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Istoria civile del Regno di Napoli, v. 6

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§. II. De' Nunzj, ovvero Collettori Appostolici residenti in Napoli

Sin da' tempi del Re Carlo I d'Angiò hassi dei Nunzj della Sede Appostolica residenti in Napoli memoria, leggendosi ne' regali Archivi della Zecca, che il Re Carlo I nell'anno 1275 per supplica datagli da Maestro Sinisi Cherico della Camera del Papa, e Nunzio della Sede Appostolica, incaricò a Carlo Principe di Salerno, che facesse consegnare al Proccuratore del Nunzio suddetto alcune robe sequestrate, non ostante le pretensioni del Secreto di Terra di Lavoro e d'altri creditori, per essersi questi nella sua Curia concordati col Nunzio156. Consimili carte si leggono del Re Roberto, ove fassi menzione de' Nunzj a tempo di Clemente V; facendo questo Re nel 1311 dar il braccio a M. Guglielmo di Balacro Canonico della chiesa di S. Alterio, ed a Giovanni di Bologna Cherico della Camera del Pontefice Clemente V Nunzi deputati per due Brevi dal suddetto Pontefice ad esigere e ricevere i censi alla romana Chiesa dovuti per qualunque cagione, legati, beni, decime ed altro157. Siccome nell'anno 1335 fece dar il suo ajuto e favore a M. Girardo di Valle Diacono della maggior chiesa di Napoli, e Nunzio destinato dalla Sede Appostolica in questo Regno per eseguire alcuni affari commessili dalla medesima158; e nel 1339 si leggono altre lettere di questo Re, colle quali si dà il placito Regio, ed ogni favore al suddetto Nunzio per eseguire le sue commessioni159.

Ma questi Nunzj erano destinati per Collettori delle entrade, che nel Regno teneva la Sede Appostolica, la quale sin da' tempi antichi, come si disse nel IV libro di quest'Istoria, avea in Napoli ed in alcune sue province particolari Patrimoni, i quali col corso di più secoli s'andarono sempre avanzando. Ma insino al Pontificato di Giovanni XXII non estesero la loro mano ne' beni delle sedi vacanti; poichè siccome fu altrove avvertito, anche nella investitura data a Carlo I ancorchè si proccurasse togliere a' nostri Re l'uso della Regalia, che avevano nelle loro Chiese vacanti, i Re di Francia e d'Inghilterra; nulladimanco, intorno a' frutti di tali chiese, niente fu mutato contro l'antica disciplina, leggendosi nell'investitura160: Custodia Ecclesiarum earumdem interim libere remanente penes personas Ecclesiasticas JUXTA CANONICAS SANCTIONES; le quali parole certamente importano, che i beni del morto Prelato o de' Beneficiati, dovessero conservarsi a' futuri successori, poichè così ordinano i Canoni. Ciocchè parimente stabilì Papa Onorio nella sua Bolla e ne' suoi Capitoli, siccome altrove fu rapportato. Nel Pontificato adunque di Giovanni, negli anni del Regno di Roberto, non volendo questo Principe contrastare alla cupidigia di colui sempre intento a cumular denari, stesero i Nunzj appostolici la lor mano anche ne' beni delle Chiese vacanti, ed in vece di lasciarli a' successori, gli appropriavano alla Camera Appostolica. Ciocchè una volta introdotto, fu poi continuato da Benedetto XII suo successore, a cui Re Roberto non era men tenuto, che a' suoi predecessori, avendogli questo Papa confermata la sentenza che riportò da Clemente V, colla quale l'avea preferito nella successione del Regno al Re d'Ungheria. Quindi è, che nel regal Archivio della Zecca leggiamo più carte di questo Re, per le quali a tali Collettori, in vece di fargli in ciò ogni ostacolo, si dà loro tutto l'ajuto e favore. Onde leggiamo, che questo Re a' 28 di novembre dell'anno 1339 ordinò a tutti gli Ufficiali del Regno, che a Guglielmo di San Paolo costituito dalla Sede Appostolica per Collettore delli frutti ed entrade delle Chiese e beni ecclesiastici vacanti de' Pastori, e Rettori nel Regno, gli diano ogni ajuto, e favore intorno al raccogliere, e ricuperare i suddetti frutti, ed entrade per beneficio della Chiesa romana. E nel 1341 a' 26 di giugno comandò parimente a tutti gli Ufficiali del Regno, che dessero ogni ajuto e favore a M. Raimondo di Camerato Canonico d'Amiens, ed a Ponzio di Paretto Canonico Carnutense, Nunzj deputati in Avignone dal Pontefice Benedetto XII per Commessarj per la Sede Appostolica a ricevere in nome della Camera Appostolica li beni mobili e tutti i lor crediti e ragioni, che aveano lasciati a tempo della loro morte Raimondo Vescovo Cassinense e Lionardo Vescovo d'Aquino161.

