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Il Dottor Ceralacca

I

«L'epoca delle elezioni si approssima – diceva Clementina al marito – e sarebbe omai tempo di risolvere!.. Vuoi, o non vuoi essere deputato?»

– Volere! è presto detto!.. Sicuro… che… se la nazione… se la patria…

– La nazione, la patria non c'entrano per nulla in queste faccende. Bisogna fare da sè! Bisogna darsi d'attorno… preparare il terreno…

– Hai detto?..

– Preparare il terreno… agitarsi… parlare… scrivere… farsi conoscere…

– Farmi conoscere! Chi non conosce Onofrio Bartolami fabbricatore di ceralacca in Borgo Spesso, e proprietario di tre case in Milano?

– La ceralacca… le tre case… Sappiamo!.. lo sanno tutti!.. Ma ora si tratta ben d'altro… Ora bisogna che tu ti dia a conoscere… per quello che non sei…

– Hai detto?..

– Sicuramente!.. Come fanno tutti. Non c'è altro modo per ottenere dei voti, per farsi eleggere…

– Darmi a conoscere per quello che non sono?.. Ciò non mi sembra facile… Quando un uomo ha già acquistato tanto credito, tanta riputazione nel fabbricare la ceralacca…

– Nulla di più naturale che questo uomo possegga dei talenti… dei talenti di un ordine più elevato.. Vediamo un po'!.. Tu sei uno dei primi negozianti…

– Il primo!

– Col tuo commercio ti sei considerevolmente arricchito!

– Fra mobili ed immobili, un capitale di ottocentomila franchi…

– Ci vuole della intelligenza, ci vogliono delle cognizioni per primeggiare in un ramo qualsiasi di industria. Gli sciocchi non sanno condurre gli affari; e quand'uno arricchisce nel commercio, vuol dire ch'egli possiede molto criterio amministrativo.

– Hai detto?..

– Ho detto una cosa, della quale non sono pienamente convinta. Ma ora non si tratta della mia opinione individuale; io ti giudico come dovranno giudicarti le persone che non ti conoscono, per esempio, i nostri elettori… Dunque… come ti dicevo, tu sei un industriale illuminato; tu possiedi in grado superlativo il talento dell'amministrazione. Non si domanda di meglio. Ho inteso dire che, alle nuove elezioni, si mandaranno al Parlamento degli uomini pratici, degli uomini di cifre. Di avvocati, di poeti, nessuno vuol più saperne…

– Clementina: che vuol dire?.. Da qualche tempo tu parli toscano…

– Qualche frase… qualche parola… Come fare? Al negozio ne vengono di tutte le nazioni… e bisogna farsi intendere… D'altronde, se tu riesci ad essere deputato, noi dovremo traslocarci a Firenze…

– A Firenze!

– Questa idea, se non mi inganno, ti preocupa seriamente…

– Hai detto?..

– Mi sembra che l'idea di lasciare Milano e di trasferirti alla nuova capitale del regno, non ti sorrida gran fatto…

– A dirti il vero, Clementina, questa è l'unica causa delle mie inquietudini… Ah! se in Parlamento si potesse dirle giù alla buona, come si parla da noi, in meneghino, io ti giuro Clementina… ti giuro… Hanno avuto un gran torto di portare la capitale a Firenze… Poichè ad ogni costo si voleva andar via da Torino, bisognava fare un gran colpo di Stato, e piantarsi a Milano per sempre… come è desiderio di tutti!..

– Ma tu, anima mia, ti scaldi senza ragione… A Milano, a Torino, dovechessia, un deputato del Parlamento deve necessariamente parlare l'italiano.

– Tò! io credeva che alla camera di Torino si parlasse piemontese!

– Via! parliamo sul serio, Onofrio! e sopratutto decidiamoci! Se vogliamo preparare il terreno, se vogliamo assicurarci l'elezione, non ci resta tempo da perdere.

– Sentiamo!

– Bisogna incominciare come tutti cominciano… Collocarci in una posizione elevata, dove tutti ci veggano, ci riconoscano e possano giudicarci!

– Hai detto?..

