Za darmo

Le tigri di Monpracem

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IL BOMBARDAMENTO DI MOMPRACEM

All’indomani pareva che il delirio si fosse impadronito dei pirati di Mompracem. Non erano uomini, ma titani che lavoravano con energia sovrumana a fortificare la loro isola che ormai più non volevano abbandonare, dacché la «Perla di Labuan» aveva giurato di rimanervi.

S’affaccendavano attorno alle batterie, rizzavano nuove trincee, battevano furiosamente le rupi per staccare massi che dovevano rinforzare i ridotti, empivano i gabbioni che disponevano dinanzi ai cannoni, abbattevano alberi per rizzare nuove palizzate, costruivano nuovi bastioni che munivano colle artiglierie levate ai prahos, scavavano trabocchetti, preparavano mine, empivano i fossati di ammassi di spine e piantavano nel fondo punte di ferro avvelenate col succo dell’upas; fondevano palle, rinforzavano le polveriere, affilavano le armi.

La Regina di Mompracem, bella affascinante, scintillante d’oro e di perle, era là ad incoraggiarli colla sua voce e coi suoi sorrisi.

Sandokan era alla testa di tutti e lavorava con una attività febbrile che pareva una vera pazzia. Correva dove era necessario il suo intervento, aiutava i suoi uomini a porre in batteria le artiglierie, spezzava rupi per ricavare materiali, dirigeva le opere di difesa su tutti i punti, validamente aiutato da Yanez, che pareva avesse perduta la sua solita calma.

La cannoniera, che navigava sempre in vista dell’isola, spiando i lavori, bastava a stimolare i pirati, convinti ormai che attendesse una potente squadra per bombardare la rocca della Tigre.

Verso il mezzodì giunsero al villaggio parecchi pirati che erano partiti la sera innanzi coi tre prahos e le notizie che recarono non erano inquietanti. Una cannoniera che pareva spagnola si era mostrata al mattino diretta verso l’est, ma sulle coste occidentali nessun nemico era apparso.

– Temo un grande attacco – disse Sandokan a Yanez. – Gli inglesi non verranno soli ad assalirmi, lo vedrai.

– Che abbiano fatto lega cogli spagnoli e cogli olandesi?

– Sì, Yanez, e il mio cuore mi dice che non m’inganno.

– Troveranno pane pei loro denti. Il nostro villaggio è diventato inespugnabile.

– Forse, Yanez, ma non disperiamo. Ad ogni modo in caso di sconfitta i prahos sono pronti a prendere il largo.

Si rimisero al lavoro mentre alcuni pirati invadevano i villaggi indigeni disseminati nell’interno dell’isola, per reclutare gli uomini più validi. Alla sera il villaggio era pronto a sostenere la lotta e presentava una cinta di fortificazioni veramente imponente.

Tre linee di bastioni, gli uni più robusti degli altri, coprivano interamente il villaggio, estendendosi in forma di semicerchio.

Palizzate e fossati ampi rendevano la scalata di quei fortini quasi impossibile. Quarantasei cannoni del calibro di 12, di 18 e alcuni da 24 collocati nel gran ridotto centrale, una mezza dozzina di mortai e sessanta spingarde difendevano la piazza, pronti a vomitare palle, granate e mitraglia sulle navi nemiche. Durante la notte Sandokan fece disalberare e vuotare di tutto ciò che contenevano i prahos, quindi li affondò nella baia onde il nemico non se ne impadronisse o li sfracellasse e mandò parecchi canotti al largo onde sorvegliare le mosse della cannoniera, ma questa non si mosse.

All’alba Sandokan, Marianna e Yanez, che da alcune ore dormivano nella grande capanna, furono bruscamente svegliati da acuti clamori.

– Il nemico! il nemico! – si gridava nel villaggio.

Si precipitarono fuori della capanna e si spinsero sull’orlo della gigantesca rupe. Il nemico era là, a sei o sette miglia dall’isola e si avanzava lentamente in ordine di battaglia. Nel vederlo, una profonda ruga solcò la fronte di Sandokan, mentre il viso di Yanez si oscurava.

– Ma è una vera flotta – mormorò questi. – Dove quei cani d’inglesi hanno raccolto tante forze?

