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CAPITOLO VII
L'imboscata

Come l'uomo cammina fidente e sereno, quando abbia l'anima illibata e la coscienza tranquilla! I signori Frigerio e Zannadio han già dimenticate le occorse disavventure. Senz'odio e senza sospetto, essi lasciano i paesi inospitali, dove rischiarono soccombere ad una persecuzione inesplicabile. L'amore della scienza li guida pel nuovo cammino. Essi procedono a passo lento, cogli occhi fissi a terra – l'uno si inchina a raccogliere arbusti, l'altro si riempie le tasche di ciottoli – quando si arrestano, gli è per considerare i vegetali o i minerali raccolti, e ricambiarsi qualche utile osservazione.

– Oh! vedete quel giallume! esclamò lo Zannadio, additando al compagno un pratello al di là della siepe… Io scommetto che que' fiori sono gli ellebori gialli che voi andate cercando!..

Il Frigerio spicca salti dalla contentezza… Il pratello non è molto discosto…

I due scienziati si adoperano colle mani e co' piedi per aprire una breccia fra gli arbusti e le spine della siepe. – Dalli! abbatti! taglia! rimuovi! alla fine ogni ostacolo è distrutto… I dotti occipiti sono già sprofondati tra le foglie – le spalle si spingono innanzi – le trippe contendono felicemente coi rami… quando – oh! sorpresa! – una mano prepotente afferra per la coda i due professori, e li trae dalla tana come due sorci sorpresi.

– Cane maledetto! tu non mi sfuggirai, grida il medico Franchetti, tenendo saldo lo Zannadio per le falde del vestito e rotando nell'altra mano un nodoso bastone.

– E tu pure… o birbone! grida il giovane studente, investendo la schiena del dotto naturalista.

I due professori, col capo intricato fra i rami, si contorcono, si dimenano, si difendono alla meglio colle pedate, urlando: al ladro! all'assassino! e invocando soccorso in tutti i toni della paura.

– Volgiti costà, e mostrami il tuo grugno da patibolo! grida il Franchetti allo Zannadio, facendolo girare come un paleo.

Il povero geologo cade a terra ginocchioni, leva le mani in atto di preghiera, poi, riversando le saccoccie del soprabito da cui si rovesciano parecchie dozzine di ciottoli: Signor ladro! dice piangendo; pigliatevi pure tutta quanta la roba… ma lasciatemi la vita… per l'amor di Dio!

Perchè mai il Franchetti si arresta immobile, pietrificato dallo stupore?

Perchè mai il giovanetto, che poco dianzi investiva il signor Frigerio con tanta violenza, non appena questi gli ha rivolta la faccia, dà indietro due passi, e si tira il cappello sugli occhi per la vergogna?

I tre studenti, che furono della partita, abbassano le armi, si levano il cappello, e rimangono nella attitudine di colpevoli colti in fallo.

– Oh perdono! mille volte perdono! prorompe il Franchetti, deponendo il randello, e stendendo la mano al geologo, che giace tuttavia inginocchiato sull'erba… Voi; voi!.. mio professore!.. Voi… l'amico degli studenti! l'onore dell'Università!.. Voi, che io venero e stimo fra tutti gli scienziati d'Italia!.. Oh! lo imbecille! lo sciagurato ch'io fui!.. Sorgete, non temete di nulla!.. A me… a me si aspetta piegare il ginocchio dinanzi a voi… e implorare una parola di indulgenza!..

Lo Zannadio ed il Frigerio si levano in piedi e si guardano l'un l'altro come smemorati, mentre i circostanti colle più entusiastiche dimostrazioni di riverenza e di affetto cercano rassicurarli…

– Ma dunque, perchè ci avete aggredito con tanta furia? perchè quei randelli levati sulle nostre spalle? domanda l'ingenuo Zannadio.

– Per chi mi avevate preso? chiede il Frigerio alla sua volta.

– Signor professore!..

– Signor maestro!..

– Signor ripetitore!..

