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Istoria civile del Regno di Napoli, v. 6

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CAPITOLO VIII

De' Riti della Gran Corte della Vicaria; e de' Giureconsulti che fiorirono nel Regno di Giovanna II e di Renato: e da' quali fosse compilata la famosa prammatica nominata la Filingiera

Quantunque durante il governo di questa Regina e di Renato fossesi veduto il Regno cotanto sconvolto e da crudeli guerre combattuto, a tal che le lettere e le discipline furon poco coltivate e molto meno esercitate, e Giovanna per suoi laidi ed instabili costumi, avesse contaminata la Sede Regale e posto in disordine tutto il Reame; non è però, che affatto presso di noi fossero mancate le lettere ed i Giureconsulti, e non rilucesse fra tante laidezze qualche raggio di virtù in quella Regina; poichè meritò molta lode e commendazione per essere stata tutta amante della giustizia e tutta intesa a riformare i Tribunali, e non permettere in quelli sordidezza alcuna ne' suoi Ministri e ne' loro Ufficiali minori. Ella col consiglio de' suoi savj tolse molti abusi, riformò molte cose, perchè la giustizia fosse ben amministrata, ed i litiganti non fossero angariati nelle spese degli atti e delle liti. A questo fine ridusse in miglior forma i Riti del Tribunale della Gran Corte, e molti altri ne stabilì di nuovo.

Questo Tribunale era riputato ancora supremo, non solo della città ma di tutto il Regno, al quale essendosi unito l'altro del Vicario, queste due Corti unite insieme componevano il più eminente pretorio del Reame. La città di Napoli, ancorchè avesse la corte del suo Capitano, nulladimanco non avendo questa, se non la cognizione delle sole cause criminali sopra le persone del suo distretto, nè potendo conoscere delle civili e molto meno delle feudali, di quelle di Maestà lesa e di molte altre più gravi278; e potendosi da quella appellare alla Gran Corte, siccome di tutte le altre Corti delle città del Regno, non era perciò in molta considerazione; e fu poi tanta la sua declinazione, che nel Regno degli Aragonesi s'estinse affatto, e la cognizione delle sue cause passò pure, e s'incorporò nel Tribunale della Vicaria.

Siccome fu rapportato nel 20 libro di quest'istoria, era composto questo Tribunale di due Corti, di quella del G. Giustiziere, detta Cura Magistri Justitiarii, e dell'altra chiamata Cura Vicarii ovvero Vicaria. Per le molte ordinazioni de' predecessori Re angioini, essendosi vicendevolmente comunicate le giurisdizioni di queste due Corti, venne col correr degli anni a farsene una, chiamata perciò come ivi si disse Gran Corte della Vicaria: riputandosi inutile considerarle come due Tribunali distinti, e dove dovessero impiegarsi più Ministri separati, i quali avessero la stessa cognizione ed autorità. Essendo capo della Gran Corte il Gran Giustiziere, per questa unione venne il medesimo a presiedere ancora a quella del Vicario; ond'è, che tutte le provisioni ed ordini, che dalla Gran Corte della Vicaria si spediscono tanto per Napoli, quanto per tutto il Regno, sotto il titolo del Gran Giustiziere siano pubblicate. Prima avea questi autorità di mettere suoi Luogotenenti ovvero Reggenti per amministrarla; ma da poi gli fu tolta, e fu riserbato al Re e suo Vicerè di creargli.

Componendosi adunque questo Tribunale di due Corti; quindi è, che in questi Riti sovente la Regina di lor parlando: In nostris Magnae et Vicariae Curiis279; ed altrove280: Judices ipsarum Curiarum. Parimente ne' privilegi che spedì nell'anno 1420 a' Napoletani registrati in questi Riti281, volendo che di quelli potessero valersi in tutte le Corti, disse: Quod nulla Curia civitatis Neapolitanae, tam scilicet M. Curia Domini Magistri Justitiarii Regni Siciliae, seu ejus Locumtenentis, ac Regentis Curiam Vicariae, quam Capitaneorum, vel alienorum Officialium etc.