– È una lega che quelli di Labuan mandano contro noi – disse Sandokan. – Guarda, vi sono legni inglesi, olandesi, spagnoli e perfino dei prahos di quella canaglia di sultano di Varauni, pirata quando vuole e che è geloso della mia potenza.

Ed era proprio vero. La squadra assalitrice si componeva di tre incrociatori di grande tonnellaggio, portanti bandiera inglese, di due corvette olandesi potentemente armate, di quattro cannoniere e d’un cutter spagnoli, e di otto prahos del sultano di Varauni. Potevano disporre tutti assieme di centocinquanta o centosessanta cannoni e di millecinquecento uomini.

– Sono molti per Giove! – esclamò Yanez. – Ma noi siamo valorosi e la nostra rocca è forte.

– Vincerai, Sandokan? – chiese Marianna con voce che tremava.

– Speriamo, amor mio – rispose il pirata. – I miei uomini sono audaci.

– Ho paura, Sandokan.

– Di che cosa?

– Che una palla ti uccida.

– Il mio buon genio che per tanti anni mi protesse non mi abbandonerà oggi che pugno per te. Vieni Marianna, che i minuti sono preziosi.

Scesero la gradinata e si recarono al villaggio, dove i pirati avevano già preso posto dietro ai cannoni, pronti a impegnare con gran coraggio la titanica lotta. Duecento indigeni, uomini che sapevano se non resistere ad un urto, almeno trarre archibugiate e anche cannonate, manovra che avevano appreso con facilità sotto i loro maestri, erano già giunti e si erano disposti nei punti assegnati dai capi della pirateria.

– Buono – disse Yanez. – Saremo in trecentocinquanta a sostenere l’urto. Sandokan chiamò sei dei più valorosi uomini e affidò loro Marianna, onde la internassero nei boschi per non esporla al pericolo.

– Va’, mia diletta – diss’egli stringendosela al cuore. – Se io vinco tu sarai ancora la Regina di Mompracem e se la fatalità mi farà perdere, spiccheremo il volo e andremo a cercare la felicità su altre terre.

– Ah! Sandokan, ho paura! – esclamò la giovanetta piangendo.

– Tornerò da te, non temere mia diletta. Le palle risparmieranno la Tigre della Malesia, anche in questa pugna.

La baciò in fronte, poi fuggì verso i bastioni, tuonando:

– Su tigrotti, che la Tigre è con voi! Il nemico è forte, ma noi siamo ancora le tigri della selvaggia Mompracem.

Un urlo solo vi rispose:

– Viva Sandokan! Viva la nostra Regina!…

La flotta nemica si era arrestata a sei miglia dall’isola e parecchie imbarcazioni si staccavano dalle navi conducendo qua e là numerosi ufficiali. Sull’incrociatore, che aveva inalberate le insegne di comando, si teneva senza dubbio consiglio. Alle dieci le navi e i prahos, sempre schierati in ordine di battaglia, muovevano verso la baia.

– Tigri di Mompracem! – gridò Sandokan che si trovava ritto sul gran ridotto centrale, dietro un cannone da ventiquattro. – Rammentatevi che difendete la «Perla di Labuan» e quegli uomini là, che vengono ad assalirci, sono coloro che assassinarono sulle coste di Labuan i vostri compagni!

– Vendetta! Sangue! – urlarono i pirati.

Un colpo di cannone partì in quel momento dalla cannoniera che da due giorni spiava l’isola e per un caso strano la palla abbattè la bandiera della pirateria, che sventolava sul bastione centrale. Sandokan sussultò e sul suo viso si dipinse un vivo dolore.

– Vincerai, o flotta nemica! – esclamò con voce triste. – Il cuore me lo dice!

La flotta si avvicinava sempre, mantenendosi su una linea il cui centro era occupato dagli incrociatori e le ali dai prahos del sultano di Varauni. Sandokan lasciò che si avvicinasse sino a mille passi, poi alzando la scimitarra tuonò:

– Ai vostri pezzi, tigrotti! Non vi trattengo più: spazzatemi il mare da questi prepotenti. Fuoco!…

Al comando della Tigre i ridotti, i bastioni, i terrapieni avvamparono su tutta la linea, formando una sola detonazione capace di essere udita fino alle Romades. Sembrò che l’intero villaggio saltasse in aria e la terra fremette fino al mare. Nubi densissime di fumo avvolsero le batterie, ingigantendo sotto nuovi colpi che si succedevano furiosamente distendendosi a destra e a sinistra, dove tiravano le spingarde.

