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VI

– Ebbene!

Questa parola fu esclamata da Clementina con eloquentissimo accento.

– Egli ha detto di fare un preventivo! rispose Rodolfo sorridendo.

Il giovine stese la mano, e Clementina si slanciò nelle sue braccia.

Noi non amiamo intrattenerci su tali episodii amorosi – sono troppo comuni, e i nostri lettori di venti o trent'anni potrebbero darci lezione nel crearli non meno che nel descriverli.

Questo solo diremo, che il preventivo fu steso ed approvato da ambe le parti con pieno consenso e con reciproca soddisfazione.

Frattanto, mentre Rodolfo e Clementina stipulavano a tutto loro agio i patti della collaborazione, l'anticamera si era popolata di gente. Erano letterati e giornalisti della specie nomade, di quelli che ad ogni annunzio di nuovo giornale accorrono agli uffizii di Redazione per offrire un tributo spontaneo dei loro talenti.

Telesforo Riga, uscendo dal Bartolami, aveva commesso la indiscrezione di narrare ad alcuni suoi amici del caffè dell'Europa la scena occorsagli quella mattina col fabbricatore di ceralacca.

Quel racconto comico e burlesco aveva fatto ridere la piccola comitiva, ma alcuni letterati che sedevano a poca distanza intorno ad un tavolino, n'erano rimasti impressionati più seriamente.

In meno di un quarto d'ora, tutti quei letterati erano usciti dal caffè, e senza che l'uno sapesse dell'altro, si erano avviati alla contrada di Borgo Spesso, all'indirizzo del negoziante di ceralacca.

A dieci ore tutta la Boemia letteraria di Milano sapeva del nuovo giornale, e gli aspiranti alla collaborazione muovevano isolati e taciturni verso la casa del Bartolami, portando ciascuno un lauto corredo di manoscritti o di opuscoli stampati.

Trattenuti nella anticamera dall'accorto Silvestro – il quale era uso ad assecondare i desideri ed i capricci della signora meglio che non obbedisse agli ordini del padrone – quegli irritabili e gelosi confratelli d'arte avevano dovuto necessariamente rivelarsi l'uno all'altro.

Capi ameni, del resto, giovialoni, pieni di spirito come gente in bolletta, avevano ingannato quelle lunghe ore di attesa con uno scambio di facezie edite ed inedite, con degli epigrammi più insolenti che arguti, diretti, la massima parte, contro l'istitutore del nuovo giornale.

Non vi era alcuno il quale non convenisse il Bartolami essere un grande imbecille; ma tutti, nel fondo del cuore, vagheggiavano la gloria di vedersi ammessi nel di lui uffizio di redazione.

Verso mezzogiorno, il signor Bartolami ritornò alla propria abitazione.

Nell'anticamera egli ebbe quasi paura. C'erano fra quei giornalisti delle figure, se non sinistre, poco rassicuranti: delle faccie lunghe e sparute; dei vestiarii molto equivoci, delle scarpe rosse e fameliche che mostravano i denti.

Il Bartolami interrogò il servitore con una occhiata piena di stupore e di sospetto.

– Sono tutti giornalisti… letterati, rispose Silvestro – tutta gente venuta per quell'avviso del Pungolo!

– Ah!.. sta bene!.. mi congratulo!.. Signori: abbiano la pazienza di aspettare qualche minuto.

Così parlando, il Bartolami attraversò l'anticamera ed entrò nella sala.

Rodolfo Barcheggia era intento a scrivere. Clementina, seduta a qualche distanza da lui, trapuntava un canevaccio, e pareva tutta assorta nel lavoro.

– Ebbene? ci siamo messi d'accordo? Abbiamo concluso?

Clementina, col suo fare più indifferente, affermò colla testa. – Il giornalista, levando la faccia dal foglio, rispose che il contratto era steso, non mancare che l'approvazione e la firma del redattore in capo.

Bartolami lesse rapidamente la scrittura, e parve soddisfatto. Nondimeno pose in campo qualche obiezione sul titolo del giornale. In luogo di chiamarlo La Ceralacca come egli avrebbe desiderato, lo si voleva intitolare l'Unione Patriottica.