– Ebbene?.. parlate dunque!.. A voi, dottor Franchetti… Pronunziatela alfine questa parola, che dev'essere per noi la soluzione dell'enigma!.. Noi comprendiamo che qui avvenne un equivoco…

– Oh! sì! un equivoco fatale! risponde il Franchetti. Ed ora che bene ci rifletto, ringrazio la provvidenza di avermi fatta nascere l'ispirazione di venirvi incontro con questi miei colleghi. Se per caso foste caduti nelle mani del popolo… a quest'ora non rimarrebbe di voi neppure una scheggia d'osso… Quei sciagurati vi avrebbero fatti in brani. Volete ch'io ve la dica tonda e schietta, l'orribile parola?.. Mentre noi stiamo qui ragionando, laggiù a Tartavalle havvi un'assemblea, un tribunale popolare, che sta deliberando qual genere di martirio vi si debba applicare. Nell'opinione di quei popolani voi siete due spie dell'Austria.

I due professori spalancarono la bocca come due pesci cani feriti.

CAPITOLO VIII
Le vere spie non sono quelle che ne hanno le apparenze

Battono le tre pomeridiane – e gli onorevoli membri della Commissione popolare, che devono decidere le sorti dei due emissarii dell'Austria, stanno ancora deliberando nel caffè di Tartavalle. Le discussioni delle Assemblee e dei Parlamenti sono in generale molto utili e benefiche, quando vi sia tempo da perdere. Se nelle questioni di urgenza gli oratori riflettessero che i fatti valgon meglio delle ciance, darebbero prova di grande eloquenza tacendo. Io conosco degli oratori, che se mai per avventura il fuoco si apprendesse alla Camera, volontieri morrebbero arrostiti in compagnia degli onorevoli colleghi, piuttostochè sacrificare un periodo.

Ma gli onorevoli di Tartavalle si mostrarono più discreti. Alle tre e mezzo pomeridiane, cioè tre ore dopo l'ingresso dei signori Frigerio e Zannadio, il Gallina aperse le invetriate, e presentossi al balcone per annunziare al popolo le deliberazioni del consiglio.

Ma dove è andato il popolo sovrano? dove sono i militi della Guardia Nazionale? chi ha dispersi gli uomini d'azione, il cui concorso è tanto necessario all'impresa?

Tutti i consiglieri si accavalcano sul balcone, e girano intorno lo sguardo, meravigliati di tanta solitudine.

Quand'ecco, lontano, sulla via di Taceno spunta una processione di popolo preceduta da un drappello di Guardia Nazionale col vessillo spiegato.

Il corteggio discende – la gran cassa della banda musicale desta gli echi delle montagne – voci alte e liete si mescono al suono delle trombe; gli uomini agitano i cappelli, le donne i fazzoletti…

– Che vuol dire tal novità? domanda il Gallina. – Fosse questo un tentativo dei reazionarii…

Ma la folla si appressa… I militi si schierano sotto il balcone; l'esercito si dispone in ordine di battaglia e presenta le armi…

A chi?

– Obbrobrio della nazione! grida il Gallina stendendo i pugni dal parapetto…

I signori Frigerio e Zannadio a cavallo attraversano la piazzetta, e rispondono con inchini ai viva entusiastici della moltitudine…

Un tale avvenimento, che riempie di meraviglia il Gallina e gli altri onorevoli membri della Commissione popolare, non parrà strano ai nostri lettori. Il medico Franchetti e i di lui colleghi, mentre l'assemblea stava deliberando, hanno spiegato al popolo l'equivoco delle spie; e il popolo, persuaso dalla autorevole testimonianza di parecchi milanesi i quali assai bene conoscono il signor Frigerio e il signor Zannadio, si affretta con una dimostrazione di simpatia e di rispetto a compensare i due professori del danno patito.

– In nome della patria, in nome del pubblico decoro, in nome di tutti i miei compaesani di Menaggio, io protesto contro l'illegale manifestazione di una plebe sedotta, fors'anche comprata dall'oro austriaco! grida il Gallina, volgendosi ai membri dell'assemblea.