La squadra, quantunque assai maltrattata da quella formidabile scarica, non stette molto a rispondere.

Gli incrociatori, le corvette, le cannoniere e i prahos si coprirono di fumo tempestando le opere di difesa con palle e granate, mentre un gran numero di abili bersaglieri apriva un vivo fuoco di moschetteria, che se riusciva inefficace contro i bastioni, molestava e non poco gli artiglieri di Mompracem. Non si perdeva colpo né da una parte né dall’altra, si gareggiava di celerità e di precisione, risoluti di esterminarsi da lontano prima, e poi da vicino. La flotta aveva la supremazia delle bocche da fuoco e degli uomini e aveva il vantaggio di muoversi e di isolarsi dividendo i fuochi del nemico, ma con tutto ciò non guadagnava.

Era bello vedere quel villaggio, difeso da un pugno di prodi, che avvampava da tutti i lati rispondendo colpo per colpo, vomitando torrenti di palle e di granate e uragani di mitraglia, fracassando i fianchi dei navigli, massacrando le manovre e sventagliando gli equipaggi.

Aveva ferro per tutti, ruggiva più forte di tutti i cannoni della flotta, puniva i bravacci che venivano a sfidarlo a poche centinaia di metri dalle coste, faceva indietreggiare i più audaci che cercavano di sbarcare i soldati e per tre miglia faceva saltare le acque del mare.

Sandokan, in mezzo alle sue valorose bande, cogli occhi in fiamme, ritto dietro un grosso cannone da 24, che scatenava dalla sua fumigante gola enormi proiettili, tuonava sempre:

– Fuoco miei prodi! Spazzatemi il mare, sventratemi queste navi che vengono per rapire la nostra Regina!

La sua voce non andava perduta. I pirati, conservando un ammirabile sangue freddo fra quella fitta pioggia di palle che sbranava le palizzate, che forava i terrapieni, che sfasciava i bastioni, puntavano intrepidamente le artiglierie incoraggiandosi con clamori tremendi.

 

Un praho del sultano fu incendiato e fatto saltare, mentre cercava, con una insolente trovata, di approdare ai piedi della grande rupe. I suoi rottami giunsero fino alle prime palizzate del villaggio e i sette od otto uomini, scampati all’esplosione, furono fulminati da un nembo di mitraglia.

Una cannoniera spagnola, che cercava di avvicinarsi per sbarcare i suoi uomini, fu completamente disalberata e venne ad arenarsi dinanzi al villaggio essendogli scoppiata la macchina. Neppure uno dei suoi uomini si salvò.

– Venite a sbarcare! – tuonò Sandokan. – Venite a misurarvi colle tigri di Mompracem se l’osate. Voi siete fanciulli e noi giganti!

Era chiaro che finché i bastioni tenevano duro e le polveri non venivano a mancare, nessuna nave sarebbe riuscita ad avvicinarsi alle coste della terribile isola.

Disgraziatamente pei pirati, verso le sei pomeridiane, quando già la flotta orribilmente malmenata stava per ritirarsi, giunse nelle acque dell’isola un inaspettato soccorso che fu accolto con strepitosi urrah da parte degli equipaggi. Erano altri due incrociatori inglesi e una grossa corvetta olandese, seguiti a breve distanza da un brigantino a vela ma munito di numerose artiglierie. Sandokan e Yanez nel vedere quei nuovi nemici impallidirono. Compresero ormai che la caduta della rocca era questione di ore, pure non si perdettero d’animo e volsero parte dei loro cannoni contro quei nuovi navigli. La squadra così rinforzata riprese nuova lena avvicinandosi alla piazza battendo furiosamente le opere di difesa, già gravemente danneggiate. Le granate cadevano a centinaia dinanzi ai terrapieni, ai bastioni, ai ridotti e sul villaggio, provocando violente esplosioni che diroccavano le opere, frantumando le palizzate, introducendosi attraverso alle feritore. In capo ad un’ora la prima linea dei bastioni non era più che un ammasso di rovine.

