Za darmo

Istoria civile del Regno di Napoli, v. 7

Tekst
0
Recenzje
iOSAndroidWindows Phone
Gdzie wysłać link do aplikacji?
Nie zamykaj tego okna, dopóki nie wprowadzisz kodu na urządzeniu mobilnym
Ponów próbęLink został wysłany

Na prośbę właściciela praw autorskich ta książka nie jest dostępna do pobrania jako plik.

Można ją jednak przeczytać w naszych aplikacjach mobilnych (nawet bez połączenia z internetem) oraz online w witrynie LitRes.

Oznacz jako przeczytane
Czcionka:Mniejsze АаWiększe Aa

Nell'iscrizione del suo tumulo leggiamo ancora: multa scitissima consiglia reliquit: ma ora non sono: sovente però egli nelle sue opere impresse allega questi consigli e fra gli altri uno, che e' compilò nel Regno di Sardegna188.

Scrisse ancora molti Commentarj sopra alcune leggi del Codice e sopra le Istituzioni, de' quali toltone la memoria ch'egli ce ne dà nelle sue opere citandogli, non se ne ha altra notizia.

Compose parimente un Trattato de Consiliariis Principum, et de Officialibus eligendis ad justitiam regendam, ac eorum qualitatibus, et requisitis, che dedicò a Ferdinando I. Compose anche a richiesta del Cardinal Oliviero Caraffa, l'Ufficio della Traslazione del corpo di S. Gennaro189, coll'occasione della traslazione, che si fece del medesimo Corpo nel 1497 dal monastero di monte Vergine in Napoli; delle quali opere non è a noi rimalo altro vestigio, se non nelli suoi libri, dove si citano. Scrisse pure un libro de Privilegiis Fisci, di cui fece menzione Giovan Battista Ziletto190.

Cotanto nel Regno di Ferdinando I e de' suoi figliuoli, per li favori di questo Principe, e per li tanti e sì illustri Professori, erasi la nostra giurisprudenza innalzata e salita in pregio assai più, che non si vide ne' precedenti secoli. E siccome nell'altre Università d'Italia tutto lo studio e tutta l'applicazione delle Cattedre era sopra i libri di Giustiniano, così ancora nella nostra questo studio crebbe per li tanti Professori, che vi s'impiegarono; e poichè, come si è veduto, per lo più i Cattedratici erano insieme Magistrati ed altri Avvocati, quindi avvenne, che siccome que' libri nelle Cattedre avean molti anni prima presa forza e vigore, così poi tratto tratto si vide, che il medesimo vigore ed autorità acquistassero ne' nostri Tribunali. Quindi avvenne, che in questo secolo la legge Longobarda fosse non men dalle Cattedre, che dal Foro affatto sterminata ed abborrita, e che finalmente cedesse alla Romana. I Cattedratici, gli Avvocati ed i Magistrati si diedero allo studio di questa, e di coloro che l'avean commentata, allegandola non men nelle Scuole, che ne' Tribunali. E narra l'istesso Matteo d'Afflitto191, che se bene dagli Avvocati vecchi avea inteso, che la legge Longobarda nel Foro avesse alcun tempo prevaluto alla Romana, nulladimanco, che a' suoi tempi e quando fu Giudice di Vicaria e quando poi fu Presidente di Camera e Consigliere nel S. C. non mai ciò vedesse, anzi tutto il contrario, che la Romana prevaleva alla Longobarda.

In questi tempi fu adunque, ed in questo rialzamento non meno delle buone lettere che delle altre discipline, che presso noi le leggi longobarde cedessero alle romane; onde poi avvenne, che presso i nostri Causidici fosse appena noto il lor nome. Ecco il periodo ed il fine delle leggi longobarde, e di qua innanzi non sentirete di lor più favellare.

