Za darmo

La zampa del gatto

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SCENA VI

Livia, Clemente
CLEMENTE

Non può tardare più di due minuti, ha detto che alle tre in punto sarebbe tornato.

LIVIA

Va bene.

CLEMENTE

La signora comanda nulla?

LIVIA

Nulla. Il mio domestico è in anticamera?

CLEMENTE

Sissignora.

LIVIA

Andate pure. (via Clemente) È poco galante il barone! Com'è bello qui! Quieto, ordinato, dei libri che hanno l'aria di esser letti… pochi ninnoli… nessuna mostra di fotografie… bellissimo. Chi mai avrebbe immaginato così armonica la casa di quello sventato! La sua casa è migliore di lui. (apre la persiana della finestra) E il giardino! Com'è bello fiorito! – Non viene. Se me ne andassi? (pausa) Mi pare che passerei volentieri delle ore qui… sola… a leggere… a suonare (siede allo scrittoio). Curioso effetto che fa una stanza dove s'entra per la prima volta! Quante cose racconta del suo padrone! Quante abitudini palesa, quanti difetti tradisce con gran studio celati, quante qualità ignorate rivela subitamente. Qui difetti non ne appare. Tutto vi ha l'aria di dover servire senza sfoggio. Se non conoscessi il barone e me lo dovessi immaginare dalla vista di questa stanza, vediamo un po' come lo immaginerei? Precisamente l'opposto di quello che conosco. Fidatevi delle apparenze! o piuttosto fidatevi di questa sorta di induzioni! Quale sarà la sua vera natura? Quella che egli mostra di fuori o quella che appare qui? Sono più sincere le cose che gli uomini. (prende un libro) L'intermezzo di Heine… in tedesco…! e annotato in margine… di suo pugno. Sa il tedesco! (prende delle carte) Dei versi? O curiosa! Con una data: cinque Aprile, di ieri dunque. Vediamo (legge)

 
Io non la vidi e vommene
Dolente; oggi lo sento
Mi armava amor d'insolito
Disperato ardimento,
Oggi era certo l'impeto
Della facondia mia,
Sarò doman l'estraneo
Che passa per la via.
 

Che tristezza in questi ultimi versi:

 
Sarò doman l'estraneo
Che passa per la via.
 

Com'è triste! (si alza) Ha fatto apposta a non trovarsi in casa il signor barone. Mi ha più interessato in cinque minuti di assenza che non nei cinque anni da che lo conosco. Ma ora se non viene non mi troverà più. (s'avvia, entra Fabrizio).

SCENA VII

Livia, Fabrizio
FABRIZIO

Devo mettermi in ginocchio?

LIVIA

Me ne andavo.

FABRIZIO

Se avessi contato sulla vostra puntualità sarei parso vanitoso.

LIVIA

E piuttosto che aspettar voi, preferite fare aspettare gli altri.

FABRIZIO

È così dolorosa l'attesa di una gran gioia! Ho cercato di ingannare il tempo occupandomi di voi.

LIVIA

Di me? (Clemente entra con un ricco canestro di fiori, lo depone, poi esce). Ah che galanteria! Però avrei avuto più cari dei fiori del vostro giardino.

FABRIZIO (stupito)

Del mio giardino?

LIVIA

Non è vostro quel giardino lì sotto?

FABRIZIO

Ah! sicuro ma non ci sono fiori.

LIVIA

Se ne ho visti io di bellissimi.

FABRIZIO

Ah, aveste visto?

LIVIA

Dalla finestra. Sapete che è bello il vostro studio?

FABRIZIO

Poh!

LIVIA

Ma assai bello. È così austero, tranquillo.

FABRIZIO

Volete dire che ci si deve seccar molto, non è vero?

LIVIA

Naturalmente! Non ci siete che voi capace di apprezzarlo.

FABRIZIO

Oh mi ci seccherei anch'io.

LIVIA

Mi piace quel soggiuntivo.

FABRIZIO

Ho detto mi seccherei perchè non ci sto mai.

LIVIA

Ha l'aria tanto abitata.

FABRIZIO

Ora che sono in congedo, ma il resto dell'anno lo passo a Bruxelles.

LIVIA

Dovete rimpiangerlo quando siete lontano.

FABRIZIO

D'ora in avanti lo rimpiangerò, perchè ha avuto l'onore di accogliervi.

LIVIA

Vediamo dunque queste incisioni.

FABRIZIO

Datemi tempo di rimettermi dalla emozione, dal piacere che provo nel vedervi qui a casa mia…

LIVIA

Ma sono venuta per questo.