Questo modo di parlare fu ritenuto durante il Regno degli Angioini insino all'ultimo Re Renato; poichè Isabella sua Vicaria nel 1436 drizzando una sua legge a Raimondo Orsino G. Giustiziere del Regno, la quale pur leggiamo fra questi Riti282, così favella: Magnifico Raymundo de Ursinis, etc. Magistro Justitiario R. Siciliae, et ejus Locumtenenti, necnon Regenti Magnam Curiam nostrae Vicariae etc.

Furono per tanto dalla Regina Giovanna dati molti provvedimenti per questo Tribunale intorno allo stile e modo di procedere nelle cause, così civili come criminali: ciò che bisognava osservare per la fabbrica de' processi, perchè gli atti fossero validi: la norma per la liquidazione degl'istromenti: per le citazioni: per l'incusa delle contumacie: per l'esame: per le pruove; e tutto ciò che riguarda la tela ed ordine giudiziario. Si prescrive il numero dei Giudici, de' Mastrodatti e loro Attuarj; si tassano i loro diritti ed emolumenti; e sopra tutto si raccomanda la retta amministrazione della giustizia, riformando molti abusi, in che questo Tribunale era caduto per li tanti disordini e rivoluzioni accadute nel Regno.

Merita riflessione il Rito 1235, che infra gli altri questa Regina fece divolgare; poichè quantunque nel Regno degli Angioini, e molto più nel suo, si proccurasse andar a seconda de' romani Pontefici; con tutto ciò non permise questa Regina, che si togliesse quell'antico costume praticato nella Gran Corte di conoscere ella del chericato e d'obbligare il preteso Cherico a comparire personalmente avanti i suoi Ufficiali, per pruovare i requisiti di quello, e sottoporsi intorno a ciò alla sua giudicatura: che che altramente ne disposero le decretali283, come si dice nel Rito istesso284. E pure tutto ciò ne' seguenti tempi non bastò agli Ecclesiastici, perchè nel Pontificato di Pio V non intraprendessero di dover essi assumerne la conoscenza e d'abbattere il Rito, che per tanti anni erasi osservato; come si vedrà ne' seguenti libri di questa istoria, quando ci toccherà favellare del Governo del Duca d'Alcalà Vicerè di questo Regno.

Queste ordinazioni non furono in un tratto stabilite, ma di tempo in tempo, col consiglio de' suoi savii, Giovanna le dispose; e si crede che la maggior parte fossero state emanate dall'anno 1424 insino al 1431 che furono gli anni, che ebbe qualche tregua e riposo; poichè in tutto il resto del suo Regno fu per la sua instabilità travagliata tanto, e tanto distratta in altre pericolose cure ed affanni, sicchè non la fecero pensare, che alla propria difesa ed alla sua propria libertà.

Furono poi questi Riti uniti insieme, a' quali ella prepose una costituzione proemiale, per la quale loro diede forza e vigor di legge, comandando che quelli fossero inviolabilmente osservati non pure in Napoli nella Gran Corte della Vicaria e nelle altre Corti di questa città, ma in tutte le altre del Regno: ordinò ancora, che tutti gli altri Riti fuor di questi, che per l'addietro s'erano osservati, s'abolissero, si cassassero e non avessero nelle Corti niun vigore ed efficacia. Quindi presso i nostri Autori nacque quella comune sentenza, che ciò che s'osservava nel Tribunale della Vicaria fosse come una norma di tutti gli altri Tribunali inferiori del Regno, e che lo stile di quello dovesse praticarsi negli altri Tribunali inferiori.

Gli Scrittori, che o con picciole note o con ben lunghi commentarj impiegarono le loro fatiche sopra i medesimi, per maggior distinzione, e perchè allegati tosto si rinvenissero, gli divisero per numeri; onde ora il lor numero arriva a quello di trecento ed undici.

