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Istoria civile del Regno di Napoli, v. 6

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(Negli altri Codici e diplomi, si legge Ramae, non già Romae, ed è più verisimile che la Regina Giovanna e Ladislao, intitolandosi Re d'Ungheria, si dicessero anche Re di Rama; poichè fra i titoli di quei Re si legge che esprimevasi anche quello di Re di Rama, ch'è una provincia della Dalmazia, così allora chiamata, posta tra la Croazia e la Servia. Così presso Aventino Annal. Boior. lib. 6 si legge in un diploma di Bela Re d'Ungaria: Bela, Dei gratia, Hungariae, Dalmatiae, Croatiae, Ramae, Serviae, Galliciae, Lodomeniae, Clumaniaeque, Rex; nè presso gli Autori di quel Regno mancano altri diplomi di altri Re, nei quali pur si legge lo stesso).

Giunto Sergianni a Fiorenza, fu dal Papa ricevuto con molta umanità, e nel trattare e discorrere della qualità del presente stato sì della Chiesa romana, sì del Regno, si fece Sergianni conoscere per uomo che dovea non meno per la prudenza, che per la bellezza aver la grazia della Regina. Fece veder al Papa che di tutti i Principi cristiani, niuno ajuto era più spedito, e pronto per li Pontefici romani che quello del Regno di Napoli; ed all'incontro niuna forza poter mantenere ferma la Corona in testa a' Re di Napoli più che i favori e la buona volontà de' Pontefici; e con quest'arte ottenne dal Papa, che mandasse un Cardinal Legato appostolico ad ungere e coronare la Regina, ed a darle l'investitura del Regno267, la quale ancorchè Giovanna l'avesse ricercata a Baldassar Cossa che si faceva chiamare Giovanni XXIII268, l'era stata sempre differita; e di più che si gridasse lega perpetua fra lei ed il Papa. Poi volendo particolarmente per se acquistare il favor del Papa, e l'amicizia di casa Colonna, promise al fratello, ed a' nepoti grandissimi Stati nel Regno, e si partì molto soddisfatto dell'opera loro; e perchè a quel tempo Braccio tenea occupato quasi tutto lo Stato della Chiesa di là dal Tevere, promise al Papa mandargli tutto l'esercito della Regina con Sforza Gran Contestabile, e pigliò per terra la via di Pisa, e di là poi andò ad imbarcarsi alle galee della Regina, ch'erano venute per lui a Livorno, e si fermò alquanti dì in Gaeta, fingendo d'esser ammalato, e scrisse alla Regina quanto avea fatto, e che ordinasse che si dessero danari a Sforza ed alle genti, acciò che potesse subito partire; perchè dubitava che ritornando di riputazione molto maggiore di quel ch'era partito, l'invidia non movesse Sforza a proccurare ch'egli andasse a finir l'esilio di Procida. La Regina per lo gran desiderio, che avea di vederlo, fece subito ritrovare tutti i denari che Sforza volle, e l'avviò in Toscana in favor del Papa; e Sergianni venne a Napoli ricevuto dalla Regina e da' suoi seguaci, con onore grandissimo che parea, che con questa lega trattata col Papa, avesse stabilito per sempre lo Stato della Regina e della parte di Durazzo; e da allora cominciò a chiamarsi e sottoscriversi Gran Siniscalco: e questo fu nel 1418.

L'anno seguente nel mese di gennajo entrò in Napoli il Legato appostolico che veniva per coronare la Regina, e con lui Giordano Colonna fratello ed Antonio Colonna nipote del Papa. Al Legato si uscì incontro col Pallio, ed a' Colonnesi la Regina ed il Gran Siniscalco fecero onori straordinarj. Questi per la prima cosa trattarono la libertà del Re Giacomo, per la qual dicevano che il Papa era molestato dal Re di Francia e dal Duca di Borgogna, ed all'ultimo l'ottennero; ed acciocchè il Re ricuperasse la riputazione perduta, i Colonnesi, quasi con tutta la cavalleria, l'accompagnarono per la città e poi la sera non volle ritornare al Castel Nuovo, ma a quel di Capuana, dicendo che bisognava, che quelli che si rallegravano della libertà sua, avessero da travagliar di mantenerlo in quella, e non farlo andare là, dove era in arbitrio farlo tornare in carcere, ogni volta che a lei piacesse: e con questo acquistò pietà appresso a' più prudenti.

