Za darmo

La coscienza di Zeno

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Perché quel benedetto maestro s’era scaldato a quel modo e tanto presto? Oramai, in un anno di relazione, tutto s’era attenuato fra me e Carla, anche il cipiglio mio quando l’abbandonavo. I rimorsi miei erano oramai sopportabilissimi e quantunque Carla avesse ancora ragione di dirmi rude in amore, pareva ch’essa ci si fosse abituata. Ciò doveva esserle riuscito anche facile, perché io non fui mai più tanto brutale come nei primi giorni della nostra relazione e, sopportato quel primo eccesso, il resto dovette esserle sembrato in confronto mitissimo.

Perciò anche quando di Carla non m’importava più tanto, mi fu sempre facile prevedere che il giorno appresso io non sarei stato contento di venir a cercare la mia amante e di non trovarla più. Certo sarebbe stato bellissimo allora di saper ritornare ad Augusta senza il solito intermezzo con Carla ed in quel momento io me ne sentivo capacissimo; ma prima avrei voluto provare. Il mio proposito in quel momento dev’essere stato circa il seguente: «Domani la pregherò di accettare la proposta del maestro, ma oggi gliel’impedirò». E con grande sforzo continuai a comportarmi da amante. Adesso, dicendone, dopo di aver registrate tutte le fasi della mia avventura, potrebbe sembrare ch’io facessi il tentativo di far sposare da altri la mia amante e di conservarla mia, ciò che sarebbe stata la politica di un uomo più avveduto di me e più equilibrato, sebbene altrettanto corrotto. Ma non è vero: essa doveva sposare il maestro, ma doveva decidervisi solo la dimane. È perciò che solo allora cessò quel mio stato ch’io m’ostino a qualificare d’innocenza. Non era più possibile adorare Carla per un breve periodo della giornata eppoi odiarla per ventiquattr’ore continue, e levarsi ogni mattina ignorante come un neonato a rivivere la giornata, tanto simile alle precedenti, per sorprendersi delle avventure ch’essa apportava e che avrei dovuto sapere a mente. Ciò non era più possibile. Mi si prospettava l’eventualità di perdere per sempre la mia amante se non avessi saputo domare il mio desiderio di liberarmene. Io subito lo domai!

Ed è così che quel giorno, quando di lei non m’importò più, feci a Carla una scena d’amore che per la sua falsità e la sua furia somigliava a quella che, preso dal vino, avevo fatto ad Augusta quella notte in vettura. Solo che qui mancava il vino ed io finii col commovermi veramente al suono delle mie parole. Le dichiarai ch’io l’amavo, che non sapevo più restare senza di lei e che d’altronde mi pareva di esigere da lei il sacrificio della sua vita, visto che io non potevo offrirle niente che potesse eguagliare quanto le veniva offerto dal Lali.

Fu proprio una nota nuova nella nostra relazione che pur aveva avuto tante ore di grande amore. Essa stava a sentire le mie parole beandovisi. Molto tardi si accinse a convincermi che non era il caso di affliggersi tanto perché il Lali s’era innamorato. Essa non ci pensava affatto!

Io la ringraziai, sempre col medesimo fervore che ora però non arrivava più a commovermi. Sentivo un certo peso allo stomaco: evidentemente ero più compromesso che mai. Il mio apparente fervore invece che diminuire aumentò, solo per permettermi di dire qualche parola d’ammirazione pel povero Lali. Io non volevo mica perderlo, io volevo salvarlo, ma per il giorno dopo.

Quando si trattò di risolvere se tenere o congedare il maestro, andammo presto d’accordo. Io non avrei poi voluto privarla oltre che del matrimonio anche della carriera. Anche lei confessò che al suo maestro ci teneva: ad ogni lezione aveva la prova della necessità della sua assistenza. M’assicurò che potevo vivere tranquillo e fiducioso: essa amava me e nessun altro.