Sedici cannoni erano ridotti inservibili e una dozzina di spingarde giacevano fra le macerie e fra un mucchio di cadaveri.

Sandokan tentò un ultimo colpo. Drizzò il fuoco dei suoi cannoni sulla nave comandante, lasciando alle spingarde di rispondere al fuoco degli altri navigli. Per venti minuti l’incrociatore resistette a quella pioggia di proiettili che lo attraversavano da parte a parte, che gli frantumavano le manovre e gli uccidevano l’equipaggio, ma una granata da 21 chilogrammi lanciatagli da Giro-Batol con un mortaio, gli aprì a prua una falla enorme.

Il legno s’inclinò su di un fianco affondando rapidamente. L’attenzione delle altre navi si rivolse a salvare i naufraghi e numerose imbarcazioni solcarono i flutti, ma ben pochi scamparono alla mitraglia dei pirati.

In tre minuti l’incrociatore affondò trascinando seco gli uomini che ancora restavano in coperta.

La squadra per alcuni minuti sospese il fuoco, ma poi lo riprese con maggior furia e si avanzò fino a soli quattrocento metri dall’isola. Le batterie di destra e di sinistra, oppresse dal fuoco, furono ridotte in silenzio in capo a un’ora e i pirati furono costretti a ritirarsi dietro la seconda linea dei bastioni e poi dietro alla terza che era già mezza rovinata. In piedi e ancora in buono stato, non rimaneva che il grande ridotto centrale, il meglio armato e il più robusto.

Sandokan non si stancava di incoraggiare i suoi uomini, ma prevedeva che il momento della ritirata non era lontano.

Mezz’ora dopo una polveriera saltava con terribile violenza sconquassando le cadenti trincee e seppellendo fra macerie dodici pirati e venti indigeni. Fu tentato un altro sforzo per arrestare la marcia del nemico, concentrando il fuoco su un altro incrociatore, ma i cannoni erano troppo pochi, molti essendo stati imbroccati o smontati.

Alle sette e dieci minuti anche il grande ridotto franava, seppellendo parecchi uomini e le più grosse artiglierie.

– Sandokan! – gridò Yanez precipitandosi verso il pirata, che stava puntando il suo cannone. – La posizione è perduta.

– È vero – rispose la Tigre con voce soffocata.

– Comanda la ritirata o sarà troppo tardi.

Sandokan lanciò uno sguardo disperato sulle rovine in mezzo alle quali soli sedici cannoni e venti spingarde ancora tuonavano e un altro sulla squadra che stava calando in mare le imbarcazioni per gli uomini da sbarco. Un praho aveva già gettata l’ancora ai piedi della grande rupe e i suoi uomini si preparavano a prendere posizione.

La partita era irreparabilmente perduta. Fra pochi minuti gli assalitori, trenta o quaranta volte più numerosi, dovevano sbarcare per attaccare le cadenti trincee alla baionetta e distruggere gli ultimi difensori. Un ritardo di pochi momenti poteva diventare funesto e compromettere la fuga verso le coste occidentali.

Sandokan raccolse tutte le forze per pronunciare quella parola giammai uscita dalle sue labbra e comandò la ritirata.

Nel momento che i tigrotti della perduta Mompracem, colle lagrime agli occhi, il cuore straziato, si salvavano nei boschi e gli indigeni fuggivano in tutte le direzioni, il nemico sbarcava irrompendo furiosamente, colle baionette calate, contro le trincee dietro le quali credeva di trovare ancora il nemico. La stella di Mompracem si era estinta per sempre!

SUL MARE

I pirati ridotti a soli settanta, la maggior parte feriti ma ancora assetati di sangue, ancora pronti a riprendere la lotta, ancora anelanti di vendetta, si ritirarono guidati dai valorosi capi, la Tigre della Malesia e Yanez, miracolosamente scampati al ferro e al piombo nemico.