– E noi tutti protestiamo! rispondono in coro i deputati.

– Siete voi disposti a morire? chiede con enfasi il Gallina agli onorevoli membri. – Siete voi disposti a morire per la salute della patria?..

Gli onorevoli esitano a rispondere. – La interpellanza è troppo compromettente…

– Signori! – io ve lo chiedo per la terza ed ultima volta: siete voi disposti a morire per la salute della patria?

– Io conosco troppo bene i miei doveri di deputato del popolo, risponde uno degli astanti. – Chi rappresenterebbe, chi illuminerebbe, chi governerebbe la nazione, se i deputati morissero?.. Vivere è un diritto pel resto degli uomini – per un rappresentante del popolo è dovere!

– Bene! bravo! viva il maestro Gandolla di Bellano! – gridano gli altri deputati, che in questa ispirata risposta riconoscono la propria salvezza.

– E noi permetteremo, risponde il Gallina, che due spie, due emissarii dell'Austria sian portati in trionfo ed acclamati da questa plebaglia vigliacca che ci elesse all'onorevole incarico di rappresentarla?

– No! no! morte alle spie! morte alle spie! urlano in coro i deputati.

– Sì! morte alle spie! ripete il Franchetti precipitando nella sala in compagnia de' suoi colleghi di Università. – Morte alle vere spie, ai veri nemici d'Italia; morte ai don Basilii, che con maschera da liberale vanno pel mondo a far l'ufficio di Satana, a suscitare discordie e a seminare la gramigna nel buon grano. Oggi la provvidenza ci ha fatto discoprire due di cotesti scellerati… e ha posto in nostra mano tali documenti, ch'essi non potranno in verun modo schermirsi dai rigori della legge! – Signor sindaco di Taceno: io rimetto in vostra mano questi fogli, che gli illustri professori Frigerio e Zannadio hanno rinvenuti sulla via di Bellano, e che appartengono ai fratelli Albizzotti, sedicenti sensali di seta.

Così parlando, il Franchetti cavò di tasca un portafogli contenente parecchie carte, e ne fece pubblicamente consegna al sindaco della Comune.

– Come! i fratelli Albizzotti! – quei due signori che stamattina erano al caffè… e facevano tanti brindisi all'Italia… a Vittorio Emanuele… a Garibaldi!

– Erano due infami emissarii del partito austriaco – arruolavano volontarii per l'esercito del papa – raccoglievano denaro per la cassa di San Pietro – tenevano carteggio coi preti dell'Armonia e della Civiltà Cattolica – Infine, come potrete rilevare dalle note preziose che io vi ho presentate, erano venuti a Tartavalle per seminare la reazione…

 

– Ma gli altri due… que' birbaccioni, che poco dianzi abbiam veduto passare a cavallo fra i viva e le acclamazioni della moltitudine?..

– Sono due illustri Italiani, due professori di scienze naturali, uomini d'ingegno elevato, di nobilissimi sensi, che spesero la vita negli studi e nelle meditazioni – Essi venivano fra queste montagne per investigare i misteri della natura, per risolvere le astruse questioni della formazione del mondo… Ed è appunto di questi innocenti cultori delle scienze che Iddio si è servito per isventare le trame di due birbanti che certo non isfuggiranno al meritato castigo. I fratelli Albizzotti, temendo che i signori Frigerio e Zannadio fossero davvero emissari dell'Austria, e che il loro arresto potesse compromettere qualche segreto di bottega, se la svignarono da Tartavalle poco prima che vi arrivassero i due scienziati – e questi trovarono in sulla via il portafoglio ch'io ebbi l'onore di presentarvi.