– Cosa hanno fatto Venosta, Allievi, Tenca, Jacini, per diventare deputati o ministri? Hanno istituito un giornale. Un giornale è il veicolo più sicuro e più spedito per arrivare alla camera.

– Clementina: questa sera tu hai delle ispirazioni luminose!.. Vuoi che io te lo dica? il pensiero di istituire un giornale mi è già passato per la testa più di una volta!.. Solamente io non ho mai avuto il coraggio di comunicarlo ad alcuno, neanche a te, Clementinuccia!.. Mi pareva… so io? che tu dovessi ridere. Eppure io sentiva in me qualche cosa, qualche cosa che mi diceva: animo, Bartolami! fa vedere ciò che sai fare! Ti giuro. Clementina, che se io sapessi scrivere tutto quello che penso… Ma questo è il punto difficile… Nel mio cervello c'è tanto materiale da empire otto Perseveranze ogni mattina; ma poi, quando piglio la penna per mettere in carta le mie idee, allora, sia timor panico, sia il diavolo che mi porti, non sono capace di trovare la prima parola; e così, dopo molte ore di lambicco, quasi sempre finisco coll'addormentarmi!

– (Imbecille!)

– Hai detto?..

– Nulla!.. Ma mi pare…

– Che cosa?

– Mi pare, amico mio, che per istituire un giornale non ci sia bisogno di saper scrivere… come tu dici… Tu possiedi un capitale di circa ottocento mila franchi – per un foglio quotidiano, sul fare del Pungolo, basterebbero ventimila lire! Quanto al resto, è questione di carta e di collaborazione.

– Tu sei molto istruita, Clementina! Vediamo un poco… Tu hai pronunziata una parola molto lunga, che io non credo di avere abbastanza capita… Che cosa si intende per collaborazione?

– Mi spiego in due parole. Collaborazione è un nome collettivo, nel quale si comprendono quei pochi o molti individui che suppliscono al proprietario od al direttore del giornale nelle funzioni che questi non vuole o non sa disimpegnare. Riportiamoci al caso nostro. Tu istituisci un giornale; apri un uffizio, paghi le spese e l'impianto, la carta, la stampa, che so io… Naturalmente, avendo fornito i capitali, tu diventi proprietario assoluto del foglio, direttore, redattore in capo, gerente responsabile, ciò che meglio ti piace. Non volendo, o non potendo occuparti dei piccoli dettagli, prendi al tuo stipendio uno o più collaboratori che sappiano scrivere…

– Sotto mia dettatura, ben inteso…

– O meglio, di loro talento…

– No! preferisco dettare… Te l'ho già detto, Clementina!.. Ho in testa dei materiali! e credo che, dettando, mi sarà più facile di esprimere le mie idee…

– Una volta che tu sii proprietario e redattore in capo, potrai fare ciò che meglio ti accomoda. Senza dettare, c'è un altro modo anche più facile per riempire le colonne di un giornale – si scrive colla forbice.

– Hai detto?..

– Eh! non saresti il primo… Ve ne sono a centinaia dei giornalisti, che sentendo una decisa avversione alla penna, hanno adottato il sistema di scrivere colla forbice!

– Clementina!!!.. Io non capisco troppo cosa tu voglia dire con queste parole: scrivere colla forbice… Se si trattasse di tagliare i panni addosso al municipio… Tu devi aver ragione, Clementina!.. Io sono nato fatto per maneggiare la forbice.

– Dunque?..

– Hai detto?..

– Ci decidiamo?

– Clementina!..

– Che c'è?..

– Tu non hai pensato…

– A che cosa?

– Alla cosa più importante… al titolo del nostro giornale…

– Del nostro giornale!.. tu dunque saresti disposto?..

– C'è dubbio?.. tu non mi avevi mai compreso, Clementina! Un giornale! È il mio desiderio, il mio sogno da due anni… Solamente io non credeva che si potesse… Ah! tu mi hai data la vita, Clementina. La forbice, la collaborazione… Quali idee!.. Ma ora – parlami sinceramente, Clementina – come, dove, quando mai sei venuta in cognizione?.. E perchè non mi hai detto prima d'ora?..

