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Come la donna ebbe i denari, così s’incominciarono le ’ndizioni a mutare; e dove prima era libera l’andata alla donna ogni volta che a Salabaetto era in piacere, così incominciaron poi a sopravenire delle cagioni per le quali non gli veniva delle sette volte l’una fatto il potervi entrare, né quel viso né quelle carezze né quelle feste più gli eran fatte che prima. E passato d’un mese e di due il termine, non che venuto, al quale i suoi denari riaver dovea, richiedendogli, gli eran date parole in pagamento. Laonde, avvedendosi Salabaetto dell’arte della malvagia femina e del suo poco senno e conoscendo che di lei niuna cosa più che le si piacesse di questo poteva dire, sì come colui che di ciò non aveva né scritta né testimonio, e vergognandosi di ramaricarsene con alcuno, sì perché n’era stato fatto avveduto dinanzi e sì per le beffe le quali meritamente della sua bestialità n’aspettava, dolente oltre modo seco medesimo la sua sciocchezza piagnea. E avendo da’ suoi maestri più lettere avute che egli quegli denari cambiasse e mandassegli loro, acciò che, non faccendolo egli, quivi non fosse il suo difetto scoperto, diliberò di partirsi: e in su un legnetto montato, non a Pisa, come dovea, ma a Napoli se ne venne.

Era quivi in quei tempi nostro compar Pietro dello Canigiano, trasorier di madama la ’mperatrice di Constantinopoli, uomo di grande intelletto e di sottile ingegno, grandissimo amico e di Salabaetto e de’ suoi: col quale, sì come con discretissimo uomo, dopo alcun giorno Salabaetto dolendosi raccontò ciò che fatto aveva e il suo misero accidente e domandogli aiuto e consiglio in fare che esso quivi potesse sostentar la sua vita, affermando che mai a Firenze non intendeva di ritornare.

Il Canigiano, dolente di queste cose, disse: «Male hai fatto, mal ti se’ portato, male hai i tuoi maestri ubiditi, troppi denari a un tratto hai spesi in dolcitudine: ma che? Fatto è, vuolsi vedere altro»; e, sì come avveduto uomo, prestamente ebbe pensato quello che era da fare e a Salabaetto il disse; al quale piacendo il fatto, si mise in avventura di volerlo seguire.

E avendo alcun denaio e il Canigiano avendonegli alquanti prestati, fece molte balle ben legate e ben magliate; e comperate da venti botti da olio e empiutele e caricato ogni cosa, se ne tornò in Palermo. E il legaggio delle balle dato a’ doganieri e similmente il costo delle botti e fatto ogni cosa scrivere a sua ragione, quelle mise ne’ magazzini, dicendo che infino che altra mercatantia, la quale egli aspettava, non veniva, quelle non voleva toccare. Iancofiore, avendo sentito questo e udendo che ben dumilia fiorin d’oro valeva o più quello che al presente aveva recato, senza quello che egli aspettava che valeva più di tremilia, parendole aver tirato a pochi, pensò di restituirgli i cinquecento per potere avere la maggior parte de’ cinquemilia; e mandò per lui.

Salabaetto divenuto malizioso v’andò; al quale ella, faccendo vista di niente sapere di ciò che recato s’avesse, fece maravigliosa festa e disse: «Ecco, se tu fossi crucciato meco perché io non ti rende’ così al termine i tuoi denari…?»

Salabaetto cominciò a ridere e disse: «Madonna, nel vero egli mi dispiacque bene un poco, sì come a colui che mi trarrei il cuor per darlovi, se io credessi piacervene; ma io voglio che voi udiate come io son crucciato con voi. Egli è tanto e tale l’amor che io vi porto, che io ho fatto vendere la maggior parte delle mie possessioni: e ho al presente recata qui tanta mercatantia che vale oltre a dumilia fiorini e aspettone di Ponente tanta che varrà oltre a tremilia; e intendo di fare in questa terra un fondaco e di starmi qui per esservi sempre presso, parendomi meglio stare del vostro amore che io creda che stea alcuno innamorato del suo.»

