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Viaggio pel lago di Como

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AVVISO

AL LETTORE BENIGNO

Il viaggio che qui ne diamo del Conte Giambattista Giovio fu scritto nel 1795. Essendo la prima edizione di tal viaggio divenuta rara, abbiamo creduto di fare cosa grata agli amatori del Lario il riprodurlo in luce co' nostri tipi accresciuto di note ove gli avvenuti cambiamenti le domandavano. E vivi felice.

Viaggio pel Lario e descrizione

Avviandoci al porto per intraprendere la navigazion nostra sul Lario, avvertiremo che quel seno e quel molo non sono cosa antica. Nel 1225 i9 Comaschi ne aveano cavato uno presso alla piazza de' Liochi, che appellato venne del Vescovado. Altro pure assai ampio ed opportuno vi aveva all'altro fianco della città, il quale per lunga incuria interriossi, e venne in questi ultimi anni ceduto ai cittadini Nolfi, che in parte ad uso il convertirono di giardino. Nè di piccioli moli facea mestieri ai Comaschi avvolti sovente in guerre navali; or ci può bastar questo, ma non dovremmo ommettere di purgarlo nella stagion d'acque basse da quella fitta che il deturpa, e guasterallo un giorno.

Esciamone a manca e intraprendiamo lunghesso la sponda sinistra il viaggio. Tosto ci si presenta la spiaggia ampia del Pasquerio partita in due dal torrente Cosia che si sfoga ivi nel lago. Poco oltre a trent'anni fa avea egli le foci rivolte verso il sobborgo; ora col murato alveo fu costretto a piegarsi a dritta. Se le misure si osservino di quel pubblico pascolo rilevate da periti in sul principio del secolo, vedrassi che ne crebbe alquanto l'estensione; nè fia maraviglia per chi ponga mente alle sabbie che versa il Cosia in quelle vicinanze, ed ai venti che agitando le onde vanno collocandole lungo que' lidi. Saria pensier saggio che fosse vietato il cavarle per uso delle fabbriche, tranne il sol letto del torrente, mentre in tal guisa accrescerebbesi ai posteri una pianura tanto più pregevole fra spazio breve rinchiuso da' monti. Ottimo fu pure il pensamento che ne rialzò una parte in questi ultimi anni col dispendio di scudi sei mila: così più salubre si rese e men soggetta alle inondazioni. Potrebbe con ampie piantagioni quadrate rendersi agevolmente più ameno quel passeggio, nè gli si torrebbe il comodo di schierarvi, come pure si costuma, le truppe. Fannosi fra tigli ed olmi presso Strasburgo i militari esercizj, nè il diletto de' cittadini opponsi al porvi soldati in marcia in finte zuffe. Bello spettacolo sarà per chi navighi il volger gli occhi in giro, sì che le vette, che la città e il pian d'intorno coronano, esamini d'un colpo, e quinci il celebre Baradello or nido ai gufi, e quindi l'unica porta10 d'antica munizione che tuttora resti sulla costa di s. Martino osservi, e in mezzo piramidar tante torri e campanili. Ma già presso il finir del Pasquerio comincia la parte più leggiadra del Vico. Primo di tutti ne si offre quel palazzetto che pur or costrusse Antonio Baldovino, e dietro quello sta l'ampio ed amenissimo ritiro de' Carmelitani11 scalzi, entro cui al principio del secolo scorso era il Giardino celebre ricovero del dotto nostro Girolamo Borsieri. Spira a tutto questo lato dalla valle e dal rivo del Molinello una fresca aura consolatrice. Passata appena l'arcipretal chiesa di s. Giorgio, entro angusti confini sorge il casino del professore Bassian Carminati, ma il Soave architetto domò la difficoltà del luogo col ben partir la casa ed idearla. Segue la villa dei Barbò marchesi di Soresina; indi con ampio lusso il suburbano d'Eleonora marchesa Villani nata Doria Sforza. La culta dama, che signorilmente dimoravi, prese da' suoi viaggi il gusto di ammobigliarlo con eleganza; magnifica a stucchi lustri, piena d'aria e di sole è l'oval sala di mezzo. Parte del giardino locossi sovra quadrate muraglie che vedevansi sotto acqua a lago cheto, e servivan forse all'isoletta selvosa che Paolo Giovio12 avea al fianco destro del Museo. Di tal amenissimo e celebre suburbano ragionano anco gli esteri, e il notano le geografiche carte. Marco Abate Gallio nipote di Tolommeo cardinale compratolo il distrusse barbaramente nel 1616. Sigismondo Boldoni13 deplora l'impresa del Gallio, il qual pur faceva di tutto perchè il nome si obbliasse del chiarissimo14 fondatore. Ma