– Dieci, dodici giorni fa, io non sapeva nulla di queste istorie del giornalismo… Per caso… in bottega… ho sentito parlare fra loro alcuni letterati… Tu sai, in un negozio di ceralacca, vengono necessariamente molti uomini di lettere; e udendoli ragionare di alcuni nuovi giornali che recentemente si istituirono a Milano, sono venuta a cognizione di tutto.

– Clementina! Io sono deciso… sono pronto a sacrificare diecimila franchi per la carta e la stampa – la ceralacca l'abbiamo in casa… Tò! Una idea luminosa!.. una vera ispirazione!.. Dire che io ci aveva pensato due anni, senza venirne a capo!.. Che ti pare, Clementina? Se il nostro giornale si intitolasse la Ceralacca! Questo titolo servirebbe a predisporre la Camera perchè adotti certe mie riforme postali che intendo proporre quando sarò ministro delle finanze. Ah! tu credevi che dormissi sui miei capitali! Dei piani grandiosi ce ne sono qua dentro!.. Figurati che io mi sono prefisso di far passare una legge, per la quale non verrà più accettata nessuna lettera negli uffizi postali del Regno, se non porti quattro suggelli di ceralacca. – Che ti pare? – Che ti pare?

– Stupendo!

– Se il mio progetto venisse votato, noi diverremmo milionari!

– Se riesci ad essere ministro, la maggioranza è per te indubiamente.

– All'opera, Clementina! Ma no!.. adagio un poco!.. E quella che tu chiamavi…

– La collaborazione?..

– Sicuro! come è lunga questa parola! – come faremo noi per avere prontamente la collaborazione?..

– Oggi, domani, quando vuoi – ci sono tanti scrittori a Milano!

– È vero! che bestia!.. Il nostro notaio ne tiene quattordici nel suo uffizio… Potremmo… pregarlo.

– Ma no!.. Per fare un giornale, ci vogliono dei letterati!.. Permetti che io ti dia un suggerimento… o meglio ancora, mettiamoci subito all'opera. Prendi un foglietto di carta, Onofrio, e scrivi ciò che io ti detto.

– Sentiamo!..

– Sei pronto?.. Si tratta di un avviso che faremo inserire domani nella quarta pagina del Pungolo. – Da bravo! «Si ricerca un giovane…»

– Un giovane?.. E tu credi, Clementina, che un uomo di età matura non potrebbe servire?..

– I giovani costano meno, e fanno meglio il servizio. «Si ricerca un giovane bene istruito nelle lettere…»

 

– E di sana morale…

– Mettiamo pure: e di sana morale, per un impiego civile…

– Ed onorifero…

– Ed onorifero… stipendio da convenirsi… Per le trattative presentarsi allo studio del signor Onofrio Bartolami negoziante di ceralacca…

– E giornalista…

– E giornalista… in Borgo Spesso al numero 2844… Basta!

– Hai detto?

– Ho detto che questo avviso inserito nella quarta pagina del Pungolo chiamerà intorno a noi non più tardi di dopo domani, parecchie centinaia di letterati aspiranti alla collaborazione…

– Cento collaboratori! Clementina: non ti pare che una metà basterebbe?

– Anche dieci, anche cinque, anche uno, purchè fosse di quelli… come intendo io!

– Hai detto?..

– Presto! Mandiamo Silvestro all'uffizio degli annunzii! – Lanciamo il gran colpo!.. Sono già le dieci, è tempo che io scenda in negozio… A rivederla, signor giornalista, signor deputato!..

– Clementina!.. puoi ben chiamarmi ministro.

II

Dopo il dialogo che abbiamo riferito, i nostri lettori non avranno bisogno di ragguagli molto estesi per conoscere i due protagonisti del nostro racconto.

Clementina è una bella e nerboruta donna di circa trent'anni – il marito ha oltrapassato la cinquantina – un uomo grasso, che porta occhiali e parrucca. – Due coniugi bene assortiti, come ve ne hanno molti. – Da una parte la vitalità esuberante, il fuoco, il sensualismo e l'astuzia. – dall'altra, molto adipe e molta linfa, l'ambizione grottesca di un mezzo idiota, che vorrebbe elevarsi a cariche illustri pel merito de' suoi capitali.