A cui la donna disse: «Vedi, Salabaetto, ogni tuo acconcio mi piace forte, sì come di quello di colui il quale io amo più che la vita mia, e piacemi forte che tu con intendimento di starci tornato ci sii, però che spero d’avere ancora assai di buon tempo con teco; ma io mi ti voglio un poco scusare che, di quei tempi che tu te n’andasti, alcune volte ci volesti venire e non potesti, e alcune ci venisti e non fosti così lietamente veduto come solevi, e oltre a questo di ciò che io al termine promesso non ti rendei i tuoi denari. Tu dei sapere che io era allora in grandissimo dolore e in grandissima afflizione, e chi è in così fatta disposizione, quantunque egli ami molto altrui, non gli può far così buon viso né attendere tuttavia a lui come colui vorrebbe: e appresso dei sapere ch’egli è molto malagevole a una donna il poter trovar mille fiorin d’oro, e sonci tutto il dì dette delle bugie e non c’è attenuto quello che c’è promesso e per questo conviene che noi altressì mentiamo altrui; e di quinci venne, e non da altro difetto, che io i tuoi denari non ti rendei. Ma io gli ebbi poco appresso la tua partita: e se io avessi saputo dove mandargliti, abbi per certo che io te gli avrei mandati; ma perché saputo non l’ho, gli t’ho guardati.» E fattasi venire una borsa dove erano quegli medesimi che esso portati l’avea, gliele pose in mano e disse: «Annovera se son cinquecento.»

Salabaetto non fu mai sì lieto, e annoveratigli e trovatigli cinquecento e ripostigli, disse: «Madonna, io conosco che voi dite vero, ma voi n’avete fatto assai: e dicovi che per questo e per l’amore che io vi porto voi non ne vorreste da me per niun vostro bisogno quella quantità che io potessi fare , che io non ve ne servissi; e come io ci sarò acconcio voi ne potrete essere alla pruova.» E in questa guisa reintegrato con lei l’amore in parole, rincominciò Salabaetto vezzatamente a usar con lei, e ella a fargli i maggior piaceri e i maggiori onori del mondo, e a mostrargli il maggiore amore.

Ma Salabaetto, volendo col suo inganno punire lo ’nganno di lei, avendogli ella il dì mandato che egli a cena e a albergo con lei andasse, v’andò tanto malinconoso e tanto tristo, che egli pareva che volesse morire. Iancofiore, abbracciandolo e basciandolo, lo ’ncominciò a domandare perché egli questa malinconia avea. Egli, poi che una buona pezza s’ebbe fatto pregare, disse: «Io son diserto per ciò che il legno, sopra il quale è la mercatantia che io aspettava, è stato preso da’ corsari di Monaco e riscattasi diecemilia fiorin d’oro, de’ quali ne tocca a pagare a me mille, e io non ho un denaio, per ciò che li cinquecento che mi rendeste incontanente mandai a Napoli a investire in tele per far venir qui. E se io vorrò al presente vendere la mercatantia la quale ho qui, per ciò che non è tempo, appena che io abbia delle due derrate un danaio; e io non ci sono sì ancora conosciuto che io ci trovassi chi di questo mi sovenisse, e per ciò io non so che mi fare né che mi dire; e se io non mando tosto i denari, la mercatantia ne fia portata a Monaco e non ne riavrò mai nulla.»

La donna, forte crucciosa di questo, sì come colei alla quale tutto il pareva perdere, avvisando che modo ella dovesse tenere acciò che a Monaco non andasse, disse: «Dio il sa che ben me ne incresce per tuo amore: ma che giova il tribolarsene tanto? Se io avessi questi denari, sallo Idio che io gli ti presterei incontanente, ma io no’ gli ho. È il vero che egli ci è alcuna persona il quale l’altrieri mi servì de’ cinquecento che mi mancavano, ma grossa usura ne vuole, ché egli non ne vuol meno che a ragione di trenta per centinaio; se da questa cotal persona tu gli volessi, converrebbesi far sicuro di buon pegno, e io per me sono acconcia d’impegnar per te tutte queste robe e la persona per tanto quanto egli ci vorrà su prestare, per poterti servire: ma del rimanente come il sicurerai tu?»

