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Istoria civile del Regno di Napoli, v. 7

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CAPITOLO IV
Come si fosse introdotta in Napoli l'arte della stampa e suo incremento. Come da ciò ne nascesse la proibizione de' libri, ovvero la licenza per istampargli; e quali abusi si fossero introdotti, così intorno alla proibizione, come intorno alla revisione de' medesimi

Ma quello di che Napoli e 'l Regno, e tutti gli uomini di lettere devono più lodarsi di questo Principe, fu d'essere stato egli il primo che introdusse in Napoli l'arte della stampa. Ferdinando fu un Principe non pur amante delle lettere, ma fu egli ancora letteratissimo; onde è, che nel suo Regno fiorissero tanti letterati in ogni professione, come diremo. Erasi l'arte dello stampare trovata nel principio di questo secolo verso l'anno 1428. Ma se deve prestarsi fede a Polidoro Virgilio, fu inventata nel 1451 da Giovanni Gutimbergo Germano, il quale in Erlem città d'Olanda cominciò ad introdurla. Si divolgò poi nelle città di Germania e nella vicina Francia. Due fratelli alemani, secondo scrive il Volaterrano, la portarono in Italia nell'anno 1458; uno andò in Venezia, l'altro in Roma, ed i primi libri che si stamparono in Roma, furono quelli di S. Agostino De Civitate Dei, e le Divine Istituzioni di Lattanzio Firmiano. Non guari da poi fu fatta introdurre in Napoli dal Re Ferdinando. Il Passaro narra, che nell'anno 1473 Arnaldo di Brassel Fiammengo la portasse, il quale accolto dal Re con molti segni di stima, gli concedè molte prerogative e franchigie. Altri rapportano che nell'anno 1471 fra noi l'introducesse un Sacerdote d'Argentina chiamato Sisto Rusingeno28. Che che ne sia, Ferdinando accolse i professori, e fece porre in opra la loro arte, onde s'incominciarono in Napoli a stampar libri. Fra i primi libri che qui s'imprimessero, furono i Commentarj sopra il secondo libro del Codice del famoso Antonio d'Alessandro; ed i libri di Angelo Catone di Supino, Lettor pubblico di Filosofia in Napoli, e Medico del Re Ferrante, il quale avendo emendato ed accresciuto il libro delle Pandette della medicina di Matteo Silvatico di Salerno dedicato al Re Roberto, lo fece stampare in Napoli nel 1474 da questo tedesco, che poco prima avea quivi da Germania portata la stampa29. Indi di mano in mano se ne stamparono degli altri, come l'opere d'Anello Arcamone sopra le Costituzioni del Regno e di tanti altri.

(Di queste prime stampe fatte in Napoli non se ne dimenticò l'Autore degli Annali Tipografici, rapportandole alla pag. 454).

Venne poi Carlo VIII in Italia ed avendo conquistato il Regno di Napoli, dimorando qui per sei mesi, quanto appunto lo tenne, alcuni Maestri francesi esperti in quest'arte subito vi si condussero e la ripulirono assai, riducendola in miglior forma, e rimase non così rozza com'era prima. Così tratto tratto, come suole avvenire di tutte le altre arti, si ridusse fra noi in forma più nobile, siccome si vede dall'impressione di alcuni libri fatti a questi tempi e fra gli altri dell'Arcadia del Sannazaro, che Pietro Summonte suo amico, mentre l'Autore seguendo la fortuna del Re Federico suo Signore dimorava in Francia, essendosi in Venezia due volte stampata piena d'errori e scorrettissima, la fece ristampare in Napoli in carta finissima e di buoni caratteri; e pure il Summonte si scusava col Cardinal d'Aragona a cui la dedicò, se la stampa non era di quella bellezza, la qual altra volta vi solea essere, e secondo per l'altre più quiete città d'Italia si costumava allora; poichè trovandosi Napoli per le rivoluzioni di guerra difformata, appena avea potuto avere comodità di quel carattere.

