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Istoria civile del Regno di Napoli, v. 6

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Poichè Tommaso Sanseverino a questo modo ebbe acquistata la città di Napoli, considerando, che non molto tempo potea tenerla contra le forze esterne; propose in un Parlamento de' Baroni della parte Angioina, e de' più nobili e potenti Napoletani, che si dovesse da parte del Baronaggio e della città mandare a Re Luigi ed a Papa Clemente, e far loro intendere, come s'erano ridotti all'ubbidienza loro con più affezione che forza, e ch'era necessario, che mandassero gagliardi ajuti per poter non solo assicurare la parte Angioina, ma ponere affatto a terra la parte della Regina e di Papa Urbano, contra i quali non potrebbero con le forze del Regno molto tempo resistere. Fu subito conchiuso, che si mandasse, e furono eletti più Ambasciadori, i quali navigando felicemente giunsero a Marsiglia, ove ritrovarono Luigi, e lo salutarono per Re, e n'ebbero gratissime accoglienze, e lo sollecitarono, o a venir subito, dov'era con gran desiderio aspettato, o che mandasse supplimento di gente e di danari. Ed essendosi trattenuti alcuni dì, conoscendo in fine, essere quel Signore di natura nell'azioni sue tepido e non così fornito di danari, che se ne potesse aver gagliardo e presto soccorso; andarono ad Avignone a trovar Papa Clemente, dal quale sapevano, che avrebbero migliori recapiti, per togliere l'ubbidienza a Papa Urbano suo nemico. Ebbe Clemente cara molto la venuta degli Ambasciadori, e pigliò molto piacere d'intendere da loro, quanto picciola parte del Regno era rimasta all'ubbidienza d'Urbano, e della speranza gli davano di torgli in breve il rimanente; e poichè in Concistoro pubblico ebbe sommamente lodata la città ed i Baroni, che conoscendo la giustizia della causa, s'erano partiti dall'ubbidienza del Papa scismatico (che così chiamava egli Urbano) ed erano venuti all'ubbidienza sua, ch'era vero e legittimo Papa, e che ricordevoli de' beneficj ricevuti dalla buona Regina Giovanna, avessero eletto di seguire la parte di Re Luigi suo legittimo erede, cacciando l'erede del tiranno ed invasore, che con tanta ingratitudine l'avea privata del Regno e della vita; promise grandissimi e presti ajuti, e che avrebbe fra pochi dì coronato Re Luigi e proccurato, che venisse con grand'esercito nel Regno.

Gli Ambasciadori, ancorchè vedessero con quanta veemenza il Papa avea parlato, pur avendo in quelli dì inteso per lettere, che la plebe di Napoli era impaziente degl'incomodi d'un assedio, e che Papa Urbano e la Regina Margarita si apparecchiavano di mandare ad assediare la città per mare e per terra, ringraziarono il Papa degli aiuti promessi, e lo pregarono, che fosse quanto prima era possibile; ed assicurandoli il Papa, che non avea cosa al Mondo più a cuore di questa, ed avendo ad alcuni di loro concesse riserve di beneficj per parenti loro, si partirono contentissimi. Giunsero costoro verso la fine dell'anno in Napoli e rallegrarono la città, con la speranza dell'apparato, che aveano lasciato, che si faceva in Marsiglia ed in Genova, e con la relazione della liberalità, clemenza e dolcezza de' costumi del Re Luigi, e della prontezza di Papa Clemente: tal che a tutti parea la guerra finita.

