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Istoria civile del Regno di Napoli, v. 7

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CAPITOLO I
Morte di Massimiliano Cesare, ed elezione nella persona di Carlo suo nipote in Imperadore. Discordie indi seguite tra lui, e 'l Re di Francia, che poi proruppero in aperte e sanguinose guerre

Mentre le cose d'Italia e del Regno si stavano in quiete, Massimiliano in questo medesimo anno 1517, desideroso di stabilire la successione dell'Imperio romano, dopo la sua morte, in uno de' nipoti, trattava con gli Elettori di farne eleggere uno in Re de' Romani. E benchè Cesare avesse prima desiderato, che questa dignità fosse conferita a Ferdinando suo nipote secondogenito, parendogli conveniente, che poichè al fratello maggiore erano venuti tanti Stati e tanta grandezza, si sostentasse l'altro con questo grado, giudicando, che per mantenere più illustre la Casa sua, e per tutti i casi sinistri, che nella persona del maggiore potessero succedere, essere meglio avervi due persone grandi, che una sola, nondimeno stimolato in contrario da molti de' suoi e dal Cardinal Sedunense e da tutti quelli, i quali temevano ed odiavano la potenza de' Franzesi, rifiutato il primo consiglio, voltò l'animo a far opera, che a questa dignità fosse assunto il Re di Spagna: dimostrandogli questi tali, essere molto più utile all'esaltazione della Casa d'Austria, accumulare tutta la potenza in un solo, che dividendola in più parti, fargli meno potenti a conseguire i disegni loro: essere tanti e tali i fondamenti della grandezza di Carlo, che aggiungendosegli la dignità imperiale, si poteva sperare, che avesse a ridurre l'Italia tutta, e gran parte della Cristianità in una Monarchia, cosa non solo appartenente alla grandezza dei suoi discendenti, ma ancora alla quiete de' sudditi, e per rispetto delle cose degl'Infedeli, a beneficio di tutta la Repubblica cristiana: ed essere ufficio e debito suo pensare all'augumento ed all'esaltazione della dignità imperiale, stata tant'anni nella persona sua e nella famiglia d'Austria, la quale non si poteva sperare aversi a sollevare, nè ritornare al pristino splendore, se non trasferendosi nella persona di Carlo, e congiugnendosi alla sua potenza: vedersi per gli esempi degli antichi Imperadori, Cesare Augusto e molti dei suoi successori, che mancando di figliuoli e di persone della medesima stirpe, gelosi che non s'ispegnesse o diminuisse la dignità riseduta nella persona loro, aver cercato successori remoti di congiunzione, o non attenenti eziandio in parte alcuna, per mezzo delle adozioni; ed esser fresco l'esempio del Re Cattolico, il quale amando come figliuolo Ferdinando, allevato continuamente appresso a lui, nè avendo, non che altro, mai veduto Carlo, anzi provatolo nella sua ultima età poco ubbidiente a' precetti suoi; nondimeno senza aver compassione della povertà di quello, non gli avea fatta parte alcuna di tanti suoi Stati, nè di quelli eziandio che per essere acquistati da lui proprio, era in facoltà sua di disporne; anzi aver lasciato tutto a colui, che quasi non si conosceva, se non per uno strano.

A questa istanza di Cesare si opponeva con ogni arte ed industria il Re di Francia, essendogli molestissimo, che a tanti Regni e Stati del Re di Spagna s'aggiugnesse ancora la dignità imperiale, la quale, ripigliando vigore da tanta potenza, diventerebbe formidabile a ciascuno; però cercava di disturbarla occultamente appresso agli Elettori ed al Pontefice; ed ai Vineziani aveva mandato Ambasciadore, perchè si unissero seco a fare l'opposizione, ammonendo e il Pontefice e loro del pericolo porterebbono di tanta grandezza. Ma gli Elettori erano in gran parte tirati nella sentenza di Cesare, e già quasi assicurati de' denari, che per questa elezione si promettevano loro dal Re di Spagna, il quale aveva mandato per questo in Alemagna ducentomila ducati. Nè si credeva, che il Pontefice, ancorchè gli fosse molestissimo, ricusasse di concedere, che per mano de' Legati appostolici Massimiliano ricevesse in Germania in suo nome la Corona dell'Imperio; poichè l'andare ad incoronarsi a Roma, sebbene con maggiore autorità della Sede appostolica, era riputato più presto cerimonia, che substanzialità315.