Ma venuto da poi in Napoli l'Imperador Carlo V ai conforti ed istanze del famoso Agostino Nifo da Sessa celebre Filosofo e Medico dell'Imperadore e suo famigliare, fu questa arte favorita molto più, e posta in maggior polizia e nettezza; poichè questo Imperadore nel 1536 concedè alla medesima, ed a' suoi professori grandi privilegi e franchigie, facendogli esenti da qualunque gabella, dogana o altro pagamento, tanto per la carta bianca che serve per la stampa de' libri e figure, quanto per tutte quelle cose che bisognano a perfezionarla; del qual privilegio, oltre il Summonte30, ne rendono testimonianza fra' nostri Scrittori, Toro31 ed il Consigliere Altimari32. Tanto che per li favori di questo Principe s'accrebbero in Napoli le stamperie: ed i letterati, vedendosi cotanto favoriti, s'ingegnarono mandare i parti de' loro ingegni in istampa; ed imprimendosi i libri degli Antichi, che prima scritti a penna, ed in membrane erano rari e non per tutti, recò ad essi grandissimo giovamento, non solo per aver libri con facilità, ma anche ben corretti. Quindi si videro fiorire per l'Accademie e crescer il numero de' letterati non solo in Napoli, ma nelle altre città del Regno, ove furon ancora introdotte le stamperie, come nell'Aquila, in Lecce, in Cosenza, in Bari, in Benevento ed in alcune altre. E l'edizioni riuscivan perfettissime in carte finissime e d'ottimi caratteri, come si può vedere da alcuni libri stampati in quei tempi, e fra gli altri dalle poesie di Bernardino Rota, dall'opere legali di Cesare Costa Arcivescovo di Capua e di tante altre, delle cui prime edizioni se ne veggono moltissime nella libreria di S. Domenico Maggiore di questa città.

Siccome la invenzione di quest'arte fu riputata a questi tempi la più utile e necessaria per lo commercio delle lettere, così ancora ne' susseguenti tempi venne ad apportarci danno; poichè gli uomini dati alla lezione di tanti libri che uscivano, caricavano sì bene la lor memoria d'infinite erudizioni, ma la riflessione mancava; onde non si videro, se non rari uomini di ingegno grande, e che facendo buon uso de' loro talenti, avessero potuto per se medesimi stendere le cognizioni e le scienze. Ancora presso di noi, nel precedente secolo, cominciò a recarci degli altri incomodi e delle confusioni: poichè tutti pretendendo esser dotti e savj, vedendo la facilità della stampa e la poca spesa che vi bisognava, venne uno stimolo universale agli uomini di lettere di stampar ciò che loro usciva di capo di penna in qualunque professione: onde nel secolo 17 si videro in istampa infiniti volumi impressi per la maggior parte da' Frati e da' Legisti, per lo più insipidi e pieni di cose vane ed inutili. Gli Stampatori davano loro fomento, e fecero, per non isgomentargli della spesa, fabbricar una carta d'inferior qualità, della quale regolarmente si servivano nella impressione de' loro libri, che poi chiamarono carta di stampa. Ma perciò non si tralasciarono da' più culti le edizioni in carte finissime e di ottimi caratteri. Tanto ha bastato all'avidità ed ingordigia de' pubblicani de' nostri tempi, che con tutto che l'Imperador Carlo V avesse conceduto privilegio di franchigia agli Stampatori per la carta bianca che dovea lor servire per uso di stampa, di pretendere che questa franchigia di dogana e d'ogni altra gabella dovesse ristringersi per la carta di stampa, non già ad altre carte di miglior qualità: quasichè in queste non si potesse stampare, ovvero prima d'introdursi questa diversità di carte, non si fosse stampato in carta finissima, ed in tutti i tempi dai più culti letterati non si fosse quella adoperata.

§. I. Abusi intorno alle licenze di stampare e di proibire i libri

Il buon uso della stampa, che produsse al Mondo tanti comodi ed utilità, per la pravità degli Autori, e per la facilità e prontezza che molti aveano di pubblicare ciò che loro usciva dalla penna, si converti da poi in un altro mal uso. L'eresia di Lutero che sparsa per la Germania minacciava le altre parti di Europa, per questa via della stampa si disseminava per varj libri: onde bisognò che i Principi vi ponessero occhio, e regolassero colle loro leggi l'uso di quella. I Pontefici romani vi badarono assai più e con maggiore oculatezza, come quelli che colla libertà della stampa potevano ricevere maggior danno che i Principi secolari: per ciò, e dagli uni e dagli altri, furon in diversi tempi, dopo essersi quest'arte introdotta, fatte molte proibizioni e divieti.