se in quell'occasione perirono pitture a fresco piene d'anima, di cui anche fa menzione il Doni15, se spezzaronsi marmi sculti con belle sentenze d'ingegno piene; almeno le tavole e le tele rappresentanti i volti degli uomini illustri e le medaglie e le rarità Indiane ed Americane16 trassero i Giovj nelle lor case di città; ed ivi sorse col nome di Gallia un novel palagio magnifico, che da trent'anni circa spetta a Don Pietro Fossani milanese patrizio. Degne son da vedersi le pitture dell'ampia sala, e qualche fregio del cavalier Isidoro. Ciò è quanto lasciovvi d'antico il novello signore, distrusse esso il restante. Il Museo e poi la Gallia si edificarono sugli annosi vestigj della villa di Caninio Rufo, il quale vi abitava a giorni di Traiano, la cui guerra in Dacia seppe degnamente cantare in greci eroici, e son note le pistole a lui del giovane Plinio. A due passi dalla Gallia il sunnominato possessore moderno di quella alzò in quegli anni ultimi una ridente abitazione, distruttivi alcuni meschini abituri. Contiguo a questa è l'alloggio del cavaliere Aurelio Rezzonico non dell'antica patria immemore, e il di lui orto si specchia nel lago. Più ampie e con giardini a tergo ed in faccia al prospetto del Lario stanno le case del conte Resta, che sullo spazio eressele appartenente a' Padri Minimi, e pria alla badia di Vico. Indietro giace quel vaghissimo ritiro appartenente al Conte Giovanni Salazar per retaggio della comense di lui moglie Marianna della Porta. Ivi nè vasto vi manca il passeggio, nè copia d'acque, nè l'ombra d'annosi tigli, nè la solitudine della prossima e facil montagna. Ma chiamane a se l'Olmo ove il marchese Innocenzo Odescalchi v'adopera ben ampie fortune, ed una mole si estolle che sfida i secoli. Il marmo, l'oro e gli stucchi lustri vi son profusi. Questo palagio chiude lungo il lago il sobborgo di Vico; avvi però di là strada atta alle carrozze che guida fino a Grumello.17 Fu quella villa edificata da Tommaso d'Adda, cui nel 1578 dal Consiglio decurionale venne concesso l'irrevocabil diritto di raccogliere sulla costa di Monte Olimpino18 le acque onde alimentar la fontana. L'ebbe poscia a delizia il19 Vescovo di Modona Sisto Vicedomini, possedettela indi il cavalier Porta, da ultimo i fratelli Carlo e Benedetto Odescalchi, il qual secondo fu Papa col nome di Innocenzo XI. La acquistarono indi i vescovi sotto Monsignor Neuroni come amministratori del luogo pio de' Catecumeni, e v'abitarono. Il piacentino don Carlo Galli l'ebbe poscia. Ora appartiene al cavaliere conte Giambattista Giovio cui piacque di lodarne in una sua pistola al Conte Roberti20 il prospetto amenissimo: ed in vero angol non v'ha di monte, non sen di lago che sfugga al guardo lusingato e pago. Di là a pochi passi s'interna nel curvo lido il caserino della Zuccotta21 erettovi dai Volpi a solingo diporto. Per l'economia delle celle anguste possiam d'isgradarne quasi il lavor geometrico d'un alveare. Ma giù per la valletta che stagli a tergo scende poi non molto dopo il meriggio un frettoloso ponentello che increspa le onde, e fideicomisso22 nei mesi della state non manca mai.

 

Segue il Ceresajo, il quale a' giorni di Girolamo Borsieri era ancor colle alpestre, ed allor si ridusse a vigne ed a fertilità d'ottimi frutti, fra' quali hanno vanto i fichi. Poco oltre incontrasi Tavernola, che in questi ultimi anni fiorì per l'eleganza degli ospiti suoi, appigionata, com'ella fu, all'Intendente generale delle Finanze baron di Lottinger. Da una colonnetta ivi spuntante a fior d'acqua si determina da quel lato il confine della pescagione riservata al possessore di Grumello. È sul tappeto che il calle angusto dall'Olmo a Tavernola s'abbia da formare in agevole strada larga per braccia dieci23. L'amenità allora di tutta quella piaggia crescerà a dismisura, e forse alle falde dell'Olimpino cresceranno più ville che si specchino nel Lario. Nè l'opera viene consigliata soltanto dall'amenità, perciocchè su quella via, non senza esempio di sventure, si traggono le farine alla città sulle schiene de' muli, le quali allora verrebbonvi sulle carra, come pure i fieni che si falciano moltissimi nel piano della Bregia, e debbono ora con lungo giro guidarsi intorno al giogo dell'Olimpino per guadagnare con fatica retrograda l'altra strada, che a Como mette ed agli Svizzeri.