Mentre queste cose s'erano trattate in Provenza, dall'altra parte Ramondello Ursino e la Regina Margarita facevano ogni forzo per impedire a Napoli i viveri, acciocchè per fame la città dovesse rendersi; ma per la vigilanza del Sanseverino, liberata la città di questo timore, ed essendo giunte a Napoli alcune galee di Provenza, mandate da Papa Clemente con trentamila scudi d'oro per paga dell'esercito, e provista Napoli di vettovaglie; la Regina, disperata di non averla per fame, se ne ritornò a Gaeta. Pochi dì da poi che la Regina fu ritornata a Gaeta, giunse l'armata provenzale in Napoli, ed in essa venne con titolo di Vicerè e di capitan generale Monsignor di Mongioja, e da' Napoletani e da tutti coloro, che nel Regno seguivano la parte Angioina, ne fu fatta grand'allegrezza; non considerando quel che n'avvenne; poichè per la sua alterigia fu più tosto cagione di turbare che di stabilire il Regno al Re Luigi. Perchè Tommaso Sanseverino restò offeso, che il Re non gli avesse mandata la conferma di Vicerè, e per disdegno se n'andò alle sue terre, e pochi dì da poi trattando il Mongioja col principe Ottone, non con quel rispetto, che conveniva a tal Signore per la nobiltà del sangue, per essere stato marito d'una Regina, e per la virtù e valor suo nell'arme: il Principe si partì con le sue genti, e se n'andò a Santa Agata de' Goti. I Signori del Buono stato uniti andarono a ritrovare il Mongioja e gli dissero, che il modo ch'egli tenea, farebbe in breve spazio perdere il Regno, alienando gli animi de' più potenti Signori, e ch'era necessario, che in ogni modo cercasse di placare il principe Ottone: ed ancorchè il Mongioja avesse dato il pensiere ad essi di placarlo, nulladimanco furono inutili tutti i trattati, per li molti patti, che voleva il Principe, i quali non solo al Vicerè, ma a tutt'i Cavalieri parvero soverchi, e non degni d'essere conceduti. E da questo s'accorsero, che il Principe a quel tempo doveva esser in pratica di passarsene alla parte della Regina, il che si confermò poi, perchè si vide, che alzò subito le bandiere di Durazzo. Angelo di Costanzo per questo credette esser vero quel, che in un breve compendio scritto a penna di Paris de Puteo avea letto, che il Principe avea fatto disegno di pigliarsi la Regina Margarita per moglie, e che quella donna sagacissima per tirarlo alla parte sua, glie ne avea data speranza; ma poi con iscusandosi che Papa Urbano non volea dispensarvi, per essere stata la regina Giovanna prima moglie del Principe, zia carnale della regina Margarita, lo lasciò deluso a tempo, che per vergogna non poteva mutar proposito, e seguì fin alla morte quella parte; onde seguirono molte novità, e la parte di Durazzo cominciava ad entrare in isperanza di poter ricuperar Napoli ed il resto del Regno, che si teneva per Re Luigi;

CAPITOLO IV

Nozze tra il Re Ladislao e la figliuola di Manfredi di Chiaramonte. Morte d'Urbano, elezione in suo luogo di Bonifacio IX e venuta del Re Luigi II in Napoli