Sandokan, quantunque avesse ormai perduta per sempre la sua potenza, la sua isola, il suo mare, tutto, conservava in quella ritirata una calma veramente ammirevole. Senza dubbio egli che ormai aveva preveduta l’imminente fine della pirateria e che ormai si era abituato all’idea di ritirarsi lontano da quei mari, si consolava pensando che fra tanto disastro gli rimaneva ancora la sua adorata «Perla di Labuan».

Nondimeno sul suo volto si scorgevano le tracce di una forte commozione, che invano sforzavasi di nascondere.

Affrettando il passo, i pirati giunsero in breve sulle rive di un torrente disseccato, dove trovarono Marianna e i sei uomini posti a guardia di lei. La giovanetta si precipitò fra le braccia di Sandokan che se la strinse teneramente al petto.

– Dio sia ringraziato – diss’ella. – Tu mi ritorni ancora vivo.

– Vivo sì, ma sconfitto – rispose egli con voce triste.

– Così volle il destino, mio prode.

– Partiamo, Marianna, che il nemico non è lontano. Orsù, tigrotti, non facciamoci raggiungere dai vincitori. Forse ci rimane ancora da pugnare e terribilmente.

In lontananza si udivano le grida dei vincitori e appariva una luce intensa, segno evidente che il villaggio era stato incendiato.

Sandokan fece salire Marianna su di un cavallo, fatto colà condurre fino dal giorno innanzi e la piccola truppa si mise rapidamente in cammino per guadagnare le coste occidentali, prima che il nemico giungesse in tempo a tagliare loro la ritirata.

Alle undici di notte, essi giungevano in un piccolo villaggio della costa, dinanzi al quale stavano ancorati i tre prahos.

– Presto, imbarchiamoci – disse Sandokan. – I minuti sono preziosi.

– Verremo assaliti? – chiese Marianna.

– Forse, ma la mia scimitarra ti coprirà e il mio petto ti farà scudo contro i colpi dei maledetti che mi oppressero col numero.

Egli si spinse sulla spiaggia e scrutò il mare che pareva nero come se fosse d’inchiostro.

– Non vedo alcun fanale – disse a Marianna. – Forse potremo abbandonare la mia povera isola senza essere inquietati.

Emise un profondo sospiro e si asciugò la fronte madida di sudore.

– Imbarchiamoci – disse poi.

I pirati s’imbarcarono colle lagrime agli occhi; trenta presero posto sul praho più piccolo, gli altri, parte su quello di Sandokan e parte su quello comandato da Yanez che portava gli immensi tesori del capo.

Nel momento di salpare le ancore, si vide Sandokan portare le mani al cuore come se nel petto gli si fosse spezzato qualche cosa.

– Amico mio – disse Marianna abbracciandolo.

– Ah! – esclamò egli con tetro dolore. – Mi sembra che mi si spezzi il cuore.

– Tu rimpiangi la tua perduta potenza, Sandokan, e la perdita della tua isola.

– È vero, amor mio.

– Forse un giorno la riconquisterai e qui ritorneremo.

– No, tutto è finito per la Tigre della Malesia. E poi sento di non essere più l’uomo d’altri tempi.

Chinò il capo sul petto e s’intese una specie di singhiozzo, ma poi sollevandolo con energia tuonò:

– Al largo!…

I tre legni sciolsero le gomene e si allontanarono dall’isola, portando seco gli ultimi superstiti di quella formidabile banda che per dodici anni aveva sparso tanto terrore sul mare della Malesia.

Avevano già percorso sei miglia quando un urlo di furore scoppiò a bordo dei legni.

In mezzo alle tenebre erano improvvisamente apparsi due punti luminosi, i quali correvano addosso alla flottiglia con cupo fragore.

– Gli incrociatori!… – gridò una voce. – Attenti amici!

Sandokan che si era seduto a poppa cogli occhi fissi sull’isola che scompariva lentamente fra le tenebre, si alzò gettando un vero ruggito.

– Ancora il nemico! – esclamò egli con intraducibile accento e serrandosi al petto la fanciulla che stavagli presso. – Anche in mare, maledetti venite a inseguirmi? Tigrotti, ecco i leoni che ci corrono addosso! Su tutti colle armi in pugno!

Non ci voleva di più per animare i pirati che ardevano di vendetta e che già si illudevano, con un combattimento disperato, di riacquistare la perduta isola. Tutti brandirono le armi pronti a montare all’abbordaggio al comando dei capi.