Evidentemente il mio tradimento s’era allargato ed esteso. M’ero attaccato alla mia amante di una nuova affettuosità che legava di nuovi legami e invadeva un territorio finora riservato solo al mio affetto legittimo. Ma, ritornato a casa mia, anche quest’affettuosità non esisteva più e si riversava aumentata su Augusta. Per Carla non avevo altro che una profonda sfiducia. Chissà che cosa c’era di vero in quella proposta di matrimonio! Non mi sarei meravigliato se un bel giorno, senz’aver sposato quell’altro, Carla m’avesse regalato un figlio dotato di un grande talento per la musica. E ricominciarono i ferrei propositi che m’accompagnavano da Carla, per abbandonarmi quand’ero con lei e per riprendermi quando non l’avevo ancora lasciata. Tutta roba senza conseguenze di nessun genere.

E non vi furono altre conseguenze da queste novità. L’estate passò e si portò via mio suocero. Io ebbi poi un gran da fare nella nuova casa commerciale di Guido ove lavorai più che in qualunque altro luogo, comprese le varie facoltà universitarie. Di questa mia attività dirò più tardi. Passò anche l’inverno eppoi sbocciarono nel mio giardinetto le prime foglie verdi e queste non mi videro mai tanto accasciato come quelle dell’anno prima. Nacque mia figlia Antonia. Il maestro di Carla era sempre a nostra disposizione, ma Carla tuttavia non ne voleva sapere affatto ed io neppure, ancora.

Vi furono invece delle gravi conseguenze nei miei rapporti con Carla per avvenimenti che veramente non si sarebbero creduti importanti. Passarono quasi inavvertiti e furono rilevati solo dalle conseguenze che lasciarono.

Precisamente agli albori di quella primavera, io dovetti accettare di andar a passeggiare con Carla al Giardino Pubblico. Mi sembrava una grave compromissione, ma Carla desiderava tanto di camminare al braccio mio al sole, che finii col compiacerla. Non doveva mai esserci concesso di vivere neppure per brevi istanti da marito e moglie ed anche questo tentativo finì male.

Per gustare meglio il nuovo improvviso tepore che veniva dal cielo nel quale sembrava il sole avesse riacquistato da poco l’imperio, sedemmo su una banchina. Il giardino, nelle mattine dei giorni feriali, era deserto e a me sembrava, che non movendomi, il rischio di venir osservato fosse ancora diminuito. Invece, appoggiato con l’ascella alla sua gruccia, a passi lenti, ma enormi, s’avvicinò a noi Tullio, quello dai cinquantaquattro muscoli e, senza guardarci, s’assise proprio accanto a noi. Poi levò la testa, il suo si scontrò nel mio sguardo e mi salutò:

– Dopo tanto tempo! Come stai? Hai finalmente meno da fare?

S’era messo a sedere proprio accanto a me e nella prima sorpresa io mi movevo in modo da impedirgli la vista di Carla. Ma lui, dopo di avermi stretta la mano, mi domandò:

– La tua Signora?

S’aspettava di venir presentato.

Mi sottomisi:

– La signorina Carla Gerco, un’amica di mia moglie.

Poi continuai a mentire e so da Tullio stesso che la seconda menzogna bastò a rivelargli tutto. Con un sorriso forzato, dissi:

– Anche la signorina sedette a questo banco per caso accanto a me senza vedermi.

Il mentitore dovrebbe tener presente che per essere creduto non bisogna dire che le menzogne necessarie. Col suo buon senso popolare, quando c’incontrammo di nuovo, Tullio mi disse:

– Spiegasti troppe cose ed io indovinai perciò che mentivi e che quella bella signorina era la tua amante.

Io allora avevo già perduta Carla e con grande voluttà gli confermai ch’egli aveva colto nel segno, ma gli raccontai con tristezza che oramai essa m’aveva abbandonato. Non mi credette ed io gliene fui grato. Mi pareva che la sua incredulità fosse un buon auspicio.

Carla fu colta da un malumore quale io non le avevo mai visto. Io so ora che da quel momento cominciò la sua ribellione. Subito non me ne avvidi perché per stare a sentire Tullio, che s’era messo a raccontarmi della sua malattia e delle cure che intraprendeva, io le volgevo le spalle. Più tardi appresi che una donna, quand’anche si lasci trattare con meno gentilezza sempre salvo in certi istanti, non ammette di venir rinnegata in pubblico. Essa manifestò il suo sdegno piuttosto verso il povero zoppo che verso me e non gli rispose quand’egli le indirizzò la parola. Neppure io stavo a sentire Tullio perché per il momento non arrivavo ad interessarmi delle sue cure. Lo guardavo nei suoi piccoli occhi per intendere che cosa egli pensasse di quell’incontro. Sapevo ch’egli ormai era pensionato e che avendo tutto il giorno libero poteva facilmente invadere con le sue chiacchiere tutto il piccolo ambiente sociale della nostra Trieste di allora.