Intanto la Regina Margarita, che stava in Gaeta con molti del suo partito, non potendo sopportar l'ozio nel qual parea, che si marcisse la speranza di ricovrar presto Napoli, non pensava ad altro, che a trovar modo di cavar danari per rifar l'esercito, con soldar nuove genti. Ma avvenne, che alcuni mercanti gaetani, ch'erano stati a comprar grani in Sicilia, dissero avanti la Regina gran cose delle ricchezze di Manfredi di Chiaramonte e delle bellezze di una sua figliuola; onde l'animo vagabondo della Regina si fermò col pensiere di mandare a chiedere quella figliuola per moglie al Re Ladislao suo figlio, ch'era già di quattordici anni; e con ciò sia ch'era nelle sue azioni fervida e risoluta, fece chiamare subito il Consiglio e disse, che dopo aver vagato colla mente per tutti i modi, che potessero tenersi per far danari, per rinovar la guerra, non avea conosciuto per certa via, che quella di questo matrimonio, dal quale voleva la ragione, che si potesse aver dote grandissima, e che però voleva mandar in Sicilia a trattarlo. Non fu persona nel Consiglio, che non laudasse la prudenza della Regina, e con voto ed approvazione di tutti, furono eletti il conte di Celano e Bernardo Guastaferro di Gaeta, per andare a trattare il matrimonio in Sicilia: il Conte, perch'era Signore ricco e splendido, e conduceva seco famiglia onorevole, e Bernardo per esser Dottor di legge ed uomo intendente. Questi con due galee partiti da Gaeta, il quarto dì giunsero felicemente in Palermo. Era Manfredi di Chiaramonte di titolo Conte di Modica, ma in effetto Re delle due parti di Sicilia, perchè per la puerizia del Re, e per la discordia de' Baroni avea occupato Palermo e quasi tutte l'altre buone terre dell'isola, avendo acquistato con le forze sue proprie l'isola delle Gerbe, dalla quale traea grandissima utilità, non solo per lo tributo, che gli pagavano i Mori, ma per l'utile che traeva dai mercatanti, che avean commercio e trafichi in Barberia; ed essendo di natura sua splendido e magnanimo, con grandissima pompa accolse gli Ambasciadori; e poichè ebbe inteso la cagione della lor venuta, la gran virtù e valore della Regina Margarita, la grande aspettativa, che si potea tenere del piccolo Re Ladislao, e la certezza di cacciare gli nemici del Regno, avendosi aiuto di danari, restò molto contento, vedendosi non solo offerta occasione di far una figlia Regina d'un ricchissimo Regno, ma di potere sperare coll'aiuto del genero di occupare il rimanente dell'isola, e farsi Re; strinse egli per tanto senza molto indugio il matrimonio; ed ancorchè i Napoletani facessero ogni sforzo per impedirlo, Manfredi non volle muoversi dalla determinazione ch'avea fatta; onde giunto in Palermo Cecco del Borgo, Vicerè del Re Ladislao, a condurne la sposa, Manfredi gli consegnò la figliuola Costanza, ed in compagnia di lei mandò alcuni suoi parenti con quattro galee, ed oltre alla ricca dote, le diede gran copia d'argento lavorato, gioie e tapezzerie. Partiti da Palermo con prospero vento arrivarono in pochi dì a Gaeta, dove la Regina ed il Re accolsero la sposa con grandissima allegrezza e con feste splendidissime, che furono per molti dì continovate.

Finite appena le feste, venne una maggior felicità a Ladislao, perchè morì Papa Urbano, che per lui era inutile; poichè per la sua natura bizzarra e ritrosa, era odiato non men dal Collegio, che da tutti i popoli di sua ubbidienza; ed avendo fatto morire molti Cardinali, ed altri privati del Cappello per diversi sospetti, non poteva attendere ad altro, che a guardarsi dalle congiure, che temeva fossero fatte contra di lui. Morì Urbano nel 1389, e fu creato in suo luogo il Cardinal Pietro Tomacello, e chiamato Bonifacio IX252, che come si dirà appresso fu grandissimo protettore del Re Ladislao.

 

(Ladislao, avuta da Bonifacio l'investitura del Regno, simile a quella data a Carlo suo padre, gli spedì lettere nel 1390 nelle quali, prestandogli giuramento di fedeltà, dichiara, per beneficio della Sede Appostolica possedere il Regno. E Bonifacio mandò lettere ai Napoletani, perchè lo riconoscessero per vero e legittimo Re: siccome nell'anno 1398 conferma la pace stabilita fra Ladislao, e gli Ordini del Regno. Le quali lettere si leggono presso Lunig253).

Lasciò Papa Urbano pochi al mondo che piangessero la sua morte, perchè benchè fosse d'integrità singolare, fu superbo, ritroso ed intrattabile di natura, ed alle volte non sapeva egli stesso quel che si volesse: fu sepolto in Roma in S. Pietro con rustico epitaffio; ma in Napoli nella chiesa di S. Maria la Nuova, nella cappella di Francesco Prignano, presso il sepolcro del B. Giacomo, gli fu eretto un famoso tumulo colla sua statua, che ancor oggi si vede. Il suo successore, che non avea più di 45 anni, fu creato Papa per l'opinione della buona vita; ma subito che fu incoronato, mostrò gran mutazione di vita, ponendosi per iscopo di tutti i suoi pensieri l'ingrandire i fratelli ed i parenti; e perchè potea aspettare gran cose dal Re Ladislao, per le grandi ricchezze degli avversari, che vincendo potrebbe distribuire a' partegiani suoi, deliberò d'incominciare a favorirlo, ed accolse benignamente Ramondo Cantelmo conte d'Alvito e Goffredo di Marzano conte d'Alifi, che vennero da parte di lui e della Regina a dargli l'ubbidienza e visitarlo, e promise di dargli l'investitura del Regno, che non avea potuto ottener mai da Papa Urbano. E pochi dì appresso mandò il Cardinal di Firenze a Gaeta a coronarlo, essendosi l'ottavo dì di maggio del 1390 celebrata la coronazione del Re e della Regina Costanza, e fu letta la Bolla dell'investitura simile a quella che fece Papa Urbano al Re Carlo III. Nel qual dì cavalcò il Re colla Regina per Gaeta, con la corona in testa e con gran solennità.