Onofrio Bartolami non è privo di un certo criterio commerciale. Nella sua qualità di fabbricatore e negoziante di ceralacca rappresenterebbe un individuo rispettabile. Senza la rivoluzione del 1859, senza il fermento delle idee politiche e delle ambizioni dissennate, per le quali da sette anni si va travolgendo il criterio pratico delle masse e quello degli individui, il signor Onofrio si sarebbe acquietato nelle agiatezze, nella modesta compiacenza di una prosperità creata da lui. Appena andati i tedeschi, incominciò a politicare come tutti; inesorabile dapprima cogli uomini del governo, si chiamassero Cavour o Rattazzi, più tardi si lasciò vincere dal partito più mite – vide salire degli uomini, che a suo credere valevano meno di lui – indovinò che l'opposizione non è il mezzo più pronto per ottenere delle onorificenze – e leggendo nei giornali che il tipografo Civelli ed il Maglia, due individui della sua condizione, eran stati elevati al rango di cavalieri, in luogo di irritarsi per invidia, non sentì che lo stimolo della emulazione. – Se essi, dunque io – riflettè il Bartolami – e il concetto era logico. – Da quel giorno il negoziante di ceralacca ebbe il cervello in perpetua combustione onde scoprire la via per sorpassare i suoi colleghi di industria divenuti cavalieri; e il dabben uomo a forza di fantasticare, era giunto come vedemmo, a sognare un portafogli di ministro. Per maggiore schiarimento delle scene che ora vanno a succedersi, aggiungeremo due parole sulla erudizione politica e letteraria del dabben uomo. Egli non aveva mai letto alcun libro, e prima del 1859, non aveva mai gettato gli occhi sopra alcun giornale. Cominciò a comperare regolarmente il suo numero del Pungolo ogni sera, quando il più popolare, e diciamolo, il più stuzzicante dei giornaletti milanesi, ebbe iniziata la rubrica del Gazzettino di Città. Due famosi processi, quello del Boggia e l'altro delle sorelle Galavresi, insensibilmente lo avevano condotto a divagare nelle corrispondenze politiche e nei dispacci dell'Agenzia Stefani. La crisi burrascosa della Convenzione, e il fermento delle aspirazioni ministeriali lo indussero, in questi ultimi anni, a leggere da capo a fondo tutto il giornale, compresa la quarta pagina, ch'egli trovava monotona. Ma un altro genere di erudizione si era fatta il signor Onofrio, e ci teneva – l'erudizione storica, acquistata da lui insensibilmente, senza fatica di letture, per mezzo dell'abbonamento al teatro.

Il nostro negoziante di ceralacca aveva la passione dell'opera in musica e della coreografia; da circa vent'anni egli era assiduo ai teatri – Abbonato perpetuo alla Scala, immancabile alle prime rappresentazioni del Carcano e del Santa Radegonda, egli credeva nei libretti d'opera e nei programmi da ballo, come in altrettanti testi di istoria.

Una sera, udendo un suo vicino di sedia fissa accusare di inverosimiglianza i gamberi del Flik e Flok, ebbe a dirgli con molto sussiego: «eppure, chi conosce la storia non trova nulla di sorprendente in codeste apparizioni: anche alla Canobbiana, in un ballo storico del Rota, furono veduti ballare dei grossi pipistrelli!»

Dopo tali premesse, procediamo nel nostro racconto.

III

Clementina, dopo la scena che abbiamo riferita, discese nella bottega, e quivi, con molte cautele, si fece a scrivere la lettera seguente:

«Adorato Rodolfo!

