Avete ragione. Perdonatemi.
Non più leggiero forse del mio verso di voi. Ma la nostra importunità non può offendervi, mentre le false speranze che ci fate concepire ci rendono tanto ridicoli!
Fui un po' civetta. Siete contento?
È vero.
Danke.
Come dite?
Grazie.
No, non avete detto così.
Ho detto: Danke, che fa lo stesso.
È tedesco eh? Non intendo il tedesco.
Non intendete il tedesco?
Affatto.
Non intendete il tedesco?
Ma no. Me ne vergogno, se vi piace, ma non l'ho studiato. Agli esami per entrare in diplomazia non si richiedeva ai miei tempi che il francese e l'inglese, ma di tedesco, lo confesso, non so una parola. Cioè dico male.
Ah!
Ho imparato a chiedere amore in tutte le lingue Europee. Mi amate voi? M'aimez-vous? Do you love me? Lieben sie mich? perfino in russo.
Ah! Ah! curiosissimo. E quale preferite di queste lingue?
Quella in cui mi si risponde affermativamente.
Locchè vi deve accadere spesso?
Le donne non sono tutte crudeli come siete voi; qualche volta ha ragione il poeta che dice:
«Amore a nessun amato amare perdona»
Il poeta dice:
«Amor che a nullo amato amar perdona» perchè il poeta scrive dei versi che tornano, mentre voi li citate falsi, locchè è strano in un uomo che pretende di farne.
Oh ci sarà una sillaba di più, bella cosa! Perchè mi guardate a quel modo?
Siete ben sicuro d'essere a casa vostra?
Dacchè ci siete voi essa vi appartiene.
Lasciamo i madrigali. Ho paura di essermi troppo facilmente fidata di voi.
Che supponete?
Questa casa risponde così poco all'indole vostra! Ci siete così stonato! Ho cercato di attribuirvi per un momento qualcheduna delle qualità che essa rivela e voi avete così vittoriosamente smentito le mie supposizioni! Ci trovo dei versi, me li date per vostri, e citate sbagliato un verso che sanno giusto perfino i bambini, e per spiegare il senso che volete attribuire a quegli altri dovete commentarli stiracchiandoli in modo compassionevole. Sullo scrittoio c'è un volume di Heine in tedesco, annotato in margine dalla stessa mano che scrisse i versi, e voi non sapete una parola di tedesco.
Dirò…
Lasciatemi dire. Mi vantate una famosa collezione artistica e scommetto…
Ma eccola qui la collezione, ma ve la faccio vedere, e dopo vi spiegherò il mistero, la combinazione di quel tedesco e vi convincerete dell'ingiustizia dei vostri sospetti. Oh credermi capace! Eccole qui le cartelle! apritele, e ci troverete dentro anche quelle stampe di che mi avete parlato ieri.
Che stampe?
Sì… sapete bene… quei… Pompeo…
Pompeo!
Uh… che dico! Quei Silla…
Silla!
Marc'Antonio, volete dire… Ah… Silla! Pompeo ah! ah!..
Ho riso perchè non vi potete immaginare la faccia grottesca che avevate, ma spero bene che non cercherete di ingannarmi più oltre. Questa non è casa vostra.
Lo confesso.
Oh! Dove sono?
In casa di un amico.
Il quale naturalmente mi crede la vostra amante.
Vi do la mia parola d'onore chi gli ho detto che non lo siete.
Ma mi immagina disposta a divenirlo.
Ignora il vostro nome.
Preferirei lo sapesse. Se è un uomo di mondo, se mi conosce, se è un galantuomo, non avrebbe certo accettato di farsi complice di un'azione così poco leale.
Ma insomma cos'è mutato in voi? Questa casa non è mia, peggio per me; ma da che io ne sia o no proprietario, voi non ci siete nè meno rispettata nè meno sicura. Non è già il fatto di sapermi padrone di uno stabile che vi ha indotta a venirci: potevo comprarla ieri, potrei comprarla domani e non crescerei di un bricciolo nella vostra stima.