Conobbe Salabaetto la cagione che movea costei a fargli questo servigio e accorsesi che di lei dovevano essere i denari prestati; il che piacendogli, prima la ringraziò, e appresso disse che già per pregio ingordo non lascerebbe, strignendolo il bisogno; e poi disse che egli il sicurerebbe della mercatantia la quale aveva in dogana, faccendola scrivere in colui che i denar gli prestasse, ma che egli voleva guardare la chiave de’ magazzini, sì per potere mostrare la sua mercatantia se richesta gli fosse e sì acciò che niuna cosa gli potesse essere tocca o tramutata o scambiata. La donna disse che questo era ben detto, e era assai buona sicurtà; e per ciò, come il dì fu venuto, ella mandò per un sensale di cui ella si confidava molto e, ragionato con lui questo fatto, gli diè mille fiorin d’oro li quali il sensale prestò a Salabaetto e fece in suo nome scrivere alla dogana ciò che Salabaetto dentro v’avea; e fattesi loro scritte e contrascritte insieme e in concordia rimasi, attesero a’ loro altri fatti.

Salabaetto, come più tosto poté montato in su un legnetto, con millecinquecento fiorini d’oro a Pietro dello Canigiano se ne tornò a Napoli, e di quindi buona e intera ragione rimandò a Firenze a’ suoi maestri che co’ panni l’avevan mandato. E pagato Pietro e ogni altro a cui alcuna cosa doveva, più dì col Canigiano si diè buon tempo dello inganno fatto alla ciciliana; poi di quindi, non volendo più mercatante essere, se ne venne a Ferrara.

Iancofiore, non trovandosi Salabaetto in Palermo, s’incominciò a maravigliare e divenire sospettosa; e poi che ben due mesi aspettato l’ebbe, veggendo che non veniva, fece che il sensale fece schiavare i magazzini. E primieramente tastate le botti che si credeva che piene d’olio fossero, trovò quelle esser piene d’acqua marina, avendo in ciascuna forse un baril d’olio di sopra vicino al cocchiume; poi, sciogliendo le balle, tutte, fuori che due che panni erano, piene le trovò di capecchio; e in brieve, tra ciò che v’era, non valeva oltre a dugento fiorini. Di che Iancofiore tenendosi scornata, lungamente pianse i cinquecento renduti e troppo più i mille prestati, spesse volte dicendo: «Chi ha a far con tosco, non vuole esser losco.» E così, rimasasi col danno e con le beffe, trovò che tanto seppe altri quanto altri.

 

CONCLUSIONE

Come Dioneo ebbe la sua novella finita, così Lauretta, conoscendo il termine esser venuto oltre al quale più regnar non dovea, commendato il consiglio di Pietro Canigiano che apparve dal suo effetto buono e la sagacità di Salabaetto che non fu minore a mandarlo a essecuzione, levatasi la laurea di capo, in testa a Emilia la pose donnescamente dicendo: – Madonna, io non so come piacevole reina noi avrem di voi, ma bella la pure avrem noi: fate adunque che alle vostre bellezze l’opere sien rispondenti —; e tornossi a sedere.

Emilia, non tanto dell’esser reina fatta quanto del vedersi così in publico commendare di ciò che le donne sogliono esser più vaghe, un pochetto si vergognò e tal nel viso divenne quali in su l’aurora son le novelle rose; ma pur, poi che tenuti ebbe gli occhi alquanto bassi e ebbe il rossor dato luogo, avendo col suo siniscalco de’ fatti pertinenti alla brigata ordinato, così cominciò a parlare: – Dilettose donne, assai manifestamente veggiamo che, poi che i buoi alcuna parte del giorno hanno faticato sotto il giogo ristretti, quegli esser dal giogo alleviati e disciolti, e liberamente dove lor più piace, per li boschi lasciati sono andare alla pastura: e veggiamo ancora non esser men belli ma molto più i giardini di varie piante fronzuti che i boschi ne’ quali solamente querce veggiamo; per le quali cose io estimo, avendo riguardo quanti giorni sotto certa legge ristretti ragionato abbiamo, che, sì come a bisognosi, di vagare alquanto e vagando riprender forze a rientrar sotto il giogo non solamente sia utile ma oportuno. E per ciò quello che domane, seguendo il vostro dilettevole ragionar, sia da dire non intendo di ristrignervi sotto alcuna spezialtà, ma voglio che ciascuno secondo che gli piace ragioni, fermamente tenendo che la varietà delle cose che si diranno non meno graziosa ne fia che l’avere pur d’una parlato; e così avendo fatto, chi appresso di me nel reame verrà, sì come più forti, con maggior sicurtà ne potrà nell’usate leggi ristrignere. – E detto questo, infino all’ora della cena libertà concedette a ciascuno.