Perseverando dunque il Re a starsi nel castello di Capuana, pareva a tutti colà inconveniente che 'l Re stesse senz'autorità alcuna, ed in Castel Nuovo si facesse ogni cosa ad arbitrio del Gran Siniscalco; e per questo per tutti i Seggi furono creati Deputati alcuni Nobili principali ad intervenire col Legato appostolico e co' Signori colonnesi, per trattare alcuno accordo stabile tra il Re e la Regina; e non mancarono di coloro che proposero che 'l Re dovesse coronarsi insieme colla Regina, e che se gli giurasse omaggio. Ciò che perturbò molto l'animo del Gran Siniscalco, perchè questa sola era la via di abbassar la sua autorità; e per questo deliberò di acquistar l'animo de' Signori colonnesi, con speranza di fare impedire per mezzo loro quella proposta; e fece che la Regina di man propria facesse albarani di dare ad uno d'essi il Principato di Salerno ed all'altro il Ducato d'Amalfi, con l'ufficio di Gran Camerario, subito che fosse coronata. Trattanto diede per moglie Ruffa ad Antonio Colonna ch'era Marchesa di Cotrone e Contessa di Catanzaro, la quale morì poi senza figli, e lo Stato rimase ad Errichetta sua sorella. Questi insieme col Legato fecero restar contenti i Deputati della città di questo accordo; che s'avesse da mutar Castellano, e cacciar dal Castel Nuovo tutta la guardia, e dare a Francesco di Riccardo di Ortona, uomo di molta virtù e di molta fede, il governo del castello con guardia eletta da lui, e che giurasse in mano del Legato appostolico di non comportar che la Regina al Re, nè il Re alla Regina potesse fare violenza alcuna; e come fu fatto questo, il Re andò a dormire con la Regina.

Ma di là a pochi dì, vedendo che avea solamente ricovrata la libertà, ma dell'autorità non avea parte alcuna; ed ancora vedendo che la Regina passava cinquanta anni ed era inabile a far figli, tal che non potea sperare successione, determinò d'andarsene in Taranto, e di là in Francia a casa sua; e così un dì dopo aver cavalcato per Napoli andò al Molo, e disceso di cavallo e posto in una barca, da quella saltò in una gran nave di Genovesi, ove erano prima andati alcuni suoi intimi, e con prospero vento giunse in pochi dì a Taranto, dove ricevuto dalla Regina Maria con onore, fece opera che il Re trovasse passaggio sicuro per Francia, e 'l provide liberalmente di quanto bisognava, e così se n'andò, dove dicono che al fine si facesse Monaco269. Liberata la Regina di quella a lei cotanto molesta compagnia, diede poi ordine per la sua incoronazione, la quale fu celebrata nel Castel Nuovo la domenica a' 2 ottobre sopra un pomposissimo talamo, ricevendo la corona per mano del Legato, e fu letta l'investitura mandata dal Papa, la quale essendosi per deplorabili esempi veduto quanto funesto fosse stato fra noi il Regno delle femmine, l'esclude dalla successione, sempre che vi siano maschi insino al quarto grado, siccome si legge in quella rapportata dal Chioccarello e dal Summonte270, ed i Napoletani giurarono omaggio alla Regina loro Signora.

(Il Breve di Martino V spedito a Mantua l'anno 1418 col quale si dà facoltà al Legato della Sede Appostolica di coronare la Regina Giovanna, si legge presso Lunig271).