È vero, ma quello che mi offende è il proposito celato, sono le speranze che avete certamente concepite attirandomici. Invitandomi a casa vostra potevate essere mosso a farlo da quel sentimento di vanità naturale in chi possiede una casa bella dove ha raccolto oggetti pregievoli, potevate compiacervi della fede che riponevo in voi, della arrendevolezza di una signora che accetta di dare una leggiera tinta di galanteria ad un fatto per sè innocentissimo; ma procacciandovi la casa di un altro, ma inducendo colui ad abbandonarla, ma combinando questo viluppo di falsità e di ipocrisie, tali ragioni non valgono più. È evidente che avete sperato, che avete confidato che io potessi divenire la vostra amante, che potessi accorrere ad un convegno di facili piaceri, come al camerino appartato di un caffè di mala fama per gettarmi nelle vostre braccia, senza nemmeno la povera scusa di un amore al quale non vi ho mai dato diritto di credere.
Se vi offendete per intenzioni che mi attribuite…
E in quale altro modo potreste offendermi? Come ci sono sguardi che fanno arrossire, ci sono desideri e speranze che contaminano. Finchè durano ignorati essi deturpano solamente l'animo che li ha concepiti; palesi, macchiano chi ne è oggetto. Quando penso alle parole che dovete aver detto per farvi complice il vostro amico, alle spiegazioni che dovete avergli dato, alle supposizioni che egli certamente fa in questo momento, mi sento così avvilita, come se avessi commesso una cattiva azione.
E ne siamo tanto lontani!
Ma come avete potuto pensare di me che sarei stata una così facile conquista? C'è dunque nei miei modi, nel mio parlare qualche cosa che tradisce le debolezze, le compiacenze di una donna galante? Che vi hanno detto sul conto mio? Che ho ingannato mio marito, che nella mia vedovanza ho avuto dieci amanti? Per scegliere me, piuttosto che un'altra, ad una simile avventura, bisogna che io sia riputata una donna di costumi facili… il vostro procedere a mio riguardo deve derivare da qualche tristo, da qualche infame giudizio sulla mia condotta, perchè non siete uno sciocco, e non avete certo potuto illudervi sul conto delle vostre seduzioni a segno…
Mi sono illuso. Chiamatemi pure imbecille… me accettante e stipulante, mi sono illuso, non sul conto delle mie seduzioni, ma sulla verità di quel verso… Amore a nullo… non lo dico intero perchè a citarlo poc'anzi non mi ha portato fortuna; però dovete ammettere che la colpa non è tutta mia. Ora che vi ho strappato l'involontaria confessione di quel tale spasimante muto, che voi vorreste far loquace, ora capisco come stanno le cose. Avete accettato il mio invito perchè irritata dal silenzio di quell'imbecille vi è venuta lì per lì l'idea femminile, di levarvi dal suo dominio o per lo meno di fargli uno di quei dispetti occulti che piacciono tanto alle donne; o forse non potendo trionfare di lui con dargli un po' di parlantina, vi è parso piccante sperimentare in animo vile, che sono poi io, l'impero dei vostri vezzi. Ma chi ne sapeva nulla? Chi ve lo ha visto d'attorno quel cospiratore? Credete pure che la trista figura che sto facendo vi vendica abbastanza della mia leggerezza; perchè non è piacevole, sapete, trovarsi a queste.
Sta bene. Vi perdono, addio.
Di già?
Vi permetto di accompagnarmi fino alla carrozza.
Ahi!
Che?
Non mi sgridate?
Che cos'è?
Quando vidi, entrando, la vostra carrozza ferma lì sotto, che minacciava di accorciare la durata della vostra dimora…
Ebbene?
Stava per piovere… come piove infatti.
Non l'avete mica mandata via?
Io no. Sono salito, ho spedito il mio domestico a dire al cocchiere che se ne andasse e tornasse poi alle sei e mezza.
Il cocchiere sarà rimasto!
Non credo, stavo attento e l'ho sentito voltare i cavalli e partirsene di trotto.
Oh ma…
Quando mi avrete strapazzato come un cane non lo farete tornare.
Piove dite?
Una scossettina. Ma già a piedi non potete uscire.
Andate subito a richiamare il mio cocchiere.
Mando il vostro domestico che è in anticamera.
Mancherebbe! Il mio domestico rimane.
Ci mando il mio.
Andate voi in persona. Non voglio che la vostra impertinenza vi frutti di prolungare un colloquio che è già troppo durato.
Piove.
Piglierete un ombrello.
Non so dove li tiene.
Peggio per voi.
Vi mando il primo fiacre che incontro.
Andate a casa mia e ordinate al mio cocchiere di tornare immediatamente.
Ma, e voi?
Io aspetto.
Posso almeno sperare il vostro perdono?
Non credo.
Pensate… (movimento di Livia) Vado, ma è proprio una penitenza senza peccato. (via).