Poi, dopo una lunga meditazione, Carla si levò per lasciarci. Mormorò:

– Arrivederci, – e si avviò.

Io sapevo che l’aveva con me e, sempre tenendo conto della presenza di Tullio, cercai di conquistare il tempo necessario per placarla. Le domandai il permesso di accompagnarla avendo da dirigermi dalla sua parte stessa. Quel suo saluto secco significava addirittura l’abbandono e fu quella la prima volta in cui seriamente lo temetti. La dura minaccia mi toglieva il fiato.

Ma Carla stessa ancora non sapeva dove s’avviasse con quel suo passo deciso. Dava sfogo a una stizza del momento che fra poco l’avrebbe lasciata.

M’attese e poi mi camminò accanto senza parole. Quando fummo a casa, fu presa da un impeto di pianto che non mi spaventò perché la indusse a rifugiarsi fra le mie braccia. Io le spiegai chi fosse Tullio e quanto danno sarebbe potuto venirmi dalla sua lingua. Vedendo che piangeva tuttavia, ma sempre fra le mie braccia, osai un tono più risoluto: voleva dunque compromettermi? Non avevamo sempre detto che avremmo fatto di tutto per risparmiare dei dolori a quella povera donna ch’era tuttavia mia moglie e la madre di mia figlia?

Parve che Carla si ravvedesse, ma volle restare sola per calmarsi. Io corsi via contentone.

Dev’essere da quest’avventura che le venne ad ogni istante il desiderio di apparire in pubblico quale mia moglie. Pareva che, non volendo sposare il maestro, intendesse costringermi di occupare una parte maggiore del posto che a lui rifiutava. Mi seccò per lungo tempo perché prendessi due sedie ad un teatro, che avremmo poi occupate venendo da parti diverse per trovarci seduti uno accanto all’altro come per caso. Io con lei raggiunsi soltanto ma varie volte il Giardino Pubblico, quella pietra miliare dei miei trascorsi, cui ora arrivavo dall’altra parte. Oltre, mai! Perciò la mia amante finì col somigliarmi troppo. Senz’alcuna ragione, ad ogni istante, se la prendeva con me in scoppi di collera improvvisi. Presto si ravvedeva, ma bastavano per rendermi tanto eppoi tanto buono e docile. Spesso la trovavo che si scioglieva in lacrime e non arrivavo mai ad ottenere da lei una spiegazione del suo dolore. Forse la colpa fu mia perché non insistetti abbastanza per averla. Quando la conobbi meglio, cioè quand’essa mi abbandonò, non abbisognai di altre spiegazioni. Essa, stretta dal bisogno, s’era gettata in quell’avventura con me, che proprio non faceva per lei. Fra le mie braccia era divenuta donna e – amo supporlo – donna onesta. Naturalmente che ciò non va attribuito ad alcun merito mio, tanto più che tutto mio fu il danno.

 

Le capitò un nuovo capriccio che dapprima mi sorprese e subito dopo teneramente mi commosse: volle vedere mia moglie. Giurava che non le si sarebbe avvicinata e che si sarebbe comportata in modo da non essere scorta da lei. Le promisi che quando avessi saputo di un’uscita di mia moglie ad un’ora precisa, glel’avrei fatto sapere. Essa doveva vedere mia moglie non vicino alla mia villa, luogo deserto ove il singolo è troppo osservato, ma in qualche via affollata della città.