Prima che gli onorevoli deputati potessero riaversi dalla sorpresa e convincersi dell'inganno, molto tempo ci volle. Le ciarle, le discussioni, i commenti durarono parecchie ore, con grande rammarico del Franchetti, cui premeva di prender parte al magnifico pranzo ordinato in onore dei due scienziati. Ultimo a persuadersi fu il Gallina; ma quando il dabben figliuolo ebbe esauriti tutti gli argomenti d'opposizione, e trovossi isolato o piuttosto soffocato dal voto concorde delle masse; il Franchetti lo prese per mano, e con dolce violenza lo trasse fuor della sala per condurlo a complimentare i due scienziati.

– Figliuolo mio, diceva il giovine medico all'ingenuo patriota di Menaggio – il mondo molto spesso si inganna ne' suoi giudizii. – Un uomo un po' eccentrico, un po' bizzarro nel vestito – un uomo timido, circospetto, che poco parli, nulla si interessi de' fatti altrui, facilmente vien preso in uggia e guardato di mal occhio. Credilo, Gallina; i veri furfanti non sono coloro che più lo sembrano… Le vere spie, i veri nemici d'Italia difficilmente si danno a conoscere… Tu li vedrai manierosi, vivaci, brillanti… Li udrai declamare ne' circoli… gridare a voce alta: viva la patria! Viva l'Italia! viva il Re! – Io ho già imparato a diffidare di codesti ciarloni arroganti, impudenti, sfrontati… che la cieca moltitudine adora!.. L'esempio degli Albizzotti ti serva di norma per l'avvenire… E se mai ti nasce sospetto che qualche sconosciuto possa essere una spia, guardati dal mettere in allarme le masse, come hai fatto sta volta… Pensa che se io non avessi prevenuti i decreti dell'assemblea, il popolo sovrano avrebbe lapidati a morte due luminari della scienza, due modelli di virtù.

Così parlava con amorevolezza il Franchetti, conducendo il sartore di Menaggio verso l'albergo.

Entrato nella sala, ove i due professori stavano pranzando, il Gallina si presentò per fare le sue scuse. Ma prima ch'egli avesse il tempo di proferire parola, la signora Menafuoco, seguita dalle due figliuole Rosalba e Cornelia, si fece innanzi, e fatto un inchino a destra, un altro a sinistra, parlò in tal guisa ai due scienziati:

«Francamente ci siamo ingannate! noi ritrattiamo esplicitamente quanto abbiamo potuto pensare o dire sul conto di due uomini onesti quali voi siete. Accettate colle mie anche le rettifiche di Rosalba e di Cornelia. Voi siete onesto; le nostre figlie sono oneste… Noi siamo contente di voi. – La nazione vi offre un banchetto in segno di stima e di riconoscenza. – Noi lo approviamo! – Voi non rifiutate l'offerta della nazione – sta bene! – Signori e signore: proseguite pure nelle libere esercitazioni dei vostri diritti popolari – mangiate di buon appetito – noi lo permettiamo. – Anzi per riparare ad una involontaria omissione di questo onorevole comitato, noi ci assidiamo con voi al liberale banchetto. Lo abbiamo detto, lo diciamo, e non cesseremo di ripeterlo: In occasioni tanto solenni, noi saremo sempre colla nazione!»

FINE

Un Apostolo in missione

I
Sulla ferrovia

– … Abbiamo avuto torto di trascurare la campagna – dicea Teobaldo all'amico – I campagnuoli hanno mente svegliata e istinti liberali; sono facili alle impressioni, pronti ad agire – energici, robusti. Oh! abbiamo avuto un gran torto, te lo ripeto! Volgemmo le spalle al buon terreno, per gettare le sementi alle ghiaje infeconde – però non abbiamo raccolto che triboli e spine.

– Dunque hai proprio risoluto?

– Si – ho deciso di andar in volta pei contadi a fare un po' di propaganda a viva voce. La parola è più efficace degli scritti. Oltrechè i buoni giornali (e quali sono i buoni giornali?) non vanno per le mani del popolo, questo non sempre è in grado di leggerli e di comprenderli… Bisogna dunque parlare, perorare, esercitare il santo apostolato della parola! – Ormai sono fisso in questa idea che, se non riusciamo a conquistare le masse dei campagnuoli, la nostra causa è perduta…!