Non è però, che abolite queste leggi non rimanessero ancora presso noi alcuni vestigi de' loro costumi. In Apruzzo si ritengono molti istituti intorno a' Feudi che si regolano secondo le leggi longobarde, e ritiene ancora quella provincia i beni gentilizj. In Bari, poi che le loro consuetudini per lo più sono fondate sopra quelle leggi, si ritengono ancora non meno i vocaboli che gl'istituti. Negl'istromenti, che in molte altre province si stipolano, i Notari anche a' tempi nostri, se vi sono donne, vi fanno intervenire per esse il Mundualdo. Ancora dura lo stile, che negl'istromenti si metta la clausula Jure Romano etc. per denotare, che i contraenti vivevano sotto quella legge e non longobarda. Durano ancora le voci di Vergini in capillo, di Meffio e Catameffio e moltissime altre, delle quali fu da noi fatto lungo catalogo nel quinto libro di quest'istoria. E perchè di loro affatto ogni memoria non mancasse, Giovan Battista Nenna di Bari non ignobile Giureconsulto di que' tempi, Autore del trattato della vera nobiltà, che intitolò il Nennio, e dedicò alla Regina Bona di Polonia e Duchessa di Bari, trovando tra' libri de' suoi antenati un voluminoso Commentario M. S. sopra le leggi de' Longobardi di Carlo di Tocco per la ricerca che ne avea da molti, l'abbreviò e fattevi alcune postille, con una esplicazione per alfabeto delle parole oscure de' Longobardi, il fece stampare in Vinegia nel 1537 con grande utilità de' legisti, e come dice Beatillo192, con non minor comodità della città di Bari ed altri molti luoghi del Regno, dove ancor oggi si vive con l'osservanza delle leggi longobarde.

Di quest'opera oltre i nostri193, ne fanno memoria anche gli Scrittori forestieri, come il Pignoria194 e quel ch'è più strano, sino i Germani come Lindenbrogio195, e Burcardo Struvio196. A questo medesimo fine Prospero Rendella Monopolitano distese quel suo trattato: In Reliquias Juris Longobardi: impresso in Napoli l'anno 1609, perchè molti luoghi del Regno serbano ancora alcune loro usanze; ma perchè ora il Regno universalmente si regola con altre leggi, e le longobarde sono andate in disusanza, chi per se allega questi particolari usi, si carica del peso di provarli197.

Le leggi adunque, onde universalmente fu governato il nostro Regno, erano quelle racchiuse nelle Pandette di Giustiniano, secondo l'antica partizione di Pileo e di Bulgaro, della quale si valse Accursio e tutti gli altri Repetenti e Glossatori: il Codice di repetita prelezione: le Istituzioni e le Novelle, secondo il numero d'Agileo. Seguirono le Costituzioni del Regno, ove sono racchiuse le leggi de' nostri Re Normanni e Svevi. I Capitolarj, ovvero Capitoli del Regno, che racchiudono le leggi de' Re Angioini. I Riti della Camera e della G. C. Le Consuetudini particolari così di Napoli come dell'altre città del Regno; e finalmente le novelle Prammatiche, che s'incominciarono dal Re Alfonso I, e furon da poi accresciute dagli altri Re Aragonesi ed Austriaci, insino a quel numero che ora si vede. Per quel che riguarda la legge Feudale, i libri de' Feudi colle Costituzioni, Capitoli e novelle Prammatiche stabilite da poi a quelli appartenenti.