Fra essi vi collocarono un ordinamento, che la Regina Isabella moglie del Re Renato e sua Vicaria del Regno, stabilì nell'anno 1436 indrizzato, come fu detto, a Raimondo Orsino Gran Giustiziere285. Ella lo stabilì come Vicaria Generale di suo marito, come si legge nella iscrizione: Isabella Dei gratia Hierusalem, et Siciliae Regina etc. et pro Serenissimo et illustrissimo Principe, et Domino conjuge nostro Reverendissimo Domino Renato, eadem gratia, dictorum Regnorum Rege, Vicaria Generalis; con questa data: Datum in Regio, nostroque Castro Capuanae Neap. per manus nostrae praedictae Isabellae Reginae, A. D. 1436 die 14 mensis aprilis, 14 Indict. Regnorum vero dicti Domini Regis II. E questo è l'ultimo ordinamento, che a noi è rimaso de' Re dell'illustre casa d'Angiò.

 

È da notare ancora, che in questi ultimi tempi dei Re angioini, le leggi de' Longobardi non ostante di essere risorte le Romane, e restituite nella loro antica autorità, non erano nel nostro Regno affatto abolite ed andate in disusanza: vi erano per anche chi viveano secondo quelle leggi286: si davano perciò alle donne i Mundualdi, senza de' quali, così i giudicii, come i lor contratti eran invalidi287. Non si concedeva repulsa tra coloro, che viveano secondo la legge Longobarda, contro i loro sacramentali288; ed ancorchè Annibale Troisio e Prospero Caravita testificano, che que' Riti erano andati in disusanza, ciò era forse vero, riguardandosi a tempi, ne' quali scrissero i loro commentarj, non già nel Regno di Giovanna, la quale inutilmente si sarebbe posta a dar suoi regolamenti su di ciò, se non vi fossero stati nel Regno coloro che fosser vivuti sotto il Jus Longobardo. Anzi non sappiamo con quanta verità possa ciò dirsi, anche nell'età di questi Commentatori, quando fino a' nostri tempi in alcune parti del Regno i Notari ne' loro istromenti, quando intervengono donne, vi fanno intervenire anche per esse i Mundualdi; e quando ciò non sia, soglion perciò dire, che i contraenti vivono Jure Romano: ciò che altrove fu da noi avvertito.

Questi Riti per la loro utilità, e perchè contengono infiniti regolamenti, massimamente intorno alla fabbrica de' processi, e dell'ordine giudiciario, furono prima con picciole note, poi con pieni commentarj dai nostri Autori esposti.

Il primo fu Annibale Troisio, detto comunemente il Cavense, per essere stata la Cava sua patria, di cui non si dimenticò Gesneio nella sua Biblioteca. Fiorì egli nel principio del decimosesto secolo, e finì questi suoi commentarj al primo di novembre dell'anno 1542 com'egli testimonia nel fine dell'opera. Aggiunsero alcune picciole addizioni a' suoi commentarj, Cesare Perrino di Napoli, Giovan Michele Troisio e Girolamo de' Lamberti, e presso gli Autori del nostro Foro acquistarono non picciola autorità, e furon sempre riguardati con rispetto, ed onore. Giovan Francesco Scaglione Dottor napoletano, ma originario d'Aversa, parimente compose sopra i medesimi alcuni piccioli commentarj, ma non sopra tutti; e fece alcune osservazioni di ciò ch'egli avea veduto praticare nella Gran Corte mentre era Avvocato; ed i suoi commentarj furono la prima volta impressi in Napoli nel 1553.

Oscurò la fama di amendue Prospero Caravita di Eboli, il quale nello spazio d'un anno e mezzo, cominciando i suoi commentari in Eboli sua patria, nel mese di marzo del 1559, gli terminò felicemente in Agosto del 1560. Non vi era giorno, che non vi impiegasse i suoi studj, ora in Eboli, ora in Salerno, dove in quella Udienza esercitò la carica d'Avvocato fiscale. Riuscirono assai dotti e copiosi, tanto che presso i posteri fu riputato il Dottor più classico di quanti mai sopra questi Riti scrivessero.

Ultimamente a' dì nostri surse il Reggente Petra, il quale vi compose sopra ben quattro volumi: meritano piuttosto nome di magazzini che di commentarj:, poichè oltre di quel che bisognava per illustrargli, gli riempiè di tante e sì varie materie, che vi racchiuse quanto egli seppe, e quanto da altri apprese: divagossi in varie dispute ed articoli occorsi sopra cause recenti ed agitate a' suoi tempi; onde gli caricò di molte allegazioni e d'infinite e varie altre cose affatto estranee dal soggetto, che avea per le mani. Può aversene buon uso per li molti esempi di cause a' suoi dì decise, e per la moderna pratica e stile, non men della Gran Corte che degli altri nostri Tribunali.