Comendò ciascun la reina delle cose dette sì come savia; e in piè drizzatisi, chi a un diletto e chi a un altro si diede: le donne a far ghirlande e a trastullarsi, i giovani a giucare e a cantare; e così infino all’ora della cena passarono. La quale venuta, intorno alla bella fontana con festa e con piacer cenarono, e dopo la cena al modo usato cantando e ballando si trastullarono. Alla fine la reina, per seguire de’ suoi predecessori lo stilo, non obstanti quelle che volontariamente avean dette più di loro, comandò a Panfilo che una ne dovesse cantare; il quale liberamente così cominciò:

 
Tanto è, Amore, il bene
ch’io per te sento, e l’allegrezza e ’l gioco,
ch’io son felice ardendo nel tuo foco.
L’abondante allegrezza ch’è nel core,
dell’alta gioia e cara
nella qual m’hai recato,
non potendo capervi esce di fore,
e nella faccia chiara
mostra mio lieto stato;
ch’essendo innamorato
in così alto e raguardevol loco,
lieve mi fa lo star dov’io mi coco.
Io non so col mio canto dimostrare,
né disegnar col dito,
Amore, il ben ch’io sento;
e s’io sapessi, mel convien celare;
ché, s’el fosse sentito,
torneria in tormento:
ma io son sì contento,
ch’ogni parlar sarebbe corto e fioco
pria n’avessi mostrato pure un poco.
Chi potrebbe estimar che le mie braccia
aggiugnesser già mai
là dov’io l’ho tenute,
e ch’io dovessi giugner la mia faccia
là dov’io l’accostai
per grazia e per salute?
Non mi sarien credute
le mie fortune; ond’io tutto m’infoco,
quel nascondendo ond’io m’allegro e gioco.
 

La canzone di Panfilo aveva fine, alla quale quantunque per tutti fosse compiutamente risposto, niun ve n’ebbe che, con più attenta sollecitudine che a lui non apparteneva, non notasse le parole di quella, ingegnandosi di quello volersi indovinare che egli di convenirgli tener nascoso cantava; e quantunque varii varie cose andassero imaginando, niun per ciò alla verità del fatto pervenne. Ma la reina, poi che vide la canzon di Panfilo finita e le giovani donne e gli uomini volentier riposarsi, comandò che ciascuno se n’andasse a dormire.

GIORNATA NONA

FINISCE L’OTTAVA GIORNATA DEL DECAMERON: INCOMINCIA LA NONA, NELLA QUALE, SOTTO IL REGGIMENTO D’EMILIA, SI RAGIONA CIASCUNO SECONDO CHE GLI PIACE E DI QUELLO CHE PIÙ GLI AGRADA.


INTRODUZIONE

La luce, il cui splendore la notte fugge, aveva già l’ottavo cielo d’azzurrino in color cilestro mutato tutto, e cominciavansi i fioretti per li prati a levar suso, quando Emilia levatasi fece le sue compagne e i giovani parimente chiamare; li quali venuti e appresso alli lenti passi della reina avviatisi, infino a un boschetto non guari al palagio lontano se n’andarono, e per quello entrati, videro gli animali, sì come cavriuoli, cervi e altri, quasi sicuri da’ cacciatori per la soprastante pistolenzia, non altramenti aspettargli che se senza tema o dimestichi fossero divenuti. E ora a questo e ora a quell’altro appressandosi, quasi giugnere gli dovessero, faccendogli correre e saltare, per alcuno spazio sollazzo presero: ma già inalzando il sole, parve a tutti di ritornare.

Essi eran tutti di frondi di quercia inghirlandati, con le man piene o d’erbe odorifere o di fiori; e chi scontrati gli avesse, niuna altra cosa avrebbe potuto dire se non: «O costor non saranno dalla morte vinti o ella gli ucciderà lieti.» Così adunque, piede innanzi piè venendosene, cantando e cianciando e motteggiando, pervennero al palagio, dove ogni cosa ordinatamente disposta e li lor famigliari lieti e festeggianti trovarono. Quivi riposatisi alquanto, non prima a tavola andarono che sei canzonette più liete l’una che l’altra da’ giovani e dalle donne cantate furono. Appresso alle quali, data l’acqua alle mani, tutti secondo il piacere della reina gli mise il siniscalco a tavola, dove, le vivande venute, allegri tutti mangiarono: e da quello levati, al carolare e al sonare si dierono per alquanto spazio, e poi, comandandolo la reina, chi volle s’andò a riposare. Ma già l’ora usitata venuta, ciascuno nel luogo usato s’adunò a ragionare, dove la reina, a Filomena guardando, disse che principio desse alle novelle del presente giorno; la quale sorridendo cominciò in questa guisa.