(Intanto fu ciò proposto, perchè sembrava cosa nuova, che non essendo stato ancora Massimiliano coronato dal Pontefice, si potesse venire alla elezione del Re de' Romani, siccome narra Gerardo a Roo316, il quale parlando di Massimiliano scrisse: Is aetate jam provectum se considerans, sive mortem haud procul abesse animo praesagiens, cum Septemviris Imperii Electoribus, qui praeter Bohemiae Regem, Augustam omnes venerant, de Carolo Nepote, in Romanorum Regem eligendo, agere coepit; cumque novi exempli res esset, Caesare nondum a Pontefice coronato, Regem eligi, in Concilio propositum fuit, eo inducendum esse Leonem, uti Coronam, et alia Imperatoriae Dignitatis insignia, per Legatum conferenda, in Germaniam mittat).

Con suddetti pensieri e con suddette azioni si consumò l'anno 1518, non essendo ancora fatta la deliberazione dagli Elettori, la quale diventò più dubbia e più difficile per la morte di Massimiliano succeduta a Lintz nel primi giorni dell'anno 1519.

Morto Massimiliano, cominciarono ad aspirare all'Imperio apertamente il Re di Francia ed il Re di Spagna, la quale controversia, benchè fosse di cosa sì importante, e tra Principi di tanta grandezza, nondimeno fu esercitata tra loro destramente, non procedendo nè a contumelie di parole, nè a minacce d'armi, ma ingegnandosi ciascuno con l'autorità e mezzi suoi, tirare a se gli animi degli Elettori: anzi il Re di Francia molto laudabilmente parlando sopra questa elezione con gli Ambasciadori del Re di Spagna, diceva essere commendabile, che ciascuno di loro cercasse onestamente di ornarsi dello splendore di tanta dignità, la quale in diversi tempi era stata nelle Case degli antecessori loro; ma non per questo dover l'uno di loro ripigliarlo dall'altro per ingiuria, nè diminuirsi per questo la benivolenza e congiunzione già stabilita.

Pareva al Re di Spagna appartenersegli l'Imperio debitamente, per essere continuato molti anni nella Casa d'Austria, nè essere stato costume degli Elettori privarne i discendenti del morto senza evidente cagione della inabilità loro. Non essere alcuno in Germania di tanta autorità o potenza, che potesse competere seco in questa elezione; nè gli pareva giusto o verisimile, che gli Elettori avessero a trasferire in un Principe forestiero tanta dignità continuata già molti secoli nella Nazione germanica; e quando alcuno, corrotto con denari o per altra cagione, fosse d'intenzione diversa, sperava, o di spaventarlo con le armi preparate in tempo opportuno e che gli altri Elettori se gli opporrebbero, o almeno, che tutti gli altri Principi e l'altre Terre franche di Germania non comporterebbono tanta infamia ed ignominia di tutti, e massimamente trattandosi di trasferirla la nella persona di un Re di Francia, con accrescere la potenza di un Re nemico alla loro Nazione, e donde si poteva tenere per certo, che quella dignità non ritornerebbe mai più in Germania. Stimava facile ottenere la perfezione di quello che era già stato trattato con l'avolo, essendo già convenuto de' premj e de' donativi con ciascuno degli Elettori.