CAPITOLO III

Spedizione di Luigi III d'Angiò sopra il Regno per gl'inviti fattigli da Sforza. Ricorso della Regina Giovanna ad Alfonso V, Re d'Aragona, e sua adozione; e guerra indi seguita tra Luigi ed Alfonso

La Regina Giovanna rimasa libera per la partita del Re suo marito ed il Gran Siniscalco, a cui ora non mancava altro, che il titolo di Re, abusandosi del suo potere, e convertendo la sua prospera fortuna in disprezzo d'altri e della Regina istessa, furono cagione di maggiori perturbazioni e rovine nel Regno: poichè solo Sforza rimanea che potea, ed era solito di attraversarsi ed impedire la grandezza sua; ma per una occasione che se gli presentò, entrò il Gran Siniscalco in speranza di poterlo abbassare. Era stato Sforza, come si è detto, mandato dalla Regina contro Braccio che teneva invaso lo Stato della Chiesa per combatterlo; e venutosi ad un fatto d'arme, fu Sforza da Braccio rotto nel paese di Viterbo, con tanta perdita de' suoi veterani che parea, che non potesse mai più rifarsi, nè ragunar tante genti che potesse tornare in Regno, e far di quelli effetti che avea fatti prima; onde parea che con l'amor della plebe, con l'amicizia de' Colonnesi e con la rovina di Sforza, fosse lo Stato del Gran Siniscalco tanto stabilito che non avesse più che temere: divenne perciò oltremodo insolente, e cominciò a vendicarsi di tutti i principali de' Seggi della città ch'erano stati mediatori a proccurar l'accordo di Sforza con la Regina, tra' quali erano molti di Capuana. Ristrinse molto la Corte, e levò a molti pensionarj le lor pensioni, e riempiè la Corte di confidenti e parenti suoi: talchè avea acceso nella Nobiltà di Napoli un desiderio immenso del ritorno di Sforza; e benchè il Papa per Brevi spesso sollecitasse la Regina che mandasse danari a Sforza, perchè potesse rifar l'esercito, con diverse scuse si oppose, ed operò che in cambio di danari se gli mandassero parole vane; sperando di sentire ad ora ad ora la novella che Braccio l'avesse in tutto consumato, e per evitar lo sdegno del Papa, ogni volta che veniva alcun Breve o imbasciata, faceva che la Regina donasse qualche Terra di più al Principe di Salerno ed al Duca d'Amalfi.

 

Sforza essendosi di ciò accorto, e vedendosi marcire, ed essendo sollecitato per lettere da molti Baroni del Regno a venire in Napoli, mandò un suo Segretario a Luigi Duca d'Angiò figliuolo di Luigi II sollecitandolo che venisse all'acquisto del Regno paterno, dimostrando ancora l'agevolezza dell'impresa con la testimonianza delle lettere de' Baroni; e ciò, per quel che si vide poi, fu con saputa anche del Papa.

Il Duca accettò lieto l'impresa, e per lo Segretario gli mandò 39 mila ducati, e 'l privilegio di Vicerè e di Gran Contestabile, co' quali danari Sforza essendo rafforzato alquanto, si avviò a gran giornate; ed essendo entrato ne' confini del Regno, per la prima cosa mandò alla Regina lo stendardo e 'l bastone del Generalato; e poi confortati i suoi che volessero andare per viaggio con modestia grandissima, portando spiegato lo stendardo del Re Luigi III, che così chiamavano il Duca, e confortando i Popoli a star di buon animo, con grandissima celerità giunse avanti le mura di Napoli, e si avanzò nel luogo ov'era stato accampato l'altra volta, e cominciò ad impedire le vettovaglie alla città, ed a sollecitarla che volesse alzar le bandiere di Re Luigi lor vero e legittimo Signore.

(Luigi III perchè per l'impresa di Napoli non gli fossero d'impedimento le controversie che avea con Amadeo VIII Duca di Savoja, trattò pace col medesimo, la quale fu stabilita e firmata a' 15 ottobre del 1418, il cui stromento si legge presso Lunig272).