Ancorchè in questi tempi i libri de' Dottori non fossero cresciuti in quell'infinito numero che si vede ora; e non si vedessero tanti volumi di Trattati, di Consiglj, di Controversie, di Allegazioni, di Discettazioni, di Resoluzioni e di Decisioni; nulladimanco, perchè per l'uso della stampa cominciavano ad apparire più del solito, quindi nacque la massima, che i Giudici, quando le leggi mancassero dovessero seguire o l'autorità delle cose giudicate o la opinione più comune de' Dottori, e più i loro Commentarj che i Consiglj; onde mancando le leggi, le consuetudini, i riti e lo stile di giudicare, non si rimetteva al loro arbitrio e prudenza il decidere, ma che dovessero seguire il più comune insegnamento de' Dottori. Ed in ciò pure si prescrissero molte regole e cautele. I se gli Interpreti saranno fra' loro varj e discordanti, il Giudice dovrà seguire quella parte dove sia maggior numero, ed il detto di costoro dovrà riputare la più comune opinione. II dovranno i Giudici attenersi più tosto alla sentenza di coloro, li quali di proposito e profondamente avranno discussa ed esaminata la materia che di quelli, che di passaggio senza punto esaminarla, vanno dietro agli altri. III che debbiano più tosto seguire i loro commentarj ed i trattati, che i consiglj o i loro responsi ed allegazioni. IV ove si tratti di cause appartenenti al Foro ecclesiastico, debbano seguitare i canonisti, siccome i legisti in quelle del Foro secolare. V invecchiando non meno, che tutte l'altre cose umane, le opinioni; ed il corso del tempo, il lungo uso e la nuova esperienza delle cose, ammaestrando gli uomini in maniera, che sovente fanno loro abbandonare gli antichi dettami; quindi è dovere, che i Giudici debbiano seguire più tosto le nuove, che le vecchie opinioni degli Interpreti. Moltissime altre regole vengono da' nostri Autori prescritte intorno a ciò, delle quali lungamente scrissero, per tralasciar altri, Dionigi Gotofredo198, ed il savissimo Arturo Duck199.

 

Ecco in fine lo stato nel quale Ferdinando I di Aragona lasciò questo Regno, per quel che riguarda la sua politia e governo: lo vedremo ora nel seguente libro tutto sconvolto e disordinato, in maniera che in pochissimi anni vide sette Re che lo dominarono; nella revoluzione delle quali cose rimase cotanto sbattuto, fin che poi non riposasse sotto la Monarchia dell'inclito Re Ferdinando il Cattolico.

FINE DEL LIBRO VENTESIMOTTAVO

LIBRO VENTESIMONONO

La guerra, che per invito di Lodovico Sforza mosse Carlo VIII Re di Francia, ad Alfonso II, il quale, morto suo padre, fu subito in Napoli con grande celebrità incoronato Re per mano del Cardinal Borgia200, è stata cotanto bene scritta da Filippo Comines Signor d'Argentone, Scrittor contemporaneo e che fu da Carlo adoperato ne' maneggi più gravi di quella spedizione, da Francesco Guicciardino e da Monsignor Giovio, che a ragione potremmo rimetterci alle Istorie loro: ma poichè non fu da Principe savio mossa guerra alcuna, che insieme non si proccurasse farla apparire giusta, non avendo i nostri Scrittori palesate le ragioni, onde i Franzesi per tale la dipinsero al loro Re; perciò non ci dee rincrescere di scoprirle ora, che ce ne vien somministrata l'occasione. Prima di muoverla, e dopo gl'inviti del Moro, furono esaminate le pretensioni del Re con solenne scrutinio, e trovatele a lor credere, sussistenti, persuasero al Re esser dal suo canto somma giustizia di poter unire alla Corona di Francia il Regno di Napoli. Essi appoggiavano la pretensione sopra questi fondamenti. Renato d'Angiò, che, come si è veduto ne' precedenti libri, perduto il Regno avea lasciato a Giovanni suo figliuolo la speranza di ricuperarlo dalle mani di Ferdinando I d'Aragona, mentre visse Giovanni, non potè vedere alcun buon esito di quella guerra; poichè Ferdinando, sebbene dopo la morte del padre Alfonso fosse stato assaltato e da lui e da' principali Baroni del Regno, nondimeno con la felicità e virtù sua, non solamente si difese, ma afflisse in modo gli avversari, che mai più, nè in vita di Giovanni, nè di Renato, che sopravvisse più anni al figliuolo, ebbe nè da contendere, nè da temere degli Angioini. Morì finalmente Renato, e non lasciando di se figliuoli maschi, ma solamente una figliuola femmina, da chi nacque il Duca di Lorena, fece erede in tutti i suoi Stati e ragioni Carlo figliuolo del Conte di Maine suo fratello201.