I Napoletani, vedendo questi prosperi successi del Re Ladislao, mandarono Baldassar Cossa, che poi fu Cardinale e Papa, a Re Luigi in Provenza, a dirgli che le cose comuni stavano in gran pericolo, ed ogni dì andavano peggiorando, per la gran superbia di Monsignor di Mongioja, che avea alienati gli animi di tutti i Baroni e più degli altri, de' Sanseverineschi, i quali tenean tutte l'armi e le forze del Regno, e ch'era necessario che venisse; poichè delle quattro parti del Regno, a quel tempo, tre n'erano sue, che col venire avrebbe mantenute in fede, e tolta la discordia tra' Ministri, poteva sperar in breve cacciar i nemici, ed ottener tutt'il Regno. Per questo ed a persuasione ancora di Papa Clemente, il Re Luigi, il quale nell'anno precedente era stato in presenza del Re di Francia solennemente coronato Re di Sicilia in Avignone254,255 raunati venti legni da remo, tra galee e fuste e tre navi grosse, nel mese di luglio si imbarcò in Marsiglia, ed a' 14 d'agosto giunse a vista di Napoli, dove levatasi una grandissima burrasca, a fatica con la galea capitana verso il tardi s'appressò a terra, e scese su 'l ponte ch'era apparecchiato nella foce del fiume Sebeto, ove trovò un numero grande di Nobili e di Popolo con alcuni Baroni, che a quel tempo erano in Napoli, che 'l ricevettero con applauso grandissimo, e cavalcando cominciò a camminare verso Formello, dove trovò gli Eletti di Napoli che gli presentarono le chiavi della città: arrivato avanti la porta, fu ricevuto da otto Cavalieri sotto il baldacchino di drappo ad oro, e passando per gli Seggi della città, creò Cavalieri molti giovani nobili, ed assai tardi tornò al castel di Capuana, avendo colla sua presenza soddisfatto molto a tutta la città, perch'era di bello aspetto, ed atto a conciliarsi l'aura popolare, e che a molti segni mostrava clemenza ed umanità. Il dì seguente tutti cinque i Seggi confermarono il giuramento dell'omaggio, fatto in mano di Tommaso Sanseverino allora Vicerè, e poi giurarono i mercatanti ed il Popolo. Cominciarono poi a venire i Baroni, ed i primi furono il Conte d'Ariano di casa Sabrano, Marino Zurlo Conte di S. Angelo, Giovanni di Luxemburgo Conte di Conversano, Pietro Sanframondo Conte di Cerreto, Corrado Malatacca ed altri Signori ed alcuni altri Capi di squadre stranieri che possedevano alcune castella in Regno. Questi condussero più di 1100 cavalli. Ma appresso vennero i Sanseverineschi, che vinsero tutti gli altri di splendidezza, di numero e di qualità di genti; poichè condussero con loro 1080 cavalli tutti in arnese, come se andassero a far giornata, perchè vollero mostrare al nuovo Re, quanto fosse importato alla sua Corona, e quanto potrebbe importare la potenza loro che parve cosa superbissima. Questi furono Tommaso Gran Contestabile, il Duca di Venosa, il Conte di Terra nuova, il Conte di Melito, il Conte di Lauria della medesima casa; venne poi Ugo Sanseverino d'Otranto con Gaspare Conte di Matera ed altri Sanseverineschi, che avean le Terre in quelle province; appresso a costoro vennero i Signori di Gesualdo, Luigi della Magna Conte di Boccino, Mattia di Borgenza, Carlo di Lagni, ed altri Baroni di minor fortuna. Ma d'Apruzzo venne solo Ramondaccio Caldora con alcuni altri di quella famiglia; poichè gli altri ubbidivano tutti al Re Ladislao.