– Questo titolo l'ho scelto io, rispose prontamente Clementina. – La Ceralacca e l'Unione presso a poco hanno il medesimo significato. Ho creduto che, trattandosi di un giornale serio, di un giornale ministeriale, il secondo titolo valesse meglio del primo. – Onofrio: pensiamo all'avvenire! Noi ci mettiamo per una via dove avremo a combattere la malignità e l'invidia. Se ti avvenisse di farti eleggere deputato, mi par già di sentirli! – ti chiamerebbe il deputato della Ceralacca… Mio Dio!.. Si fa tanto presto a diventare ridicoli per una parola!..

Il Bartolami si lasciò persuadere – e tosto, senz'altre parole, le convenzioni furono segnate dall'una parte e dall'altra – Il nostro fabbricatore di ceralacca si obbligava a fornire immediatamente la somma di cinquemila lire per le prime spese di impianto, istituendo l'Ufficio del nuovo periodico in un locale al piano terreno della propria abitazione, in prossimità del negozio. E poichè in un articolo del contratto era pattuito che si avesse a rinforzare la collaborazione con uno o più scrittori liberamente eletti dal redattore in capo, il Bartolami ordinò a Silvestro di spalancare le porte: – onde tutti quei tipi svariatissimi del genio giornalistico si precipitarono nella sala per esporsi alla rassegna.

VII

Attenzione: signori e signore!

La rassegna è interessante – Essa vi dirà come si fabbricano certe riputazioni letterarie, come si scrivano certi articoli, di qual pasta si formi il ripieno di certi giornali altrettanto stupidi che bricconi, i quali riescono qualche volta a farsi ammirare dalle masse idiote, od a farsi temere da quegli istessi che più il disprezzano.

Avanti, signor… Ragno-topo!.. Sappiamo! Non è il vostro nome di casato, e meno ancora il vostro nome di battesimo… Vi chiamate?.. Voi potete chiamarvi ciò che volete, ma gli altri vi chiamano Ragno-topo. – Letterato – Troppo giusto! Sapete leggere e scrivere – scrivere come il mio fattore, che finisce tutte le sue lettere con tanti rispeti a tuti della cassa… Ma no! la vostra ortografia è più esatta: in compenso siete più debole nella grammatica – Come lo sapete? – Ho veduto degli originali di vostra testa. – Gli opuscoli stampati, che vanno in giro col vostro nome, non hanno a che fare colle emanazioni occulte della vostra sapienza. Cosa domandate? – l'onore di scrivere nella Unione Patriottica. – Qual genere? – Tutti i generi son buoni: politica, letteratura, belle arti, mode… – Ecco!.. Avrei già pronto il primo capitolo di una novella per l'appendice del vostro prima numero… L'ho scritto l'altra notte… dopo aver assistito ad una festa da ballo di famiglia… – Voi lo sentite!.. Ebbene quel primo capitolo di novella, da oltre otto anni gira come un mendicante da uno in altro uffizio da giornale, domandando alloggio per una sera negli umili appartamenti del pian terreno. Un mendicante dal muso duro… che cacciato ripicchia alla vostra porta con insistenza perchè lo cacciate di nuovo – un mendicante, che si presenta coi guanti e colla cravattina di raso terso e pulito come un topo, livido come un ragno – i due animaletti che gli prestarono il nome. Chi non ha veduto, chi non ha fiutato quell'esordio di novella? – È però certo che, da otto anni a questa parte, nessun proprietario o redattore di giornale ha osato produrre al pubblico l'insigne capolavoro dal nostro Ragno-topo… E sapete come abbia risposto il Ragno-topo a codesta manifestazione, in verità non troppo lusinghiera, del despotismo giornalistico? – Come risponderà domani ai due redattori della Unione Patriottica i quali probabilmente respingeranno il manoscritto. Il topo correrà dall'uno all'altro estremo di Milano, ficcandosi in tutti i caffè, in tutti i luoghi di convegno, in tatti i gabinetti dov'egli abbia libero accesso – il ragno schizzerà da tutti i pori la sua bava schifosa e venefica, per uccidere, se gli è possibile, il redattore temerario che non volle saperne di lui. I ragno-topi sono terribili – guardatevi dai ragno-topi della letteratura! Essi hanno il genio della loro nullità – non potendo elevarsi, tutta la loro esistenza è impiegata a rimpicciolire chi li sovrasta di due palmi. Se in qualche giornaluzzo inavvertito vi occorre di leggere un'interlinea vigliaccamente mordace contro uno scrittore, contro un giornalista di qualche fama, dite pure: il topo ci ha messo il suo zampino, il ragno ci ha messo la sua bava – E dopo tutto… che giova? Il regno dei topi è nel tombino, e i ragni, esaurita la bava, diseccano sul loro fragile tessuto.