Donde si scorge, che siccome era maggiore la soggezione, che ebbero i nostri Re angioini alli pontefici d'Avignone, che quella de' Re di Francia, così fecero valere assai più nel nostro Regno le loro leggi, che in Francia istessa. In Francia, come rapporta Tommasino162, Clemente VII fu il primo, che sedendo in Avignone tentò introdurre in quel Regno gli Spogli e le incamerazioni de' frutti nelle vedovanze delle chiese per la morte de' Vescovi, e de' monasteri per la morte degli Abati; e ciò fece per mantenere la sua corte in Avignone, e trentasei Cardinali suoi partigiani, nel tempo dello Scisma, mentre in Roma sedeva Urbano VI163. Ma il Re Carlo VI con un suo editto164 promulgato l'anno 1386 rendè vano questo sforzo. In conformità del quale furono spedite le patenti e lettere regie nell'anno 1385 e rinovate nel 1394, donde avvenne, che in Francia si fosse posto agli spogli affatto silenzio; ed ancorchè Pio II volesse rinovar in Francia le leggi degli Spogli, Luigi XI nel 1463 parimente le ripresse165.

Ma presso di noi la legge degli Spogli fu più antica: ed i romani Pontefici molto tempo prima lo tentarono, leggendosi dalle Costituzioni di Bonifacio VIII, di Clemente V nel concilio di Vienna, e di Giovanni XXII che alle querele di molti, per gli abusi, ed inconvenienti deplorabili che seco recavano, furono costretti a proibirgli, donde si vede che molto prima s'erano cominciati a tentare; ma secondo la resistenza più o meno de' Principi, regolavano quest'affare. Dai nostri Re Angioini non vi ebbero resistenza veruna, anzi agevolavano l'impresa, e gli davano più tosto aiuto e favore. E quantunque dal pontefice Alessandro V nel concilio di Pisa e dal Concilio di Costanza, approvato poi da Martino V anche per concordia avuta colle nazioni che si opponevano, si fossero gli Spogli tolti; nulladimanco presso di noi non si rimediò all'abuso, se non nel Regno degli Aragonesi, come diremo al suo luogo.

Furono ancora i nostri Re Angioini e precisamente Roberto, ossequiosissimi a' Papi Avignonesi ed alle loro leggi, e quando la Germania poco conto faceva delle compilazioni, che sursero in questo secolo delle Clementine e delle Estravaganti, presso di noi però ebbero per le cagioni addottate, tutta la forza e vigore.