§. I. De' Giureconsulti di questi tempi, e da' quali fu compilata la prammatica detta la Filingiera

I Giureconsulti, che fiorirono nel Regno di Giovanna II e di Renato sino ad Alfonso, non sono da paragonarsi, così nel numero, come nel sapere con coloro, che vissero sotto il Re Roberto e sotto la Regina Giovanna I sua nipote. Essi non ci lasciarono niente delle loro opere e de' loro scritti. Solamente si rese in questi tempi celebre Marino Boffa da Pozzuoli, il quale adoperato dalla Regina negli affari più gravi del Regno, fu innalzato da lei al supremo Ufficio di Gran Cancelliere; ma poi entrato in gara col Gran Siniscalco Sergianni, questi operò tanto con la Regina, che a sua istanza nel principio dell'anno 1419 lo privò dell'Ufficio, surrogando in suo luogo Ottino Caracciolo289. Ciò che deve far cessar la maraviglia, che Toppi290 avea, come Marino in tempo della prammatica Filingiera, che si stabilì nell'anno 1418 era Gran Cancelliere e poi quando fu instituito il Collegio de' Dottori nel 1428 non lo era.

Fiorirono ancora Giovanni di Montemagno e Pietro di Pistoja Giudici della Gran Corte e Giovanni Arcamone Giudice d'appellazione di detta Corte. Ebbero ancor fama di gravi Dottori Biagio, Cisto, Carlo di Gaeta, Gorrello Caracciolo, Carlo Mollicello, il Giudice Giacomo Griffo e l'Abate Rinaldo Vassallo di Napoli. Fiorirono ancora in questi medesimi tempi Bartolommeo Bernalia di Campagna, di cui presso Toppi291 hassi onorata memoria, ed altri di men chiaro nome. Questi furono i Giureconsulti de' quali la Regina nelle deliberazioni più gravi solea valersi.

Costoro furono adoperati nella cotanto celebre prammatica detta la Filingiera, stabilita dalla Regina a richiesta del Gran Siniscalco Sergianni, per l'occasione che diremo. Avea Sergianni per moglie Caterina Filingiera figliuola di Giacomo Conte d'Avellino: questi nel suo testamento istituì eredi ne' beni feudali Gorrello suo figlio primogenito, e ne' burgensatici Caterina e tre altri suoi fratelli, Alduino, Giovannuccio ed Urbano; ed oltracciò, a Caterina avanti parte lasciò ottocento once, le quali si diedero in dote a Sergianni. Gorrello morì poi senza figli, e gli altri tre suoi fratelli, che rimasero, parimente l'un dopo l'altro, morirono in età pupillare. Aspiravano alla successione Filippo lor zio paterno fratello di Giacomo; Ricciardo Matteo Filingiero figlio, ed erede di Ricciardo fratello di Filippo, il Fisco che pretendeva essersi il Contado devoluto, e Caterina moglie di Sergianni. Costei supplicò la Regina, che avendo riguardo a' servizj di lei, de' suoi antecessori e di suo marito, non la facesse litigare co' suoi parenti, nè col Fisco; ma si compiacesse la cognizione di questa causa commetterla alla perizia di que' Dottori, che Sua Maestà stimava più idonei, i quali senza figura di giudicio, esaminando le ragioni delle Parti, determinassero chi dovesse succedere nel Contado d'Avellino, se lei, o pure i suoi congiunti, ovvero dovesse dirsi il Contado devoluto. La Regina aderì alle sue preci, ed elesse per la decisione della causa il Gran Cancelliero Marino Boffa, e gli altri di sopra riferiti Dottori, li quali avendo ben discusso ed esaminato il punto, giudicarono, che Caterina dovesse succedere, non ostante, che fosse stata dotata dal fratello; poichè la dote non le fu costituita de' beni del medesimo. La Regina non solo s'uniformò alla loro determinazione, ma la fece passare per legge generale del Regno, e nell'anno 1418 sopracciò ne fece emanar prammatica, per la quale fu stabilito, che fra coloro, che vivono jure Francorum, la sorella maritata, ma non dotata de' suoi beni, non dovesse escludersi dalla successione del fratello; tutto al contrario in coloro, che vivono jure Longobardorum dove la sorella vien esclusa, bastando che fosse stata dotata, o dal comun padre o dal fratello. Questa è quella prammatica cotanto fra noi rinomata, detta la Filingiera, che porta la data de' 19 gennaio del suddetto anno 1418, e fu istromentata nel Castel Nuovo; la quale si vede ora racchiusa nel secondo volume delle nostra prammatiche sotto il titolo de Feudis292; intorno alla quale s'è poi tanto scritto e disputato da' nostri Scrittori Forensi.