(Questa figlia era Violante, la quale si maritò con Ferry II di Lorena Conte di Vaudemont, dal qual matrimonio nacque Renato Duca di Lorena, che fu invitato da Innocenzio VIII all'impresa del Regno. Lasciò sì bene Renato padre di Violante un'altra figliuola femmina, Margherita vedova del Re d'Inghilterra, alla quale nel suo testamento lasciò le rendite del Ducato di Bar; ma a Renato figliuolo di Violante lasciò il Ducato stesso di Bar, siccome si legge nel suo Testamento, fatto in Marsiglia nell'anno 1474, che dettò in lingua franzese, trascritto da Lunig Tom 2 p. 1278. Anzi in questo istesso suo Codice Diplomatico pag 1291 si legge ancora un Istromento di donazione che fece la vedova Regina d'Inghilterra Margherita al suddetto Renato suo Padre, di tutte le sue ragioni, che avea nel Ducato di Bar, le quali furono trasferite a Renato di Lorena suo nipote in virtù dei detto suo testamento, e poichè allegava, che suo avo non potesse negli altri suoi Stati posporlo a Carlo Conte di Maine, ch'era collaterale, come figlio di suo fratello, quando era egli nella linea discendente, essendo figliuolo di sua figlia: perciò pretendeva appartenersegli non meno il Ducato d'Angiò, ed il Contado di Provenza, che il Regno stesso di Napoli e di Gerusalemme. E per questa pretensione i Duchi di Lorena discendenti da Renato fra gli altri loro titoli presero ancor quello di Duchi di Calabria, e nelle loro arme inquartarono eziandio quelle di Sicilia e di Gerusalemme; siccome può osservarsi dalle lor monete impresse da Baleicourt nel Traité Historique et Critique sur l'origine, et Généalogie de la Maison de Lorraine. Il qual Autore notò assai a proposito p. 28 Explication des Monnoies, che i Duchi di Lorena prima di questo maritaggio di Violante con Ferry di Lorena Conte di Vaudemont, non inquartavano le armi di Sicilia e di Gerusalemme, nè s'intitolavano Duchi di Calabria, siccome fecero da poi i suoi discendenti, e proseguono tuttavia fino al presente a fare; senza che mai i Re di Spagna glielo avesser contraddetto; anzi a' tempi nostri, essendo accaduta nel mese di marzo del 1729 la morte del Duca di Lorena Leopoldo padre del presente Duca Francesco regnante, nelle pompose esequie, che l'Imperadore Carlo VI fecegli celebrare nell'Imperial Chiesa di Corte degli Agostiniani in Vienna, nel Mausoleo e nelle iscrizioni fra le sue armi, si vedevano inquartate quelle di Sicilia e di Gerusalemme, e fra i suoi titoli si leggeva anche a lettere cubitali quello di DUX CALABRIAE).

Non fu già questo Carlo figliuolo di Giovanni, come con errore scrissero alcuni moderni202, fu sì bene nipote di Renato, ma di fratello, non di figliuolo. Carlo morì poco da poi parimente senza lasciar figliuoli, e lasciò per testamento la sua eredità a Lodovico XI Re di Francia, ch'era figliuolo d'una sorella di Renato203. Molte clausole di questo testamento, che fu fatto da Carlo in Marsiglia a' 10 decembre del 1481, si leggono nel primo tomo della Raccolta dei Trattati delle Paci tra' Re di Francia con altri Principi, di Federico Lionard, stampato in Parigi l'anno 1693, dove istituisce suo erede universale Lodovico, che chiama perciò suo consobrino, e dopo lui Carlo il Delfino di Francia figliuolo di Luigi, al quale non solo ricadde, come a supremo Signore, il Ducato di Angiò, nel quale, per esser membro della Corona, non succedono le femmine, ma entrò nel possesso della Provenza, e per vigore di questo testamento potea pretendere essergli trasferite le ragioni, che gli Angioini aveano sopra il Reame di Napoli. Ma Luigi fu sempre avverso alle cose d'Italia e, contento della Provenza, non inquietò il Regno. Morto Luigi, essendo continuate queste ragioni in Carlo VIII suo figliuolo, giovane avido di gloria, entrò, a' conforti d'alcuni che gli proponevano questa essere occasione d'avanzar la gloria de' suoi predecessori, nella speranza d'acquistar coll'arme il Regno di Napoli.