In quel torno di tempo mia suocera fu colpita da un malore agli occhi per cui dovette bendarseli per varii giorni. S’annoiava mortalmente e, per indurla a tenere rigidamente la cura, le sue figliuole si dividevano la guardia presso di lei: mia moglie alla mattina, e Ada fino alle quattro precise del pomeriggio. Con risoluzione istantanea io dissi a Carla che mia moglie abbandonava la casa di mia suocera ogni giorno alle quattro precise. Neppure adesso so esattamente perché io abbia presentata Ada a Carla quale mia moglie. È certo che io, dopo la domanda di matrimonio fattale dal maestro, sentivo il bisogno di vincolare meglio la mia amante a me e può essere abbia creduto che quanto più bella avesse trovata mia moglie, tanto più avrebbe apprezzato l’uomo che le sacrificava (per modo di dire) una donna simile. Augusta in quel tempo non era altro che una buona balia sanissima. Può avere influito sulla mia decisione anche la prudenza. Avevo certamente ragione di temere gli umori della mia amante e se essa si fosse lasciata trascinare a qualche atto inconsulto con Ada, ciò non avrebbe avuto importanza visto che questa m’aveva già dato prova che mai avrebbe tentato di diffamarmi presso mia moglie.

Se Carla m’avesse compromesso con Ada, a questa avrei raccontato tutto e per dire il vero con una certa soddisfazione.

Ma la mia politica ebbe un esito non prevedibile davvero. Indottovi da una certa ansietà, andai la mattina appresso da Carla più di buon’ora del solito. La trovai mutata del tutto dal giorno prima. Una grande serietà aveva invaso il nobile ovale della sua faccina. Volli baciarla, ma essa mi respinse eppoi si lasciò sfiorare dalle mie labbra le guancie, tanto per indurmi a starla ad ascoltare docilmente. Sedetti a lei di faccia dall’altra parte del tavolo. Essa, senza troppo affrettarsi, prese un foglio di carta su cui fino al mio arrivo aveva scritto e lo ripose fra certa musica che giaceva sul tavolo. Io a quel foglio non feci attenzione e solo più tardi appresi ch’era una lettera ch’essa scriveva al Lali.

Eppure io ora so che persino in quel momento l’animo di Carla era conteso da dubbi. Il suo occhio serio si posava su di me indagando; poi lo rivolgeva alla luce della finestra per meglio isolarsi e studiare il proprio animo. Chissà! Se avessi subito indovinato meglio quello che in lei si dibatteva, avrei potuto ancora conservarmi la mia deliziosa amante.

Mi raccontò del suo incontro con Ada. L’aveva attesa dinanzi alla casa di mia suocera e, quando la vide arrivare, subito la riconobbe.

– Non c’era il caso di sbagliare. Tu me l’avevi descritta nei suoi tratti più importanti. Oh! Tu la conosci bene!

Tacque per un istante per dominare la commozione che le chiudeva la gola. Poi continuò:

– Io non so quello che ci sia stato fra di voi, ma io non voglio mai più tradire quella donna tanto bella e tanto triste! E scrivo oggi al maestro di canto che sono pronta a sposarlo!

– Triste! – gridai io sorpreso. – Tu t’inganni, oppure in quel momento essa avrà sofferto per una scarpa troppo stretta.

Ada triste! Se rideva e sorrideva sempre; anche quella stessa mattina in cui l’avevo vista per un istante a casa mia.

Ma Carla era meglio informata di me:

– Una scarpa stretta! Essa aveva il passo di una dea quando cammina sulle nubi!

Mi raccontò sempre più commossa che aveva saputo farsi rivolgere una parola – oh! dolcissima! – da Ada. Questa aveva lasciato cadere il suo fazzoletto e Carla lo raccolse e glielo porse. La sua breve parola di ringraziamento commosse Carla fino alle lacrime. Ci fu poi dell’altro ancora fra le due donne: Carla asseriva che Ada avesse anche notato ch’essa piangeva e che si fosse divisa da lei con un’occhiata accorata di solidarietà. Per Carla tutto era chiaro: mia moglie sapeva ch’io la tradivo e ne soffriva! Da ciò il proposito di non vedermi più e di sposare il Lali.