Dall'altra parte non era minore, nè la cupidità, nè la speranza del Re di Francia, fondata principalmente su la credenza dell'acquistare con grandissima somma di denari li voti degli Elettori, alcuni de' quali mostrandogli la facilità della cosa, lo incitavano a farne impresa: la quale speranza nudriva con ragioni più presto apparenti che vere, perchè sapeva, che ordinariamente a' Principi di Germania era molesto, che gli Imperadori fossero molto potenti per il sospetto, che non volessero in tutto, o in qualche parte riconoscere le giurisdizioni ed autorità imperiali occupate da molti, e però si persuadeva, che in modo alcuno non fossero per consentire alla elezione del Re di Spagna. Eragli noto ancora essere molestissimo a molte Case illustri in Germania, che pretendevano essere capaci di quella dignità, che l'Imperio fosse continuato tanti anni in una casa medesima, e che quello, che oggi all'una, domani all'altra dovevano dare per elezione, fosse cominciato quasi per successione a perpetuarsi in una stirpe medesima; e potersi chiamare successione quella elezione, che non permette discostarsi da' più prossimi della stirpe degl'Imperadori morti; così da Alberto d'Austria essere passato l'Imperio in Federico suo fratello, da Federico in Massimiliano suo figliuolo, ed ora trattarsi di trasferirlo da Massimiliano nella persona di Carlo suo nipote. Però, oltre questo, sperava il Re di Francia nel favore del Pontefice; così per la congiunzione e benivolenza, che gli pareva aver contratta seco, come perchè non credeva, che a lui potesse piacere, che Carlo Principe di tanta potenza, e che contiguo col Regno di Napoli allo Stato della Chiesa, avea per l'aderenze de' Baroni Ghibellini aperto il passo insino alle porte di Roma, conseguisse anche la Corona dell'Imperio; non considerando, che questa ragione verissima contro Carlo, militava ancora contro lui; nondimeno non conoscendo in se quello, che facilmente considerava in altri, ricorse al Pontefice, supplicandolo volesse dargli favore, perchè di se e dei Regni suoi si potrebbe valere, come di proprio figliuolo.

 

Premeva grandissimamente al Pontefice la causa di questa elezione, essendogli molestissimo per la sicurezza della Sede Appostolica qualunque de' due Re fosse assunto all'Imperio. Nè essendo tale l'autorità sua appresso agli Elettori, che sperasse con quella poter giovare molto, giudicò essere necessario adoperare in cosa di tanto momento la prudenza e le arti. Persuadevasi, che il Re di Francia, ingannato facilmente da qualcuno degli Elettori non fosse per avere parte alcuna in questa elezione, nè avere, benchè in uomini venali, a poter tanto le corruttele, che avessero disonestamente a trasferire l'Imperio dalla Nazione germanica nel Re di Francia. Parevagli che al Re di Spagna per essere della medesima nazione per le pratiche cominciate da Massimiliano, e per molti altri rispetti, fosse molto facile conseguire l'intento suo, se non gli si faceva opposizione molto potente; la quale giudicava non potere farsi in altro modo, se non che il Re di Francia si disponesse a voltare in uno degli Elettori que' medesimi favori e denari che usava per eleggere se. Parevagli impossibile indurre il Re a questo, mentre che era nel fervore delle speranze vane; però sperava, che quanto più ardentemente, e con più speranza s'ingolfasse in questa pratica, tanto più facilmente, quando cominciasse ad accorgersi riuscirgli vani i pensieri suoi e trovandosi irritato e su la gara, aversi a precipitare a favorire l'elezione di un terzo, con non minore ardore: e quindi poter similmente accadere, favorendosi gagliardamente ne' principj le cose del Re di Francia, che l'altro Re veduto difficultarsi il desiderio suo, e dubitando, che il Re avversario non vi avesse qualche parte, si precipitasse medesimamente ad un terzo. Per queste cagioni, non solo dimostrò al Re di Francia di avere sommo desiderio, che in lui pervenisse l'Imperio, ma lo confortò con molte ragioni a procedere vivamente in questa impresa, promettendogli amplissimamente di favorirlo con tutta l'autorità del Pontificato.

(Se dee prestarsi fede a Goldasto, Papa Lione mandò un suo Legato nel congresso degli Elettori, dimandando, ut Regem Neapolitanum cujus Regni proprietas ad Ecclesiam Romanam spectat, nullo pacto in Romanorum Regem eligant, obstante sibi defectu inhabilitatis et ineligibilitatis, ex Constitutione Clementis Quarti. E che gli Elettori poco di ciò curando, gli rispondessero, ch'essi non dovean aver altro riguardo, che d'elegger colui, che riputassero il più savio ed il più degno. Goldasto, Tomo uno Constit. Imp. p. 429 rapporta non men la dimanda del Legato, che la risposta degli Elettori).