Ma in questi principi surse il Duca di Lorena per suo competitore; poichè essendo il Re per coronarsi nell'età di 14 o 15 anni, venne da lui il Duca a dimandare il Ducato di Bar ed il Contado di Provenza. Appoggiava la sua pretensione per essere egli nato da una figliuola di Renato, e per conseguenza non aver potuto Renato preporre Carlo ch'era nato da suo fratello a lui, ch'era nato d'una sua propria figliuola. Ma replicandosi in contrario, che nella Provenza non potevan succeder le femmine, gli fu renduto il Ducato di Bar, ed intorno alla pretensione della Provenza, fu stabilito che fra quattro anni si avesse a conoscere per giustizia delle ragioni d'amendue sopra quel Contado. Narra Filippo di Comines che fu uno del Consiglio destinato all'esame di queste ragioni, che non erano ancora passati i quattro anni che si fecero avanti alcuni Avvocati provenzali, cavando fuori certi testamenti del Re Carlo I fratello di S. Lodovico e d'altri Re di Sicilia della Casa di Francia, in vigor de' quali diceano, non solo appartenersi al Re Carlo il Contado di Provenza, ma il Regno ancora di Sicilia, e tutto ciò che fu posseduto dalla Casa d'Angiò; e che il Duca di Lorena non vi potea pretendere cos'alcuna, non solo perchè Carlo ultimamente morto Conte di Provenza figliuolo di Carlo d'Angiò Conte di Maine e nipote di Renato, avea per suo testamento istituito erede Lodovico XI, ma ancora perchè Renato l'avea preferito al Duca di Lorena, ancorchè nato di sua figliuola, per eseguire le disposizioni de' suddetti testamenti fatti da Carlo I d'Angiò e dalla Contessa di Provenza sua moglie. Aggiungevano parimente che il Regno di Sicilia ed il Contado di Provenza, non potevano esser separati: nè potevano in quelli succeder le donne, quando v'erano maschi della discendenza. E per ultimo che oltre Re Carlo I, coloro che a lui successero nel suddetto Regno, fecero consimili testamenti, come fra gli altri Carlo II d'Angiò suo figliuolo.

Per questi ricorsi de' Provenzali, e per avere il Re Carlo insinuato a que' del Consiglio, che s'adoperassero in modo ch'egli non perdesse la Provenza, finiti i quattro anni, il Consiglio portava in lungo la deliberazione per istancare il Duca, e non potendolo più trattenere, finalmente il Duca, scoverta la volontà del Re e di coloro del suo Consiglio, si partì dalla Corte mal soddisfatto e molto adirato con loro.

In questi tempi, quattro o cinque mesi prima di questa sua partenza dalla Corte, gli fu fatto l'invito, che nel precedente libro si è narrato, dal Papa e dai Baroni ribelli per la conquista del Regno, del quale se egli se ne avesse saputo ben servire, s'avrebbe potuto mettere in mano il Regno di Napoli; ma la sua lentezza e tardanza fa tale che il Papa ed i Baroni resi già stanchi e fuori di speranza, per averlo sì lungamente aspettato, s'accordarono con Ferdinando: onde il Duca con molto rossore ritornossene al suo paese, nè da poi ebbe egli mai alcuna autorità appresso il Re.