– Io ti auguro buona fortuna. Ma bada che di questi giorni le campagne sono infestate di malva

– Eh, pur troppo!.. I reazionarii, e i moderati, più vili, più schifosi dei reazionarii, avranno guasto il terreno.

– Non importa. Io non dispero di riuscire nel mio intento. Fors'anche mi sarà concesso di aggiustare un po' il cervello a qualcuno di codesti signorotti, che a Milano non vogliono intender ragione. In campagna la tolleranza è di buon genere, e molti de' nostri codinoni, che in città si rendono inaccessibili, fuori delle mura diventano più umani, più trattabili, più arrendevoli… Basta! Fa quello che devi, avvenga che può – dice il proverbio – io non lascierò intentato alcun mezzo… Mi introdurrò nelle case del ricco e del povero, per parlare a tutti il linguaggio della verità… Oh! la verità ha un fascino irresistibile! Tutto sta che alcuno abbia il coraggio di predicarla, ed altri la pazienza di udirla!.. Ma… non vorrei perdere il convoglio… Sono le quattro e venti… non ho che pochi minuti per prendere il biglietto… Addio, mio buon amico! Presto ti darò mie notizie… Frattanto, voi altri di Milano persistete a combattere… Adunatevi di frequente… e mandatemi il sunto delle vostre discussioni. Badate ch'io debbo essere informato di tutto ciò che si passa nel regno della democrazia. – Al primo fermento, alla prima agitazione di popolo, io sarò tra voi colle nuove reclute… Voi dentro! io fuori!.. Pinf! panf! punf!.. abbasso i cilindri! fuoco alle malve! e viva!.. Viva chi?..

– Viva la repubblica rossa, umanitaria, sociale!

– Viva chi?

– Viva Mazzini!

– Viva Teobaldo Brentoni, presidente della Società della morte!

– Viva il popolo! grido io – viva il popolo tradito, oppresso, conculcato, straziato! e morte!.. Morte a chi?

– Morte ai codini! – ai moderati – ai tiranni!..

– Morte infine… a quanti non la pensano come noi!

I due amici si abbracciano – L'uno sale in omnibus per rientrare in città, l'altro in quattro salti si slancia sotto il porticato della stazione.

– Presto! i signori che partono per Monza! grida una voce… Le inferriate si chiudono…

Teobaldo, che fortunatamente giunge in tempo per entrare, si appressa al finestrino onde provvedersi del biglietto…

– Primi o secondi? chiede il dispensatore mettendo il naso al finestrino.

– Che primi! che secondi! grida Teobaldo – Col popolo!.. io vado col popolo!.. sempre col popolo!.. Ai terzi! ai quarti… se ce ne sono…!

– I terzi posti sono là abbasso… all'altro finestrino…

– Là abbasso! Ah! comprendo! Là abbasso!.. E sempre basso, sempre umiliato, sempre avvilito lo si vuol tenere questo povero popolo!.. Categorie! sempre categorie!.. Oh sorgi, una volta! – rompi i ceppi! – ripiglia il tuo vigore, leone prostrato – infrangi le inique barriere!.. Ehi, di là! Un biglietto dei terzi per Monza!

E in proferire queste parole, Teobaldo ingrossa la voce e fa spiccare le sillabe, perchè i circostanti abbiano a notare ch'egli si è degnato di prendere un biglietto di terza classe…

– Ecco un signore, che incomincia di buon'ora ad economizzare il denaro, dice un padre di famiglia a due suoi figliuoletti. Io però non approvo tali economie… Ciascuno nel mondo deve tenere il proprio rango.

– Sarà qualche spiantato, cui mancano dicianove soldi a fare una lira, dice un lion, che ha preso un biglietto di prima classe…

– Veh! quell'imbecille di Brentoni, che va ai terzi posti per darsi l'aria di democratico!.. E dire che l'altra sera agli Angioli ha lanciato una bottiglia contro il piccolo, perchè tardò tre minuti a portargli un sigaro!