Mentre le suddette cose si trattavano con tante sollecitudini e sospetti, non intermisero però l'uno e l'altro Re gli atti della congiunzione ed amicizia: poichè nel medesimo tempo convennero in nome loro a Monpelieri il Gran Maestro di Francia e Monsignor di Ceures (in ciascuno de' quali consisteva quasi tutto il consiglio e l'animo del suo Re) per trattare sopra lo stabilimento del matrimonio della seconda figliuola del Re di Francia col Re di Spagna, e molto più per risolvere le cose del Reame di Navarra; la restituzione del quale all'antico Re promessa nella concordia fatta a Nojon, benchè molto sollecitata dal Re di Francia, era differita dal Re di Spagna con varie scuse; ma la morte del Gran Maestro succeduta innanzi parlassero insieme, interruppe la speranza di questo congresso.

Ma dall'altra parte con grandissima contenzione si proseguiva dall'uno e l'altro Re l'impresa dell'Imperio. Il Re di Francia s'ingannava ogni giorno, indotto dalle promesse grandi del Marchese di Brandeburg, uno degli Elettori, il quale avendo ricevuto da lui offerte grandissime di denari, e forse qualche somma presente, si era non solo obbligato con occulte Capitolazioni a dargli il voto suo, ma promesso che l'Arcivescovo di Magonza suo fratello farebbe il medesimo. Si lusingava ancora del voto del Re di Boemia: per lo voto del quale, discordando i sei Elettori, che tre ne sono Prelati e tre Principi, si decide la controversia. Dall'altro canto si scorgeva grande la inchinazione de' Popoli di Germania, perchè la dignità Imperiale non si rimovesse da quella Nazione, anzi insino agli Svizzeri, mossi dall'amor della Patria comune Germania, avevano supplicato il Pontefice, che non favorisse in questa elezione alcuno, che non fosse di Lingua Tedesca.

Convenuti per tanto gli Elettori, secondo l'uso antico a Francfort, mentre stavano in varie dispute per venire al tempo debito, secondo gli ordini loro, all'elezione, avvicinossi a Francfort un esercito messo in campagna per ordine del Re di Spagna (il quale fu più pronto co' danari a raccorre gente, che a dargli agli Elettori) sotto nome di proibire chi proccurasse di violentare la elezione; onde con ciò accrescendo l'animo agli Elettori, che favorivano la causa sua, tirò nella sentenza degli altri quelli ch'erano dubbj, e spaventò il Brandeburghese inclinato al Re di Francia; in modo che venendosi all'atto dell'elezione, fu il vigesimo ottavo giorno di giugno di quest'anno 1519 eletto Imperadore Carlo d'Austria Re di Spagna dai voti concordi di quattro Elettori, dall'Arcivescovo di Magonza e quello di Colonia e dal Conte Palatino e dal Duca di Sassonia; ma l'Arcivescovo di Treveri elesse il Marchese di Brandeburgo, il quale concorse anch'egli alla elezione di se stesso. Nè dubitossi, che se per la equalità de' voti l'elezione fosse pervenuta alla gratificazione del VII Elettore, che sarebbe succeduto il medesimo, perchè Lodovico Re di Boemia, il qual'era anche Re d'Ungheria avea promesso a Carlo il suo voto.

Afflisse questa elezione molto l'animo del Re di Francia e del Pontefice e di quelli che in Italia dipendevano da lui, vedendo congiunta tanta potenza in un Principe solo, giovane, ed al quale si sentiva per molti vaticinj essere promesso grandissimo Imperio e stupenda felicità; e se bene non fosse copioso di danari, quanto era il Re di Francia, nondimeno era tenuto di grandissima importanza il potere empiere gli eserciti suoi di fanteria tedesca e spagnuola, milizia di molta stimazione e valore.