Vediamo quest'altro, il signor… Grattignoni… Si annunzia poeta, ma in realtà non è che un letterato il quale non sa scrivere in prosa – Metterebbe in versi l'Orario delle strade ferrate, se un tale assunto non richiedesse troppa originalità di concetti.

L'idea della originalità è uno sgomento per lui – tanto ciò è vero, che egli preferisce di togliere a prestito le sue liriche dai vecchi giornali che hanno fatto il loro tempo anche nelle botteghe dei pizzicagnoli. Egli ha un talento particolare per ridurre a nuovo la roba antica, per improntarla di attualità.

Cappello nuovo e scarpe nuove – questo è il suo segreto per riprodurre nel mondo letterario le cantiche obliate. Due strofe di sua creazione, una alla testa e l'altra ai piedi – eccovi la creatura risorta. Taluni hanno osservato che i suoi cappelli molto spesso mancano di piedi – non importa: basta illudere la maggioranza. – Il Grattignoni è di buona fede – quand'egli è riuscito a copiare un sonetto in buona calligrafia, si persuade molto facilmente di averlo composto. Da qualche tempo il Grattignoni nella retroscena del giornalismo fa della pratica per iscrivere in prosa. Il suo genio rattoppatore, o trasformatore che si voglia, venne usufruttato da due o tre redattori in capo, che di loro capo nulla o ben poco producono. Grattignoni riduce i bons mots parigini in frizzi milanesi, in facezie contemporanee, in spiritelli, in cicalate. Dategli una Cronaca parigina, ed egli pescherà dal naviglio tutti gli annegati della Senna. I suoi versi, come i suoi aneddoti, pubblicati in un giornale di qualche credito, possono sembrare originali agli abbonati di Introbbio o della Valle di Gandino.

 

Quest'altro ha delle pretese di critico musicale. Offre gratis la sua collaborazione, per ciò solo che, essendo un enfatico dilettante di teatri, ottiene con questo mezzo il favore delle libere entrate.

Non è mai riuscito a pubblicare la sua prima rassegna teatrale – tutti i giornali, che avevano accettato la collaborazione dell'insigne critico, morirono dopo il terzo numero. Contuttociò egli gode l'accesso gratuito alla Scala, al Carcano, al teatro Re, al Fossati, perfino al circolo dei cavalli e al serraglio delle belve feroci, quando a Milano agiscono i cavalli e le belve. Sui registri dei diversi camerini teatrali egli è iscritto quale appendicista del Momento, della Gente latina, dell'Era nuova, del Me ne impippo, dell'Elettore, del Telegrafo, della Gazzetta popolare e d'altri periodici.

Il nostro insigne appendicista tiene sempre nel portafoglio l'esordio della sua prima appendice, che egli legge agli amici, ai conoscenti, e più spesso agli impresarii ed ai capo-comici, ogni qualvolta egli veda minacciati i suoi diritti all'ingresso libero. Quell'esordio è scritto in stile umoristico, e comincia con questo tratto spiritoso ch'è di ultimo gusto: «Io scrivo, tu scrivi, quegli scrive… noi scriviamo, voi scrivete, coloro scrivono!» È voce che il guardaportone della Scala abbia trovato del sublime in questa facezia!