«L'affare del giornale è combinato. Onofrio metterà a nostra disposizione i capitali necessari. Tu volevi partire da Milano, ingrato! Volevi lasciarmi… dopo tante promesse… dopo tante dichiarazioni di amore!.. E tutto ciò, perchè qui non trovavi modo di far brillare il tuo ingegno… Egoista! Tu posponevi l'amore all'interesse… all'ambizione… Basta!.. Ho pensato io. Nella quarta pagina del Pungolo vedrai domani sera un avviso col quale si fa ricerca di un giovane istruito, per un impiego. Questo impiego è la redazione del giornale di mio marito. Il numero dei concorrenti sarà grande; ti prego dunque di prevenirli – sii sollecito. Dopo domani, presentati allo studio verso le otto del mattino; credo non ti sarà difficile metterti d'accordo con Onofrio – d'altronde, ci sarò anch'io! Prudenza nelle parole, negli sguardi! Tu sei giovane, Rodolfo – e mio marito patisce l'ombrìa. Procura di solleticarlo nell'amor proprio… Ci vuole un po' di pazienza anche da parte tua – io ne ho avuta tanta! Non badare se egli vien fuori con delle sciocchezze… Sulle prime non bisogna contrariarlo – poi, gradatamente, col tempo, riusciremo a tutto. Pensa al tuo avvenire, al mio… alla felicità che ci aspetta. Vederci ogni giorno! trovarci assieme!.. Rodolfo!.. Noi stabiliremo l'ufficio del giornale in un grande magazzeno attiguo al negozio della ceralacca… Mio Dio!.. È questo un sogno? È questa una realtà?.. Tutto dipende da te… Rodolfo… Io dubito ancora che quanto mi andavi dicendo sulle difficoltà di istituire un giornale in Milano non fosse che un pretesto per andartene… Se un tal dubbio si cangiasse in certezza, io morirei di dolore – Rodolfo! io ti amo sempre… Dopo domani… a otto ore del mattino… siamo intesi! Io ti aspetto colla morte nel cuore…

La tua C…»

La lettera fu suggellata con ceralacca color di rosa, e quindi spedita immediatamente al domicilio di Rodolfo Barcheggia, per mezzo di Silvestro, garzone di bottega e segretario intimo della signora.

IV

Rodolfo Barcheggia è un letterato come ce ne hanno mille in Italia, ma si distingue dalla maggioranza per una certa floridezza di volto, per una certa energia muscolare, che è privilegio rarissimo negli individui della sua specie. – I letterati, in Italia, e segnatamente a Milano, sono magri e brutti.

Ha venticinque anni – capigliatura folta e assai bene acconciata – naso pronunziatissimo e un bel paio di mustacchi. Venne a Milano in sul finire del 1863 – come tanti altri – per vendere letteratura e far debiti. – Fu ammesso alla collaborazione di parecchi giornali politici. Sventuratamente, erano giornali mal predestinati; quello che ebbe più lunga vita durò una settimana. Dopo tali esperienze, era ben naturale che il nostro Rodolfo prendesse in avversione una città sì poco favorevole ai suoi prodotti letterari. Nelle intermittenze frequentissime della sua carriera giornalistica, il Barcheggia si atteggiava a martire, fremeva, inveiva nei caffè e nelle trattorie contro la stampa corrotta; ma ogni sera, prima di coricarsi, batteva il pugno sulla tavola esclamando: Perdio! che non si trovi alcuno, il quale sia disposto a corrompermi! – E c'era della ingiustizia ne' suoi sdegni, ne' suoi rancori contro Milano! Egli aveva trovato nella città nostra degli ospiti cortesi – un oste republicano, che gli forniva il pranzo ogni giorno, a conto della futura repubblica – e un sarto dabbene, che supponendo di aver a fare con un futuro ministro, lo vestiva in anticipazione.

Ma la repubblica e il portafogli si facevano aspettare. Il nostro amico Barcheggia cominciava a sentire gli imbarazzi della aspettativa – ed era deciso a cercare un campo più vergine dove seminare il suo genio disconosciuto. Di questa deliberazione – come è facile indovinare – non avea fatto parola ad alcuno, eccetto a lei sola, alla donna che tuttavia lo teneva invischiato a Milano colla… ceralacca.

La lettera di Clementina fa consegnata a Rodolfo mentre questi usciva dal caffè Lavezzari, dopo una furiosa declamazione contro i giornalisti venduti. In quella sua arringa estemporanea, declamata nell'applauso di tutta la sala, il Barcheggia aveva protestato di esser pronto a morire di fame piuttosto che sacrificare la propria indipendenza di libero scrittore.

E noi, in luogo di riferire le impressioni che la lettera di Clementina produsse nel giovane letterato, sorvoleremo allo spazio di quarantotto ore, per vederne immediatamente l'effetto.