Il Pontefice Lione nascondeva con recondite simulazioni, ed arti il suo discontento, e non era ancora in se medesimo risoluto a qual partito dovesse appigliarsi: pure per fuggir l'occasione di scoprire l'animo suo mal affetto a Carlo, di sua libera volontà, dispensò a poter accettare la elezione fattagli dello Imperio non ostante, che fosse contra il tenore della investitura del Regno di Napoli, con la quale (fatta secondo la forma delle antiche investiture) gli veniva ciò espressamente proibito, spedendogli per ciò Bolla, per la quale fu abilitato ad essere Imperadore, non ostante li patti suddetti, che si legge presso il Chioccarelli317.

Nel nuovo anno 1520 passò Cesare per mare di Spagna in Fiandra, e di Fiandra in Germania, dove nel mese d'ottobre ricevè in Aquisgrana, città nobile per l'antica residenza, e per lo sepolcro di Carlo M. con grandissimo concorso la prima Corona (quella medesima, secondo ch'è fama, con la quale fu incoronato Carlo M.) datagli, secondo il costume antico, con l'autorità de' Principi di Germania.

Ma questa sua felicità era turbata dagli accidenti nati di nuovo in Ispagna, perchè a' popoli di quei Regni era stata molesta la promozione sua all'Imperio, conoscendo, che con grandissima incomodità e detrimento di tutti sarebbe per varie cagioni necessitato a stare non picciola parte del tempo fuori di Spagna: ma molto più gli aveva mossi l'odio grande, che avevano conceputo contra l'avarizia di coloro, che lo governavano, massimamente contra Ceures e gli altri Fiaminghi, in modo che concitati tutti i Popoli contra il nome loro, avevano alla partita di Cesare tumultuato quei di Vagliadolid, ed appena uscito di Spagna, sollevati tutti, non contra il Re, ma contra i cattivi Governatori: e comunicati insieme i consigli, non prestando più ubbidienza agli Uffiziali regj, avevano fatto congregazione della maggior parte de' Popoli, li quali data forma al Governo, si reggevano in nome della Santa Giunta (così chiamavano il Consiglio universale de' Popoli), contra li quali essendosi levati in armi i Capitani e Ministri regj, ridotte le cose in manifesta guerra, erano tanto moltiplicati i disordini, che Cesare piccolissima autorità vi riteneva. Donde in Italia e fuori cresceva la speranza di coloro, che avrebbero desiderato diminuita tanta grandezza.

Nella fine di quest'anno istesso, forse tremila fanti spagnuoli, stati più mesi in Sicilia, non volendo ritornare in Ispagna, secondo il comandamento avuto da Cesare, disprezzata l'autorità de' Capitani, passarono a Reggio di Calabria, e procedendo (con fare per tutto gravissimi danni) verso lo Stato della Chiesa, misero in grave terrore il Papa; massimamente ricusando l'offerte fatte dal Vicerè di Napoli, e da lui di soldarne una parte, ed agli altri far donazione di denari; ma questo movimento si risolvè più presto che gli uomini non credevano, perchè passato il Tronto per entrare nella Marca Anconitana, nella quale il Pontefice aveva mandate molte genti, ed andati a Campo a Ripa Transona, avendovi dato un assalto gagliardo, perduti molti di loro, furono costretti a ritirarsi; laonde diminuiti molto d'animo e di riputazione, accettarono cupidamente da' Ministri di Cesare condizioni molto minori di quelle, le quali avevano disprezzate.

Intanto vie più crescevano tra Cesare e 'l Re di Francia le male inclinazioni, e Papa Lione, ancor che ostentasse in apparenza neutralita, avendo per sospetta la troppa felicità di Carlo, segretamente trattava col Re di Francia del modo di cacciarlo dal Reame di Napoli, e fra di loro s'erano accordati d'assaltare con l'armi, congiunti insieme, il Regno, con condizione, che Gaeta e tutto quello che si contiene tra 'l fiume del Garigliano ed i confini dello Stato ecclesiastico, s'acquistasse per la Chiesa: il resto del Regno fosse del secondogenito del Re di Francia, il quale per essere d'età minore avesse ad essere, insino ch'egli fosse d'età maggiore, governato insieme col Reame da un Legato appostolico, che risiedesse a Napoli318.

