza. Qualsiasi numero sarebbe stato eccessivo.

Martinez era steso sulla schiena lì vicino, più in basso nella trincea. Stava piangendo. Non riusciva a muovere le gambe. Ne aveva avuto abbastanza. Voleva morire. Luke si rese contro che lo stava ignorando ormai da un po’.

“Stone!” stava dicendo. “Ehi, Stone. Ehi! Uccidimi, amico. Uccidimi e basta. Ehi, Stone! Ascoltami, amico!”

Luke era intorpidito.

“Non ho intenzione di ucciderti, Martinez. Starai bene. Ti tireremo fuori di qui, e i dottori ti rimetteranno a posto. Quindi dacci un taglio… okay?”

Lì accanto, Murphy era seduto su una roccia, fissando nel vuoto. Non stava nemmeno cercando di mettersi al riparo.

“Murph! Vieni qua. Vuoi che un cecchino ti pianti un proiettile in testa?”

Murphy si girò e guardò Luke. I suoi occhi erano semplicemente… vuoti. Scosse la testa. Gli sfuggì un sospiro. Sembrò quasi una risata. Rimase fermo dove era.

Sotto i suoi occhi tirò fuori una pistola. Era incredibile che ne avesse ancora una addosso. Luke aveva combattuto a mani nude, usando rocce e oggetti taglienti per…

Non sapeva quanto tempo.

Murphy si puntò la canna della pistola al lato della testa, senza spostare lo sguardo da Luke per tutto il tempo. Premette il grilletto.

Click.

Lo premette ancora e ancora.

Click, click, click, click… click.

“Finiti,” disse.

Gettò via l’arma. Cadde lungo il lato della collina.

Luke guardò la pistola che rimbalzava in lontananza. Arrivò molto più lontano di quanto non si sarebbe aspettato. Alla fine si fermò con uno scivolone in mezzo alla ghiaia e sassi. Spostò lo sguardo su Murphy. Il soldato rimase fermo lì, guardando il vuoto.