 

§. III. Delle compilazioni delle Clementine e delle Estravaganti

Sursero in questo XIV secolo nuove compilazioni del diritto pontificio. Acciocchè i Papi d'Avignone non fossero, anche in ciò, meno che i Papi di Roma: Clemente V racchiuse in cinque libri le sue Costituzioni, e quelle stabilite nel Concilio di Vienna; e tenendo nel mese di marzo dell'anno 1313 pubblico concistoro nel castello di Montilio, vicino la città di Carpentras, gli fece pubblicare; ma infermatosi poco da poi e morto nel seguente mese d'aprile, non ebbe tempo di mandargli alle Università degli studj, perchè nelle scuole s'insegnassero, e per quattro anni rimasero sospese. Giovanni Aventino166, per relazione avutane da Guglielmo Occamo, scrisse, che Clemente nel punto della morte, considerando, che quelle Costituzioni contenevano molte cose contrarie alla simplicità cristiana, ordinò che s'abolissero; ma il suo successore Giovanni XXII trovatele a proposito del suo genio di congregar tesori, le fece nel mese di ottobre dell'anno 1317 pubblicare; e le trasmise alle Università degli studj, ordinando per sua Bolla167, che quelle si ricevessero non meno nelle scuole che ne' Tribunali. Sortirono due nomi di Clementine, e per non confonderle col sesto, furono anche chiamate settimo delle decretali, come le chiamarono Giovanni Villani168, Aventino, Michel di Cesena ed altri169.

Non soddisfatto appieno Giovanni XXII di questa compilazione, volle alle Costituzioni di Clemente aggiungere venti altre delle sue, le quali furono chiamate utili e salutifere, a cagion dell'utilità grande, che recavano alla sua Corte; e poichè senz'ordine vagavano fuori del corpo dell'altre raccolte, furono chiamate Joannine170, come eziandio le chiamò Cuiacio171; ed intorno all'anno 1340 furono per privata autorità raccolte insieme, nè furono ricevute da tutti per pubblica autorità. Questo Pontefice vien riputato ancora autore delle regole della Cancelleria172, inventore delle scandalose Annate, e d'altri sottili ed ingegnosi ritrovamenti per cumular ricchezze. Al di lui esempio gli altri Pontefici suoi successori, ne stabilirono delle altre, come Eugenio IV, Calisto III, Paolo II, Sisto IV ed altri; onde da poi per privata autorità se ne fece di tutte queste estrazioni raccolta, che fu al corpo del diritto pontificio aggiunta, ed ebbero non meno che le decretali i suoi Chiosatori e commentatori173. Ma non da tutte le nazioni furono ricevute: e Guglielmo Occamo, che fu coetaneo di Giovanni XXII testifica, che sin dal loro nascimento, furono da molti riprese e condennate come eretiche e false e ripiene di molti errori174. Presso i nostri Canonisti però ebbero credito e vigore; e mentre durò il Regno degli Angioini, non vi fu cosa, che i Pontefici avignonesi non facessero, che prontamente non fosse ricevuta; quindi avvenne che quando la Francia e la Germania cominciavano a toglier da' loro Regni gli abusi, presso di noi maggiormente si stabilivano; e li disordini che seguirono da poi nel Regno di Giovanna I, e de' seguenti Re angioini (dove non meno lo stato politico, per le tante revoluzioni, che l'Ecclesiastico per lo scandaloso Scisma, che surse, furono tutti sconvolti) posero le cose in maggior confusione, ed in altri pensieri intrigarono gli animi de' nostri Principi, sì che potessero pensare al rimedio, come vedrassi ne' seguenti libri di quest'Istoria.