Ma da Tavernola per ire a Cernobio la via Regina discostasi assai dai lidi del Lario, e per vigneti e campi e praterie inoltrasi in quella grande piaggiata, che forse ne' secoli scorsi formossi tutta colle inondazioni del fiumicello Bregia, il quale non di rado poi romoreggia strabocchevole torrente; e va crescendo ognora il lido con sassi e ghiaje al suo sbocco. Alle di lui foci nell'autunno si prendono nobili trote, le quali amano di guizzare a ritroso sui sassi per deporvi le uova. Una gran parte delle perenni acque della Bregia è divertita all'uso de' mulini. Giace al di là di quelle, dentro un seno lunato, Cernobio, cui forse venne il nome dal vocabol latino Cœnobium. Eravi infatti un tempo un munistero di Cluniacesi, e poi vi succedette un convento di religiose, che da Giuseppe II insieme con tante altre vennero soppresse. Ma quella terra già prima di Pretore ornata, e de' suoi particolari statuti, fu distrutta e saccheggiata da Vincenzo Vegio, speditovi da Filippo Visconti duca di Milano; perciocchè i di lei abitanti aveano liberati a forza in Bellagio i debitori della camera fiscale. Ora ella è il soggiorno di piloti celebri e di esperti pescatori, nè scarseggia d'ameni casini, fra' quali vuole ricordarsi quello del marchese Tiberio Crivelli, dei Sala, del fu chiaro e pio poeta canonico Rezzano, e dei Clerici notaj e conti palatini. Pretendono alcuni che l'acqua della Colletta spicciante nel prossimo colle sia molto salubre, ma finora v'è controversia sulla di lei analisi. Dietro a Cernobio sorge con altissima vetta il Bisbino, sulla cui cima sta un tempio a Maria Vergine che dal popolo divoto frequentasi. È incredibile l'orizzonte che da quel cucuzzol discopresi, e qualora gli si aggirino dintorno le nebbie, se ne trae presagio in Como di pioggia imminente, onde avvi il proverbio

 
Vanne a prendere il mantello,
Che il Bisbino ha il suo cappello.
 

Sulle falde di questa montagna ampia si veggon le terre di Piazza e Rovenna patria del celebre pittore Angiol Michele Colonna. Vi si raccoglie frumento di grani sì belli e grossi, che volontieri cuocesi in minestra alla foggia del farro e dell'orzo. A pochi passi da Rovenna avvi una caverna detta il Pertugio della Volpe, e malgrado il difficile ingresso vi si mise dentro il dottor fisico Onorato Solari. Trovolla estendersi per 900 piedi parigini, e n'estrasse lunghi pezzi d'alabastro assai bello.

All'escir primo da Cernobio s'incontra il torrente Garro, presso cui intorno al 1568 il Cardinal Tolomeo Gallio cominciò il nobil palagio, che appellasi Garrovo, e spetta ora al marchese Calderara24. Volontieri v'approderà il viaggiatore, nè ommetterà di scorrere il viale, che sale sul monte, ed ha quinci e quindi due rivoli, che per centinaia di conche fluiscono scarpellate nel granito.

Prossimo gli sta Pizzo villa dei conti Mugiasca, i cui maggiori forzarono il dorso del monte a prestar loro ameni giardini di sol pieni e d'agrumi; poi curvandosi in circolo le rupi e la via regina si scopre Moltrasio, ove il conte Andrea Passalacqua costrusse non ha guari abitazion vasta e giardini a gran piani scendenti al lago più magnifici ancora. Ivi presso il baron Durini conservasi un Museo d'uccelli vivi, singolarissima cosa, e vi s'ode lo stridor minaccioso dell'aquila e il pianto armonico dell'usignuolo.

Nel petroso fianco del monte si cavan ivi le tegole pei tetti, e le caverne praticatevi e l'esperienza maestra ne fecero edificare celle parecchie per conservare il vino eccellenti, onde senza le cure, che usavano tante i Romani, possiamo bervi annosi liquori e sfidarli quasi nel lusso di quelle cene, per cui spillavano botti che ricevute aveano le uve pigiate sotto Consol remoto.

Singolare è il contrasto di tanta frescura e del calor insieme, che la sferza cocente del sole eccita in que' sassi. Ma il fiumicello che parte Moltrasio con non mutulo gemito, e lava piombando a dritto e rovescio gran massi, spruzza l'accesa aria sì, che abbeveri i polmoni purissima, e s'abbrividisca nel sollione.