Ma i Pontefici romani tentarono anche da poi sopra ciò far delle sorprese; poichè pretesero che di lor sulamente fosse il proibire le stampe, anche con pene temporali, e conceder le licenze per le impressioni. Il Cardinal Baronio nel XII tomo de' suoi Annali, scrivendo per la propria causa, quando da Filippo III gli fu proibito il suo tomo XI nel quale, quando men dovea, volle combatter la Monarchia di Sicilia, fu il primo a dirlo arditamente33. Ma essendosegli dato da quel Principe conveniente gastigo, niuno ardì difendere l'impresa del Cardinale; poichè, siccome fu da noi rapportato nel secondo libro di quest'istoria, l'antica disciplina della Chiesa era, che trattandosi di Religione, la censura apparteneva a' Vescovi, ma la proibizione al Principe. Gl'Imperadori, dopo la censura de' Vescovi o del Concilio, proibivano con pene temporali i libri degli Eretici e gli condennavano al fuoco: di che nel Codice Teodosiano abbiamo molti esempj. l Padri del Concilio Niceno I dannarono i Codici d'Ario; e poi Costantino M. fece editto proibendogli, e condennandogli ad essere bruciati; e lo stesso fu fatto de' libri di Porfirio34. I Padri del Concilio Efesino dannarono gli scritti di Nestorio, e l'Imperadore promulgò legge proibendone la lezione e la difesa35. Il Concilio di Calcedonia condennò gli scritti d'Eutiche: e gl'Imperadori Valentiniano e Marciano feron legge, dannandogli ad esser bruciati36. Il medesimo fu praticato da Carlo M.37, e così dagli altri Principi ancora ne' loro dominj. E per non andar tanto lontano, Carlo V nel 1550 promulgò in Brusselles un terribile editto contro i Luterani, nel quale, fra le altre cose, proibì rigorosamente i libri di Lutero, di Giovanni Ecolampadio, di Zuinglio, di Bucero e di Giovanni Calvino, li quali da 30 anni erano stati impressi, e tutti quelli di tal genere che da' Teologi di Lovanio erano stati notati in un loro Indice a questo fine fatto38; poichè a' Principi appartiene che lo Stato non solamente da' libri satirici, sediziosi e scostumati o pieni di falsa dottrina non venga perturbato, ma anche da perniziose eresie. E siccome a' Vescovi s'appartiene la censura, perchè la disciplina o la dottrina della Chiesa non sia corrotta; così a' Principi importa che lo Stato non si corrompa, e che li suoi sudditi non s'imbevino d'opinioni, che ripugnino al buon governo: nel che ora più che mai è bisogno, che veglino per le tante nuove dottrine introdotte contrarie all'antiche ed a' loro interessi e supreme regalie; poichè da quelle ne nascono le opinioni, le quali cagionano le parzialità che terminano poi in fazioni, e finalmente in asprissime guerre. Sono parole sì, ma che in conseguenza han sovente tirati seco eserciti armati.

 

Nel nostro Regno i nostri Re ributtaron sempre con vigore questi attentati, e si lasciò a' Vescovi la sola censura, ma non che sotto pene temporali potessero vietar le stampe: nè che queste proibizioni s'appartenessero ad essi unicamente, ma furon anche dai nostri Re fatte o da' loro Vicerè, ed in cotal guisa fu mai sempre praticato.

Papa Lione X a' 4 maggio del 1515 pubblicò una Bolla, che fece approvare dal Concilio Lateranense, colla quale proibì che non si potessero stampare libri senza licenza degli Ordinarj ed Inquisitori delle Città e Diocesi, dove dovranno stamparsi: ponendovi pena che quelli che gli stampassero senza questa approvazione, perdessero i libri, li quali dovessero pubblicamente bruciarsi. Di vantaggio impose pena pecuniaria, di doversi pagare da trasgressori ducati cento alla fabbrica di S. Pietro di Roma, e che gli Stampatori per un anno restassero sospesi dall'esercizio di stampare: gli dichiara ancora scomunicati, e persistendo nella censura, che siano gastigati conforme i rimedj della legge.

Ma questa Bolla, per quello che s'attiene alla pena pecuniaria e sospension dell'esercizio e perdita dei libri, non fu fatta valere nel nostro Regno, e sol ebbe vigore nello Stato della Chiesa.

Il Concilio di Trento nella sessione 439, che fu celebrata a' 8 Aprile del 1546, ancorchè avesse proibito agli Stampatori di stampare senza licenza de' Superiori ecclesiastici libri della Sagra Scrittura, annotazioni e sposizioni sopra di quella: e che non si stampassero libri di cose sagre senza nome dell'Autore, nè quelli si vendessero o tenessero, se prima non saranno esaminati ed approvati dagli Ordinarj, sotto quelle pene pecuniarie e di scomunica apposte nell'ultimo Concilio Lateranense; nulladimanco questo capo, per ciò che riguarda la pena pecuniaria, non fu ricevuto nel Regno, ed agli Ordinarj si è lasciato di poter solo imporre spiritual pena, non già pecuniaria o temporale.