Questo successo così impensato sbigottì grandemente la Regina, e l'animo del Gran Siniscalco, parendogli altri tumulti che li passati; poichè ci erano aggiunte forze esterne, ed introdotto il nome di Casa d'Angiò che avea tanti anni ch'era stato sepolto. Era nella città una confusione grandissima, perchè quelli della parte Angioina che dal tempo che il Re Ladislao cacciò Re Luigi II padre di questo, di cui ora si tratta, erano stati poveri ed abjetti, cominciarono a pigliar animo, e speranza di ricovrare i loro beni posseduti da coloro della parte di Durazzo, e tenere segrete intelligenze con Sforza, e molti da dì in dì uscivano dalla città e passavano al campo. Ma quel che teneva più in sospetto il Gran Siniscalco era che la parte di Durazzo, la qual trovavasi tra se divisa, non tenea le parti della Regina con quella costanza che richiedea il bisogno, perchè gran parte di essi trattava con Sforza di alzare le bandiere del Re Luigi, purchè Sforza gli assicurasse che il Re donasse il cambio di quelli beni degli Angioini, ch'essi possedevano, a' primi possessori, senza sforzar loro a restituirgli; oltracciò la plebe non avvezza ed impaziente de' disagi, andava mormorando e già si vedea inclinata a far tumulto. E quantunque il Gran Siniscalco proccurasse far introdurre nella città vettovaglie per via di mare, nulladimanco quando sopraggiunse da poi la nuova certa da Genova che fra pochi dì sarebbe in ordine l'armata del Re Luigi, al giunger della quale si sarebbe tolto ogni sussidio di vettovaglie che s'avea per mare, si tenne per imminente la necessità di doversi rendere la città.

Il Gran Siniscalco prevedendo l'imminente ruina, fece più volte ragunare il Consiglio supremo della Regina, e dopo molte discussioni di quel che si avea da fare, fu concluso che si mandasse un Ambasciadore al Papa, con ordine che se non potea aver ajuto da lui, passasse al Duca di Milano o a Venezia; ed a questa ambasceria fu eletto Antonio Carafa soprannomato Malizia, Cavaliere per nobiltà e prudenza di molta stima. Costui giunto a Fiorenza, espose al Papa il pericolo della Regina e del Regno, e supplicò la Santità Sua che provedesse; e se non poteva dar soccorso bastante con le forze della Chiesa, oprasse con l'altre Potenze d'Italia che pigliassero l'armi in difesa del Regno, Feudo della Chiesa; e poi con buoni modi gli dimostrò che facendolo avrebbe insieme mantenuta la dignità dello Stato ecclesiastico, e la grandezza della Casa sua; perchè la Regina per questo beneficio avria quasi diviso il Regno a' fratelli e nipoti di S. Santità. Il Papa rispose che si doleva che quelli mali Consiglieri che aveano o per avarizia o per altro tardato lo stipendio a Sforza, aveano insieme e tirata una guerra tanto importante sovra la Regina loro Signora, e tolto a lui ogni forza e comodità di poterla soccorrere; perchè qual soccorso potea dar egli a quel tempo che appena manteneva un'ombra della dignità Pontificale con la liberalità de' Fiorentini? o che speranza poteva avere d'impetrar soccorso dalle Potenze d'Italia alla Regina, se non avea potuto ottenerlo per se, e contra un semplice Capitano di ventura, com'era Braccio, che tenea occupata così scelleratamente la Sede di S. Pietro e tutto lo Stato ecclesiastico? Queste parole, benchè fossero vere, il Papa le disse con tanta veemenza, che subito Malizia entrò in sospetto, che la venuta del Re Luigi non era senza intelligenza del Papa; e però conobbe che bisognava altrove rivolgere il pensiero.