Non sapevo come difendermi! M’era facile di parlare con piena antipatia di Ada ma non di mia moglie, la sana balia che non s’accorgeva affatto di quello che avveniva nell’animo mio, tutt’intenta com’era al suo ministero. Domandai a Carla se essa non avesse notata la durezza dell’occhio di Ada, e se non si fosse accorta che la sua voce era bassa e rude, priva di alcuna dolcezza. Per riavere subito l’amore di Carla, io ben volentieri avrei attribuiti a mia moglie molti altri delitti, ma non si poteva perché, da un anno circa, io con la mia amante non facevo altro che portarla ai sette cieli.

Mi salvai altrimenti. Fui preso io stesso da una grande emozione che mi spinse le lagrime agli occhi. Mi pareva di poter legittimamente commiserarmi. Senza volerlo, m’ero gettato in un ginepraio in cui mi sentivo infelicissimo. Quella confusione fra Ada e Augusta era insopportabile. La verità era che mia moglie non era tanto bella e che Ada (era di lei che Carla si prendeva di tanta compassione) aveva avuti dei grandi torti verso di me. Perciò Carla era veramente ingiusta nel giudicarmi.

Le mie lacrime resero Carla più mite:

– Dario caro! Come mi fanno bene le tue lacrime! Dev’esserci stato qualche malinteso fra voi due e importa ora di chiarirlo. Io non voglio giudicarti troppo severamente, ma io non tradirò mai più quella donna, né voglio essere io la causa delle sue lacrime. L’ho giurato!

Ad onta del giuramento essa finì col tradirla per l’ultima volta. Avrebbe voluto dividersi da me per sempre con un ultimo bacio, ma io quel bacio lo accordavo in un’unica forma, altrimenti me ne sarei andato pieno di rancore. Perciò essa si rassegnò. Mormoravamo ambedue:

– Per l’ultima volta!

Fu un istante delizioso. Il proposito fatto a due aveva un’efficacia che cancellava qualsiasi colpa. Eravamo innocenti e beati! Il mio benevolo destino m’aveva riservato un istante di felicità perfetta.

Mi sentivo tanto felice che continuai la commedia fino al momento di dividerci. Non ci saremmo visti mai più. Essa rifiutò la busta che portavo sempre nella mia tasca e non volle neppure un ricordo mio. Bisognava cancellare dalla nostra nuova vita ogni traccia dei trascorsi passati. Allora la baciai volentieri paternamente sulla fronte com’essa aveva voluto prima.

Poi, sulle scale, ebbi un’esitazione perché la cosa si faceva un poco troppo seria mentre se avessi saputo ch’essa la dimane sarebbe stata tuttavia a mia disposizione, il pensiero al futuro non mi sarebbe venuto così presto. Essa, dal suo pianerottolo, mi guardava scendere ed io, un po’ ridendo, le gridai:

– A domani!

Essa si ritrasse sorpresa e quasi spaventata e si allontanò dicendo:

– Mai più!

Io mi sentii tuttavia sollevato di aver osato di dire la parola che poteva avviarmi ad un altro ultimo abbraccio quando l’avrei desiderato. Privo di desiderii e privo d’impegni, passai tutta una bella giornata con mia moglie eppoi nell’ufficio di Guido. Devo dire che la mancanza d’impegni m’avvicinava a mia moglie e a mia figlia. Ero per loro qualche cosa più del solito: non solo gentile, ma un vero padre che dispone e comanda serenamente, tutta la mente rivolta alla sua casa. Andando a letto mi dissi in forma di proponimento:

– Tutte le giornate dovrebbero somigliare a questa.

Prima di addormentarsi, Augusta sentì il bisogno di confidarmi un grande segreto: essa lo aveva saputo dalla madre quel giorno stesso. Alcuni giorni prima Ada aveva sorpreso Guido mentre abbracciava una loro domestica. Ada aveva voluto fare la superba, ma poi la fantesca s’era fatta insolente e Ada l’aveva messa alla porta. Il giorno prima erano stati ansiosi di sentire come Guido avrebbe presa la cosa. Se si fosse lagnato, Ada avrebbe domandata la separazione. Ma Guido aveva riso e protestato che Ada non aveva visto bene; però non aveva niente in contrario che, anche innocente, quella donna, per cui diceva di sentire una sincera antipatia, fosse stata allontanata di casa. Pareva che ora le cose si fossero appianate.