CAPITOLO IX

Istituzione del Collegio de' Dottori in Napoli

L'Università degli Studj di Napoli, che fiorì tanto sotto il Re Carlo I e II, e di Roberto suo figliuolo, li quali l'adornarono di molte prerogative e privilegi, teneva prima il suo Rettore, ch'era uno de' primi Dottori, allora chiamati Maestri dell'Università, al quale Carlo e Roberto diedero ampia giurisdizione sopra gli scolari di quella. Teneva ancora questa Università il suo Giustiziere a parte, ed altri Ufficiali minori. Da poi, come altrove si disse, la Prefettura degli Studi fu conceduta al Cappellan Maggiore, il quale come Prefetto n'avea la cura e soprantendenza. L'università dava i gradi del Dottorato, di Licenziato, ovvero Baccalaureato, siccome oggi giorno si pratica nell'Università degli Studj di Francia, e nell'altre città d'Europa. Anzi la potestà di conferire i Gradi fu da alcuni riputata cotanto necessaria, e sustanziale dell'Università degli Studj, che senza quella non meritavano essere l'Accademie chiamate Università293. Questo Dottorato nella maniera, che si conferisce ora, non era riconosciuto da' Romani: nè molti secoli appresso sino al Pontificato d'Innocenzio III. Ed il Conringio294, osserva, che a' tempi d'Alessandro III che fiorì 20 anni prima d'Innocenzio, non vi era Dottorato, e si permetteva a tutti, che mostravano erudizione ed idoneità, di reggere gli Studi delle lettere e le scuole; ed il primo, che tra i Cancellieri di Parigi fosse onorato col titolo di Maestro (che in quel tempo l'istesso era ciocchè noi chiamiamo Dottore) fu Pietro di Poitiers, il qual fiorì sotto Innocenzio III295. Ed il Mulzio e Vitriario portarono opinione, che nel duodecimo secolo questi Gradi si fossero introdotti. Regolarmente le Università degli Studi gli conferivano, ed in Napoli ed in Salerno, prima che regnasse la Regina Giovanna, quelle Università gli davano; nè fu questa Regina, che prima gl'istituisse, perchè dall'istesso suo privilegio si vede, che nell'Università v'erano i Dottori ed il Rettore, destinati per la creazione degli altri.

 

La Regina Giovanna II volle farne un Collegio separato con trascegliergli, parte dall'Università degli Studi e parte dagli altri Ordini, al quale unicamente attribuì il potere di dar i gradi di Licenziatura e di Dottorato. I primi Dottori, che si trascelsero, e che sono nominati nel privilegio della istituzione, istromentato nel Castel di Capuana nell'anno 1428, furono il Dottor Giacomo Mele di Napoli, che fu creato priore del Collegio. Andrea d'Alderisio di Napoli Dottor di leggi: Marino Boffa, che privato del posto di Gran Cancelliere, si vide come Dottore ascritto con gli altri in questo Collegio: Gurrello Caracciolo di Napoli Dottor di leggi: Giovanni Crispano di Napoli Vescovo di Tiano Dottor di leggi: Goffredo di Gaeta di Napoli Milite e Dottore: Carlo Mollicello di Napoli Dottor di leggi e Milite: Girolamo Miroballo di Napoli Dottor di leggi: e Francesco di Gaeta di Napoli parimente Dottor di leggi. Concedè ancora nell'istesso privilegio la sovrantendenza e giurisdizione così nelle cause civili, come nelle criminali de' Dottori e Scolari, al Gran Cancelliere del Regno, che allora era Ottino Caracciolo, non intendendo però pregiudicare alla giurisdizione del Giustiziere degli Scolari296; e sottopose il Governo del Collegio al Gran Cancelliere o suo Vicecancelliere, ch'egli volesse eleggere, assegnandogli i Bidelli, il Segretario ed il Notaro.