Si mantennero ancora i nostri Re, ovvero i loro Vicarj nel possesso di proibirli, stabilendo molte prammatiche e editti, colle quali proibirono le stampe senza lor licenza; ed abbiamo che D. Pietro di Toledo Vicerè, mentre regnava l'Imperador Carlo V, diede ancor egli provvedimenti intorno alla stampa de' libri, ed a' 15 ottobre del 1544 promulgò una prammatica, colla quale ordinò che i libri di teologia e sagra scrittura, che si trovassero stampati nuovamente da 25 anni in quà, poichè per la pestilente eresia di Lutero sparsa per la Germania, cominciava a corrompersi la dottrina e disciplina della Chiesa romana, non si ristampassero, e quelli stampati non si potessero tenere nè vendere, se prima non si mostrassero al Cappellan maggiore, acciò quelli visti e riconosciuti potesse ordinare quali si potessero mandar alla luce. Di vantaggio, che quelli libri di teologia e sagra Scrittura, che fossero stampati senza nome dell'autore, e quegli altri ancora, i di cui Autori non sono stati approvati, che in nessun modo si potessero vendere nè tenere. E poi nel 1550 a' 30 novembre stabilì un'altra prammatica, colla quale generalmente ordinò, che non si potesse stampare qualsivoglia libro senza licenza del Vicerè, nè stampato vendersi.

Il Duca d'Ossuna Vicerè, nel medesimo tempo che il Pontefice Sisto V stabilì in Roma la Congregazione dell'indice, a' 20 marzo del 1586, regnando Filippo II, promulgò altra prammatica colla quale ordinò, che gli autori del Regno o abitanti in esso, non facessero stampar libri nè in Regno, nè fuori senza licenza del Vicerè in scriptis. E finalmente il Conte d'Olivares, che fu Vicerè nel Regno di Filippo III, a' 31 agosto del 1598 fece anche prammatica, proibendo agli Stampatori di poter aprire stamperie nè casa per istampare, senza espressa licenza del Vicerè in scriptis.

Quindi nacque presso noi il costume di destinarsi dal Vicerè, Ministro o altra persona per la revisione de' libri: e ciò vedesi praticato sin da' tempi del Duca d'Alcalà Vicerè, il quale a' 23 novembre del 1561 spedì commessione, che fu poi rinovata a' 8 maggio 1562, al P. Valerio Malvasino persona da lui ben conosciuta d'integrità e dottrina, deputandolo Regio Commessario a vedere e riconoscere i libri, che venivano da Germania, dalla Francia e da altre parti nel Regno di Napoli, perchè trovatili infetti d'eresia proibisse di venderli o di tenerli40. Fu da poi destinato Ministro regio di sperimentato zelo verso il servizio del Re, e d'eminente dottrina: questo costume l'abbiam veduto continuato sin a' tempi de' nostri avoli; ma ora queste revisioni soglionsi commettere anche ai privati, e sovente a persone di poca buona fede e di molto minor dottrina: ciò ch'è un abuso, che meriterebbe un conveniente rimedio.

Si è ritenuto ancora presso noi il costume di proibirli, quando o contra i buoni costumi, o contra i diritti del Principe della nazione, ovvero contra la fama e riputazione d'alcuni, siansi composti; siccome a dì nostri dal Vicerè e suo collateral Consiglio fu proibito un libro, per altro sciocchissimo e pieno di inezie, che il Marchese Gagliati diede alle stampe sotto il titolo di capricciose fantasie.

