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Il dolore nell'arte: discorso

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VIII

E ora, signori, se volgendo le spalle alla folla spettrale che ci fluì davanti noi entriamo negli studii dei nostri artisti, dei nostri poeti, dei nostri romanzieri, ci appare intatta l'antica potenza fascinatrice del dolore. Siamo pure condotti a considerare che nell'arte moderna si manifesta più e più la inclinazione a un uso razionale del dolore per diversi scopi di cui è conscia. L'arte moderna volentieri filosofeggia e parteggia, volentieri rappresenta il dolore come prodotto di esistenti ordini morali e sociali cui l'artista vuole additare come opposti a un ideale della sua mente e possibili a riformarsi giusta questo ideale. Noi osserviamo in pari tempo che il dolore così manifestamente rappresentato in servizio di tesi morali o sociali non ci commuove nell'opera d'arte quanto il dolore che procede dall'ineluttabile, dalle fatali condizioni della vita sulla terra, dalla morte, dall'amore, dai problemi della sorte umana, dalle ombre dell'al di là. Noi possiamo abborrire la guerra e consentire con l'artista che per un intento civile ce ne rappresenta gli orrori, noi onoriamo l'arte sua, ma poi davanti al Napoleone morente di Vela un diverso, un più forte fascino ci arresta palpitanti, dimentichi di quell'arte civile, dimentichi del bene e del male, dimentichi di noi stessi. Quando i poeti socialisti ci descrivono miserie atroci di lavoratori, possono richiamarci da un colpevole oblio alla meditazione delle piaghe sociali e dei rimedi, ma la emozione artistica che suscitano in noi immediatamente si trasforma, si converte in desiderio di azione sociale, non è comparabile, nè per intensità nè per durata di piacere, alle emozioni che non trovano sfogo in alcun'azione possibile perchè loro materia, offerta dall'Arte, è un dolore che non ha nè rimedio nè riparo. Il soffrire dei minatori nelle viscere della terra, il soffrire della piccola cucitrice costretta a un lavoro assassino della giovinezza e della gioia, non hanno, come contenuto di forme artistiche, la potenza fascinatrice che ha il soffrire di Enoch Arden naufrago del mare e dell'amore, che ha il soffrire del piccolo venditore di zolfanelli morente sulla via, benchè l'ingegno di chi scrisse Germinal e di chi scrisse il Canto della camicia non ci paia inferiore all'ingegno di Tennyson e di Andersen.

IX

E lo stesso che dell'arte socialista può dirsi di quell'arte che rappresenta il dolore a scopo espresso d'insegnamento morale. Leone Tolstoi, nel porsi a raccontare la storia di un adulterio quando le ragioni pure dell'Arte informavano ancora l'opera sua di scrittore, premeditando di condurre la sua eroina dalla colpa grado grado alla disperazione e al suicidio, parve temere che il dolore castigo, il dolore inflitto dalla giustizia offesa, non avesse sufficiente efficacia artistica, e seppe con una ispirazione geniale infondere all'opera sua il fascino eterno del dolore prescritto dal Destino, del dolore senza causa conosciuta. Considerate le infinite rappresentazioni artistiche moderne della morte tanto più potenti sull'animo nostro, tanto più attraenti quanto più questo fatto della morte, abborrito dalla natura umana, ci è mostrato nelle sue parvenze maggiormente odiose, maggiormente contrarie all'idea nostra del giusto e del ragionevole, quando colpisce l'innocenza, la grazia, la bellezza, l'amore, le giovanili speranze. Chiudo il libro dove Enrico Sienkiewicz ha dipinto un'epoca famosa dell'antica Roma con il largo pennello, con la violenza di luci e d'ombre che una distanza di tanti secoli richiedeva, e sento dolce nella memoria non tanto Licia la martire, l'amante cristiana scomparsa nelle ombre discrete di un idillio nuziale, quanto Evnica l'infedele, che per amore consente senza speranza di futuro premio alla morte il fiore degli anni suoi e della bellezza. Supremo dono, io penso, del poeta alla sua prediletta, la morte! Per l'apoteosi del patrizio e della schiava, perchè andasse ad essi il più intimo profondo sospiro di chi palpitò per la sorte di Licia e Vinicio, non altro poteva l'Arte dopo averli creati entrambi così belli e generosi, che donar la vita agli amanti cristiani e la morte ad essi, la morte sulla scena, la morte lenta, la morte nei vincoli del più fervido e splendido amore; e anche questo è a me argomento di rifiutare al libro il carattere di apologia cristiana.

X

Signori, prima di esporvi il mio concetto circa la natura di questa intima bellezza del dolore che innamora gli artisti e le moltitudini raggiando nel loro inconscio, mi piace dire alto che nessuno mi vince nel sentire la grandezza e la bellezza della gioia, nell'Arte. Non mi rapiscono palpitante a sè le sublimi forme di poesia che Dante creò per la gioia quando immaginava esser tratto dagli occhi sfavillanti di Beatrice per entro un riso dell'Universo? Non ebbi io brividi di sacro entusiasmo davanti alla Vittoria di Samotracia, a quel divino corpo slanciato nel vento da una gioia che lo libera dall'impero della terra? Nel metro stesso dell'Inno di Schiller alla Gioia, nel flutto dei versi rapidi con maestà, delle alterne rime incalzanti, non sento io con un lieto tumulto dell'animo lo spirito di fuoco che ha posseduto il poeta? Nei più delicati cantori voluttuosi dell'Antologia greca, nelle più molli canzoni veneziane non assaporo l'incanto di un'arte che alle gioie dell'amore diviso e pago fa partecipare lo spirito senz'abbassarlo? Persino davanti al meraviglioso dipinto di Jordaens «Le roi boit» mi sono inebbriato di quella trionfale gioia del vino che vi spuma sull'obeso volto del mite monarca beone, sorridente in estasi alle fragranze dell'aureo liquore, del cortigiano acclamante alle sue spalle col calice in alto, dei cavalieri barbuti e delle donne floride trincanti a cerchio dell'anfitrione gioviale, del bimbo ignudo in grembo alla madre, nel quale si ostenta, ignuda del pari, la innocenza magnifica della natura.