A me importava di sapere se Ada avesse avute le traveggole quando aveva sorpreso il marito in quella posizione. C’era ancora la possibilità di un dubbio? Perché bisognava ricordare che quando due s’abbracciano, hanno tutt’altra posizione che quando l’una netta le scarpe dell’altro. Ero di ottimo umore. Sentivo persino il bisogno di dimostrarmi giusto e sereno nel giudicare Guido. Ada era certamente di carattere geloso e poteva avvenire ch’essa avesse viste diminuite le distanze e spostate le persone.

Con voce accorata Augusta mi disse ch’essa era sicura che Ada aveva visto bene e che ora per troppo affetto giudicava male. Aggiunse:

– Essa avrebbe fatto ben meglio di sposare te!

Io, che mi sentivo sempre più innocente, le regalai la frase:

– Sta a vedere se io avrei fatto un miglior affare sposando lei invece di te!

Poi, prima d’addormentarmi, mormorai:

– Una bella canaglia! Insudiciare così la propria casa!

Ero abbastanza sincero di rimproverargli esattamente quella parte della sua azione ch’io non avevo da rimproverare a me stesso.

La mattina appresso io mi levai col desiderio vivo che almeno quella prima giornata avesse a somigliare esattamente a quella precedente. Era probabile che i proponimenti deliziosi del giorno prima non avrebbero impegnata Carla più di me, ed io me ne sentivo del tutto libero. Erano stati troppo belli per essere impegnativi. Certo l’ansia di sapere quello che ne pensasse Carla mi faceva correre. Il mio desiderio sarebbe stato di trovarla pronta per un altro proponimento. La vita sarebbe corsa via, ricca bensì di godimenti, ma anche più di sforzi per migliorarsi, ed ogni mio giorno sarebbe stato dedicato in gran parte al bene ed in piccolissima al rimorso. L’ansia c’era, perché in tutto quell’anno per me tanto ricco di propositi, Carla non ne aveva avuto che uno: dimostrare di volermi bene. L’aveva mantenuto e c’era una certa difficoltà d’inferirne se ora le sarebbe stato facile di tenere il nuovo proposito che rompeva il vecchio.

Carla non c’era a casa. Fu una grande disillusione e mi morsi le dita dal dispiacere. La vecchia mi fece entrare in cucina. Mi raccontò che Carla sarebbe ritornata prima di sera. Le aveva detto che avrebbe mangiato fuori e perciò su quel focolare non c’era neppure quel piccolo fuoco che vi ardeva di solito:

– Lei non lo sapeva? – mi domandò la vecchia facendo gli occhi grandi per la sorpresa.

Pensieroso e distratto, mormorai:

– Ieri lo sapevo. Non ero però sicuro che la comunicazione di Carla valesse proprio per oggi.

Me ne andai dopo di aver salutato gentilmente. Digrignavo i denti, ma di nascosto. Ci voleva del tempo per darmi il coraggio di arrabbiarmi pubblicamente. Entrai nel Giardino Pubblico e vi passeggiai per una mezz’ora per prendermi il tempo d’intendere meglio le cose. Erano tanto chiare che non ci capivo più niente. Tutt’ad un tratto, senz’alcuna pietà, venivo costretto di tenere un proposito simile. Stavo male, realmente male. Zoppicavo e lottavo anche con una specie di affanno. Io ne ho di quegli affanni: respiro benissimo, ma conto i singoli respiri, perché devo farli uno dopo l’altro di proposito. Ho la sensazione che se non stessi attento, morrei soffocato.

A quell’ora avrei dovuto andare al mio ufficio o meglio a quello di Guido. Ma non era possibile di allontanarmi così da quel posto. Che cosa avrei fatto poi? Ben dissimile era questa dalla giornata precedente! Almeno avessi conosciuto l’indirizzo di quel maledetto maestro che a forza di cantare a mie spese m’aveva portata via la mia amante.

 

Finii col ritornare dalla vecchia. Avrei trovata una parola da mandare a Carla per indurla a rivedermi. Già il più difficile era di averla al più presto a tiro. Il resto non avrebbe offerto delle grandi difficoltà.