In questo medesimo tempo invitato il Re dall'occasione de' tumulti di Spagna, e confortato (secondo che poi querelandosi affermava) dal Pontefice, mandò un esercito sotto Asparoth, fratello di Oderico Lautrech in Navarra per ricuperar quel Regno al Re antico, siccome gli riuscì felicemente. E non restava altro per l'impresa di Napoli, che l'esecuzione della capitolazione fatta a Roma tra 'l Pontefice e lui; della quale venendogli ricercata la ratifica cominciò a star sospeso, essendogli messo sospetto da molti, che attesa la duplicità del Pontefice, e l'odio che, assunto al Pontificato, gli avea continuamente dimostrato, era da dubitare di qualche fraude, dicendo non esser verisimile, che il Pontefice desiderasse, che in lui, o ne' figliuoli pervenisse il Reame di Napoli, perchè avendo quel Regno e il Ducato di Milano, temerebbe troppo la sua potenza: per certo tanta benevolenza scopertasi così di subito non essere senza misterio. Avvertisse bene alle cose sue ed agl'inganni, e che credendo acquistare il Regno di Napoli, non perdesse lo Stato di Milano: perchè mandando l'esercito a Napoli, sarebbe in potestà del Pontefice, che aveva seimila Svizzeri, intendendosi co' Capitani dell'Imperadore, disfarlo, e disfatto quello, che difesa rimanere a Milano? Queste ragioni commossero il Re in modo, che stando dubbio del ratificare, e forse aspettando risposta d'altre pratiche, non avvisava a Roma cos'alcuna, lasciando sospesi il Papa e gli Ambasciadori suoi.

Ma il Pontefice, o perchè veramente governandosi con le simulazioni consuete, avesse l'animo alieno dal Re; o perchè come vide passati tutti i termini del rispondere, sospettando di quel ch'era, e temendo, che il Re non iscoprisse a Cesare le sue pratiche, concitato ancora dal desiderio ardente, che avea di ricuperare Parma e Piacenza, e di fare qualche cosa memorabile: sdegnato oltre questo dalla insolenza di Lautrech e del Vescovo di Tarba suo ministro, li quali non ammettendo nello Stato di Milano alcuno comandamento, o provisioni ecclesiastiche, le dispregiavano con superbissime ed insolentissime parole; deliberò di congiugnersi con Cesare contra il Re di Francia.

 

Dall'altra parte l'Imperadore irritato dalla guerra di Navarra, e stimolato da molti fuorusciti di Milano, e commosso ancora da alcuni del suo Consiglio, desiderosi d'abbassare la grandezza di Ceures, che aveva sempre dissuaso il separarsi dal Re di Francia; si risolvè a confederarsi col Pontefice contra il Re, ed in effetto fu senza saputa di Ceures, il quale opportunamente morì quasi ne' medesimi giorni, tra il Pontefice e l'Imperadore fatta confederazione a difesa comune, eziandio della Casa de' Medici e de' Fiorentini, con aggiunta di rompere la guerra nello Stato di Milano, il quale acquistandosi, restasse alla Chiesa Parma e Piacenza, per tenerle con quelle ragioni, con le quali le avea tenute per innanzi; e che atteso che Francesco Sforza, il quale era esule a Trento, pretendeva ragione nello Stato di Milano per l'investitura paterna e per la rinunzia del fratello, che acquistandosi ne fosse messo in possessione, ed obbligati i Collegati a mantenervelo e difendervelo: che il Ducato di Milano non consumasse altri Sali, che quelli di Cervia: che fosse permesso al Papa non solo di procedere contra i sudditi e feudatari suoi; ma obbligato eziandio Cesare (acquistato che fosse lo Stato di Milano) ad aiutarlo contra loro, e nominatamente all'acquisto di Ferrara: fu accresciuto il censo del Reame di Napoli, e promessa al Cardinal de' Medici una pensione di diecimila ducati su l'Arcivescovado di Toledo vacato nuovamente, ed uno Stato nel Reame di Napoli d'entrata di diecimila ducati per Alessandro de' Medici figliuol naturale di Lorenzo, già Duca d'Urbino.