* * *

Chi è quel figuro abbottonato, che vorrebbe darsi l'aria di un gran personaggio, e lascia intravedere da' suoi sguardi furbeschi e inquieti il cavaliere di industria? Il sotto-mezzano, il vice-corriere della cronaca criminale, che supplisce ai corrieri ordinarii ogni qualvolta si tratti di processi insignificanti. In tali casi, egli si incarica di riepilogare i fatti e i dibattimenti per passarli sottomano ai redattori del gazzettino. – Gli incriminati, o gli aventi causa si raccomandano a lui per impedire la pubblicità dei processi, per ottenere delle reticenze o delle modificazioni. Il nostro vice corriere ha stabilito una tariffa pe' suoi piccoli servigi. Per venti franchi, egli sostituisce al nome degli incriminati le sole iniziali, per franchi quaranta sopprime anche queste. Mesi sono, al tribunale correzionale si agitava il processo di un tal Bislemacchi… La madre dell'accusato, una povera donna, temendo che il nome del figlio comparisse disonorato nei Gazzettini di città, si raccomandava piangendo al vice-corriere della stampa. Questi con voce melata le espose i suoi prezzi di tariffa.

– Ebbene! disse la povera madre; domani vi manderò venti franchi perchè mettiate le sole iniziali. – Benissimo! rispose l'altro; aspetteremo a pubblicare il resoconto… ma badate che domani per le dieci io abbia in casa la somma. – Il mattino seguente la povera donna spediva al vice-corriere tutto il danaro che aveva potuto raccogliere, il quale non ammontava che a dieci franchi meno venti centesimi. Come si fa? La giustizia dev'essere eguale per tutti, pensò il vice-corriere calcolando – per dieci franchi meno venti centesimi non si può sopprimere tutto il nome… Vediamo ciò che si può fare per non uscire dalla legalità. – Quella sera, i diversi Gazzettini riferivano il processo giudiziario nel modo seguente: «Oggi sedeva sul banco degli accusati un tal Bislem… gravemente indiziato, ecc.» – Il vice-corriere aveva soppresso la seconda metà del nome per dieci franchi ricevuti, e aveva lasciato correre la prima parte con una lettera di giunta la quale rappresentava i venti centesimi mancati.

Gingillino – bel nome! – un giovanotto di buona famiglia, il quale non volle saperne di fare il suo corso regolare al Ginnasio ed al Liceo – ed è venuto a Milano dalla provincia per iniziarsi alla carriera delle lettere – Le lettere sono un pretesto per lui; un pretesto per carpire danaro al papà, un pretesto per introdursi nelle famiglie a far strage di… fanciulle – egli adora le fanciulle! – Cosa ha scritto? nulla – ma tutti gli elenchi di collaboratori portano il di lui nome. Una volta che il suo nome sia stampato nell'elenco, egli va in giro preconizzando le meraviglie del periodico che sta per uscire, lo raccomanda, gli procaccia degli abbonati. Spedisce al papà cento, duecento copie del programma; questi lo propaga fra i suoi conoscenti, e va tutto in solluchero nel vedere suo figlio nobilmente assiso fra i più celebri campioni del giornalismo.

Ma gli articoli di Gingillino?.. Chi li ha veduti? Il giornale fa il suo corso – nasce – vegeta e muore… Non mai un articolo segnato Gingillino. – eppure tutti dicono che egli lavori… che egli scriva… giorno e notte – Si odono dello ragazze esclamare: quel racconto di Gingillino mi ha fatto piangere – Volete la chiave dell'enigma? – Gingillino si appropria la paternità di tutti gli articoli, di tutti i racconti, di tutte le poesie che vengono in luce senza nome. – È carità, non è vero? – Poichè Gingillino figura nell'elenco dei collaboratori, qual meraviglia che sieno di sua fattura tutte le composizioni anonime che si leggono nel giornale?

Quand'uno loda una poesia, una novella uscita senza nome di autore, Gingillino sorride, abbassa gli occhi, prende un'aria modesta, un fare imbarazzato, come temesse… Che cosa? È troppo trasparente quella modestia…

– Ah! siete voi, signor Gingillino, siete proprio voi l'autore di quella gemma letteraria?.. L'avrei indovinato dallo stile, – Inezie! ma… io… – Che serve?.. palesatevi francamente. – Ma vi dico… e d'altronde non c'è poi tanto merito… – Ed ecco di qual modo Gingillino, senza sdruscirsi il cervello, senza consumo di inchiostro e di carta, è riuscito a farsi credere un letterato. Il papà gli scrive molto spesso dalla provincia: «ho veduto il tuo nome anche nel nuovo programma… Bada, figliol mio, di non affaticarti troppo… Va bene la gloria, ma la salute innanzi tutto.»