– Marianna – disse Sandokan volgendosi verso la giovanetta, che guardava con terrore quei due punti luminosi scintillanti fra le tenebre. – Nella tua cabina, anima mia!

– Gran Dio, siamo perduti! – mormorò ella.

– Non ancora; le tigri di Mompracem hanno sete di sangue.

– Forse sono due poderosi incrociatori, Sandokan?

– Fossero anche montati da mille uomini noi li abborderemo.

– Non tentare un nuovo combattimento, mio prode amico. Forse quei due legni non ci hanno ancora scorti e si potrebbe ingannarli.

– È vero, lady Marianna – disse uno dei capi malesi. – Ci cercano, di questo sono certo, ma dubito assai che ci abbiano veduti.

«La notte è oscura e non abbiamo alcun fanale acceso a bordo, quindi è impossibile che si siano di già accorti della nostra presenza.

«Sii prudente, Tigre della Malesia. Se possiamo evitare una nuova lotta, avremo tutto da guadagnare.»

– Sia – rispose Sandokan, dopo alcuni istanti di riflessione. – Domerò pel momento la rabbia che mi brucia il cuore e cercherò di sfuggire al loro abbordaggio, ma guai a loro se dovessero seguirmi nella nuova rotta!… Sono deciso a tutto anche ad assalirli.

– Non compromettiamo inutilmente gli ultimi avanzi delle tigri di Mompracem – disse il capo malese. – Siamo prudenti per ora.

L’oscurità favoriva la ritirata.

Ad un comando di Sandokan il praho virò di bordo, appoggiando verso le coste meridionali dell’isola, dove esisteva una baia abbastanza profonda per ricoverare una piccola flottiglia. Gli altri due legni s’affrettarono ad eseguire la manovra, avendo ormai compreso quale era il piano della Tigre della Malesia. Il vento, piuttosto fresco, era favorevole, soffiando dal nord-est, quindi v’era la possibilità pei prahos di giungere alla baia prima dello spuntare del sole.

– Hanno cambiato rotta le due navi? – chiese Marianna che scrutava il mare con viva ansietà.

– È impossibile saperlo per ora – rispose Sandokan che era salito sulla murata poppiera per meglio osservare i due punti luminosi.

– Mi pare che si tengano sempre al largo, è vero Sandokan? M’inganno forse io?

– T’inganni, Marianna – rispose il pirata, dopo alcuni istanti. – Anche quei due punti luminosi hanno virato di bordo.

– E muovono su di noi?

– Mi sembra.

– E non riusciremo a sfuggire loro? – chiese la giovanetta con angoscia.

– Come lottare colle loro macchine? Il vento è ancora debole per imprimere ai nostri legni tale velocità da gareggiare col vapore. Chissà però, l’alba non è lontana e all’avvicinarsi del sole, in questi paraggi il vento aumenta sempre.

– Sandokan!

– Marianna…

– Ho dei tristi presentimenti!

– Non temere, mia fanciulla. Le tigri di Mompracem sono pronte a morire tutte per te.

– Lo so, Sandokan, eppure io tremo per te.

– Per me! – esclamò il pirata con fierezza. – Io non ho paura di quei due leopardi che ci cercano per darci ancora battaglia. La Tigre è stata bensì vinta, ma non ancora domata.

 

– Se una palla ti colpisse? Gran Dio! Quale pensiero tremendo, mio valoroso Sandokan!

– La notte è oscura e nessun lume brilla a bordo dei nostri legni e… – una voce partita dal secondo praho, gli tagliò la frase:

– Ehi, fratello!

– Cosa vuoi, Yanez? – chiese Sandokan che aveva riconosciuta la voce del portoghese.

– Mi pare che quei due vascelli si preparino a tagliarci la via. I fanali che prima proiettavano una luce rossa, ora sono diventati verdi e ciò indica che quei legni hanno cambiata rotta.

– Allora gli inglesi si sono accorti della nostra presenza.

– Lo temo, Sandokan.

– Cosa mi consigli di fare?

– Muovere audacemente al largo e tentare di passare in mezzo ai nemici. Guarda: si allontanano l’uno dall’altro per prenderci in mezzo.