Trovai la vecchia seduta accanto ad una finestra della cucina intenta a rammendare una calza. Essa si levò gli occhiali e, quasi timorosa, mi mandò uno sguardo interrogatore. Io esitai! Poi le domandai:

– Lei sa che Carla ha deciso di sposare il Lali?

A me pareva di raccontare tale nuova a me stesso. Carla me l’aveva detta ben due volte, ma io il giorno prima vi avevo fatta poca attenzione. Quelle parole di Carla avevano colpito l’orecchio e ben chiaramente perché ve le avevo ritrovate, ma erano scivolate via senza penetrare oltre. Adesso appena arrivavano ai visceri che si contorcevano dal dolore.

La vecchia mi guardò anch’essa esitante. Certamente aveva paura di commettere delle indiscrezioni che avrebbero potuto esserle rimproverate. Poi scoppiò, tutta gioia evidente:

– Glielo ha detto Carla? Allora dovrebbe essere così! Io credo che farebbe bene! Che cosa gliene sembra a lei?

Ora rideva di gusto, la maledetta vecchia, che io avevo sempre creduto informata dei miei rapporti con Carla. L’avrei picchiata volentieri, ma poi mi limitai a dire che prima avrei atteso che il maestro si facesse una posizione. A me, insomma, pareva che la cosa fosse precipitata.

Nella sua gioia la signora divenne per la prima volta loquace con me. Non era del mio parere. Quando ci si sposava da giovani, si doveva fare la carriera dopo di essersi sposati. Perché occorreva farla prima? Carla aveva così pochi bisogni. La sua voce, ora, sarebbe costata meno, visto che nel marito avrebbe avuto il maestro.

Queste parole che potevano significare un rimprovero alla mia avarizia, mi diedero un’idea che mi parve magnifica e che per il momento mi sollevò. Nel plico che portavo sempre nella mia tasca di petto, doveva esserci oramai un bell’importo. Lo trassi di tasca, lo chiusi e lo consegnai alla vecchia perché lo desse a Carla. Avevo forse anche il desiderio di pagare finalmente in modo decoroso la mia amante, ma il desiderio più forte era di rivederla e riaverla. Carla m’avrebbe rivisto tanto nel caso in cui avesse voluto restituirmi il denaro quanto in quello in cui le fosse stato comodo di tenerlo, perché allora avrebbe sentito il bisogno di ringraziarmi. Respirai: tutto non era ancora finito per sempre!

Dissi alla vecchia che la busta conteneva poco denaro residuo di quello consegnatomi per loro dagli amici del povero Copler. Poi, molto rasserenato, mandai a dire a Carla che io restavo il suo buon amico per tutta la vita e che, se essa avesse avuto bisogno di un appoggio, avrebbe potuto rivolgersi liberamente a me. Così potei mandarle il mio indirizzo ch’era quello dell’ufficio di Guido.

Partii con un passo molto più elastico di quello che m’aveva condotto colà.

Ma quel giorno ebbi un violento litigio con Augusta. Si trattava di cosa da poco. Io dicevo che la minestra era troppo salata ed essa pretendeva di no. Ebbi un accesso folle d’ira perché mi sembrava ch’essa mi deridesse e trassi a me con violenza la tovaglia così che tutte le stoviglie dalla tavola volarono a terra. La piccina ch’era in braccio della bambinaia si mise a strillare, ciò che mi mortificò grandemente perché la piccola bocca sembrava mi rimproverasse. Augusta impallidì come sapeva impallidire lei, prese la fanciulla in braccio e uscì. A me parve che anche il suo fosse un eccesso: mi avrebbe ora lasciato mangiare solo come un cane? Ma subito essa, senza la bambina, rientrò, riapparecchiò la tavola, sedette dinanzi al proprio piatto nel quale mosse il cucchiaio come se avesse voluto accingersi a mangiare.

Io, fra me e me, bestemmiavo, ma già sapevo d’essere stato un giocattolo in mano di forze sregolate della natura. La natura che non trovava difficoltà nell’accumularle, ne trovava ancor meno nello scatenarle. Le mie bestemmie andavano ora contro Carla che fingeva di agire solo a vantaggio di mia moglie. Ecco come me l’aveva conciata!