La prima e principal prerogativa che gli diede, fu di conferire i gradi di Dottorato o Licenziatura nelle leggi civili e canoniche. Si prescrissero i doni, ovvero sportule che gli Scolari doveano prestare così al Vicecancelliere, come agli altri Dottori del Collegio quando si dottoravano; e fra l'altre cose comandò, che all'Arcivescovo di Napoli, se si trovasse presente all'atto del Dottorato, se gli dovesse dare una berretta ed un par di guanti297: ciò che in decorso di tempo andò in disusanza, perchè gli Arcivescovi di Napoli saliti in maggior fasto e grandezza, sdegnarono di più intervenire a queste funzioni, niente curandosi d'un sì picciol dono. Stabilì in fine il numero de' Collegiali, la loro Elezione ed il modo da doversi tenere nel Dottorare e si disposero le Precedenze, così nel sedere, come nel votare, e si diedero altri particolari provvedimenti, li quali si leggono nel privilegio della fondazione, che fu tutto intero impresso dal Reggente Tappia ne' suoi volumi298, e ne fece anche menzione Matteo degli Afflitti299; ed il Summonte300 rapporta in più occasioni essersi il di lui transunto presentato nel S. C., ed ultimamente Muzio Recco301 lo stampò anch'egli insieme con le sue chiose, che vi compose, piene di molte cose puerili, e d'inutili quistioni.

Questo Collegio non era che di Dottori dell'una e l'altra legge; era ancor di dovere che se ne formasse un altro di Filosofi e di Medici, e la Regina a richiesta del Gran Cancelliere Caraccioli non fu pigra a stabilirlo. Ella dopo un anno e nove mesi, nel 1430 a' 18 agosto spedì altro privilegio per la sua fondazione. Lo sottopose parimente al Gran Cancelliere, volendo che ne fosse egli il Capo ed il Moderatore o in sua vece il suo Luogotenente. Gli diede il suo Priore, e trascelse a questa carica il Priore del Collegio di Salerno, Salvatore Calenda, il qual era anche Medico della Regina. L'assegnò un Notaro, ed un Bidello; e volle che i Collegiali fossero, oltre Salvator Calenda Priore, Pericco d'Attaldo d'Aversa Medico e Lettore di Medicina nell'Università degli Studj di Napoli: Raffaele di Messer Pietro Maffei della Matrice, Medico e Lettore nell'Università suddetta: Antonio Mastrillo di Nola, Medico: Battista de Falconibus di Napoli, Medico e parimente Lettore in Napoli: Angiolo Galeota di Napoli, Medico e Lettore in detta Università: Nardo di Gaeta di Napoli, Milite e Medico della Regina: Luigi Trentacapilli di Salerno, Milite e Dottore in Medicina: Maestro Paolo di Mola di Tramonti, Medico: Roberto Grimaldo d'Aversa Medico: e Paolino Caposcrofa di Salerno, suo familiare e Medico.

Avendo parimente posto questo Collegio sotto la giurisdizione del Gran Cancelliere, ordinò che questi fosse il Giudice competente nelle cause, così civili come criminali de' Medici Collegiali; prescrisse parimente i doni che i Dottorandi dovean dare: ordinò che l'esperienza, che doveva farsi dell'abilità del Dottorando, si facesse sopra gli Aforismi d'Ippocrate e ne' libri della Fisica e de' Posteriori d'Aristotele. Pure all'Arcivescovo di Napoli, intervenendo alla funzione, stabilì che se gli dasse la berretta ed un par di guanti: a' Teologi pure un par di guanti e così anche agli altri nella forma che si legge nel privilegio. Stabilì il modo di dottorare, e prescrisse anche il numero, l'elezione e le precedenze de' Collegiali.