FINE DEL LIBRO VENTESIMOSECONDO

LIBRO VENTESIMOTERZO

Celebrate che furono l'esequie dell'inclito Re Roberto, la città di Napoli fece subito gridar per tutto il nome di Giovanna e d'Andrea; ma si vide in pochi dì, come scrive il Costanzo175, quella differenza, ch'è tra il dì e la notte; poichè gli Ungheri, de' quali era Capo Fra Roberto, per mezzo dell'astuzia di lui, pigliarono il governo del Regno, cacciando a poco a poco dal Consiglio tutti i più fidati e prudenti Consiglieri del Re Roberto, per amministrar ogni cosa a volontà loro; onde la povera Regina, che non avea più di sedici anni, era rimasta solo in nome Regina, ma in effetto prigioniera di que' barbari, e quel che più l'affliggeva, era la dappocaggine del marito; il quale non meno di lei stava soggetto agli Ungheri. La Regina Sancia vedova del Re Roberto, vedendo in tanta confusione la Casa Reale, che a tempo del suo marito era stata con tanto ordine, fastidita del Mondo, andò a rinchiudersi nel Monastero di Santa Croce, edificato da lei presso al mare, dove appena finito l'anno morì con fama grandissima di santità. I Reali, che stavano in Napoli, vedendosi da Fra Roberto privi di tutto quel rispetto che solevano avere dal Re Roberto, andarono ciascuno alle sue Terre, ed in Napoli si vivea con grandissimo dispiacere. I Cavalieri napoletani, vedendo il Re Andrea dato all'ozio, e non esservi menzione alcuna di guerra, andarono ad offerirsi a Roberto Principe di Taranto, che quell'anno armava per passare in Grecia: ed accettati con molto onore dal Principe, andarono a servirlo con tutte le loro compagnie, e diedero esempio a molti Cavalieri privati del Regno che andassero a quell'impresa; e con questa milizia felicemente il Principe ricovrò fin alla città di Tessalonica; ed era salito in gran speranza di ricovrare la città di Costantinopoli, se dalle turbolenze del Regno, che si diranno, que' Capitani, con quasi tutta l'altra Cavalleria, non fossero stati richiamati alla difensione delle cose proprie. Frate Roberto pronosticando da questi andamenti, che i Reali di Napoli avessero da far ogni sforzo di precipitarlo dal colmo di quell'autorità, che si avea usurpata, mandò a sollecitare Lodovico Re d'Ungaria fratello maggiore d'Andrea, che venisse a pigliarsi la possessione del Regno, come debito a lui per eredità dell'avolo; ma Antonio Buonfinio Scrittore dell'Istorie d'Ungaria dice, che Lodovico Re d'Ungaria mandò Ambasciadori al Papa a proccurare, che mandasse a coronar Andrea suo fratello, e che gli facesse l'investitura, non come marito della Regina Giovanna, ma come erede di Carlo Martello suo avolo, e che questi Ambasciadori fecero a tal'effetto molto tempo residenza nella Corte del Papa, che allora era in Avignone, perchè vi trovarono gran contrasto; e Giovanni Boccaccio scrive, che appena poterono ottenere le Bolle dell'incoronazione. Giovanna intanto era stata già solennemente coronata in Napoli per mano del Cardinal Americo mandato dal Pontefice Clemente VI, il quale gl'inviò parimente l'investitura, e fu intitolata Regina di Sicilia e di Gerusalemme, Duchessa di Puglia, Principessa di Salerno, di Capua, di Provenza, e di Forcalqueri, e Contessa di Piemonte: la quale all'incontro nella Chiesa di Santa Chiara nel dì ultimo d'agosto di quest'anno 1344 in mano dello stesso Cardinale gli giurò omaggio, con promessa del solito censo, siccome si legge nell'investitura rapportata dal Summonte che l'estrasse dall'Archivio regio, ove si conserva176.

Il Papa avea mandato il Cardinal Americo non solo per ricever il giuramento da Giovanna, ma l'avea anche creato Balio della medesima per la sua minor età: al quale parimente avea data potestà di revocare tutte le donazioni e concessioni fatte da Roberto, e da Giovanna in pregiudicio della Chiesa romana e del Regno177: ma questo baliato non ebbe alcun effetto178, perchè Fra Roberto co' suoi Ungheri governavano ogni cosa. E sebbene i Pontefici romani avessero sempre avuta tal pretensione di mandar essi i Balj, non ebbero però mai parte alcuna nel governo.