NOVELLA PRIMA

Madonna Francesca, amata da un Rinuccio e da uno Alessandro, e niuno amandone, col fare entrare l’un per morto in una sepoltura e l’altro quello trarne per morto, non potendo essi venire al fine imposto, cautamente se gli leva da dosso.

Madonna, assai m’agrada, poi che vi piace, che per questo campo aperto e libero, nel quale la vostra magnificenzia n’ha messi, del novellare, d’esser colei che corra il primo aringo: il quale se ben farò, non dubito che quegli che appresso verranno non facciano bene e meglio. Molte volte s’è, o vezzose donne, ne’ nostri ragionamenti mostrato quante e quali sieno le forze d’amore; né però credo che pienamente se ne sia detto né sarebbe ancora, se di qui a uno anno d’altro che di ciò non parlassimo: e per ciò che esso non solamente a varii dubbii di dover morire gli amanti conduce ma quegli ancora a entrare nelle case de’ morti per morti tira, m’agrada di ciò raccontarvi, oltre a quelle che dette sono, una novella nella quale non solamente la potenzia d’amore comprenderete, ma il senno da una valorosa donna usato a torsi da dosso due, che contro al suo piacere l’amavan, cognoscerete.

Dico adunque che nella città di Pistoia fu già una bellissima donna vedova, la qual due nostri fiorentini, che per aver bando di Firenze dimoravano, chiamati l’uno Rinuccio Palermini e l’altro Alessandro Chiarmontesi, senza sapere l’uno dell’altro, per caso di costei presi, sommamente amavano, operando cautamente ciascuno ciò che per lui si poteva a dovere l’amor di costei acquistare. E essendo questa gentil donna, il cui nome fu madonna Francesca de’ Lazzari, assai sovente stimolata da ’mbasciate e da prieghi di ciascun di costoro, e avendo ella a esse men saviamente più volte gli orecchi porti e volendosi saviamente ritrarre e non potendo, le venne, acciò che la loro seccaggine si levasse da dosso, un pensiero: e quel fu di volergli richiedere d’un servigio il quale ella pensò niuno dovergliele fare, quantunque egli fosse possibile, acciò che, non faccendolo essi, ella avesse onesta o colorata ragione di più non volere le loro ambasciate udire; e ’l pensiero fu questo.

Era, il giorno che questo pensiero le venne, morto in Pistoia uno il quale, quantunque stati fossero i suoi passati gentili uomini, era riputato il piggiore uomo che, non che in Pistoia, ma in tutto il mondo fosse; e oltre a questo vivendo era sì contrafatto e di sì divisato viso, che chi conosciuto non l’avesse, vedendol da prima, n’avrebbe avuta paura. E era stato sotterrato in uno avello fuori della chiesa de’ frati minori; il quale ella avvisò dovere in parte essere grande acconcio del suo proponimento.