V

Quella mattina il signor Onofrio Bartolami si levò di buon'ora, e la moglie con lui.

– Io credo che i concorrenti non si faranno aspettare – disse il negoziante di ceralacca – bisogna prepararsi a riceverli… Tu sarai presente, Clementina… Diffido di me stesso… È la prima volta che abbiamo da fare con della gente letterata, e non vorrei sfigurare… Cognizioni ne abbiamo molte… ma tu sai, Clementina… si tratta di parlare toscano… ed io… sventuratamente… non ho mai voluto esercitarmi a questa lingua…

– Non aver paura… Saremo in due… Che serve il prendersi soggezione? Se provi qualche difficoltà a parlare il toscano, ricorri prontamente al tuo meneghino… e ciò farà dell'effetto.

– Attenzione, Clementina!.. Mi pare che abbiano suonato… Mancano venti minuti a otto ore… Cominciamo per tempo!

Silvestro bussò leggermente all'uscio della camera.

– Signor Onofrio, c'è là fuori un giovinotto che desidera parlarvi…

– Il suo nome? – domandò Clementina ansiosamente.

– Telesforo Riga… ed è venuto per quel tale avviso del Pungolo.

– Fallo entrare nel gabinetto – rispose il Bartolami – fra due minuti saremo a' suoi ordini.

– Telesforo Riga! – mormorò Clementina – in guardia, marito mio!.. Troppo di buon'ora… I primi a concorrere sono quasi sempre i peggiori…

– Giudicheremo! disse il Bartolami sbuffando.

Il fabbricatore di ceralacca era in preda ad un affanno convulso.

Poco dopo, i due coniugi Bartolami entrarono nella sala, dove un giovine di bell'aspetto, ma alquanto scucito negli abiti, stava attendendo.

Il Bartolami si era messo l'abito di gala e la cravatta bianca. Clementina portava un elegante peignoir di mattino, che disegnava perfettamente i contorni pronunziati della sua bella persona.

Il giovine fece un inchino alla signora: poi, volgendosi al Bartolami che a sua volta si profondeva in inchini per darsi il tempo di meditare un complimento in lingua italiana, gli porse una lettera.

Il Bartolami sedette gravemente, si pose gli occhiali, e dopo aver letto:

– Ella dunque, disse al giovane, ella dunque aspirerebbe all'impiego di collaudatore?..

– Si tratterebbe – entrò a dire Clementina – di collaborare ad un giornaletto sul far del Pungolo, che uscirebbe ai primi del prossimo gennaio sotto la direzione di mio marito… qui presente!.. Crede ella di poter assumere la responsabilità… della pubblicazione?..

– In verità… io non sapeva… io non credeva… Il signor Civelli mi aveva fatto sperare che presentandomi alla signoria vostra con una sua lettera commendatizia, avrei potuto, nella mia qualità di colorista, impiegarmi alla fabbricazione della ceralacca…

– Ah! ah!.. la ceralacca!.. Sicuramente… Ma vi è ceralacca e ceralacca!.. Bisogna distinguere… Ora si tratterebbe della ceralacca politica, che è quanto dire un giornale della sera… il giornale che devo far io… previa la mano d'opera di qualche collaudatore… o meglio collaboratore… come direbbe nostra moglie.

– Se si tratta di un giornale… mi spiace, signore… di averla incomodata inutilmente… Il cavaliere Civelli mi aveva incoraggiato a presentarmi… essendo anch'egli molto lontano dai supporre…

 

– Ebbene, giovanotto – andate a dire al cavaliere Civelli… andategli a dire che Onofrio Bartolami… Ma no… no, giovanotto! Non gli state a dir nulla… Già, fa lo stesso!.. Fra pochi giorni le cantonate di Milano parleranno a chi non vuol intendere… e vedremo!.. ci sarà da ridere per tutti.

Il giovane fece un inchino, ed usci dalla sala come trasognato.

– Ho preso coraggio! disse Onofrio alla moglie – finchè si ha da fare con gente che parla come noi il meneghino…

– Ti raccomando di far bene attenzione nel pronunziare la parola: collaboratore!..

– Una parola che ho trovato un po' lunga fino dal primo giorno che l'ho intesa proferire… Attenzione! Hanno suonato!