Segue Urio per cammino dritto, ove alla villa Castelbarri, dinanzi Porta, avvi dal lago nobile accesso per una scaléa a due branche, nè lungi mostrasi Carate, nel qual paese mantiensi quasi per retaggio l'arte del costrurre le barche. Poscia in molte villette sparso vedesi Laglio per uliveti osservabile. V'ha chi opina che gli venisse il nome dalla romana gente de' Lallii, altri poi gliel deduce dal Dio Ajo,25 che i politeisti venerarono sul Tebro. A tutte queste terre sta in faccia dall'altro lido Torno già luogo celebre, e la fonte Pliniana.

 

Ma seguendo noi la punta di Torrigia, che un promontorio pietroso spinge nel Lario a ristringerlo d'assai, siamo per abbandonare quel lungo catino, che gode sempre del popoloso prospetto d'una parte di Borgo Vico, ed entreremo in una scena di lago più deserta e severa. Mi maraviglio insieme con Sigismondo Boldoni, come abbia Paolo Giovio amata tanto Torrigia da scrivere poi che dovessero ivi fabbricare coll'antica eleganza i favoriti della fortuna.

Ripiegando presso al promontorio la prora costeggiamo le montagne a manca tutte poste a castagneti, fra' quali scorre qualche ruscello, che diriano i poeti, d'argento, e diria Magalotti, che ivi in molte ore del giorno potremmo farla da antipode, mentre altri pure si tapina sotto a' raggi del sole, o calafatasi dentro un appartamento. Dopo non breve remeggio giungesi a Brienno, ove le casucce degli abitanti son poste quasi a ridosso l'una dell'altra, e presentano da lungi co' tetti l'immagine quasi d'una scala. Le sollazzevoli rime del padre Giuseppe Stampa, in cui si raccolsero que' motti, onde fra loro si proverbiano i nocchieri delle varie terre, narrano che a' Briennesi si lanci il titolo di allocchi, ma già nol sono punto, e forse a' vecchi tempi era la loro patria ancor più distinta. Ce ne possono far fede le due lapide,26 colle quali Publio Cesio Archigene sciolse i suoi voti alle Matrone ed a Giove. Queste si scopersero a' giorni di Girolamo Borsieri.

Il cognome d'Archigene27 suona qualche cosa di simile alla prossima terra d'Argegno, e forse Lucio Cesio l'ebbe per suolo natale. V'ha chi lo creda popolato un giorno da que' Greci che i vincitori Romani traslocarono fra noi,28 e potrebbe a tal sospetto giovar anco l'appellazione grecanica di Picra, che tuttora rimane a quella terra che in vetta sta dell'ardua montagna sorgente al fianco d'Arcennio, alla quale se con aspra fatica di salire ci venga talento, v'ammireremo grani di mirabil candore e grossezza, non che rape rivali di quelle di Norcia. Là su quel vertice stanno vestigj d'antica rocca, come pure di un'altra ad Argegno, il qual posto quasi in un golfo del Lario viene in due partito dal fiumicello, che ivi scarica la Valle d'Intelvi sì celebre per l'industria de' suoi abitanti. Traversandola per il lungo sboccasi con viaggio di miglia circa sette al lago di Lugano. Incontransi per il viaggio caravane di muli carichi per lo più di carbone che sfogasi ad Argegno per imbarcarlo. È singolare che non vi siano marmi nella Valle Intelvi, e però gli abitanti di quelle piaggie si dierono alle opere di gesso lustrato, nelle quali sono abilissimi.

Anche il dizionario Geografico del Ladvocat, prodotto col nome di Brouckner, nell'articolo Como attesta che da questa valle uscirono29 scultori, pittori, stuccatori, architetti eccellenti. Taluno vuole anche derivarle il nome dall'intelletto.

Seguendo noi il viaggio nostro lungo la riviera incontreremo Cologno piccola terra e il fiumicello Camogia, il quale rigonfio bagna talora di sua spruzzaglia l'arco del ponte. Vuolsi che quest'acqua per le viscere del monte sgorghi figlia del lago di Lugano. Ma presso a quella una chiara e fresca fonte zampilla e cade spumosa detta Oliviera dalle piante che d'ogn'intorno l'inombrano, e tutta quella costiera rendon di squisito olio feconda.

Ma già voghiamo nello stretto seno fra la famosa Isola Comacina30 e il lido, in cui avvi Sala popolosa di pescatori, che molta preda fanno in quel golfo pescosissimo, detto nelle sue lettere dal giovin Plinio il cannal gemmeo.