Alfonso Re d'Aragona avea a quel tempo apparecchiata un'armata per assalire la Corsica, isola dei Genovesi: il Papa gli avea mandato un Monitorio che non dovesse moversi contra quella Repubblica, la quale s'era raccomandata alla Sede Appostolica e contra quell'isola, la quale era stata data da' Pontefici passati a censo a' Genovesi; e 'l Re Alfonso avea mandato Garsia Cavaniglia Cavalier Valenziano Ambasciadore al Papa per giustificar la cagion della Guerra; il quale non avendo avuto niente più cortese risposta di quella che avea avuta Malizia, si andava lamentando co' Cardinali del torto che si faceva al suo Re; ed un di Malizia incontrandolo gli disse che alla gran fama che teneva Re Alfonso, era impresa indegna l'isola di Corsica, massimamente dispiacendo al Papa, e che impresa degna d'un Re tanto famoso saria girare quell'armata in soccorso della Regina, sua padrona oppressa e posta in tanta calamità, dalla quale impresa nascerebbe eterna ed util gloria, aggiungendo a' Regni che avea, non Corsica ch'era uno scoglio sterile e deserto, ma il Regno di Napoli, maggiore ed il più ricco di quanti Regni sono nell'Universo; perchè la Regina ch'era vecchia e senza figli, vedendosi obbligata da tanto e tal beneficio, non solo lo istituirebbe erede dopo sua morte, ma gli darebbe in vita parte del Regno, e tante Fortezze per sicurezza della successione. Tutte queste promesse faceva Malizia, perchè ogni dì era avvisato da Napoli che la necessità cresceva, e che la città non si potea tenere senza presto o speranza di presto soccorso. Il Cavaniglia disse che tenea per certo che il Re per la sua magnanimità, e per tante offerte avrebbe accettata l'impresa e lo confortò ad andar a trovarlo in Sardegna dove era. Non tardò punto di ciò Malizia ad avvisar la Regina, e mandò con una Fregata Pascale Cioffo Segretario di lei che avea condotto seco che se alla Regina piaceva ch'egli andasse a trattar questo, gli mandasse proccura ampissima e conveniente a tanta importanza; ed egli tolto commiato dal Papa andò ad aspettar la risoluzione a Piombino. Andò con tanta celerità la Fregata, e trovò con tanto timore la Regina ed i suoi che si spese poco tempo in consultare; onde Pascale in sette dì ritornò a Piombino con tutta la potestà che potesse avere o desiderare; e Malizia subito partito con vento prospero giunse in Sardegna e impetrata udienza dal Re Alfonso, gli espose i desiderj della Regina; e per maggiormente invogliarlo all'impresa, gli disse ch'egli avea avuta da lei potestà grandissima di trasferire per via d'adozione la ragione di succedere al Regno dopo i pochi dì ch'ella potrà vivere e consegnare ancora in vita di lei buona parte del Regno. Il Re rispose che gli dispiaceva degli affanni della Regina, e ch'egli teneva animo di soccorrerla per proprio istituto: e non già con animo di acquistar il Regno, avendone tanti che gli bastavano; ma che bisognava che ne parlasse con suoi Consiglieri; ed il dì seguente fece adunar il Consiglio. Que' del Consiglio tutti dissuasero al Re l'impresa; ma Alfonso senza dar segno della volontà sua, mandò a chiamar Malizia, e gli disse il parere de' suoi Baroni; ma che con tutto ciò voleva soccorrere la Regina, e che avrebbe mandate per allora sedici galee ben armate insieme con lui, e che avrebbe anche mandata una quantità di moneta, perchè si fossero soldati uomini d'arme italiani, e poi sarebbe venuto anch'egli di persona a veder la Regina. Malizia lodò il pensiero di Sua Maestà, e promise che la Regina ancora avrebbe aggiunto tanto del suo, che avessero potuto soldar Braccio ch'era in quel tempo tenuto il maggior Capitano d'Italia e fierissimo nemico di Sforza. Il dì seguente il Re fece chiamar il Consiglio e manifestò la volontà sua ch'era di pigliar l'impresa; poi ordinò a Raimondo Periglios ch'era de' primi Baroni della sua Corte, e tenuto per uomo di molto valore che facesse poner in ordine le galee per partirsi insieme coll'Ambasciadore della Regina. Malizia tutto allegro, per confortar gli animi degli assediati, fece partir subito Pascale con l'avviso che 'l soccorso verrebbe fra pochi dì; ed egli per acquetar gli animi dei Catalani che stavano malcontenti dell'impresa, per istrumento pubblico in nome della Regina adottò Re Alfonso, e promise assignargli il Castel Nuovo di Napoli, ed il Castel dell'Uovo, e la Provincia di Calabria col titolo di Duca, solito darsi a coloro che hanno da succedere al Regno, e fatto questo tolse licenza dal Re, e si pose su l'armata insieme con Raimondo.