Il portoghese non si era ingannato.

I due legni nemici, che da qualche tempo pareva che eseguissero una manovra misteriosa, si erano bruscamente allontanati.

Mentre uno si dirigeva verso le coste settentrionali di Mompracem l’altro muoveva rapidamente verso quelle meridionali.

Ormai non vi era più da dubitare sulle loro intenzioni. Volevano frapporsi fra i velieri e la costa per impedire a quelli di cercare un rifugio in qualche seno ed in qualche baia e costringerli a prendere il largo per poi assalirli in pieno mare.

Sandokan, accortosene, aveva mandato un urlo di rabbia.

– Ah! – gridò. – Volete darmi battaglia? Ebbene, l’avrete!

– Non ancora fratellino – gridò Yanez che era salito sulla prora del suo legno.

– Muoviamo al largo e cerchiamo di passare fra quei due avversari.

– Ci raggiungeranno, Yanez. Il vento è ancora debole.

– Tentiamo, Sandokan. Ohe! Alle scotte voi e viriamo all’ovest! I cannonieri ai loro posti!

I tre velieri un istante dopo cambiavano rotta, dirigendosi risolutamente verso l’ovest.

I due vascelli, quasi si fossero accorti di quell’audace manovra, avevano quasi subito cambiata pure direzione, muovendo al largo.

Certamente volevano prendere in mezzo i tre prahos prima che potessero appoggiare su qualche altra isola.

Credendo però che muovessero in quella direzione per puro caso, Sandokan e Yanez non cambiarono rotta, anzi ordinarono ai loro equipaggi di spiegare alcuni stragli per cercare di guadagnare maggior via.

Per venti minuti i tre velieri continuarono ad avanzarsi, tentando di sfuggire alla stretta dei due vascelli da guerra, i quali tendevano a riunirsi. Tutti i pirati non staccavano i loro sguardi dai fanali, cercando d’indovinare la manovra dei nemici. Erano però pronti a far tuonare i cannoni ed i fucili al comando dei loro capi. Già con alcune bordate si erano portati molto al largo, quando videro i fanali virare nuovamente di bordo. Un momento dopo si udì Yanez a gridare:

– Ohe! Non vedete che ci danno la caccia?

– Ah! Canaglie! – urlò Sandokan, con accento intraducibile. – Anche sul mare venite ad assalirmi! Avremo ferro e piombo per tutti!

– Siamo perduti, è vero, Sandokan? – disse Marianna stringendosi al pirata.

– Non ancora, fanciulla – rispose la Tigre. – Presto, torna nella tua cabina. Fra pochi minuti le palle grandineranno sul ponte del mio praho.

– Voglio rimanere al tuo fianco, mio valoroso. Se tu muori, cadrò anch’io presso di te.

– No, Marianna. Se io ti vedessi vicina a me, mi mancherebbe l’audacia e temerei troppo. Bisogna che io sia libero per tornare la Tigre della Malesia.

– Aspetta almeno che quelle navi siano qui. Forse non ci hanno ancora veduti.

– Muovono su di noi a tutto vapore, mia diletta. Io le scorgo di già.

– Sono legni poderosi?

– Una corvetta ed una cannoniera.

– Non potrai vincerle.

– Siamo tutti valorosi e monteremo all’assalto della più grossa. Orsù, torna nella tua cabina.

– Ho paura, Sandokan! – esclamò la giovanetta singhiozzando.

– Non temere. Le tigri di Mompracem lotteranno con coraggio disperato.

In quell’istante un colpo di cannone echeggiò al largo. Una palla passò, con un ronfo rauco al disopra del praho attraversando due vele.

– Odi? – chiese Sandokan. – Essi ci hanno scoperti e si preparano a darci battaglia. Guardali! Muovono contemporaneamente tutti e due su di noi per speronarci! Infatti i due legni nemici s’avanzavano a tutto vapore, come se avessero intenzione di passare addosso ai tre piccoli velieri.

La corvetta forzava le sue macchine, eruttando nuvoloni di fumo rossastro e di scorie e si dirigeva verso il praho di Sandokan, mentre la cannoniera cercava di gettarsi contro quello comandato da Yanez.