Conchiusa occultissimamente questa confederazione fra 'l Papa e l'Imperadore contra il Re di Francia, furono tutti rivolti i loro pensieri alla guerra di Milano, la quale per essere stata cotanto bene scritta dal Guicciardino, dal Giovio, e da altri Scrittori contemporanei, e per non essere del mio istituto, volontieri tralascio. In brieve, gli Imperiali, e Francesco Sforza avendone cacciati i Franzesi comandati dal famoso Capitano Lautrech, acquistarono quel Ducato; del quale successo il Pontefice Lione ebbe tanta contentezza, che Michiel S. di Montagna319 scrive, che all'avviso della presa di Milano, da lui estremamente desiderata, entrò in tale eccesso di gioia, che ne fu preso dalla febbre, e se ne morì. Il Guicciardino320 narra, che morisse di morte inaspettata il primo di dicembre di quest'anno 1521, poichè dopo d'aver avuta la nuova dell'acquisto di Milano, e ricevutone incredibile piacere, fu sorpreso la notte medesima da piccola febbre, e ancorchè da' Medici fosse riputato di piccolo momento il principio della sua infermità, morì fra pochissimi giorni, non senza sospetto grande di veleno, datogli, secondo si dubitava, da Bernabò Malespina suo cameriere, deputato a dargli da bere: il quale se bene fosse incarcerato per questa sospezione, non ne fu poi ricercata più cosa alcuna: perchè il Cardinal de' Medici, come fu giunto a Roma, lo fece liberare, per non avere occasione di contrarre maggior inimicizia col Re di Francia, per opera di chi si mormorava, ma con autore e conghietture incerte, Bernabò avergli dato il veleno.

Fu agli 9 di gennajo del nuovo anno 1522 in suo luogo rifatto Adriano Cardinal di Tortosa di nazion fiamengo, ch'era stato in puerizia di Cesare maestro suo, e per opera sua promosso da Lione al Cardinalato, il quale avuta la novella dell'elezione, non mutando il nome, che prima avea, si fece denominare Adriano VI. Il suo Pontificato fu molto breve, e durò poco più d'un anno e mezzo, essendosene morto ai 14 settembre del seguente anno 1523. Ed in suo luogo dopo due mesi fu eletto il Cardinal Giulio de' Medici, che fece chiamarsi Clemente VII.

Grandi furono gli avvenimenti sotto il suo Pontificato: Re Francesco tornò in Italia per ricuperar lo Stato di Milano, assedia Pavia, commette fatto d'arme nel Parco, e vi vien fatto infelicemente prigione. Furono proposte molte condizioni per la sua liberazione, ed intanto fu menato prigione in Ispagna, ove vi stette fin che fu conchiuso con dure condizioni l'accordo fra lui e Cesare della sua liberazione.