Di fianco all'Isoletta sul prossimo territorio avvi una terra che da essa ricevette il nome d'Isola, a cui non manca un'arcipretale collegiata antichissima, presso la quale conservansi assai vetuste pergamene. Sparsi qua e là sul monte vi sono gruppi di case, a cui non manca l'appellazion propria, e dipendono da quell'arciprete. Fra queste ricordo Ossucio, ove avvi l'iscrizione che soggiungo, poichè ignoro che sia stata giammai pubblicata.31

MATRONIS. ET. GENIIS
AVSVCIATIVM. CONSECRAVIT
ARVIVS. NIGRI. F. NOMINE
SVO. ET. C. SEMPRONII. NIGRI. ET
BANIONIS. CVCALONIS. FILIAE
PARENTIVM. SVORVM

Nella terra non lungi dalla chiesa collegiata i Giovj, che l'origine traggono dall'Isola32 Comacina, v'hanno memoria delle ricchezze de' lor maggiori l'ospedale e la chiesa di S. Maria Maddalena, a cui con liberal pietà contribuirono terreni smembrati dalle loro possessioni per nodrire i poveri e i viandanti, e resta fino al dì d'oggi in quella famiglia per più di ottocento anni l'autorità e la prerogativa incorrotta di mettervi33 un ministro. Portano quindi i Giovj per insegna, in testimonio dell'origin loro, il castello posto in mezzo dell'isola. A questo si aggiunse l'aquila da Federico Barbarossa, e s'inquartarono poi le arme dei Medici per dono di Leone X., e le colonne d'Ercole per diploma di Carlo V. Cesare si sovrapposero.

Ma sul confine della terra sorge poi Balbiano, già sobborgo dell'Isola, e delizia ora del Cardinale Angel Maria Durini. Ivi sul principio del secolo sedicesimo duravano tuttora magnifiche reliquie34 della villa de' Giovj. Queste nel 1596 vendette Ottavio Giovio a Tolomeo Gallio conte delle Tre Pievi, poi duca d'Alvito, quindi spinto e dalla bellezza del luogo e dal vetusto diritto ricomperò quella villa nel 1778 il cavaliere conte Giambattista Giovio, il quale dovettela poi cedere nel 1787 già ristorata alle lunghe brame del Cardinale, che coll'ampliazione de' giardini, e col profondo vial carrozzabile di se la rese degnissima. Vi s'innoltri il viaggiatore e verragli incontro l'amenità, in fine poi d'esso l'orror sagro della valle e lo spruzzo quasi della Perlana saluterallo. Talora però queste acque rigonfiansi a torrente infestissimo, e radendo Balbiano si scaricano nel lago.

Vedesi in alto il venerabile santuario di M. V. del Soccorso, ed a chi salga il monte aspro, danno sollievo alcune cappelle, che i misteri raccolgono della Incarnazione salutifera rappresentati con belle figure plastiche colorite. Dolcissimo e maestoso scende giù nel piano il suono di quelle armoniose campane, per cui volontieri Monsignor Giovanni della Casa avria fatto un epigramma in laude, ei, che pur dettò que' latini versi sì acerbi contro lo squillar rimbombante de' bronzi sagri.

Se il ponte si passi, che al fianco di Balbiano sta sulla Perlana, tosto si è a Campo, ove pochi anni sono un convento v'era di monache, ridotto ora quasi a seconda villa dal Cardinal Durini, che su tutte quelle spiagge profuse danaro, e cultissimo vi raccolse con dignità il beato ozio delle muse.

Da Campo per breve via giugnesi a Lenno, ma noi costeggeremo il selvoso dorso di Lavedo, sulla cui punta altro casino35 formossi il prelodato Cardinale di ridente prospetto, da cui domina a cavaliere su due catini del Lario, e tutta vagheggia la Tremezzina. Entro lo scoglio del molo avvi una fessura, da cui ricavò alcuni bei pezzi di spato cristallizzato il dottor fisico Onorato Solari. Questa punta di monte, che spingesi nel lago, quella si è che il Boldoni vago di pellegrini vocaboli denominò il dorso di Abido alludendo a quell'asiatico stretto celebre pel caso infausto di Leandro e pei versi di Museo. Noi varcandola dirizzeremo la prora lungo la riva manca spaziando col guardo satollo in più ampio pelago, e giungeremo in tranquillissimo seno, dove i Caroè hanno una villa.