Largo al factotum dei giornali illustrati! Un mostro di attività – una enciclopedia ambulante – scrive otto articoli il giorno ad argomento fisso!.. – Presto! Lo Streppa è arrivato… Mettiamogli dinanzi un disegno, un paesaggio, un ritratto, una figura qualunque. Un giorno lo Streppa aveva in prospettiva sul suo tavolo un Serpente boa, una Lola Montes, le Cataratte del Niagara e la Presa di S. Giovanni d'Acri. Quei disegni reclamavano ciascuno il loro articolo – quegli articoli dovevano essere compiuti e mandati all'Uffizio di Redazione in capo ad un'ora. – Credete voi che il nostro atleta si sgomentasse? Voi non conoscete il suo metodo. Lo Streppa è vecchio del mestiere e può disporre di un ricco e svariato repertorio di articoli proprii ed altrui.

Cinque anni, dieci anni sono, lo Streppa ha scritto un articolo sul Serpente a sonagli; orbene: con poche varianti, con poche modificazioni, quell'articolo può applicarsi al Serpente boa. A Lola Montes si adatta come un guanto la biografia di Miss Ella – per le Cataratte del Niagara può servire una descrizione del Fiume Latte che altre volte ha descritto le Conche di Paderno; quanto alla Presa di S. Giovanni d'Acri, nulla più facile che il sostituire ad essa l'Assalto di Ancona o di Gaeta, un combattimento, una battaglia qualunque, tolta a prestito dai bullettini delle armate. – Eh! non sono queste le grandi prodezze letterarie, le grandi strategie del nostro collega giornalista. Il direttore del foglio illustrato un bel giorno rileva per poco prezzo tutto un emporio di vecchie incisioni in legno od in rame che sia, per usufruttarle come novità nelle pagine del suo giornale. Di queste incisioni, parecchie non hanno senso; forse l'ebbero un tempo, ma le tradizioni si perdettero collo sbiadirsi delle linee. – Una volta allo Streppa fu mandata una incisione che rappresentava una vasta campagna predominata da un monumento in rovina. Si trattava di dare un nome a quei ruderi antichi e di scrivere in proposito un articolo serio. – Nessuno, meno lo Streppa, avrebbe raccapezzato un concetto da quelle sbiaditure di colonne e di stipiti insignificanti. Ebbene: mezz'ora dopo, il direttore del foglio illustrato riceveva di rimando la incisione e l'articolo; e questo articolo si intitolava: Il cane di Alcibiade.

L'acuto giornalista, nell'esaminare i più intimi particolari del disegno, aveva scoperto un cagnolino quasi impercettibile accovacciato fra due alberi. – Un cane!.. Perchè no?.. Potrebb'essere il cane di Alcibiade… Io tengo un articolo bello e fatto su questo argomento… Dunque!.. – E il direttore del giornale illustrato fu beatissimo di poter usufruttare la sua incisione.

E qui noi finiamo la rassegna, che troppo ci vorrebbe a riprodurre uno per uno i tipi di codesti vanitosi impudenti faccendieri del giornalismo che riflettono la loro vergogna sui coscienziosi, sugli onesti, su tutti quelli che coltivano le lettere con ingegno e con amore, e da quelle decorosamente cavano profitto. Questi zingari dalla stampa fanno dire alla gente che i letterati, e i giornalisti sono una massa di… buffoni.

VIII

Noi saremmo tentati di chiudere la nostra istoria con questa rassegna, perchè con essa è compiuto lo scopo morale del racconto.

Ma il signor Bartolami è entrato nel novero dei giornalisti – e i nostri lettori vorranno vederlo nell'esercizio delle sue funzioni.

Il nuovo giornale, l'Unione patriottica, vide la luce in Milano verso la fine dell'anno. Il giorno in cui apparve il primo numero, Onofrio Bartolami si credette in dovere di uscire di casa coll'occhialino.