(Carlo di Launoja, senza saputa del Borbone e del Marchese di Pescara, dando a sentire di voler portare il Re Francesco a Napoli in più forte e più sicura prigione, lo condusse in Ispagna: di che que' mostrandosene aspramente offesi lo querelarono all'Imperadore, ed il Pescara, siccome narra il Varchi, mandò al Launoja un cartello, sfidandolo come traditore, ed offrendosi di voler ciò provargli colle arme in mano a corpo a corpo combattendo. Da questa mala soddisfazione del Marchese nacque l'imputazione, che gli fu addossata d'aver dato orecchio all'offerte del Papa di volerlo investire del Regno di Napoli. Il Varchi nella sua Istoria Fiorentina stampata ultimamente colla data di Colonia nel 1721 lib. 2 pag. 12 narra le più minute circostanze di questo fatto, scrivendo, che il Pescara avesse risposto all'offerta fattagli dal Morone, che ogni volta che gli fosse mostrato, che senza pregiudizio dell'onor suo ciò far si potesse, egli non ricuserebbe di porvi mano: e da Roma gli fu tosto levato ogni scrupolo, poichè ivi non mancarono (dice il Varchi) de Dottori, anzi Cardinali stessi (e questi furono Cesis e l'Accolto) i quali scrissero al Pescara, facendogli certa fede ed indubitata testimonianza, ch'egli secondo la disposizione e ordinamenti delle leggi così civili, come canoniche, non solo poteva ciò fare senza mettervi scrupolo alcuno di punto dell'onor suo; ma eziandio che dovea farlo per obbedire al sommo Pontefice. Il Marchese che unicamente per iscorgere i consiglj e fini de' nemici avea dato orecchio a questo trattato, fingendo esser dubbio d'accettar l'invito, diede d'ogni cosa relazione all'Imperadore Carlo V, il quale nella risposta, che nel 1526 fece a Clemente VII, dichiarò essere stato fin dal principio informato dal medesimo di tutto, e che non poteva avere alcun sospetto della fedeltà ed onore del Pescara; rinfacciando al Papa questi indegnissimi modi e perverse machinazioni. Merita esser letta questa savia e gravissima risposta di Cesare; la qual finisce con un'appellazione che interpose, di tutti i papali atti e futuri gravami e minacce, al futuro general Concilio, che dovea tosto convocarsi da tutte le province cristiane. Fu quella impressa da Goldasto nel tomo uno Const. Imp. e si legge alla pag. 419, ed ultimamente Lunig nel III tomo del suo Codice Diplomatico d'Italia, che in quest'anno 1732 ha dato alla luce, non ha mancato alla pagina 1962 et seqq. di trascriverla tutta intera, insieme col Breve lunghissimo di Clemente, al quale si risponde).

Nella capitolazione fra il Re Francesco, e l'Imperadore, che fu stipulata in Madrid li 14 di gennajo dell'anno 1526, fra l'altre cose fu convenuto, che rinunziasse il Re Cristianissimo, e cedesse a Cesare tutte le ragioni del Regno di Napoli, eziandio quelle che gli fossero pervenute per le investiture della Chiesa, e 'l medesimo facesse delle ragioni dello Stato di Milano321.

Non meno i Giureconsulti che gl'Istorici322 scrissero, che in vigor di questo accordo fossero estinte tutte le ragioni, che mai i Re di Francia potessero rappresentare sopra il Reame di Napoli, e che nell'avvenire non avrebbero più pretesto d'invaderlo, e che per ciò ogni guerra che si fosse mossa, sarebbe stata irragionevole ed ingiusta, ed in fine, che si sarebbero terminate tutte le contese sopra il Regno di Napoli.

Ma non furono vani i presagi, che gli uomini prudenti sin d'allora fecero di questa simulata e sforzata convenzione: appena si vide il Re Francesco posto in libertà, che riputando di niun valore le obbligazioni fatte violentemente in prigione, nulla curando de' propri figliuoli dati in ostaggio in potere di Cesare, non solo non le osservò, ma riputandosi ingiuriato da lui, per averlo astretto a promesse indegne ed impossibili, proccurò vendicarsene: a questo fine, avanti che segnasse la pace, nel medesimo giorno, fecene lunga protesta, che si legge presso Lionard nella sua Raccolta323, ove dichiarava per pura violenza, trovandosi prigione e gravemente infermo, essere stato costretto a segnarla. Perciò avendo rivolti i suoi pensieri per unire tutte le sue forze, tornò più irato che mai a fargli nuova guerra, e a portare le sue armi di nuovo in Italia, con impegno non solo di ricuperare il perduto Stato di Milano, ma invadere anche il Regno di Napoli, promettendosene per mezzo di Lautrech suo famoso Capitano la reduzione, come più innanzi narreremo.

315Guicciard. lib. 13
316Lib. 12 pag. 603.
317Chioc. tom. I. M. S. Giur.
318Guic. lib. 14.
319Montagna l. 1 c. 2 de' suoi Saggi.
320Guic. lib. 14.
321L'intero istromento di questa pace è rapportato da Lionard nella sua Raccolta, tom. 2 pag. 220.
322V. Jo. Sleidan. ad Flossard. et Argenten.
323Lionard tom. 2 pag. 210.