Non voglio tralasciare ciocchè quel gravissimo Istorico Angelo di Costanzo lasciò scritto, in considerando la condizione di questi tempi, paragonandogli coll'età, nella quale compilò la sua Istoria, cioè sotto il Regno di Filippo II, che servirà per maggior nostra confusione e scorno; poichè se questo grave istorico in cotal maniera favella, paragonando que' tempi alla sua età; che dovremo dir noi de' nostri, ne' quali senza paragone i lussi sono infinitamente cresciuti? E' dice che vedendo ne' suoi tempi in ogni altra cosa felicissimi, e Napoli tanto abbondante di Cavalieri illustri, ed atti all'armi, ed all'incontro la difficoltà, che saria di porre in ordine una giostra; e l'impossibilità di poter fare in tutto il Regno mille uomini d'arme di corsieri grossi simili a quelli: stava quasi per non credere a se stesso questo ch'egli scriveva, di tanto numero di cavalli, ancorchè sapesse ch'era verissimo; ed oltrechè l'avea trovato scritto da persone in ogni altra cosa veridiche, l'avea anche veduto ne' registri di que' Re che gli pagavano. Ma tutto ciò, ei dice, dee attribuirsi al variar de' tempi che fanno ancora variare i costumi. Allora per le guerre ogni picciolo Barone stava in ordine di cavalli e di genti armigere, per timore di non esser cacciato di casa da qualche vicino più potente; ed in Napoli i Nobili vivendo con gran parsimonia, non attendeano ad altro che a star bene a cavallo e bene in armi: s'astenevano d'ogni altra comodità: non si edificava, non si spendeva a paramenti, nelle tavole de' Principi non erano cibi di prezzo, non si vestiva con molta pompa, tutte l'entrate consumavansi a pagar valent'uomini, ed a nudrir cavalli. Or per la lunga pace, s'è voltato ognuno alla magnificenza nell'edificare, ed alla splendidezza e comodità del vivere; e si vide la casa, che fu del Gran Siniscalco Caracciolo, il quale fu quasi assoluto padrone del Regno a' tempi di Giovanna II, che essendo venuta in mano di persone, senza comparazione di stato e di condizione inferiore a lui, aggrandita di nuove fabbriche, non bastando a costoro quell'ospizio, ove con tanta invidia abitava colui, che a sua volontà dava e toglieva le Signorie e gli Stati. Delle tappezzerie e paramenti non parlo; poichè già è noto, che molti Signori ne' paramenti d'un paio di camere, hanno speso quello che avria bastato a mantener 200 cavalli per un anno; ed avendo il Costanzo parlato della magnificenza de' Principi, con questo esempio non lascerò di dire anche de' privati, ch'erasi veduto di cinque case di Cavalieri nobilissimi essersene fatta una di un cittadino artista. Tal che si può credere per certo, che se fosse noto agli antichi nostri questo presente modo di vivere, si maraviglierebbono essi, non meno di quel che facciam noi di loro.

Se Angelo di Costanzo, che scrisse nel Regno di Filippo II si maravigliava che ad un semplice artista non bastavano cinque case di Nobili per farne una: che direbbe ora in veggendo che non bastano agli abitatori tutti quegli ampj ed immensi edificj, che, come tante altre nuove città, si sono aggiunti all'antica? e che direbbe se vedesse le tante pompe e fasti di quest'ultima nostra etade, i quali consumano in cotal guisa le rendite, che senza difficoltà si potrebbe mettere in piede una compagnia di cento cavalli? Ma lasciando al giudizio de' Lettori, se sia più laudabile attendere alle arme ed a' cavalli ed agli esercizi d'un rigido ed inclemente Marte, ovvero agli agi ed alla comodità del vivere, ritorneremo là donde siam dipartiti.