Rodolfo Barcheggia non volle imbarazzarsi di molti collaboratori – un ragioniere per dirigere la parte amministrativa, e un ex-sarto per lo stralcio delle notizie politiche, potevano sopperire a tutta la bisogna. A questi impiegati subalterni fu destinato un camerotto al piano terreno, squallido, disadorno, privo di luce. Al redattore un gabinetto appartato, che la moglie del Bartolami fece tapezzare di carta verdognola, e fornire di tutti i mobili indispensabili al conforto della vita. A nessuno era permesso di entrare là dentro, quando il Barcheggia vi si chiudeva per scrivere gli articoli di fondo. Lo stesso Bartolami non lo avrebbe osato.

Erano già usciti quattro numeri del giornale. Una mattina il Bartolami si levò più presto dell'usato. Egli doveva partire per Seregno colla corsa della ferrovia. Nel prender commiato dalla moglie: bada, le disse, di non aspettarmi pel pranzo; vado a Seregno per effettuare un pagamento, nè potrò tornare che a notte avanzata.

Clementina dissimulò la propria gioia con un lungo sbadiglio.

Il Bartolami non usciva mai di casa senza lasciare un promemoria nell'uffizio di redazione. Nella sua qualità di proprietario e gerente responsabile dell'Unione patriottica, egli divideva con Rodolfo il diritto di entrare, quando gli piacesse, nel gabinetto riservato. Quella mattina egli vi si intrattenne pochi minuti. Uscito, serrò l'uscio a chiave, e consegnolla a Silvestro perchè la trasmettesse al Barcheggia.

Il giovine letterato entrò nell'uffizio a otto ore – probabilmente egli avea le sue buone ragioni per prevenire tutte le mattine i suoi colleghi di redazione.

Clementina gli corse incontro con volto radiante.

– Onofrio è partito per Seregno… non tornerà che stassera…

Questa notizia fu accolta dal giornalista con piena soddisfazione.

Silvestro gli consegnò la chiave del gabinetto, e i due amanti avventurosi vi si ricoverarono insieme

 
Quali colombe dal desio chiamate.
 

Provvidenza dei mariti!.. Non erano trascorsi dieci minuti dacchè Rodolfo e Clementina si eran chiusi nel gabinetto, quando il Bartolami, con grande sorpresa e terrore di Silvestro, rientrò tutto affannato nella propria abitazione.

– Presto!.. la chiave del piccolo studio! gridò il Bartolami al domestico, precipitando nell'uffizio del giornale – Sono là!.. Sono là certamente!.. Presto dunque, Silvestro! L'abbiamo o non l'abbiamo questa chiave?..

– Ma io… ma lui!..

– Ebbene!.. Che cosa vogliono dire questi ma?.. Sta a vedere che questo briccone!.. Se non li trovo là dentro, giuro, o brigante, che dovrai rendermi conto tu stesso… Io so che erano là… Colle buone, Silvestro! Fuori la chiave… o ti trascino io stesso pel collare fino al palazzo di Questura.

 

– Ella sa bene, signor padrone, che anche l'altro ha diritto di avere la chiave… Io non poteva rifiutarmi… Io devo obbedire puntualmente e ciecamente…

– Dunque… ci voleva tanto?.. Il signor Rodolfo è chiuso nel gabinetto… Ehi di là? – grida il Bartolami bussando alla porta – Sono io! aprite!..

Nessuna risposta.

Il servitore, indovinando la terribile posizione dei due che stanno rinchiusi, vorrebbe tentare qualche espediente per torli di imbarazzo.

– Il signor Rodolfo mi aveva detto di non lasciar entrare nessuno… perchè oggi aveva molto da fare per l'articolo di fondo.

– Eh! mi importa bene a me dell'articolo di fondo?.. Là dentro ho lasciato il mio portafoglio contenente il valore di cinquemila franchi… Fra mezz'ora parte il secondo convoglio per Seregno… Aprite, signor Rodolfo! Aprite, vi dico, o ch'io sfondo la porta!..

Così gridando, il Bartolami diede una spinta all'uscio, che essendo male impiantato sui cardini, cedette a quell'urto violento.