FABRIZIO

Soltanto?

LIVIA

E perchè altro?

FABRIZIO

Io che ve ne ero già tanto riconoscente!

LIVIA

Lo credo. Vi ho dato una bella prova di stima.

FABRIZIO

Non è il sentimento che ambisco di ispirarvi.

LIVIA

Avete torto. La stima è madre di tutti i sentimenti benevoli.

FABRIZIO

Speriamo nella figliuolanza.

LIVIA

Sapete a che pensavo aspettandovi? Che dovete fare un ben meschino giudizio di noi donne, me compresa, dacchè vi credete in obbligo di ostentare con noi una leggierezza, che vi nuoce…

FABRIZIO

Grazie.

LIVIA

E di nasconderci il vostro vero valore.

FABRIZIO

Io nascondo il mio vero valore! Ma non domando di meglio che di mostrarlo.

LIVIA

Non fingete. Voi siete studioso.

FABRIZIO

Poco.

LIVIA

Dotto.

FABRIZIO

Misericordia! Chi mi ha calunniato?

LIVIA

Voi stesso. È impossibile entrare in questa casa senza indovinare nel suo padrone un uomo amante dello studio e del raccoglimento. Questo ambiente così quieto, così intimo, non può mentire. Questi libri non hanno l'aria di fare inutile parata di sè. Non cercate di ingannarmi. A che pro? Se sapeste quanto siete cresciuto nel mio concetto dacchè sono entrata qui dentro! Perfino la vostra finzione mondana mi piace, essa mi prova una timida diffidenza verso gli indifferenti; si vede che non volete mostrare al mondo vano, la serietà dei vostri diletti; costretto di vivere con gente frivola amate meglio fingervi frivolo che passare per originale. Non è così? E poi siete poeta.

FABRIZIO

Anche poeta?

LIVIA

Mi direte curiosa. Colpa vostra; perchè lasciare sparsi sullo scrittoio ed in evidenza questi fogli…?

FABRIZIO

Ah avete letto…?

LIVIA (fa cenno di sì)
FABRIZIO

Dei versi?

LIVIA

Belli.

FABRIZIO

Sì, mi diverto qualche volta per non saper che fare.

LIVIA

Mi perdonate l'indiscrezione?

FABRIZIO

Che non vi perdonerei?

LIVIA

Allora prendo coraggio.

FABRIZIO

Sì, prendete coraggio.

LIVIA

Chi è?

FABRIZIO

Chi?

LIVIA

La donna che vi ispira.

FABRIZIO

Me lo domandate! Ingrata.

LIVIA

Ah no. Non sono io.

FABRIZIO

Vi giuro…

LIVIA

Non sono io. È naturale che cerchiate di farmelo credere, ma ho le prove del contrario.

FABRIZIO

Le prove! (fra sè) Che diavolo sia! (forte) Ah, ci sarà forse scritto su un nome che non è il vostro, ma, sapete bene… i poeti usano nomi immaginari.

LIVIA

Non c'è scritto nessun nome.

FABRIZIO

E allora?

LIVIA (gli dà il foglio)

Leggete. Sono vostri quei versi?

FABRIZIO

E di chi potrebbero essere?

LIVIA

Leggeteli.

FABRIZIO (legge)

«Io non la vidi e vommene dolente…»

LIVIA

Basta.

FABRIZIO

E qui c'è la prova? Io non la vidi e vommene dolente… Ecco, vommene dolente e il dolore mi fa poeta: li ho scritti un giorno che non mi era riuscito di vedervi.

LIVIA

Quando?

FABRIZIO

Non mi ricordo il giorno preciso.

LIVIA

Avete poca memoria, perchè furono scritti ieri.

FABRIZIO

Ieri?

LIVIA

C'è la data. Eccola, 5 aprile. Oggi ne abbiamo 6… e ieri foste a casa mia, mi ci trovaste, mi avete quindi veduta, non ve ne siete andato dolente affatto, locchè vuol dire che quella donna non sono io.

FABRIZIO

Come la ragione è nemica dell'intelligenza! Sono stato da voi, c'era un mondo di gente, uomini, donne: una fiera. E lo chiamate vedervi questo? E me ne devo contentare? E non me ne posso andar via dolente?

LIVIA

Leggete avanti.

FABRIZIO
 
Dolente – Oggi lo sento
Mi armava amor d'insolito
Disperato ardimento.
 
LIVIA

Sono cinque anni che mi andate giurando di amarmi, con frasi così pompose che non ci ho mai creduto, e parlate d'insolito ardimento!