Queste proibizioni erano praticate, siccome tuttavia si pratica sopra qualunque libro o scrittura anche dei Prelati o altre persone ecclesiastiche, che venisse preteso di stamparsi. Nel Regno di Filippo II il Nunzio del Papa residente in Ispagna portò querela al Re Filippo contro il Duca d'Alcalà suo Vicerè in Napoli, il quale avea proibito agli Stampatori d'imprimer cosa alcuna senza sua licenza, e che perciò l'Arcivescovo di Napoli e tutti gli altri Prelati del Regno non potevano far stampare cosa alcuna, anche concernente al loro uficio: di che il Re Filippo ne scrisse al Duca, il quale a' 17 aprile 1569 l'informò di ciò che occorreva con piena consulta, dicendogli che egli avea fatto quell'ordine, perchè il Vicario di Napoli, siccome tutti gli altri Prelati del Regno, stampavano molti editti pregiudiciali alla regal giurisdizione, e sovente facevano imprimere Bolle, alle quali non era stato conceduto l'Exequatur Regium41. Quindi postosi silenzio alle pretensioni del Nunzio, nacque che poi i Vescovi quando volevano stampare i loro Sinodi, i loro editti, insino i calendarj circa l'osservanza delle loro diocesi, anche i Brevi dell'indulgenze concedute dal Papa alle loro chiese e cose simili, ricorrevano al Vicerè e suo collateral Consiglio per la licenza. Così leggiamo, che volendo l'Arcivescovo di Napoli Annibale di Capua stampar un Concilio provinciale, cercò licenza di farlo, e dal Collaterale, a primo febbrajo del 1580, gli fu data con riserba, che se in quello vi era alcuna cosa contro la regal giurisdizione, si avesse per non data nè consentito a quella in modo alcuno. L'Arcivescovo di Capua per mezzo del suo Vicario chiese il permesso di poter far stampare un nuovo Calendario circa l'osservanza delle feste della sua Diocesi, e rimessane la revisione al Cappellan maggiore, questi a' 5 novembre del 1582 fece relazione al Vicerè, che poteva darsi la licenza. Il Vescovo d'Avellino dimandò l'Exequatur Regium e la licenza di poter far stampare un Breve d'indulgenze concedute dal Papa alla sua Chiesa nel dì di S. Modestino, e commessosi l'affare al Cappellan maggiore, questi a' 26 aprile del 1577 fece relazione al Vicerè che potevasi dare l'Exequatur al Breve e la licenza di stamparlo42. Ciò che poi si è inviolabilmente osservato, sempre che i Ministri del Re han voluto adempire alla loro obbligazione ed aver zelo del servigio del loro Signore.

 

§. II. Abusi intorno alle proibizioni de' libri che si fanno in Roma, le quali si pretendono doversi ciecamente ubbidire

Bisognò ancora rintuzzare un'altra pretensione della Corte di Roma intorno a quest'istesso soggetto della proibizion de' libri. Pretendevano, che a chiusi occhi i Principi cristiani dovessero far valere ne' loro dominj tutti i decreti che si profferivano in Roma dalle Congregazioni del S. Ufficio o dell'Indice, per li quali venivano i libri proibiti, e che non stassero soggetti questi decreti a' loro Regj placiti, onde dovessero da noi eseguirsi, senza bisogno d'Exequatur Regium. Della cui necessità e giustizia, sarà da noi diffusamente trattato ne' seguenti libri di quest'Istoria.

Ma non meno in Francia che in Ispagna, in Germania, Fiandra ed in tutti gli altri Stati de' Principi cattolici, che nel nostro reame (sempre che s'abbia voluto usare la debita vigilanza) fu lor ciò contrastato, e come ad un attentato pregiudizialissimo alla sovranità de' Principi, se gli fece valida l'esistenza; tanto che siccome tutte le Bolle, rescritti ed altre provisioni che vengono di Roma, non si permettono, che si pubblichino e si ricevano senza il placito Regio; così ancora i decreti fatti sopra la proibizione de' libri soggiacciano al medesimo esame. Anzi se mai i Principi ed i loro Ministri devono usar vigilanza nelle altre scritture che vengono di Roma, in questi decreti devono usarla maggiore; così perchè si sa la maniera, come in Roma i libri si proibiscono, come ancora il fine perchè si proscrivono, ed i disordini e scandali che potrebbero cagionare ne' loro dominj, se si lasciassero correre a chiusi occhi.