Mentre questi apparecchi si facevano per la Regina, il Re Luigi colla sua armata all'improvviso giunse a Napoli, ed avendo poste le sue genti in terra, unite con quelle di Sforza strinse la città; la quale si sarebbe a lui resa, se opportunamente non fosse sopraggiunta l'armata aragonese comandata dal Periglios, che fu dalla Regina accolto con somma stima, la quale per mostrar la ferma deliberazione del suo animo, acciocchè Alfonso e que' del suo Consiglio non ne dubitassero, il dì seguente per atto pubblico ratificò l'adozione e tutti i capitoli stipulati in Sardegna, e fu dato ordine, che negli stendardi ed in molti altri luoghi fossero dipinte l'arme d'Aragona quarteggiate con quelle della Regina, e fu bandita per tutto l'adozione e la lega perpetua. Si mandò ancora a soldare Braccio da Perugia, il quale non volle venire, se, oltre il soldo, la Regina non gli dava l'investitura di Capua e dell'Aquila che avea dimandata.

Intanto Aversa erasi resa al Re Luigi, e crescendo tuttavia la parte angioina, fu mandato a sollecitar Braccio, il qual venuto con tremila cavalli, ruppe Sforza, che gli contrastava il passo e venne a Napoli, dove dalla Regina fu caramente accolto.

Re Alfonso ch'era passato in Sicilia, ancorchè fosse stato più volte sollecitato dalla Regina a venir presto, ed egli andava temporeggiando, avendo intesa la venuta di Braccio in Napoli, partì da Sicilia con l'armata e se ne venne ad Ischia. La Regina mandò il G. Siniscalco ad incontrarlo con alquanti Baroni, il qual dopo le lodi e grazie, resegli da parte di lei, l'invitò a passare coll'armata al Castel dell'Uovo, da dove la Regina voleva farlo entrare in Napoli con quella pompa ed apparato, che conveniva ad un tanto Re e suo liberatore. Il G. Siniscalco rimase poco contento, vedendo il Re così bello di persona, valoroso, magnanimo e prudente; ed oltre di ciò la compagnia di tanti onorati Baroni aragonesi, castigliani, catalani, siciliani ed altre nazioni soggette al Re, perchè dubitava che l'autorità sua in breve sarebbe in gran parte, e forse in tutto diminuita ed estinta, e si ricordava bene dell'esito del Conte Pandolfello, temendo, che tanto peggio potea succedere a lui, quanto che questo Re era di maggior ingegno, valore e potenza, che non era stato Re Giacomo; con tutto ciò ingegnossi coprire questo suo sospetto e fece disporre apparati magnifici per l'entrata d'Alfonso in Napoli. Il Re nel dì statuito, avendo cavalcato con gran pompa per la città, fu condotto al Castel Nuovo, dove la Regina discese sin alla porta, ricevendolo con ogni segno di amorevolezza e di letizia, e da poi che l'ebbe abbracciato, gli consignò le chiavi del castello, ed il rimanente di quel dì e molti altri appresso si passarono in feste e conviti, ed in questi dì in presenza di tanti Baroni, e di quasi tutta la nobiltà e popolo, dal Re Alfonso e dalla Regina si ratificarono l'adozione e tutti i capitoli poc'anzi ratificati con Periglios, e sotto il dì 8 di luglio di quest'anno 1421 se ne stipulò nuovo istromento, che, oltre Chioccarello273, si legge presso il Tutino, che l'ha fatto imprimere nel suo libro de' G. Contestabili.