Per la qual cosa ella disse a una sua fante: «Tu sai la noia e l’angoscia la quale io tutto il dì ricevo dell’ambasciate di questi due fiorentini, da Rinuccio e da Allessandro. Ora io non son disposta a dover loro del mio amor compiacere e per torglimi da dosso m’ho posto in cuore, per le grandi proferte che fanno, di volergli in cosa provare la quale io son certa che non faranno, e così questa seccaggine torrò via: e odi come. Tu sai che istamane fu sotterato al lugo de’ frati minori lo Scannadio» così era chiamato quel reo uomo di cui di sopra dicemmo «del quale, non che morto ma vivo, i più sicuri uomini di questa terra, vedendolo, avevan paura; e però tu te n’andrai segretamente in prima a Alessandro e sì gli dirai: «Madonna Francesca ti manda dicendo che ora è venuto il tempo che tu puoi avere il suo amore, il quale tu hai cotanto disiderato, e esser con lei, dove tu vogli, in questa forma. A lei dee, per alcuna cagione che tu poi saprai, questa notte esser da un suo parente recato a casa il corpo di Scannadio che stamane fu sepellito: e ella, sì come quella che ha di lui, così morto come egli è, paura, nol vi vorrebbe. Per che ella ti priega, in luogo di gran servigio, che ti debba piacere d’andare stasera in sul primo sonno e entrare in quella sepoltura dove Scannadio è sepellito, e metterti i suo’ panni indosso e stare come se tu desso fossi infino a tanto che per te sia venuto, e senza alcuna cosa dire o motto fare di quella trarre ti lasci e recare a casa sua, dove ella ti riceverà, e con lei poi ti starai e a tua posta ti potrai partire, lasciando del rimanente il pensiero a lei». E se egli dice di volerlo fare, bene sta; dove dicesse di non volerlo fare, sì gli di’ da mia parte che più dove io sia non apparisca e, come egli ha cara la vita, si guardi che più né messo né ambasciata mi mandi. E appresso questo, te n’andrai a Rinuccio Palermini e sì gli dirai: «Madonna Francesca dice che è presta di volere ogni tuo piacer fare, dove tu a lei facci un gran servigio, cioè che tu stanotte in su la mezzanotte te ne vadi all’avello dove fu stamane sotterrato Scannadio, e lui, senza dire alcuna parola di cosa che tu oda o senta, tragghi di quello soavemente e rechigliele a casa. Quivi perché ella el voglia vedrai e di lei avrai il piacer tuo; e dove questo non ti piaccia di fare, ella infino a ora t’impone che tu mai più non le mandi né messo né ambasciata.»

La fante n’andò a amenduni e ordinatamente a ciascuno, secondo che imposto le fu, disse: alla quale risposto fu da ognuno che non che in una sepoltura ma in Inferno andrebber, quando le piacesse. La fante fé la risposta alla donna, la quale aspettò di vedere se sì fossero pazzi che essi il facessero.

Venuta adunque la notte e essendo già primo sonno, Alessandro Chiarmontesi spogliatosi in farsetto, uscì di casa sua per andare a stare in luogo di Scannadio nell’avello; e andando gli venne un pensier molto pauroso nell’animo, e cominciò a dir seco: «Deh, che bestia sono io? dove vo io? o che so io se i parenti di costei, forse avvedutisi che io l’amo, credendo essi quel che non è, le fanno far questo per uccidermi in quello avello? Il che se avvenisse, io m’avrei il danno, né mai cosa del mondo se ne saprebbe che lor nocesse. O che so io se forse alcun mio nemico questo m’ha procacciato, il quale ella forse amando, di questo il vuol servire?» E poi dicea: «Ma pogniam che niuna di queste cose sia, e che pure i suoi parenti a casa di lei portar mi debbano; io debbo credere che essi il corpo di Scannadio non vogliono per doverlosi tenere in braccio o metterlo in braccio a lei, anzi si dee credere che essi ne voglian fare qualche strazio, sì come di colui che forse già d’alcuna cosa gli diservì. Costei dice che di cosa che io senta io non faccia motto: o se essi mi cacciasser gli occhi o mi traessero i denti o mozzassermi le mani o facessermi alcuno altro così fatto giuoco, a che sare’ io? come potre’ io star cheto? E se io favello, e’ mi conosceranno e per avventura mi faranno male; ma come che essi non me ne facciano, io non avrò fatto nulla, ché essi non mi lasceranno con la donna; e la donna dirà poi che io abbia rotto il suo comandamento e non farà mai cosa che mi piaccia.»

 

E così dicendo fu tutto che tornato a casa: ma pure grande amore il sospinse innanzi con argomenti contrarii a questi e di tanta forza, che all’avello il condussero; il quale egli aperse, e entratovi dentro e spogliato Scannadio e sé rivestito e l’avello sopra sé richiuso e nel lugo di Scannadio postosi, gl’incominciò a tornare a mente chi costui era stato e le cose che già aveva udite dire che di notte erano intervenute non che nelle sepolture de’ morti ma ancora altrove. Tutti i peli gli s’incominciarono a arricciare addosso, e parevagli tratto tratto che Scannadio si dovesse levar ritto e quivi scannar lui. Ma da fervente amore aiutato, questi e gli altri paurosi pensier vincendo, stando come se egli il morto fosse, cominciò a aspettare che di lui dovesse intervenire.