Avea inoltre questa Regina, come donna savia mandato a chiamare Carlo Duca di Durazzo figliuolo primogenito del Principe della Morea, e datagli Maria sua sorella per moglie, dal qual matrimonio ne nacque un figliuolo chiamato Luigi, che non avendo compito un mese, se ne morì, e fu sepolto in Santa Chiara, dove ancora oggi si vede il suo Tumulo. Ed in quest'anno medesimo Luigi di Durazzo, figliuolo secondogenito del Principe della Morea e fratello di Carlo, tolse per moglie una figliuola di Roberto o sia Tommaso Sanseverino, dal qual matrimonio ne nacque poi Carlo III che fu Re di Napoli179.

 

Saputosi intanto in Napoli che il Papa avea spedite le Bolle dell'incoronazione d'Andrea, e che gli Ambasciadori che le portavano, erano giunti presso a Gaeta: alcuni Baroni che desideravano impedirla, stimolati anche da' Reali che vi dissentivano, e sopra tutti da Carlo Duca di Durazzo, stante ancora la dappocaggine d'Andrea, e l'insolenza degli Ungheri, diedero la spinta a coloro che aveano congiurato d'ucciderlo, d'accelerar la sua morte, temendo che scoverti i loro disegni, non fossero per opera di Fra Roberto pigliati e decapitati, subito che fosse venuto l'ordine del Papa che Re Andrea fosse coronato. In fatti essendo andati il Re e la Regina alla città d'Aversa, ed alloggiati nel castello di quella Città, dove poi fu eretto il convento di S. Pietro a Majella180, la sera de' 17 di settembre del 1345 quando stava il Re in camera della moglie, venne uno de' suoi Camerieri a dirgli da parte di Fra Roberto, ch'erano arrivati avvisi di Napoli di grande importanza, a' quali si richiedea presta provisione; ed il Re partito dalla camera della moglie, ch'era divisa per una loggia dall'appartamento ove si trattavano i negozj, essendo in mezzo di quella, gli fu gittato un laccio al collo e strangolato, e buttato giù da una finestra, stando gli Ungheri, perch'era di notte, sepolti nel sonno e nel vino181.

La novità di questo fatto fece restare tutta quella città attonita, massimamente non essendo chi avesse ardire di volere sapere gli autori di tal omicidio. La Regina ch'era di età di diciotto anni, sbigottita non sapea che farsi: gli Ungheri aveano perduto l'ardire, e dubitavano d'essere tagliati a pezzi se perseveravano nel governo: talchè il corpo del Re morto ridotto nella chiesa, stette alcuni dì senza essere sepolto: ma Ursillo Minutolo gentiluomo e Canonico Napoletano si mosse da Napoli, ed a sue spese il fece condurre a seppellire nell'Arcivescovado di Napoli nella cappella di S. Lodovico, dove essendo stato sin all'età del Costanzo in sepoltura ignobile, Francesco Capece abate di quella Cappella, ed emulo della generosità di Ursillo, gli fece fare un sepolcro di marmo, e trasferita poi dall'Arcivescovo Annibale di Capua la sagrestia in quella Cappella, fu riposto nel muro avanti la porta della stessa sagrestia, dove oggi ancor si vede.

La vedova Regina si ridusse subito in Napoli, ed i Napoletani con que' Baroni, che si trovavano nella città andarono a condolersi della morte del Re, ed a supplicarla, che volesse ordinare a' Tribunali, che amministrassero giustizia; poichè Fra Roberto e gli altri Ungheri abbattuti non aveano ardire di uscire in pubblico. La Regina ristretta co' più savi e fedeli del Re Roberto suo avolo, perchè si togliesse il sospetto che susurravasi, d'aver ella avuta anche parte all'infame assassinamento, commise con consiglio loro al conte Ugo del Balzo, che avesse da provvedere ed investigare gli autori della morte del Re, con amplissima autorità di punir severamente quelli, che si fossero trovati colpevoli. Questi dopo aver fatti morire due Gentiluomini Calabresi della camera del Re Andrea ne' tormenti, fece pigliare Filippa Catanese col figlio e la nipote, e dopo avergli tutti e tre fatti tormentare gli fece tanagliare sopra un carro, e la misera Filippa decrepita morì avanti, che fosse giunta al luogo, dove avea da decapitarsi182.