Si sa che i Cardinali che compongono queste due Congregazioni onde escono tali decreti, non esaminano essi i libri: alcuni per la loro insufficienza, altri perchè distratti in occupazioni riputate da essi di maggiore importanza, non possono attendere a queste cose, e molto meno il Papa, da chi sarebbe impertinenza il pretenderlo. Essi commettono l'esame ad alcuni Teologi che chiamano Consultori, ovvero Qualificatori, per lo più Frati, i quali secondo i pregiudicj delle loro scuole regolano le censure. Ciò, che non consente colle loro massime, riputano novità, e come opinioni ereticali le condannano. I Casuisti, che s'han fatta una morale a lor modo, giudicano pure secondo que' loro principj. Ma il maggior pregiudicio nasce quando si commette l'affare a' Curiali istessi ed agli Ufficiali e Prelati di questa Corte per esaminar libri attenenti a cose giurisdizionali; può da se ciascun comprendere, quanto in ciò prevaglia l'adulazione in ingrandire l'ecclesiastica e deprimere la temporale. Si sa quanto da costoro s'estolle sopramodo l'autorità del romano Pontefice sopra tutti i Principi della terra, insino a dire che il Papa può tutto, e la sua volontà è norma e legge in tutte le cose: che i Principi ed i Magistrati siano invenzioni umane; e che convenga ubbidir loro solamente per la forza; onde il contraffar le loro leggi, il fraudar le gabelle e le pubbliche entrate, non sia cosa peccaminosa, ma solo gli obbliga alla pena, la quale o colla fuga o colla frode non soddisfacendosi, non per ciò restano gli uomini rei innanzi la Maestà Divina, compensandosi col pericolo che si corre: ma per contrario, che ogni cenno degli Ecclesiastici, senza pensar altro, debbia esser preso per precetto divino ed obblighi la coscienza. Sono tanti arghi e molto solleciti e vigilanti, perchè non si divulghi cosa contraria a queste loro mal concepite opinioni. Ed è ormai a tutti per lunga esperienza noto, che la Corte di Roma a niente altro bada più sollecitamente che di proscrivere tutti i libri che sostenendo le ragioni de' Principi, i loro privilegj, gli statuti, le consuetudini de' luoghi e le ragioni de' loro sudditi, contrastano queste nuove loro massime e perniziose dottrine.

Fatte che hanno questi qualificatori le censure le portano a' Cardinali, i quali senza esaminarle in conformità di quelle condannano i libri. E lo stile d'oggi in formar tali decreti è pur troppo grazioso: si condanna semplicemente il libro, senza censura e senza esprimersi o designarsi niuno particolar errore, che avrebbe forse potuto dar occasione alla proibizione; ma generalmente come continente proposizioni ereticali, scismatiche, erronee contro i buoni costumi, offendenti le pie orecchie e cose simili, e senza impegnarsi a spiegare quali siano l'ereticali, l'erronee etc. se ne liberano con una parola respective, lasciando l'autore ed i lettori nell'istessa incertezza ed oscurità di prima. L'esperienza ha poi mostrato, che per queste sorti di proibizioni ne siano nate presso i Teologi stessi gravi contrasti, li quali sovente han perturbato lo Stato, perchè accaniti i Frati di opinione contraria, non han mai finite le risse e le contese.

Parimente a questi decreti sogliono andar congiunte alcune clausole penali contro i lettori e detentori dei vietati libri che sovente toccano la temporalità de' sudditi o conturbano i privilegj ed i costumi delle province. Sovente per alcuni errori che si trovano sparsi in un libro, che a' Professori ed alla Repubblica sarà utilissimo, si proibisce interamente il libro; onde lo Stato viene a riceverne incomodo e danno.

Per tutte queste ed altre ragioni, non meno i più saggi Teologi43, che la pratica inconcussa di tutte le province d'Europa, han fatto vedere che si appartenga al Principe, non meno che fassi nell'altre provisioni che vengono da Roma, d'invigilare sopra questi decreti. Qualunque decreto che venga da Roma da queste Congregazioni o editto che si faccia dal Maestro del Sagro Palazzo, onde vengono i libri vietati, non è stato mai esente dal placito regio ma fu sempre sottoposto ad esame: siccome lo stile di tutte le province cristiane il quale ebbe il suo principio, sin che da Roma cominciarono ad uscire queste proibizioni, lo dimostra. E ben si vide praticato nell'Indice stesso volgarmente detto Tridentino, fatto compilare dal Pontefice Pio IV poco da poi terminato il Concilio.