Rinuccio, appressandosi la mezzanotte, uscì di casa sua per far quello che dalla sua donna gli era stato mandato a dire; e andando, in molti e varii pensieri entrò delle cose possibili a intervenirgli, sì come di poter col corpo, sopra le spalle, di Scannadio venire alle mani della signoria e esser come malioso condennato al fuoco, o di dovere, se egli si risapesse, venire in odio de’ suoi parenti, e d’altri simili, da’ quali tutto che rattenuto fu. Ma poi rivolto disse: «Deh, dirò io di no della prima cosa che questa gentil donna, la quale io ho cotanto amata e amo, m’ha richesto, e spezialmente dovendone la sua grazia acquistare? Non ne dovess’io di certo morire, che io non me ne metta a far ciò che promesso l’ho»; e andato avanti giunse alla sepoltura e quella leggiermente aperse.

Alessandro sentendola aprire, ancora che gran paura avesse, stette pur cheto. Rinuccio entrato dentro, credendosi il corpo di Scannadio prendere, prese Alessandro pe’ piedi e lui fuor ne tirò e in su le spalle levatoselo verso la casa della gentil donna cominciò a andare; e così andando e non riguardandolo altramenti, spesse volte il percoteva ora in un canto e ora in uno altro d’alcune panche che allato alla via erano; e la notte era sì buia e sì oscura che egli non poteva discernere ove s’andava. E essendo già Rinuccio a piè dell’uscio della gentil donna, la quale alle finestre con la sua fante stava per sentire se Rinuccio Alessandro recasse, già da sé armata in modo da mandargli ammendun via, avvenne che la famiglia della signoria, in quella contrada ripostasi e chetamente standosi aspettando di dover pigliare uno sbandito, sentendo lo scalpiccio che Rinuccio co’ piè faceva, subitamente tratto fuori un lume per veder che si fare e dove andarsi e mossi i pavesi e le lance gridò: «Chi è là?» La quale Rinuccio conoscendo, non avendo tempo da troppo lunga diliberazione, lasciatosi cadere Alessandro, quanto le gambe nel poteron portare andò via. Alessandro levatosi prestamente, con tutto che i panni del morto avesse indosso, li quali erano molto lunghi, pure andò via altressì.

La donna, per lo lume tratto fuori dalla famiglia, ottimamente veduto aveva Rinuccio con Alessandro dietro alle spalle e similmente aveva scorto Alessandro esser vestito de’ panni di Scannadio; e maravigliossi molto del grande ardir di ciascuno, ma con tutta la maraviglia rise assai del veder gittar giuso Alessandro e del vedergli poscia fuggire. E essendo di tale accidente molto lieta e lodando Idio che dallo ’mpaccio di costoro tolta l’avea, se ne tornò dentro e andossene in camera, affermando con la fante senza alcun dubbio ciascun di costoro amarla molto, poscia quello avevan fatto, sì come appariva, che ella loro aveva imposto.

Rinuccio, dolente e bestemmiando la sua sventura, non se ne tornò a casa per tutto questo ma, partita di quella contrada la famiglia, colà tornò dove Alessandro aveva gittato e cominciò brancolone a cercare se egli il ritrovasse per fornire il suo servigio; ma non trovandolo e avvisando la famiglia quindi averlo tolto, dolente a casa se ne tornò. Alessandro non sappiendo altro che farsi, senza aver conosciuto chi portato se l’avesse, dolente di tale sciagura similmente a casa sua se n’andò.

La mattina, trovata aperta la sepoltura di Scannadio né dentro vedendovisi, per ciò che nel fondo l’aveva Alessandro voltato, tutta Pistoia ne fu in varii ragionamenti, estimando gli sciocchi lui da’ diavoli essere stato portato via. Nondimeno ciascun de’ due amanti, significato alla donna ciò che fatto avea e quello che era intervenuto e con questo scusandosi se fornito non avean pienamente il suo comandamento, la sua grazia e il suo amore adimandava. La qual mostrando a niun ciò voler credere, con recisa risposta di mai per loro niente voler fare, poi che essi ciò che essa adomandato avea non avean fatto, se gli tolse da dosso.