Tosto lì presso sta Lenno per qualche reliquia del gentilesimo tuttora venerabile. L'antiquario recherassi quindi alla chiesa arcipretale, e troveravvi un picciol sotterraneo tempio sostenuto da colonne di cipollino, e vedravvi un'ara e qualche altro pezzo di marmo candido. Hannovi anche de' condotti di terra cotta in foggia quadrangolare, nè saprebbesi qual ne potesse esser l'uso. Ben per lo contrario si sa che alla stagione degli oracoli de' Gentili si praticavano i templi o dentro caverne dalla natura fabbricate, o in luoghi dove l'arte avesse procurati dei sotterranei. Tali antri eran conciliatori d'orror sagro, e col pretesto delle esalazioni divine giovavano alle furberie de' ministri degli idoli, onde poi que' sacerdoti ne foravan talora le statue, e col mezzo di tubi arcani facevano gorgogliare dai loro numi le voci misteriose. Vive medico condotto in Lenno il giovane ingegnoso Francesco Mocchetti nato in Como36, il qual avvolge ben degnamente al suo crine il lauro d'Apollo e quel d'Esculapio, ed ora compie una dotta sua peregrinazione in Lamagna per visitarvi que' dotti e conoscerli ancora di volto, tanto più che può favellare il lor linguaggio non men che l'inglese. Siegua egli ad onorar la sua patria!

Vuolsi che su questo lido depresso ed agevole il giovin Plinio avesse la villa sua detta Commedia, perciocchè gli attori di quelle in sulla scena escivano37 con borzacchini del coturno tragico più umili. Scorgesi sulla montagna, che s'alza a tergo di Lenno, l'Acquafredda, già monastero di Cistercensi, e pria de' Cluniacesi, che vi si annidarono intorno al 1140; soltanto pochi anni sono ne partirono i Cistercensi, quando loro fu data la Certosa di Pavia. Ivi dimorava il dotto Padre don Pompeo Casati, i cui occhi non lasciavano intatta pergamena alcuna di chiostro o d'archivio, e d'esse n'era ricco quel monastero. Or le case e i fondi si comprarono dal sig. Ignazio Mainoni, il cui fratello Barnabita don Francesco, detto più volte dal Cardinal Burini il puro Sacerdote delle muse; è noto per la facile sua vena, e merita ancora d'esser più noto pel culto ingegno e le sociali maniere.

Quindi piegansi alquanto i colli pieni di vigne e di uliveti, e questi sono le falde e gli zoccoli quasi dell'eccelse rupi, in cui vedesi uno amplissimo strato di pietra orizzontale, che ne favella di rivoluzioni grandi. In alto sta Bolzanico, ove il conte Andrea Passalacqua Lucini ha casa venutagli col pinguissimo materno retaggio Brentan Monticelli.