Secondo l'antica disciplina della Chiesa, la censura de' libri s'apparteneva a Concilj, siccome il Concilio Niceno, Efesino e di Calcedonia fecero de' libri d'Arrio, di Nestorio e d'Eutiche. Volendo i PP. del Concilio di Trento seguitare le medesime pedate, da poi che quello fu ripigliato sotto il Pontefice Pio IV, proposero in una Congregazione tenuta in Trento a' 26 gennaio del 1562 che dovessero esaminarsi i libri dati fuori dopo l'eresie nate in Germania ed altrove, e sottoporsi alla censura del Concilio, acciò che determinasse quello, che gli parrebbe: fu conchiuso, che si commettesse ad alcuni PP. la cura di farne Catalogo, ovvero Indice di quelli e de' loro Autori; siccome da' Presidenti di esso fu data la commessione a diciotto Padri, a' quali poi con decreto del Concilio fu incaricato, che diligentemente esaminassero i libri riferendo poi al Sinodo ciò che aveano notato, per darvi providenza44. Essendosi da poi affrettata la conchiusione del Concilio, di quest'affare dell'Indice non se ne trattò altro, ma solamente nell'ultimo giorno che quello ebbe fine, essendosi letto il decreto della sessione 18 fu risoluto, che non essendosi potuto dal Concilio porre a quest'affare l'ultima mano per tanta moltitudine e varietà di libri, ordinava per ciò che tutto quello, che i Padri destinati alla cura di quest'Indice avean fatto, che lo presentassero al Pontefice, dalla cui autorità e parere si determinasse l'Indice e fosse divulgato.

In conformità di ciò, essendosi disciolto il Sinodo fu da que' Padri presentato al Pontefice Pio IV un Indice, ove aveano notati gli Autori ed i libri, che riputavano doversi proscrivere. Il Pontefice, come egli testimonia nella sua Bolla pubblicata per ciò in forma di Breve, che incomincia: Dominici gregis, fece esaminar da altri dotti Prelati l'Indice, e dice averlo anche egli letto; onde lo fece pubblicare con alcune Regole, che si dicono perciò dell'Indice, dando fuori quella Bolla, nella quale comanda, che quell'Indice con le Regole ivi aggiunte, debba da tutti riceversi, ed osservarsi sotto gravissime pene e censure. Minacciansi tutti coloro, che leggeranno, o riterranno quei libri in quest'Indice contenuti: dichiara, che questa proibizione, dopo tre mesi, da che sarà la Bolla pubblicata ed affissa in Roma, obbligherà tutti in maniera, ac si ipsismet hae literae editae, lectaeque fuissent45.

Fu quest'Indice diviso in tre classi. Nella prima, non i libri, ma i nomi degli Autori solamente s'esprimono, perchè tutti conoscessero, che venivano proibite non solo le opere già stampate, ma anche quelle da stamparsi da loro. Nella seconda, si riferiscono i libri, i quali per la non sana dottrina, o sospetta che contengono, si ributtano, ancorchè gli Autori non fossero separati dalla Chiesa. La terza abbraccia quei libri, che senza nome d'Autore uscirono alla luce e che contengono dottrina, che, come contraria a' buoni costumi ed alla Chiesa romana, si è riputato dannarla.

Ma siccome pubblicati che furon in Roma i decreti del Concilio, non per ciò nell'altre regioni d'Europa furono quelli attinenti alla disciplina ed alla riforma universalmente ricevuti, come al suo luogo diremo; così ancora pubblicato che fu quest'Indice in Roma, non ostante la Bolla di Pio, non fu senz'esame ricevuto, nè accettato in tutte le sue parti in Francia, in Spagna, nelle Fiandre ed in altre province cristiane.

Diedesi l'Indice ad esaminare a' Collegi, alle Università e ad uomini dottissimi di ciascun paese. In Francia, la cosa è pur troppo nota, che quelle Università vi vollero la lor parte, nè lo ricevettero in tutto secondo il suo vigore.

In Spagna parimente il Re Filippo II lo fece esaminare dalle sue Accademie ed Università, nè fu in tutto ricevuto; poichè fra gli altri libri, l'opere di Carlo Molinco, arrolate nell'Indice Tridentino fra gli Autori di prima classe, non tutte furono vietate, alcune furono permesse, altre con piccola espurgazione parimente permesse. Quindi sursero in Spagna, ed altrove gl'Indici Expurgatorj; poichè i Prelati e le Università ed i Collegj di ciascuna provincia vollero in ciò avervi anche la lor parte e credettero, che la lor censura fosse più esatta per le province ove dimorano, ed il Principe sa meglio ciò che nel suo Stato possa apportar quiete, o incomodo, o disordine, che non si sa di fuori. Così in Spagna s'è introdotto stile di farsi questi Indici. E dall'Indice Expurgatorio fatto compilare per comandamento del Cardinal Gaspare di Quiroga Arcivescovo di Toledo e General Inquisitore di Spagna, ed impresso nel 1601, manifestamente si vede, che in Spagna l'Indice Tridentino non fu giammai in tutto e secondo il suo rigore ricevuto.46