Dall'altra parte, essendo arrivata in Avignone la notizia di tal fatto al Pontefice Clemente, riputando, che s'appartenesse a lui ed alla Sede Appostolica la cognizione di questo delitto, cominciò a procedere anch'egli contro i colpevoli. In prima generalmente gli scomunicò, interdisse, dichiarò infami, ribelli e proscritti; (Questa prima Bolla di Clemente VI spedita in Avignone nel primo di febbraio 1346 si legge presso Lunig183), ma per la lontananza del luogo riuscendo inutili tutte l'inquisizioni per liquidar le persone, diede con sua Bolla, spedita in Avignone nel 1346 quinto anno del suo pontificato, commessione a Bertrando del Balzo G. Giustiziere del Regno, Conte di Montescaglioso e d'Andria, con amplissima facoltà di procedere contro i colpevoli; ed in questa Bolla, ch'estratta dal regal Archivio vien rapportata da Camillo Tutini184, si leggono fra l'altre queste parole: Nos nolentes, sicut nec velle debemus, tam horribile et detestabile, ac Deo, et hominibus odiosum facinus, cuius cognitio prima ad nos, et Romanam Ecclesiam in hoc casu pertinere dignoscitur, relinquere impunitum etc.185 Ed avendo con permissione anche della Regina, fatta diligente inquisizione, trovò colpevoli, come complici, cospiratori ed autori del delitto, Gasso di Dinissiaco Conte di Terlizzi, Roberto di Cabano Conte di Evoli e gran Siniscalco del Regno, Raimondo di Catania, Niccolò di Miliezano, Sancia di Cabano Contessa di Morcone, Carlo Artus e Bertrando suo figliuolo, Corrado di Catanzaro, e Corrado Umfredo da Montefuscolo. E poichè alcuni di essi dimoravano nel Regno, la di cui presura era difficile, e per la protezione che vantavano de' Reali, e perchè s'erano afforzati nelle loro Terre; il Conte Bertrando ebbe ricorso alla Regina, perchè con suo general editto si comandasse all'Imperadrice di Costantinopoli, ed a Lodovico di Taranto suo figliuolo, che sotto fedele e sicura custodia gli trasmettesse Carlo, Bertrando e Corrado d'Umfredo; e similmente comandasse al Principe di Taranto, al Duca di Durazzo e loro fratelli, a tutti i Conti e Baroni, e spezialmente a' cittadini napoletani, che nel caso dall'Imperadrice suddetta non si fossero quelli trasmessi, che detti Regali e Conti, e tutti gli altri con tutte le loro forze si conferissero nelle Terre e luoghi ove coloro fossero, per imprigionargli, offerendo anche egli di andarvi in persona, affinchè di essi si prendesse la debita vendetta; e di vantaggio, che scrivesse a' Vescovi, Vicari e loro Ufficiali, che con effetto mandassero in esecuzione gl'interdetti e le scomuniche fulminate dal Papa contro di loro, con dichiarare le terre ove dimoravano interdette, i loro fautori e ricettatori scomunicati, e che gl'interdetti suddetti tenacemente si osservassero ed ubbidissero. La Regina a tenor di queste dimande a' 7 ottobre di quest'anno 1346 fulminò un severo editto, che fu istromentato per mano di Adenolfo Cumano di Napoli Viceprotonotario del Regno, di cui mandò più autentici esemplari per tutte le città e province del Regno, ed in Napoli gli fece affiggere ne' portici del Castel Nuovo e della G. C. perchè a tutti fosse noto e palese. L'editto è parimente rapportato dal Tutini, dentro di cui si vede anche inserita la riferita Bolla di Clemente.