 

Intanto crescendo il Re Carlo negli anni, vieppiù cresceva nel desiderio di passare in Italia alla impresa del Regno; nè mancavano i suoi Consultori tutto dì stimolarlo, dicendogli, che il Regno di Napoli s'apparteneva a lui. In questo mentre capitò a Parigi il Principe di Salerno, il quale non fidandosi delle parole di Ferdinando, uscì, come si disse, dal Regno, e prima con tre suoi nepoti, figliuoli del Principe di Bisignano, andò a Vinegia, dove egli avea molte amicizie. Quivi prese consiglio da quella Signoria, dove le paresse meglio ch'eglino si ricoverassero o dal Duca di Lorena, o dal Re di Francia, o da quello di Spagna. Filippo di Comines, che mostra nelle sue Memorie aver tenuta grande amicizia col Principe di Salerno, narra che avendo di ciò tenuto discorso col Principe, gli disse che i Viniziani lo consigliavano che ricorresse al Re di Francia; poichè dal Duca di Lorena, come uomo morto, non era da sperarne cos'alcuna. Il Re di Spagna non bisognava allettarlo a quella impresa, ma doveasene guardare, poichè se egli avesse il Regno di Napoli con la Sicilia e gli altri luoghi nel golfo di Vinegia, essendo già molto potente in mare, in breve porrebbe in servitù tutta Italia: onde non vi restava che il Re di Francia, dal quale, e dall'amicizia ch'essi v'aveano, s'avrebbero potuto promettere un Regno placido e soave. Così fecero, e giunti in Francia furono con lieto viso ricevuti, ma poveramente trattati. Penarono per due anni interi, assiduamente insistendo che si facesse l'impresa del Regno; ma poichè il partito di coloro che dissuadevano il Re, era de' più prudenti e solamente alcuni favoriti che vedendo la sua inclinazione, per adularlo, l'instigavano al contrario, perciò erano menati in lungo, un giorno con isperanza e l'altro senza.

Quello che poi gli fè dar tracollo fu, come s'è detto, l'invito di Lodovico Sforza, il quale vedendo che non in altra guisa avrebbe potuto rapire al nipote il Ducato di Milano, se non con porre sossopra il Regno ad Alfonso, che s'opponeva a' suoi disegni per gli continui ricordi che ne avea dalla Duchessa di Milano moglie del Duca e sua figliuola, trattò efficacemente questa venuta, ed inviandovi Ambasciadori per affrettarla, finalmente rotto ogni indugio, si dispose Carlo al passaggio d'Italia.

(Le convenzioni ed articoli accordati tra Carlo e Ludovico Sforza, si leggono presso Lunig204).

Partì il Re da Vienna nel Delfinato a 23 agosto del 1494, tirando diritto verso Asti: passò a Torino, indi a Pisa, donde partitosi venne a Fiorenza, per passare a Roma205.

(Giunto in Fiorenza il Re Carlo, diede fuori un Manifesto, nel quale dichiarava a tutti ch'egli veniva per conquistar il Regno di Napoli, non solo per far valere le sue ragioni che vi avea: ma perchè conquistato avesse più facile e pronto passaggio per invadere gli Stati del Turco, e vendicare le devastazioni e le stragi che sopra il sangue Cristiano facevano que' crudeli e perfidi Maomettani; cercando perciò a tutti passaggi, ajuti e vettovaglie per le sue truppe, per le quali avrebbe soddisfatto i loro prezzi. Leggesi il manifesto presso Lunig206).