Dappoichè il Re Luigi ebbe ricevuto il giuramento dell'omaggio da tutti gli ordini della città e del Regno, fece convocare un Parlamento a Santa Chiara, nel quale Ugo Sanseverino Gran Protonotario del Regno propose, che si dovessero donare al Re mille uomini d'arme, e dieci galee pagate dal Baronaggio e da' Popoli a guerra finita, il che fu subito con gran volontà conchiuso e con grandissimo piacere del Re, perchè trovandosi la Francia a quel tempo afflitta, per le guerre degl'Inglesi, poca utilità traeva dal Contado di Provenza e dal Ducato d'Angiò. Luigi per tanto con buon consiglio cominciò a fornirsi la casa di nobili napoletani e del Regno, ordinando a tutti onorate pensioni, e con questo parve che alleggerisse il peso insolito e nuovamente imposto al Regno, ed acquistò in Napoli gran benevolenza.

Mentre in Napoli e nell'altre parti del Regno si facevan queste cose, la Regina Margarita fece chiamare tutt'i Baroni del suo partito, e mandò a soldare il Conte Alberigo di Cunio, desiderando di tentar la fortuna della guerra, avendo acquistata forza, e dalla dote della nuora, e dal favor del Papa. Convennero subito a Gaeta Giacomo di Marzano Duca di Sessa e Grande Ammirante del Regno, Goffredo suo fratello Conte d'Alifi e Gran Camerlengo, il Conte Alberigo Gran Contestabile, Cecco del Borgo Marchese di Pescara, Gentile d'Acquaviva Conte di S. Valentino, Berardo d'Aquino Conte di Loreto, Luigi di Capua Conte d'Altavilla, Giovanni d'Atrezzo Milanese Conte di Trivento, Giacomo Stendardo, Cola e Cristofano Gaetani, Gurrello e Malizia Carafa fratelli, Gurrello Origlia, Salvatore Zurlo, Florido Latro ed Onofrio Pesce, e trattarono da che parte si dovea incominciare a guerreggiare. Fu risoluto, che si andasse a debellare i Sanseverineschi, che teneano le lor genti disperse per diversi luoghi: e quindi attaccatisi varj fatti d'arme, finalmente i Sanseverineschi ne riportarono vittoria. Per la qual cosa il Castellano di S. Eramo Renzo Pagano, che si teneva ancora per Re Ladislao, avendo intesa questa vittoria, venne in pratica di render il castello al Re Luigi, e seppe ben farlo pagare a caro prezzo, perchè n'ebbe la Bagliva di S. Paolo, l'Ufficio di Giustiziere degli Scolari, la gabella della falanga e la gabella della farina. Ma Andrea Mormile Castellano del Castel Nuovo per molte offerte e grandi, che gli furono fatte, non volle mai rendersi, finchè non fu vinto da estrema necessità, e si rendette senz'altro premio, che la salute sua e dei compagni; e fu dal Re Luigi, quando entrò nel castello, sommamente lodato, non essendovisi trovato da vivere, che per un solo dì. Martuccio Bonifacio Governadore del castello dell'Uovo, ancor egli non potendo più resistere, si rendè con onorati patti. Per così prosperi successi si fecero gran segni d'allegrezza per tutta la città, perchè pareva a tutti, che la guerra fosse finita, nè avendosi nè danno, nè impedimento alcuno, come fino a quel dì aveano avuto dalle castella; e viveasi in Napoli con molta contentezza e benevolenza verso il Re Luigi.

 
252I. Vita Clem. VII apud Baluz. t. 1 p. 254.
253Tom. 1 pag. 1210 et 1215.
254I. Vita Clem. VII apud Baluz. loc. cit.
255La celebrità, ordine e processo della solenne incoronazione, fatta in Avignone da Papa Clemente VII al Re Luigi II d'Angiò, con tutte le sue cirimonie, riti e funzioni; siccome le orazioni, benedizioni e cirimonie, che s'usarono nell'imbarcarsi il Re Luigi nel porto di Marsiglia, per l'impresa di Napoli, colla formula della benedizione data alla Galea, sulla quale dovea navigare il Re, e sua Compagnia; si leggono presso Lunig in una pienissima relazione, dettata in Lingua Franzese p. 1186.