Mandò ancora la Regina, perchè di lei si togliesse affatto ogni sospetto, il Vescovo di Tropea in Ungaria al Re Lodovico suo cognato a pregarlo, che volesse avere in protezione lei vedova, ed un picciolo figliuolo, che l'era nato dal re Andrea suo marito, di cui nel riferito editto fassi anche memoria, chiamato Caroberto Duca di Calabria186. Ma questa missione riuscì infruttuosa alla regina Giovanna; poichè re Lodovico persuaso già, che ella fosse consapevole e partecipe della morte d'Andrea, gli rispose, secondo che rapporta Antonio Buonfinio con una epistola di questo tenore: Impetrata fides praeterita, ambitiosa continuatio potestatis Regiae, neglecta vindicta et excusatio subsequuta, te viri tui necis arguunt consciam, et fuisse participem. Neminem tamen Divini, humanive judicii poenas nefario sceleri debitas evasurum.

156Registr. Car. I ad ann. 1275.
157Registr. R. Robert. ann. 1311.
158Registr. R. Robert. ann. 1335.
159Registr. R. Robert ann. 1339.
160Rainald. ann. 1253 num. 3 et ann. 1265.
161Chioc. M. S. giurisd. tom. 3 de Nuntio Apost.
162Tomasin. de benefic. par. 3 lib. 2 cap. 57 n. 5.
163Pruove della libertà Gallic. cap. 22 num. 6. Tomasin. loc. cit.
164Le parole dell'Editto si leggono nel c. 22 num. 8 delle Pruove della Liber. Galic.
165Pruove, etc. n. 22 dove si legge l'Editto di Luigi XI.
166Avent. Ann. Bojor, l. 7 c. 15 n. 18.
167Bulla Jo. XXII praefixa Clementinis.
168Villan. Histor. Flor. l. 9 c. 2.
169V. Baluz. in Not. ad Vitas PP. Aven. tom. 1 p. 682 Struv. Hist. Jur. Can. c. 7 § 27. Bonifac. de Amanatis in prooem. Clement.
170V. Struv. l. c. § 18.
171Cujac. in C. ad audientiam 4 de Spons. et Matr.
172Ludov. Gomes. in prooem. Comment. ad Regul. Cancel.
173V. Mastricht. Hist. Jur. Can. n. 283.
174V. Struv. Hist. Jur. Can. c. 7 § 28 et § 36.
175Costanzo lib. 6.
176Summonte t. 2 l. 3 pag. 417. Baluz. Notae ad Vitas Papae. Aven. tom. 1 p. 842.
177Baluz. loc. cit.
178Prima Vita Clem. VI apud Baluz. tom. 1 pag. 246. Sed circa regimen, et administrationem Regni memorati modicum facere potuit, per dictam Joannam jam doli capacem impeditus.
179Costanzo lib. 6.
180Grammat. decis. 1 n. 27.
181Giovanni Villani lib. 12 cap. 50, 78, 98. Matteo Villani lib. 1 cap. 11. Petrarca lib. 6 rer. fam. epist. 6. V. Baluz. in Notis ad Vitas PP. Aven. tom. 1 pag. 860.
182Cost. lib. 6.
183Tom. 2 pag. 1111.
184Tutin. de' M. Giustizieri, fol. 62. V. Baluz. loc. cit.
185Prima Vita Clem. VI apud Baluz. tom. 1 pag. 247. Contra alios vero dictus Papa fecit processus, et fulminavit sententias quantum ratio dictabat, et justitia suadebat.
186Baluz. tom. 2 Vitae PP. Aven. pag. 689 e 690 rapporta due epistole di Clemente scritte alla Regina, che lo richiese di levar al fonte il parto; ed il Papa commise agli Arcivescovi di Napoli, di Bari e di Brindisi, o altro Prelato ad elezione della Regina di farlo in suo nome, siccome fu tenuto al fonte dal Vescovo Cavillocense Cancelliere di Giovanna.