 

Giunto Alfonso colla sua armata in Napoli, s'accese più fiera la guerra in Terra di Lavoro col Re Luigi, il quale fortificato in Aversa, che se l'era resa, avea posta quella provincia in confusione. Alfonso dall'altra parte stimolato dal G. Siniscalco andò a porre l'assedio ad Acerra, che era allora posseduta da Giovanni Pietro Origlia nemico di Sergianni. E Braccio nel medesimo tempo avendo assaltato l'esercito di Sforza, faceva premurose istanze, che se gli dasse la possessione di Capua; ed andandosi dalla Regina temporeggiando, Braccio andò a lamentarsene col Re Alfonso, il quale per non disgustar quel Capitano Indusse la Regina a consegnargliela. Tenendo ancor Alfonso assediata Acerra, Martino V temendo, che finalmente Alfonso (di cui si era scoperto nemico, per la mano che avea avuta a far venire Re Luigi) non rimanesse superiore, spedì due Cardinali per pacificare questi due Re; e mentre trattavano col Re Alfonso le condizioni della pace, Alfonso dubitando che non fossero venuti per dargli parole, non volle tralasciar l'assedio di quella città, e cominciò a batterla più fortemente che prima, non ostante la gagliarda resistenza degli Acerrani.

I due Cardinali per la forte difesa di quella piazza vedendo la grande strage che ne seguiva e che sarebbe riuscito vano il disegno d'Alfonso, lo pregarono che non volesse esporre a tanto pericolo i suoi, promettendo che Papa Martino avria almeno presa in sequestro Acerra, sì che non avrebbe potuto nuocere allo Stato della Regina Giovanna, e, conchiudendosi la pace, l'avrebbe forse assignata a lei. Il Re piegato ai prieghi de' Cardinali levò l'assedio; e Luigi chiamò a se i presidii e fece consignare Acerra in deposito ai Legati appostolici; ed il Re Alfonso si ritirò a Napoli e Braccio co' suoi a Capua. Fu conchiusa tregua fra questi due Re per tanto spazio, quanto parea, che bastasse per trattare la pace; e poco da poi il Re Luigi andò a trovar Papa Martino, e lasciò Aversa e gli altri luoghi alli medesimi Legati; e Sforza ebbe per patto nella tregua di potersene andare a star a Benevento, ch'era suo.

Martino V era tenuto da Alfonso in freno, perchè sebbene col Concilio di Costanza fosse cessato lo scisma, e Gregorio XII e Giovanni XXIII avessero ubbidito a quello e deposto il pontificato; nulladimanco Benedetto XIII Antipapa ancor viveva ostinato, e s'era fatto forte in un luogo inespugnabile in Spagna, chiamato Paniscola, dove con pertinacia grandissima accompagnato da quattro Cardinali conservava ancora il nome e' contrassegni della pontifical dignità, e voleva morire col titolo di Papa, ancorchè da nazione alcuna non fosse ubbidito. Re Alfonso ponendo in gelosia Martino e dimostrando, che se non avesse favorito le parti sue, avrebbe fatta dare ubbidienza da tutti i suoi Regni all'Antipapa, ottenne pochi mesi da poi, che il Papa gli facesse consignare non pure Acerra ma tutte le terre, che i Legati tenevano sequestrate. In Napoli si fece grand'allegrezza, perchè parea, che la guerra fosse finita, tenendosi l'Aquila solamente per se alla divozione del Re Luigi; onde Alfonso per togliersi d'avanti Braccio, gli comandò che andasse ad espugnarla: Braccio ne fu molto contento; poichè per virtù de' patti, quando venne a servire la Regina ed Alfonso, gli era stata promessa. Così la provincia di Terra di Lavoro restò libera, ed in Napoli i partigiani della Regina viveano assai quieti.

267Chiocc. M. S. Giurisd. to. 1 ann. 1418.
268Chioccar. loc. cit.
269Costanzo l. 13 in fin.
270Summonte l. 4 tom. 2 p. 585.
271Tom. 2 p. 1234.
272Pag. 1226.
273Chiocc. M. S. giur. tom. 1.