Clementina gettò uno sguardo alla pendola. La sfera segnava le otto – doveva esser lui…

Mentre il signor Onofrio prendeva un atteggiamento da redattore in capo, Silvestro si affacciò alla porta della sala, annunziando il signor Rodolfo Barcheggia, uomo di lettere.

Il volto di Clementina si animò di un roseo più vivace. Un'occhiata rapida e significante espresse al giovane tutta la gioia, tutta la riconoscenza della donna innamorata.

Rodolfo, come avesse da fare con persone affatto nuove per lui, si inchinò all'uno ed all'altra – e volgendosi al fabbricatore di ceralacca: – signore, gli disse, io ardisco presentarmi a lei dietro un invito che lessi casualmente ier sera nella quarta pagina del Pungolo. – Io mi terrò fortunatissimo di impiegare i miei scarsi talenti al servizio di una persona intelligente, operosa ed onesta, quale è universalmente riputato il signor Onofrio Bartolami… Perdoni se ho ardito disturbarla ad ora così mattutina – ma il dubbio che altri mi prevenisse… la brama ardentissima di occuparmi presso di lei, mi ha fatto sorpassare alle convenienze; sono venuto, come direbbe un poeta, sull'ali del desio, sulle penne dei venti!

Rodolfo parlava l'italiano con affettazione, facendo spiccare le consonanti come un comico del teatro Fossati. Il povero Bartolami, a udire quelle doppie erre mordenti come lime, quelle doppie esse che parevano il fischio di una locomotiva, non ebbe più coraggio di parlare. Si volse a Clementina con un'occhiata supplichevole, la quale pareva dire: Aiutami! parla tu in vece mia! – Ma quella aveva le sue buone ragioni per affettare la più scrupolosa riserva.

Alla fine, dopo lunga esitazione, come uomo che riveli un misfatto, il signor Onofrio, coll'accento italiano che per lui era possibile, riuscì a proferire alcune parole.

– Si tratterebbe di impiantare un giornale!..

– Quotidiano? ebdomadario?.. Io propenderei all'ebdomadario – interruppe Rodolfo col suo fare da giornalista consumato.

– Avete detto?..

– Io vi chiedeva se sia nella intenzione vostra di istituire un giornale ebdomadario… o non piuttosto…

– No!.. non… piuttosto… Ecco!.. Al titolo ci ho già pensato io… Quello che voi proponete è troppo lungo… e da noi, a Milano, le parole lunghe non piacciono… Io avrei stabilito di intitolarlo La Ceralacca.

– Un titolo abbastanza originale… e… se vogliamo, per chi sa intendere… abbastanza espressivo… Non è facile, come si crede, trovar un buon titolo, un titolo che interessi, che stuzzichi la curiosità del pubblico e riepiloghi tutto un programma. Ah! noi siamo pratici del mestiere! Io credo aver indovinato gli alti intendimenti politici che si celano sotto la bizzarria del vostro titolo! Voi siete un repubblicano… come lo sono io… come tutti coloro…

– No! io non sono… repubblicano… al contrario… io l'ho a morte con tutti quelli che parlano di repubblica. Conosciamo la storia!.. Vittore Pisani… i due Foscari… Marino Falliero… che so io?..

Rodolfo Barcheggia fece un sorrisetto tutto miele – e avvicinandosi al Bartolami per stringergli la mano – via! non mettiamoci in allarme per una facezia! gli disse. Noi siamo perfettamente d'accordo nelle massime – soltanto mi è piaciuto prevenire la signoria vostra che la ceralacca potrebbe suscitare degli equivoci, e far intravedere del rosso, del fiammante, là dove si vuol mettere il candore e il frigido della neve.

– Voi dunque… sareste di parere… che avessimo a scegliere un altro titolo?

– Io non oso dar consigli ad una persona tanto illuminata e tanto colta…

– Avete detto?!..

– Signore: prima che esca il giornale, avremo tempo di riflettere al titolo… Ora, innanzi tutto, mi converrebbe sapere quali sarebbero, nel caso vi degniate prevalervi dell'opera mia, le mie attribuzioni nella collaborazione del vostro giornale. Nella vostra qualità di proprietario e redattore in capo, voi vi incaricherete dell'articolo di fondo.