Intanto Re Alfonso intesa questa mossa avea disposto un esercito in campagna nella Romagna verso Ferrara, condotto da Ferrandino Duca di Calabria suo figliuolo, ed un'armata per mare a Livorno e Pisa, di cui ne fece Generale D. Federico suo fratello; ma quando intese che Re Carlo a grandi giornate con tanta prosperità, secondandogli ogni cosa, s'approssimava a Roma, mandò ivi Ferrandino a trattar col Papa per la salute del Regno. Ma non erano minori l'angustie nelle quali, approssimandosi l'esercito di Carlo alle mura di Roma, si trovava Papa Alessandro, poichè vedendolo accompagnato dal Cardinal di S. Pietro in Vincoli, e da molti altri Cardinali suoi nemici, temeva che il Re, per le persuasioni de' medesimi, non volgesse l'animo a riformare, come già cominciava a divulgarsi, le cose della Chiesa: pensiero a lui sopra modo terribile che si ricordava con quai modi fosse asceso al Pontificato, e con quai costumi ed arti l'avesse poi continuamente amministrato207. Ma il Re che sopra ogni altra cosa non desiderava altro più ardentemente che l'andata sua al Regno di Napoli, lo alleggerì di questo sospetto, mandandogli Ambasciadori a persuadergli, non essere l'intenzione del Re mescolarsi in quello che apparteneva all'autorità pontificale, nè dimandargli se non quanto fosse necessario alla sicurtà di passare innanzi; onde fecero istanza che potesse il Re entrare col suo esercito in Roma, perchè entrato che fosse, le dissensioni state fra loro si convertirebbero in sincerissima benivolenza. Il Papa giudicando che di tutti i pericoli questi fosse il minore, acconsentì a questa dimanda; onde fece partire di Roma il Duca di Calabria col suo esercito, il quale se n'uscì per la porta di S. Sebastiano l'ultimo di decembre di questo medesimo anno 1494, nell'istesso tempo, che per la porta di S. Maria del Popolo v'entrava coll'esercito franzese il Re armato.

Dimorò Carlo in Roma da un mese, non avendo intanto cessato di mandar gente a' confini del Regno, nel quale già ogni cosa tumultuava, in modo, che l'Aquila e quasi tutto l'Apruzzo avea, prima che 'l Re partisse di Roma, alzate le di lui bandiere: nè era molto più quieto il resto del Reame, perchè subito che Ferdinando fu partito da Roma, cominciarono ad apparire i frutti dell'odio, che i popoli portavano ad Alfonso: laonde esclamando con grandissimo ardore della crudeltà e superbia d'Alfonso, palesemente dimostravano il desiderio della venuta de' Francesi208.

Alfonso, intesa ch'ebbe la partita del figliuolo da Roma, entrò in tanto terrore, che dimenticatosi della fama e gloria grande, la quale con lunga esperienza avea acquietata in molte guerre d'Italia, e disperato di poter resistere a questa fatale tempesta, deliberò di abbandonare il Regno, e dettando l'istromento della rinunzia Giovanni Pontano, coll'intervento di Federico suo fratello, e de' primi Signori del Regno209, rinunziò il nome e l'autorità reale a Ferdinando suo figliuolo, con qualche speranza, che rimosso con lui l'odio sì smisurato, e fatto Re un giovane di somma espettazione, il quale non avea offeso alcuno, e quanto a se era in assai grazia appresso a ciascuno, allenterebbe peravventura ne' sudditi il desiderio de' Franzesi. Questo consiglio, pondera il Guicciardino, che se si fosse anticipato, forse avrebbe fatto qualche frutto, ma differito a tempo che le cose non solo erano in troppo gran movimento, ma già cominciate a precipitare, non ebbe più forza di fermar tanta rovina.

Ceduta ch'ebbe Alfonso al figliuolo Ferdinando (il quale non passava l'età di 24 anni) la possessione del Regno, e fattolo coronare e cavalcare per la città di Napoli, non trovando nè giorno, nè notte requie nell'animo, entrò in sì fatto timore, che gli pareva udir che tutte le cose gridassero Francia, Francia; onde deliberò partir subito da Napoli e ritirarsi in Sicilia, e conferito quel ch'avea deliberato solamente con la Regina sua matrigna, nè voluto a' prieghi suoi comunicarlo, nè col fratello, nè col figliuolo, nè soprastare pur due o tre giorni solo per finir l'anno intero del suo Regno, si partì con quattro galee sottili cariche di molte robe preziose, dimostrando nel partire tanto spavento, che pareva fosse già circondato da' Franzesi. Si fuggì por tanto a Mazara Terra in Sicilia della Regina sua matrigna, stata a lei prima donata da Ferdinando Re di Spagna suo fratello, la quale volle anch'ella accompagnarlo.