9Bened. Jovii. Hist. Patr. p. 206. = Portus, qui nunc habetur, haud ita non multo ante tam frequens erat, sed alius portus fuit, qui modo Episcopatus appellatur, anno Domini XXV. supra M. et CC. conditus, qui, quia aucto lacu semiobrutus esset, alium construxere. Ad hunc autem antiquiorem portum, illac, ubi nunc horti sunt Episcopi, recta procedebant, unde Divi Probini ædem incursu ripæ ædificatam legimus, quo tempore regio illa frequentissima erat. Sed postquam in civitatula ab Azone Vicecomite condita fuit clausa, paucos habuit incolas, et vero per tempora libertatis Mediolanensis destructa, frequentior fieri cœpit.
10Questa fu testè demolita, essendosi aperta la nuova strada di Lecco. L'Editore.
11Fralle inedite lettere del Borsieri avvene una a Lodovico Carretti, in cui vedesi che gli Scalzi faceano pratiche per aver sul nostro territorio una solitudine da fabbricarvi un chiostro. Il Borsieri proponeva la Valle d'Intelvi, ma soggiungeva pure = Chi sa che non cerchin da lunge per trovar d'appresso? = E così fu, divennero essi pochi anni dopo possessori del Giardino del Borsieri. In altra di lui lettera al conte Costanzo d'Adda se ne legge la descrizione. V'eran dentro pitture del vecchio Luino, di Calisto Lodigiano, di Carlo Cremasco, di Giacomo Bassano, di Giacomo Tintoretto, di Giacomo Palma, di Camillo Boccaccino, di Domenico ed Andrea Pellegrini, di Pier Francesco Morazzone. Non vi mancavano belle ajuole con fiori, ombrose selve, industri fonti, armadj con libri eletti. Aveva poi anche il Borsieri nelle case di città qualche raccolta di marmi antichi. Ma Como può ripetere quel verso del Petrarca = Ben fera stella fu sotto ch'io nacqui = tutte si dispersero più volte le cose belle radunate da qualche egregio suo cittadino. Il Vescovo Archinti pria, poscia l'altro suo Vescovo Lazzaro Carafino lo spogliarono di molte iscrizioni che arricchirono Milano e Cremona. – Questo ritiro è stato soppresso. L'Editore.
12Paolo Giovio in principio del volume = Elogia Virorum literis illustrium = nella descrizione del Museo ad Ottavio Farnese fa cenno dell'isoletta = Insula exsurgit firmissimo pariete circumsepta, jucundaque eminentibus pomiferis arboribus.
13Larius Sigismondi Boldoni = Neque ego quemquam esse tam barbarum putarim, qui, si illac transiens surgentem novarum ædium molem aspexerit, atque inde disturbatos sæva pietate muros, et jacentem tot eruditorum operum congeriem et obliteratas imagines contempletur, lacrymas tam insigni ruina manantes tenere possit.
14Fra le inedite lettere del Borsieri ve ne hanno al geografo Magini, ed allo stesso abate Marco Gallio, e da quelle scopresi il furore che avea quell'abate di cancellare la memoria di Paolo e de' Giovj, cui pur doveasi la sorte della di lui famiglia. Così operò pure per Balbiano e a forza d'oro fece che qualche tedesco desse il nome d'Alvito alla celebre Isola Comacina. Nella pubblica biblioteca Comense de' Dottor Collegiati avvi un Codice della Storia Patria di Benedetto Giovio, e in più luoghi nel margine del libro in cui de' templi si tratta e de' chiostri, viene malmenato il Gallio, e in un passo quasi a colmo di delitto si aggiunge = qui etiam Jovianum Museum funditus evertit.
15Nella lettera al Domenichi del 1543 ai 17 luglio, e nell'altra al conte Agostino Landi del 20 del detto mese ed anno.
16Veggasi l'itinerario dello Scoto, e il Salmon, e più altri. Fra questi il conte Giambattista Giovio nell'elogio di Monsignor Paolo Giovio in tutta quella parte del testo che corrisponde alle note dall'ottantesima quinta alla centesima sesta.
17Qui ha principio la strada carrozzabile fatta costruire da S. A. R. la Principessa di Galles, e che termina alla di lei Villa d'Este dopo Cernobio. L'Editore.
18Veggasi il volume delle Ordinazioni Decurionali scorrente dal 1577 al 1581. Ivi sotto il 5 d'agosto del 1578 leggesi la concessione perchè quelle acque = Villæ Grumelli magnifice ædificatæ ad hilaritatem fere publicam, maximam sint allaturæ hilaritatem.
19Borsieri Descrizione manoscritta del territorio Comasco = Ballarini, Croniche pag. 316 = Rusca Luigi ne' suoi Madrigali sul Lario = Lettere di Francesco Vicedomini in Como pel Turato 1623, sul fin del volume.
20Lettera dei conte Abate Giambattista Roberti al cavaliere conte Giambattista Giovio, e risposta del medesimo sopra Giacomo da Ponte pittore detto il Bassan Vecchio. Lugano 1777 alla pag. 58 e seguenti.
21Ora villa deliziosa del sig. Configliachi Professore nell'I. R. Università di Pavia. L'Editore.
22Una questa è delle espressioni care e ghiotte adoperate dal conte Magalotti nella lettera, in cui descrisse con istile sì bello, la sua villa di Lonchio.
23Vedi la alla pag. 12. L'Editore.
24Presentemente la Villa d'Este di S. A. R. la Principessa di Galles. L'Editore.
25Nume assai poco noto, a cui Roma attribuì la sua salvezza, poichè favoleggiossi che parlasse fra il silenzio della notte, ed annunziasse ai Magistrati l'avvicinarsi dei Galli. Veggasi Tullio de Divinatione.