Ma il nostro demagogo non si accorge de' poco benevoli commenti che i circostanti fanno sul di lui conto. Tutto radiante nel viso, egli attraversa il porticato per entrare nella sala d'aspetto…

– Dall'altra parte, signore!.. Laggiù! più abbasso! dice l'uffiziale che sta alla porta… – Qui non entrano che i primi ed i secondi.

– Al diavolo i secondi ed i primi! Al diavolo tutte queste distinzioni, avanzo di feudalismo!.. Privilegi! sempre privilegi! E che sono essi più di noi, questi signori, che si riservano il diritto di entrare per questa porta?.. Non sono forse uomini come noi, figli del popolo? Non mangiano anch'essi? non dormono? non vanno soggetti alle malattie… ai bisogni più immondi?.. Quali sono i loro meriti speciali…? vorrei un po' saperlo!!..

– Essi han pagato il biglietto qualche soldo di più, risponde l'uffiziale con ironia – Se il signorino avesse desiderato…

– Eh! ch'io non desidero nulla, io! Sono figlio del popolo, io! – sono cresciuto col popolo – ho diviso col popolo le più sante aspirazioni, i più sublimi dolori… Io voglio stare… e starò sempre col popolo.

– Dunque, la prenda quell'altra porta, e liberi il passaggio; che io non ho tempo di ascoltare delle prediche in questo momento! dice bruscamente il guardiano.

– Oh! vedi un po' che baldanza vanno prendendo questi impiegati regi! esclama Teobaldo.

Ma il campanello ha dato l'ultimo segnale… Non v'è più tempo da perdere…

Teobaldo, dopo aver fulminato con una terribile occhiata l'ispettore dei biglietti… si precipita nell'andito destinato ai passeggieri di terza classe, lo attraversa rapidamente, e corre verso il convoglio… Sventuratamente un villano di Seregno gli attraversa il cammino… Il villano ha due immensi panieri sotto braccio… Teobaldo, nella foga del correre, ha urtato un paniere… Il villano perde l'equilibrio… inciampa in una rotaia, e viene a cadere a poca distanza dai vagoni…

– Soccorrete quel figlio del popolo! grida Teobaldo dall'alto del vagone…

Due inservienti della ferrovia accorrono per sollevare il caduto.

– Presto, buon uomo!.. Il convoglio parte… A quanto pare non ti sei fatto male – la testa non è rotta – per questa volta non sei morto!

– Credo di no, signor generale, risponde il villano inchinandosi ad uno degli inservienti – ma temo che qualche cosa di rotto vi sia nel canestro… Se mi concedessero qualche minuto..

– In vagone! in vagone! gridano ad una voce i i due uffiziali.

Essi aiutano il villano a salire, – gli chiudono gli sportelli dietro le spalle, – e il convoglio parte, mentre il villano, perduto l'equilibrio, va barcollando nell'interiore della carrozza e gridando a tutta voce:

– Adagio! Un momento! fermate i cavalli… assassini!..

Gli altri viaggiatori, per la maggior parte contadini, si divertono a rimbalzare il mal capitato collega.

Questi lo tira per la coda del soprabito – un altro lo spinge – un terzo mena colpi sul paniere – tutti a ridere, a schernire, a battere le mani.

Teobaldo, adagiato in un angolo della carrozza, è scandolezzato di quella scena. Egli aggrotta le ciglia – si dimena – si contorce.

Questo è dunque il popolo dai nobili istinti, dalle aspirazioni generose! Questa è la carità, l'umanità tanto vantata delle classi povere? Oh scandalo!.. oh vergogna!

– Ma il povero popolo non ne ha colpa – pensa Teobaldo. – Corrotto da lunghi anni di schiavitù, conculcato dai tiranni, abbrutito nell'idiotismo, esso ha perduto la coscienza della propria dignità… Il terso cristallo fu appannato dall'alito impuro del dispotismo – la limpid'acqua fu avvelenata alla sorgente… Povero popolo! Educhiamolo colla parola e coll'esempio!..