Augusta, per un sistema cui rimase fedele fino ad oggi, quando mi vede in quelle condizioni, non protesta, non piange, non discute. Quand’io mitemente mi misi a domandarle scusa, essa volle spiegare una cosa: non aveva riso, aveva soltanto sorriso nello stesso modo che m’era piaciuto tante volte e che tante volte avevo vantato.

Mi vergognai profondamente. Supplicai che la bambina fosse portata subito con noi e quando l’ebbi fra le mie braccia, lungamente giuocai con lei. Poi la feci sedere sulla mia testa e sotto la sua vesticciuola che mi copriva la faccia, asciugai i miei occhi che s’erano bagnati delle lacrime che Augusta non aveva sparse. Giuocavo con la bambina, sapendo che così, senz’abbassarmi a fare delle scuse, mi riavvicinavo ad Augusta e infatti le sue guancie avevano già riacquistato il loro colore consueto.

Poi anche quella giornata finì molto bene e il pomeriggio somigliò a quello precedente. Era proprio la stessa cosa come se alla mattina avessi trovata Carla al solito posto. Non m’era mancato lo sfogo. Avevo ripetutamente domandato scusa perché dovevo indurre Augusta di ritornare al suo sorriso materno quando dicevo o facevo delle bizzarrie. Guai se avesse dovuto forzarsi ad avere in mia presenza un dato contegno o se avesse dovuto sopprimere anche uno dei soliti suoi sorrisi affettuosi che mi parevano il giudizio più completo e benevolo che si potesse dare su me.

Alla sera riparlammo di Guido. Pareva che la sua pace con Ada fosse completa. Augusta si meravigliava della bontà di sua sorella. Questa volta però toccava a me di sorridere perché era evidente ch’ella non ricordava la propria bontà che era enorme. Le domandai:

– E se io insudiciassi la nostra casa, non mi perdoneresti? – Ella esitò:

– Noi abbiamo la nostra bambina, – esclamò – mentre Ada non ha dei figliuoli che la leghino a quell’uomo.

Ella non amava Guido; penso talvolta che gli tenesse rancore perché m’aveva fatto soffrire.

Pochi mesi dopo, Ada regalò a Guido due gemelli e Guido non comprese mai perché gli facessi delle congratulazioni tanto calorose. Ecco che avendo dei figlioli, anche secondo il giudizio di Augusta, le serve di casa potevano essere sue senza pericolo per lui.

Alla mattina seguente, però, quando in ufficio trovai sul mio tavolo una busta al mio indirizzo scritto da Carla, respirai. Ecco che niente era finito e che si poteva continuare a vivere munito di tutti gli elementi necessarii. In brevi parole Carla mi dava un appuntamento per le undici della mattina al Giardino Pubblico, all’ingresso posto di faccia alla sua casa. Ci saremmo trovati non nella sua stanza, ma tuttavia in un posto vicinissimo alla stessa.

Non seppi aspettare e arrivai all’appuntamento un quarto d’ora prima. Se Carla non fosse stata al posto indicato, io mi sarei recato dritto dritto a casa sua, ciò che sarebbe stato ben più comodo.

Anche quella era una giornata pregna della nuova primavera dolce e luminosa. Quando abbandonai la rumorosa Corsia Stadion ed entrai nel giardino, mi trovai nel silenzio della campagna che non si può dire interrotto dal lieve, continuo stormire delle piante lambite dalla brezza.

Con passo celere m’avviavo ad uscire dal giardino quando Carla mi venne incontro. Aveva in mano la mia busta e mi si avvicinava senza un sorriso di saluto, anzi con una rigida decisione sulla faccina pallida. Portava un semplice vestito di tela dal tessuto grosso traversato da striscie azzurre, che le stava molto bene. Pareva anch’essa una parte del giardino. Più tardi, nei momenti in cui più la odiai, le attribuii l’intenzione di essersi vestita così per rendersi più desiderabile nel momento stesso in cui mi si rifiutava. Era invece il primo giorno di primavera che la vestiva. Bisogna anche ricordare che nel mio lungo ma brusco amore, l’adornamento della mia donna aveva avuto piccolissima parte. Io ero sempre andato direttamente a quella sua stanza da studio, e le donne modeste sono proprio molto semplici quando restano in casa.