– Nella tua cabina! – gridò Sandokan, mentre una seconda cannonata veniva sparata dalla corvetta. – Qui vi è la morte.

Afferrò fra le vigorose braccia la giovanetta e la trasportò nella cabina. In quel mentre un nembo di mitraglia spazzava la coperta del legno, scrosciando sullo scafo e contro l’alberatura. Marianna si aggrappò disperatamente a Sandokan.

– Non lasciarmi, mio valoroso – disse con voce soffocata dai singhiozzi. – Non allontanarti dal mio fianco! Ho paura, Sandokan!

Il pirata la scostò con dolce violenza.

– Non tremare per me – le disse. – Lascia che vada a combattere l’ultima battaglia, e che oda ancora il rombo delle artiglierie. Lascia che guidi ancora le tigri di Mompracem alla vittoria.

– Ho dei sinistri presentimenti, Sandokan. Lascia che io resti presso di te. Ti difenderò contro le armi dei miei compatrioti.

– Basterò io a ricacciare in mare i miei nemici.

Il cannone tuonava allora furiosamente sul mare. Sul ponte si udivano le urla selvagge delle tigri di Mompracem ed i gemiti dei primi feriti.

Sandokan si svincolò dalle braccia della giovanetta e si precipitò sulla scala urlando:

– Avanti miei prodi! La Tigre della Malesia è con voi!

La battaglia infuriava da ambo le parti. La cannoniera aveva assalito il praho del portoghese, tentando di abbordarlo, ma aveva avuto subito la peggio. Le artiglierie di Yanez l’avevano di già assai maltrattata, frantumandole le ruote, fracassandole le murate e troncandole perfino l’albero. La vittoria da quel lato non poteva essere dubbia, però vi era la corvetta, una nave poderosa, armata di molti cannoni e montata da un equipaggio numerosissimo. Essa si era gettata addosso ai due prahos di Sandokan, coprendoli di ferro e facendo strage di pirati.

La comparsa della Tigre della Malesia rianimò i combattenti, i quali cominciavano a sentirsi impotenti dinanzi a tanto fulminare.

Il formidabile uomo si slanciò verso uno dei due cannoni, urlando sempre ferocemente:

– Avanti miei prodi! La Tigre della Malesia ha sete di sangue! Spazziamo il mare e cacciamo in acqua quei cani che vengono a sfidarci!…

La sua presenza non valeva però a cambiare le sorti dell’aspra pugna. Quantunque non mancasse ai suoi colpi e spazzasse le murate della corvetta con nembi di mitraglia, le palle e le granate piovevano incessantemente sul suo legno, demattandolo e sventrando i suoi uomini.

Era impossibile resistere a tanta furia. Ancora pochi minuti ed i due poveri prahos sarebbero stati ridotti a due pontoni sdrusciti.

Solo il portoghese disputava e con vantaggio, la vittoria alla cannoniera, tirandole delle bordate disastrose.

Sandokan con un solo sguardo s’accorse della gravità della situazione. Vedendo l’altro praho ormai demattato e quasi affondante, l’abbordò, facendo imbarcare sul proprio legno i superstiti, poi sfoderando la scimitarra urlò: – Su, tigrotti!… All’abbordaggio!… La disperazione centuplicava le forze dei pirati.

Scaricarono d’un solo colpo i due cannoni e le spingarde per spazzare la murata dai fucilieri che la occupavano, poi quei trenta valorosi lanciarono i grappini d’abbordaggio.

– Non aver paura, Marianna! – gridò un’ultima volta Sandokan, udendo la giovanetta a invocarlo. Poi alla testa dei suoi valorosi, mentre Yanez più fortunato di tutti faceva saltare la cannoniera lanciandole una granata nella santabarbara, montò all’abbordaggio precipitandosi sul ponte nemico come un toro ferito.

– Largo! – tuonò roteando la sua terribile scimitarra. – Sono la Tigre!…

Seguito dai suoi uomini andò a cozzare contro i marinai che accorrevano colle scuri alzate e li respinse fino a poppa, ma da prua irrompeva un’altra fiumana d’uomini guidati da un ufficiale che Sandokan subito riconobbe.