 
FABRIZIO

Insolito disperato ardimento: quello che è insolito, non è l'ardimento ma la disperazione. Sono cinque anni che vi giuro di amarvi, e cinque anni che vi prendete giuoco di me. Non è naturale che arda di trovarvi sola una volta per dirvi il mio amore in termini tali da non lasciarvene dubitare?

LIVIA

Ne parlate troppo e troppo chiaro. (Fabrizio le prende la mano e gliela bacia).

Che fate?

FABRIZIO

Provo a spiegarmi tacendo.

(Livia si alza, prende l'ombrellino e si avvia)
FABRIZIO

Che vuol dire?

LIVIA

Vado.

FABRIZIO

Oh! vi bacio la mano tutte le volte che v'incontro e non ve ne avete mai per male.

LIVIA

Dovreste capire che essendo a casa vostra, il linguaggio ed i modi che adoperate sono di pessimo gusto.

FABRIZIO

Ma di peggiore gusto sarebbe se vedendovi qui sola e bella…

LIVIA

Oh! (s'avvia).

FABRIZIO

No, no, no, fermatevi. Prometto che divento docile come un agnellino. Sedete: ve lo giuro. (Livia siede). Pensate un po' quanto sarebbe stato ridicolo, se ve ne foste fuggita a quel modo. Che viso avremmo fatto incontrandoci la prima volta in società? Come siete severa! Per trovar grazia presso di voi, bisogna essere uno spasimante muto?

LIVIA (prontissima e impensatamente)

Ah Dio, no per carità!

FABRIZIO

Come inorridite a quell'idea! Ne avreste per caso qualcheduno d'attorno?

LIVIA

Vediamo le incisioni?

FABRIZIO

No, rispondete. Sì, eh? Un'anima pudica e virtuosa, un cuore ardente ma padrone di sè.

LIVIA (involontariamente)

Oh molto pad… (si morde le labbra).

FABRIZIO

Già. Troppo padrone, non è vero? E ve ne spiace! È un mondaccio! Quelli che ardiscono si vorrebbero timidi e i timidi si vorrebbe convertirli in leoni.

LIVIA

Oh non c'è pericolo! (ride).

FABRIZIO

Ridete pure e grazie della confidenza. Però mi sarà lecito domandarvi che parte mi destinate nel piccolo romanzetto del vostro cuore.

LIVIA

Non il protagonista certo.

FABRIZIO

Ah!

LIVIA

Andiamo! Un uomo maturo…

FABRIZIO

Eh!

LIVIA

… Come siete; perchè via, senza offendervi siete un uomo maturo. Quanti anni avete?

FABRIZIO

Indovinate.

LIVIA

Non è difficile. Ero in collegio, nella classe delle piccine, vale a dire alta così… e mi ricordo che sentivo le grandi, quando ritornavano dopo i giorni d'uscita, portare al cielo i vostri baffi e il colore delle vostre cravatte. Eravate già allora applicato… o che altro so io, al ministero degli esteri, tanto che, in collegio vi si chiamava, per antonomasia, l'ambasciatore; locchè fra parentesi vuol dire che è una carriera lenta la vostra.

FABRIZIO

Non me ne posso lagnare.

LIVIA

Meglio per voi, ma noialtre, che fin d'allora eravamo tutte quante ammirate della vostra gloriosa persona, capite bene, che non si è potuto durare tanti anni nello stesso sentimento… del resto… dove andava la instabilità femminile? Volete che vi dica la mia età? Non ve la lascio indovinare, perchè sareste capace, nella vostra galanteria, di farmi più giovane di quello che sono, tanto più che ci avreste il tornaconto. Ho ventisei anni, e nell'epoca di che vi parlo ne avevo dieci. Voi allora non potevate averne meno di ventiquattro, tirate il conto, sono quaranta. Non dico che siate vecchio, ma ne conosco di più giovani. – Lasciate stare la vostra barba, perchè la stiracchiate tanto?

FABRIZIO

Non sapete che rischio corre la mia barba.

LIVIA

Che rischio?

FABRIZIO

Non siamo abbastanza amici perchè ve lo dica. Non mi fa mica piacere sapete, aver quarant'anni. Ma via, non sono venerabile, e non vi potrei essere nè nonno nè padre, e il sentimento che provo per voi, può essere altrettanto dolorosamente offeso in un uomo di quarant'anni quanto in uno di venti. Gran cosa esser giovani! Se aveste avuto qualche anno di più, avreste capito che il vostro procedere meco era molto leggiero.