Narra Filippo di Comines, che allora si trovava Ambasciadore del Re di Francia in Vinegia, che con meraviglia di ciascuno si sparse per tutto il Mondo, specialmente in Vinegia, cotal novella. Alcuni dicevano, ch'egli fosse ito al Turco; altri per dar favore alle cose del figliuolo, il quale non era odiato nel Regno così com'esso. Ma colui, che de' Re aragonesi scrisse con molto biasimo e molta acerbità, e forse più di quel che meritavano, non tralasciò di dire, che fu sempre d'opinione, ch'egli ciò facesse per vera pusillanimità. Giunto in Sicilia, dopo essere stato alquanto a Mazara, passò a Messina, ove ritirossi a menar vita religiosa, servendo in compagnia de' Frati a Dio in tutte l'ore del giorno e della notte, con digiuni, astinenze e limosine; e narra ancora lo stesso Autore, che se morte non l'impediva, avea deliberato di far sua vita in un monastero di Valenza, e quivi vestirsi da Religioso. Ma non avendo ancor finito dieci mesi dopo il suo ritiramento in Sicilia, fu egli assalito da una crudele infermità d'escoriazione e da renella, che incessantemente gli dava acerbissime punture e tormenti, tollerati però da lui con maravigliosa costanza e pazienza; e finalmente aggravato dal male, con grandissimo rimordimento delle sue colpe, finì i giorni suoi a' 19 novembre dell'anno 1495 del 47 anno, e quattordici giorni di sua età, dopo aver regnato un anno meno due giorni. Fu con reali esequie seppellito nella maggior Chiesa di Messina, ove ancora s'addita la di lui tomba.

Di questo Principe, e per lo suo corto regnare, e perchè era tutto dedito alle armi, non abbiamo tra le nostre prammatiche alcuna sua legge, ancorchè non impedisse il progresso delle lettere nel suo Regno; ma come nudrito in mezzo alle armi, non fu cotanto quanto suo padre amante de' Letterati; e Giovanni Pontano, come si è veduto nel precedente libro, non ebbe molta occasione d'esser appagato di lui, anzi agramente si vendicò della di lui ingratitudine con quell'Apologo dell'Asino, che trasse de' calci a chi gli porse ajuto. Fu però insieme magnifico e pietoso. Edificò due famosi palagi di diporto nella regione Nolana ed in Poggio reale: amò assai i Frati bianchi di S. Benedetto dell'Ordine di Monte Oliveto, al di cui Monastero in Napoli donò, come altrove fu detto, molte entrate. Diede anco principio alla nuova chiesa dei Monaci Cassinesi di S. Severino, non parendogli convenevole, che due Corpi di Santi così insigni, Sossio e Severino, dovessero giacere in due piccole Chiesette; e se le narrate disavventure non l'avessero impedito, le avrebbe dato quel fine e posta in quella magnificenza, nella quale oggi si vede.

188Affl. De Success. feud. vers. hoc quoque, n. 32.
189Toppi loc. cit.
190Zilet. in suo Indice libror. legal.
191Affl. in Constit. puritatem, num. 9.
192Beat. Ist. di Bari, lib. 4 pag. 204.
193Beatil. loc. cit. Toppi in Biblioth. Nicod. ad Topp.
194Pignor Epist. Symbol. ep. 49 p. 217.
195Lindenbr. in Prolegom.
196Struv. Hist. Juris, c. 5. §. 5 p. 365.
197V. Capec. Latr. Consult. 3 lib. 1. Fab. Cap. Galeota. tom. I controv. 1, 2, 3.
198Gotofr. in Prax. civil. lib. 1 tit. 2 lib. 1 cap. 8 per tot.
199Artur. De Usu. et Auth. Jur. Civ.
200La Formola del giuramento prestato da Alfonso II quando fu incoronato da Alessandro VI vien rapportata da Lunig Tom. 2 pag. 1299.
201Argenton. de Bello Neap. in princ. Guicc. I. 1 Istor Ital. Jo. Sleidam. in Phil. Comin.
202Loschi in Arbor. fam. Austr.
203Sleid. in Argentone.
204Tom. 2 p. 1303.
205Argenton l. c
206Tom. 2 p. 1302.
207Guic. lib. 1.
208Guic. L. I.
209Giovio.