26Eccole. = Matronis P. Cæsius. Archigenes. V. S. L. M. = Jovi. O. M. P. Cæsius. Archigenes. V. S. L. M. Furon queste due memorie tra quelle raccolte dal Vescovo di Como Lazaro Carafino, e che poi da' suoi eredi vennero trasportate a Cremona. Ivi tuttora esistono con molte altre nostre, come può scorgersi dal volume del chiaro D. Isidoro Bianchi intitolato i Marmi Cremonesi, a cui potrebbe aggiungersi anche e Comaschi. Quai fossero le matrone è controversia lunga. Se fossero quelle i Genj delle donne, come ancor le Giunoni od altro, si disputa dagli eruditi, ma come anche il dottissimo marchese Maffei trovò tenebroso un tal punto, noi non pretenderemo di schiarirlo.
27È noto che i Romani avean prenome, nome e cognome, e in quell'ordine appunto che noi pronunziamo le parole Marco Tullio Cicerone, ovvero Cajo Plinio Secondo. Quindi scorgesi la debolezza di quelli, che per torci Plinio il naturalista, lo fanno pazzamente della famiglia Seconda, quando il Secondo non era nome di genti, ma cognome di persona.
28Si sa per altro, che poco i Greci restaron fra noi; pure il P. Stampa nella sua Accademia de' Nocchieri manoscritta accenna l'opinione.
29Bella prova potria darne la scuola di disegno, ch'era già stata destinata per ispecial privilegio a questa Valle dalla sovrana munificenza, non che il collegio di Laino che vi fiorì molti anni sotto la saggia direzione di quel Prevosto. L'Editore.
30Quest'isola tenuta più volte per inespugnabile e celebre tanto dal secolo VI al XII forse fu denominata Comacina fino dai tempi dell'itinerario di Antonino. Non ben si scopre navigando, mentre il di lei dorso confondesi colle montagne sorgenti sul vicin lido. In essa dell'antica grandezza sua nulla ora resta, e sola avvi una chiesa nel di lei colmo. Sarebbe lungo il riferire gli assedj gravissimi e le ostinate difese che la resero celebre a' tempi de' re longobardi e di Federico Imperador Barbarossa; laonde rimettiamo il curioso lettore a Paolo Diacono, al Sigonio nel regno d'Italia, al Muratori negli Annali, alla storia patria di Benedetto Giovio ed a quella del Marchese Rovelli, i quali hanno fatto cenno chi d'una, chi d'altra notizia. L'Editore.
31Fummi comunicata dal dotto padre abate Casati, a cui dobbiamo l'edizione delle latine lettere del Cicerejo, ossia Ciceri. Nella lapida dopo la parola consecravit, avvi scolpito un cuore, come appunto costumavano i Gentili nelle are che dedicavano agli Iddj. Questi cuori negli epitafi indicano talora la fine del vocabolo, ma talora anche l'intersecano. Ecco anche qui Genj e Matrone.
32Parole tratte dall'opera del Porcacchi impressa nel 1568 in Venezia da Gabriel Giolito de' Ferrari, ed intitolata la Nobiltà di Como. Libro secondo pagina 101. Veggasi pure Paolo Giovio Descriptio Larii.
33Il Giuspadronato è però laicale, e ne fu infatti ministro d'anni 12 nel 1720 il conte Francesco Giovio, nel 1710 Giambattista, nel 1662 Giulio padre, avo e bisavolo del cavaliere conte Giambattista. Quindi può anche rilevarsi l'inerudito errore del monaco Roberto Rusca, il quale credette che Leone X. facesse dono dell'ospedale di S. Maria Maddalena a Paolo Giovio. Vedasi l'elogio d'esso Paolo scritto dal conte G. B. Giovio alla nota 3 e 4, come pure l'elogio del Vescovo Paolo Giovio il giovane scritto dal medesimo autore in quella parte del testo che corrisponde alle note 57 e 58.
34Pauli Jovii Descriptio Larii Lacus = Balbianum, quod Insulæ suburbanum fuit, ubi Majorum nostrorum reliquias, fundum scilicet, et ruinosas magnificentiæ singularis ædes possidemus.
35N'è ora possessore il Conte Luigi Porro-Lambertenghi, il quale eresse non ha guari nella sua villa presso Fino la grande filanda de' bozzoli a vapori. L'Editore.
36Ora professore di fisica generale e sperimentale nell'I. R. Liceo di Como. L'Editore.
37Boldoni nel Lario dubita che la Commedia fosse a Lierna, ma soggiunge nisi Pauli Jovii doctissimi viri aliter sentientis auctoritas deterreret… summi viri auctoritatem, eruditionem, doctrinam atque illam cum optimis quibusque priscorum conferendam eloquentiam reveriti ultro manus damus atque illius coelessis hominis sententiæ acquiescimus. Vedi Plinio lettera VII. del libro IX. Da essa quanto non ricavasi a favore della sentenza di Paolo Giovio? Basta osservarvi la piacevole concavità di quel seno, di cui l'autore ragiona. Aggiungasi inoltre, che Lenno non era punto povero d'anticaglie, e infatti Boldoni istesso scrisse nel suo Lario = Durat adhuc incorruptum ab omni temporis contumelia… templum… Ratio igitur illius fani, non quæ nunc est, sed quam periti quique Architectorum fuisse conjectantur, antequam imperitorum manibus tangeretur, illa erat, quæ Vitruvio dicitur Peripteros, et a fronte et a tergo et a lateribus cincta porticibus… sed rudis et ignara posteritas apertis ad latera templi parietibus obstructisque pilaram intervallis interiores fecit, quæ prius exterius sitæ erant porticus, innumerasque ex marmore tabulas, quibus sepulchrorum epigrammata probatæ antiquitatis erant insculpta per summam vecordiam vel erasis vel commutatis litteris in propria epithaphia convertit.