– Già!.. ben inteso!.. L'articolo di fondo… Che ti pare, Clementina?..

– Amico mio, risponde la donna con un sorriso pieno di affabilità e di malizia – badiamo di non aggravarci troppo! L'articolo di fondo, se non mi inganno…

– È quello che si stampa nella prima colonna – soggiunge il Barcheggia inchinandosi alla signora.

– Ah!.. nella prima colonna! osserva il Bartolami crollando il capo. E si chiama articolo di fondo!.. Voi altri… o per dir meglio… noi altri giornalisti abbiamo certi modi di esprimerci… Basta!.. Articolo di fondo, articolo di mezzo, per me fa lo stesso… Mia moglie ha detto bene… non vorrei aggravarmi troppo…

– In tal caso – riprende il giornalista – è meglio che il signore rinunzii per sempre all'articolo di fondo, e invece, come usano in Francia e in Inghilterra i redattori in capo dei grandi giornali, si occupi esclusivamente della polemica. Non c'è scampo… L'articolo di fondo esige un travaglio quotidiano…

– Dev'essere un lavoro difficile… e noioso… – interrompe la moglie del Bartolami strizzando a Rodolfo un'occhiatina significante…

– Al contrario… deliziosissimo – risponde il giornalista a voce sommessa.

– Avete detto?..

– Ho detto… che trattandosi di esonerare la signoria vostra di un incarico piuttosto grave, io sarei pronto a fare le vostre veci… tutti i giorni – Mi permetta, signor Bartolami, di parlarle sinceramente, col cuore in mano. La redazione di un giornale è un peso grave, fastidioso, opprimente… Io parlo contro il mio interesse… Ma poichè ella è posta in una condizione tanto fortunata da poter sostenere le spese di una buona e valorosa collaborazione, faccia a modo mio… Lasci a noi… a noi poveri operai del pensiero, a noi martiri della intelligenza, a noi aratori della penna, tutte le torture del nobile e travagliatissimo ministero… A lei le compiacenze della gloria, gli onori, i titoli, i lauri, le cariche supreme dello Stato, tutte infine quelle fortune che o tosto o tardi sorridono agli uomini di genio, agli illustratori della patria. Il genio, che per sè stesso è nulla, col denaro diviene una leva onnipotente. I tempi sono oltremodo propizii agli uomini di mente e di borsa. – Noi sotto… ella sopra! Noi qui… a sudare sulla carta… ella al Parlamento… al Senato… al Ministero… fors'anche… Ah!.. noi benediremo le nostre vigilie, e il sovvenire degli spasimi lunghi, delle immani fatiche, ci aleggierà come tepida olezzante auretta intorno al capo il giorno in cui potremo dire: il Bartolami, quell'uomo degno, quell'uomo grande, ha ottenuto la gloriosa corona che gli spettava – e ciò – perdonate un leggiero fremito di orgoglio che è della umana natura! – e ciò – se non in tutto… almeno in parte.. fu opera nostra!

Rodolfo Barcheggia aveva parlato con tal enfasi, che i suoi denti sodi e compatti avevano più volte oscillato sotto la vibrazione delle consonanti.

L'effetto ch'egli produsse fu immediato, e, affrettiamoci a dirlo, superiore ad ogni aspettativa.

Il Bartolami sudava e piangeva.

Si provò a parlare – ma la voce gli venne meno.

Si levò in piedi, strinse la mano al giovine; e appena fa in grado di articolare qualche parola:

– Noi… non saremo ingrati… – gli disse – se arriveremo… dove dobbiamo arrivare… Frattanto vi prendo al mio servizio… Voi sarete il primo… e forse l'unico collaboratore della Ceralacca… Siate moderato nelle pretese… Fatemi il preventivo… Io debbo uscire per affari d'interesse… e tornerò fra un paio d'ore… Intendetevi con Clementina – quello che farete sarà per ben fatto!

Il Bartolami strinse nuovamente la mano del giovine, e poi, dopo aver salutata la moglie con un'occhiata significante, uscì dalla sala più tronfio che mai.

Il buon uomo si sentiva ministro.