– Buon popolano – dice Teobaldo, volgendosi al contadino, che non è ancora riuscito a mettersi in equilibrio – date a me quel canestro – appoggiatevi pure alle mie ginocchia – poi vedremo di serrarci un poco l'un presso l'altro in modo di farvi un posto da sedere… Ci hanno stipati qua dentro come bestie da macello!.. Oh! ma verrà il tempo della giustizia… assassini del popolo!.. E questo tempo non è lontano!

 

Teobaldo prende il canestro del villano, e se lo mette sulle ginocchia. Frattanto i viaggiatori si stringono a malincuore l'un presso l'altro, tanto che si scopre una lacuna, ove finalmente il villano di Seregno può introdurre le appendici della schiena.

– Si viaggia pur male nelle strade ferrate! brontola il villano… In vettura si andava più adagio, ma non v'era tanta confusione, tanto disordine!.. Ma dove è andato il mio canestro?.. Ah!.. quel signore là in fondo si è degnato!.. Illustrissimo… tante grazie! troppa degnazione! troppa bontà!

– Finiscila con queste frasi servili ed abbiette! esclama Teobaldo con accento dispettoso. Tutti siamo eguali dinanzi a Dio e dinanzi al diritto… Riprenditi il tuo canestro… e grida con me: viva l'uguaglianza!

Mentre Teobaldo si leva in piedi per trasmettere il canestro al contadino: – Madonna! Madonna! esclamano parecchie voci. – La si guardi i calzoni! Oh! veda un poco, signorino! veda un poco l'orribile macchia!..

Tutti gli occhi si volgono a Teobaldo… I calzoni e il gilet dell'apostolo sono ingialliti di una vernice di nuovo genere – un misto d'olio e di rosso d'uova, la cui vista fa ricorrere istintivamente la mano alle nari…

– To! to! dice una balia, dove si è buscato il signorino tutta quella abbondanza? Anche a noi… maneggiando bambini… accadono spesso tali inconvenienti… Finora Nandino ha avuto giudizio… ma il viaggio è lungo… e mi aspetto la mia frittata…

– Che il Signor Gesù Cristo benedetto e la Madonna santissima mi abbiano in grazia, grida il villano giungendo le mani – Oh! lo so ben io donde è venuta fuori tutta quella broda!.. che san Sebastiano e sant'Antonio del fuoco, e tutti i poveri morti mi perdonino!.. La frittata l'ho fatta io… Cioè… io… ci ho messo l'olio e le uova… ch'erano qui dentro… pel vicecurato di Seregno… Il fiasco e le uova sono andati in pezzi in conseguenza della mia caduta…!

Mentre il villano, invocando tutti i santi del paradiso, implora perdono da Teobaldo – questi contempla i propri calzoni come istupidito. – Il fiero repubblicano, che nulla teme al mondo quanto il ridicolo, perde d'un tratto il coraggio; l'apostolo smarrisce la favella; l'ispirato dall'idea si trasmuta in un fantoccio, e cade sulle panchette della carrozza facendo delle mani conserte una visiera alla pancia inverniciata…

Povero Teobaldo! E questo popolo, al quale tu hai giurato consacrare la vita; questo popolo, che tu, nuovo Mosè, vuoi redimere, rigenerare, sollevare al livello di Dio… questo popolo gode di vederti avvilito… si burla di te… Oh! ma non fu irriso anche Cristo dagli Scribi e dai Farisei?

– Perchè son venuto ai terzi posti? mormora Teobaldo rannicchiandosi nell'angolo della carrozza… A dir vero… il popolo è meglio vederlo da lontano che da vicino… Ma i contadini non sono popolo – essi appartengono alla specie dei bruti – Oh! il popolo! il vero popolo non è questo! Ma dove è dunque il vero popolo?.. In città non abbiamo che volgo… In campagna non trovo che bestie… Via! un po' di pazienza! un po' di perseveranza!.. Il viaggio dev'essere lungo! Non bisogna disperare sì presto!!