Il fabbricatore di ceralacca e il domestico precipitarono insieme nel gabinetto, dove, con infinita meraviglia di ambedue, non trovarono che una donna, Clementina, la quale, senza dar segno di commozione, coll'aria più ingenua del mondo chiese al marito:

– Che vuol dire tutto questo fracasso?

– Vuol dire… Ma tu?.. Ma il signore? Sia l'articolo di fondo?..

Il Bartolami guardava la moglie e il servitore, come un uomo cascato dalla luna.

– Che novità son queste? – riprese la imperterrita donna – mi avete tutti e due un certo fare da imbecilli!.. Ho voluto un po' vedere come si tenevano lo carte di uffizio… Tu sei troppo di buona fede, Onofrio, e ti lasci condurre alla cieca da questo signor Rodolfo, che in fin dei conti potrebb'essere un briccone, un mangiapane come tanti altri… Avevo detto a Silvestro di non lasciar entrare nessuno… Ed egli, questa bestia…

– Sicuro! – prosegue il Bartolami – questa bestia non ha capito che si trattava di lui, del signor Rodolfo, e per poco voleva impedirmi…

– Vero scimunito!

– Asino, dico io… Figurati! Mi contava che il signor Rodolfo era entrato qui dentro per scrivere l'articolo di fondo, mentre invece…

– Mentre invece, prosegue Silvestro, il signor Rodolfo giunge in questo momento all'uffizio, ed ha l'onore di inchinarsi ai miei padroni riveritissimi.

Il Barcheggia si presentò diffatti alla porta del gabinetto, e col suo fare più disinvolto salutò il Bartolami e sua moglie, come se nulla fosse accaduto.

Silvestro che era a parte della tresca, già indovinava il cammino pel quale il giovine era riuscito ad evadersi dal gabinetto; ma il Bartolami avrebbe ignorato eternamente le sue sventure domestiche, se un accidentalità singolare non gli avesse fornito dei gravissimi indizii.

Rodolfo Barcheggia, per sottrarre sè medesimo e la moglie del Bartolami ad una posizione che minacciava di farsi gravissima per entrambi, era sparito pel vano di una finestra che metteva in un angolo buio, dove ordinariamente era esposta la ceralacca a rassodarsi. Piombando in quelle tenebre, il nostro giornalista aveva immerse le estremità posteriori del suo paletot in una caldaja ricolma appunto del rosso bitume, riportando, senza avvedersene, un timbro grandioso e molto appariscente verso i confini più estremi della schiena… Pressato di rientrare nell'uffizio di redazione per dissipare colla sua presenza ogni ombra di sospetto, dopo aver scambiati col Bartolami i più cordiali saluti, Rodolfo commise la fatale imprudenza di volgergli le Spalle per sedersi allo scrittoio…

– Oh vista! Oh stupore! Oh tremenda rivelazione!.. Chi vorrà negare la tua provvidenza, o gran Dio dei mariti?.. Il Bartolami, appena ebbe scorta quella immensa frittata di ceralacca aderente alle appendici più ignobili del giornalista, per un moto subitaneo di istinto conjugale, alzò gli occhi al finestrino… Fu un lampo di ispirazione, ma un lampo tremendo, fatale. Il volto del Bartolami divenne rosso come il paletot del letterato traditore!

E qui porremo fine alla nostra istoria, perchè non amiamo far piangere i nostri lettori, e d'altra parte riteniamo imprudenza far ridere il pubblico alle spalle di un marito burlato.

L'Unione patriottica sospese immediatamente le sue pubblicazioni. Un breve avviso esposto sulle cantonate delle città invitava i numerosi abbonati a recarsi all'uffizio di Redazione per ritirare il denaro da essi anticipato. Dei numerosi abbonati, che in tutti erano sette, uno soltanto aveva sborsato il prezzo dell'associazione – e questi era un dabben uomo del Borgo degli Ortolani, il quale avendo veduto un numero dell'Unione che serviva di involto ad un salame, se n'era invaghito pei suoi grossi caratteri.

– Mi spiace che il giornale sia morto, diceva il dabben uomo al Bartolami, mentre questi gli rendeva il prezzo dell'abbonamento. – Era il miglior giornale che si stampasse a Milano – il solo giornale che si potesse leggere senza occhiali!