Egli è da notare che ad amendue questi Collegi dalla Regina furono ammessi non pure gl'oriundi ed i cittadini napoletani, ma anche gli oriundi del Regno, i quali per quattro anni continui avessero nella città di Napoli pubblicamente insegnato nelle scuole. Di questo privilegio fece parimente menzione Afflitto302; ed il Summonte303 anche attesta, essersi il suo transunto presentato in occasion di liti nelle Banche del S. C. ed il Reggente Tappia lo fece anche imprimere nel suo Jus Regni.

A questi due fu poi unito il Collegio di Teologia, composto di Teologi, e per lo più di Reggenti e di Lettori Claustrali. Dottorano anch'essi in teologia e danno lettere di Licenziatura. È parimente sotto la giurisdizione del Gran Cancelliere che lo riconosce per suo Capo e Moderatore. Così oggi il Collegio di Napoli vien composto di tre ordini di Dottori, di coloro di legge civile e canonica, di Dottori di filosofia e di medicina e dell'altro di teologia: essi danno i gradi e le licenziature nelle leggi, nella filosofia e medicina e nella teologia. Collegio che ancorchè ceda a quello di Salerno per antichità, si è però innalzato tanto sopra di quello, che secondo portano le vicissitudini delle mondane cose, non pur contese, per la maggioranza, ma ora, e per lo numero e per dottrina de' Professori, tanto egli s'è reso superiore, quanto l'una città è sopra l'altra più eccelsa e più eminente.

Da' successori Re Aragonesi, e più dagli Austriaci intorno all'amministrazione e governo di questo Collegio, circa i requisiti richiesti ne' Dottorandi, e per la sua forma e durata, furono stabiliti più ordinamenti, che si leggono nel volume delle nostre prammatiche; ed il Reggente Tappia304 ne unì insieme molti sotto il titolo De Officio M. Cancellarii. Giovan Domenico Tassone305 ne trattò anche nel suo Magazzino De Antefato e finalmente Muzio Recco306 nel 1647 ne stampò un volume, ove anche vi tessè un ben lungo Catalogo di tutti i Dottori di questo Collegio dall'anno 1428 sino al 1647, il qual Catalogo fu poi dagli altri continuato sino a' nostri tempi.

278Rit. 55 et ult.
279In prooem. et Rit. 1.
280Rit. 14, 34, 39, 46, 50.
281Rit. 311.
282Rit. 289.
283Cap. si Judex Laicus de sentent. Excomm. in 6.
284Rit. 235. Quamvis Jura Canonica his praedictis videantur aliquantulum refragari.
285Rit. 289.
286Rit. 280.
287Rit. 292.
288Rit. 293.
289V. Summonte p. 583 to. 2.
290Toppi tom. 1 de Orig. Tribun. p. 182.
291Toppi Biblioth.
292Pragm. 1 de Feud.
293V. Jacopo Bern. Mulzio repraesent. Majest. Imper. p. 2 c. 33 § 2. Ant. da Wood. hist. et antiqu. Academ. Oxoniens. lib. 1. Reinardo Vitriario G. C. Olandese Instit. jur. pub. Rom. Germ. l. 4 tit. 11 § 9.
294Conringio Antiqu. Acad. dissert. 4.
295Claud. Emerico de Acad. Paris. p. 115. Naudeo de antiq. Scholae Medic. Paris. pag. 17.
296Privil. Reg. Jo. II. Non quod per hoc, nec per infrascripta tollatur privilegium Justitiario Scholarium ab antiquo concessum.
297V. Chioccar. de Archiep. Neap. in Nicolao de Drano, fol. 271.
298Tappia, Jus Regni, lib. 2 de Offic. M. Cancellarii, pag. 407.
299Affl. decis. 41.
300Summ. tom. 2 lib. 4 pag. 608.
301Recco super privileg. Jo. II.
302Afflict. decis. 41.
303Summ. Tappia loc. cit.
304Tappia Jus Regn. lib. 2 de Offic. M. Cancell. pag. 417 ad 423.
305Tasson. de Antef. vers. 3 observ. 3 num. 255.
306Recco in Privilegio Jo. II.