Parimente l'istesso Filippo II non solo ne' suoi Regni di Spagna, ma in tutti gli altri suoi dominj, volle che l'istessa vigilanza si fosse usata; e siccome fece de' decreti del Concilio, con maggior ragione dovea premere, che per quest'Indice Tridentino si facesse. Nella Fiandra divulgato che fu, non per ciò fu ciecamente ricevuto; ma per autorità Regia si diede ad esaminare. Essendosi osservato, che in quello si proscriveano molti libri in ogni facoltà e scienza, i quali gastigati e purgati da alcuni errori e false opinioni, poteva di quelli aversi buon uso e leggersi con utilità e profitto: narra Van-Espen47, dotto Prete e gran Teologo dell'Università di Lovanio, che il Duca di Alba, allora Governatore di quelle province, in nome del Re Filippo II comandò, che si fossero conservati que' libri proscritti dall'Indice Romano, e solamente fece bruciare l'opere degli Eresiarchi. Ma perchè da que' riserbati non si cagionasse danno, commise a' Prelati ed alle Università ed agli uomini letterati di quelle province che esaminassero que' libri, notassero gli errori e gli espurgassero, con farne particolari Indici. Fu con ogni diligenza ciò eseguito e presentati poi al Duca gl'Indici, instituì egli in Anversa un Collegio di Censori, al quale per l'Ordine ecclesiastico presedè un Vescovo, ed in nome del Re vi fu proposto il famoso Teologo Arias Montano, quel medesimo, ch'era intervenuto al Concilio in Trento. Questi Censori con ogni diligenza e maturità esaminarono di nuovo i libri contenuti in que' Cataloghi, conferirono i luoghi notati da' primi Censori con gli esemplari, e ne formarono un'esatta Censura; dando poi fuori un libro, al quale diedero questo titolo, Index Expurgatorius. Quest'Indice poi nel 1570, per ispezial diploma del Re Filippo II, fu approvato, e per sua regal autorità fu comandato, che s'imprimesse, come fu fatto e di quello si servirono poi tutte quelle province, non già del Romano. Erano questi due Indici fra loro differenti: in questo Expurgatorio di Fiandra, più libri, che per l'Indice romano erano assolutamente proscritti, furono ritenuti e permessa la lor lezione, essendosi solo in alcuni usata qualche espurgazione ed emendazione: siccome, per tralasciarne molti, fu fatto dell'opere istesse di Carlo Molineo, affatto proscritte e totalmente condannate dall'Indice Romano, le quali con piccola emendazione furono permesse. Il Commentario alle Consuetudini di Parigi dello stesso Molineo, fu senz'alcuna correzione ritenuto, dicendosi: In hoc opere nihil est, quod haeresim sapiat, quapropter admittitur. De' suoi trattati De donatione, et inofficioso testamento, pur si disse: Nihil habent, quod Religioni adversetur, aut pias aures offendere possit, quapropter admittitur. E così di molte altre sue opere fu giudicato.

28Tom. Bozio de Sign. Ecl. cap. 5 sig. 93. Rocca de Typogr. etc. rapportati dal Sum. pag. 488 tom. 3.
29Topp. Biblioth. Neap. fol. 17.
30Summon. tom. 3 pag. 438.
31Toro in Suppl. Comp. decis. ver. libri.
32Altimar. ad Cons. Rovit. tom. 3 obs. 8 n. 29 et 31.
33V. il P. Servita nell'Istor. dell'Inquis.
34Filesaco De Sacr. Epis. auct. cap. 1 § 7 fol. 14.
35Liberat. Breviar. cap. 16.
36L. quicunque, § nulli et § omnes, C. de haeret. Evagr. lib. 1 cap. 2. Socrat. lib. 1 cap. 6. V. il P. Servita loc. cit.
37Capitular. Car. M. l. 1 cap. 78.
38Thuan. lib. 6 histor.
39Trid. sess. 4 de edit. et usu Sacr. Libr.
40Chiocc. tom. 17. M. S. Giurisd.
41Chiocc. tom. 17. M. S. Giurisdiz.
42Chiocc. M. S. Giurisd. de Typogr. tom. 17.
43Fra' quali è da vedersi Van-Espen de Promulgat. Ll. Eccl. par. 4 cap. 1 § 1, 2 et 3.
44Decr. Conc. Trid. sess. 18.
45Si legge questa Bolla nell'Indice Tridentino, e nel Bullario tra le Costituzioni di questo Pontefice, sotto il num. 77.
46Van-Espen de Usu placiti reg. par. 4 c. 2 § 3.
47Van-Espen l. c.