Za darmo

Le tigri di Monpracem

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IL PRIGIONIERO

Attraversato il fiumicello, Yanez condusse Sandokan in mezzo ad una folta macchia dove si trovavano imboscati venti uomini completamente armati e muniti ognuno d’un sacchetto di viveri e d’una coperta di lana. Paranoa ed il suo sottocapo Ikaut vi erano pure.

– Vi siete tutti? – chiese Yanez.

– Tutti – risposero.

– Allora ascoltami attentamente, Ikaut – riprese il portoghese. – Tu tornerai a bordo e qualunque cosa succeda manderai qui un uomo il quale troverà un camerata sempre in attesa di ordini.

«Noi ti trasmetteremo i nostri comandi che dovrai eseguire immediatamente, senza il menomo ritardo.

«Bada di essere prudente e di non farti sorprendere dalla giacche rosse e non dimenticare che noi, anche se lontani, in un momento possiamo venire informati od informarti di quello che può succedere.»

– Contate su di me, signor Yanez.

– Torna ora a bordo e veglia.

Mentre il sottocapo balzava nel canotto, Yanez postosi alla testa del drappello, si metteva in cammino risalendo il corso del piccolo fiume.

– Dove mi conduci? – chiese Sandokan, che non capiva nulla.

– Aspetta un po’, fratellino mio. Dimmi, innanzi a tutto, quanto può distare dal mare la villa di lord Guillonk?

– Circa due miglia in linea retta.

– Allora abbiamo uomini più che sufficienti.

– Per cosa fare?

– Un po’ di pazienza, Sandokan.

Si orientò con la bussola che aveva presa a bordo del praho e si cacciò sotto i grandi alberi marciando rapidamente.

Percorsi quattrocento metri, si fermò presso un colossale albero della canfora che si rizzava in mezzo ad un fitto gruppo di cespugli e, volgendosi ad uno dei marinai gli disse:

– Tu pianterai qui il tuo domicilio e non lo lascerai, per nessun motivo, senza nostro ordine.

«Il fiume non dista che quattrocento metri, quindi puoi comunicare facilmente col praho; a egual distanza, verso l’est, vi sarà uno dei tuoi camerati. «Qualunque ordine ti venga trasmesso dal praho lo comunicherai al tuo compagno più prossimo. Mi hai compreso?»

– Sì, signor Yanez.

– Continuiamo adunque.

Mentre il malese si preparava una piccola tettoia alla base del grand’albero, il drappello si rimetteva in marcia, lasciando un altro uomo alla distanza indicata.

– Comprendi ora? – chiese Yanez a Sandokan.

– Sì, – rispose questi, – e ammiro la tua furberia. Con queste sentinelle scaglionate nella foresta noi potremo in pochi minuti comunicare col praho anche dai dintorni della villa di lord James.

– Sì, Sandokan, ed avvertire Ikaut di armare prontamente il praho per prendere subito il mare o di mandarci dei soccorsi.

– E noi dove andremo ad accamparci?

– Sul sentiero che conduce a Vittoria. Di là vedremo chi si reca o chi esce dalla villa e in pochi momenti potremo prendere le nostre misure per impedire al lord di ruggire a nostra insaputa. Se vorrà andarsene, dovrà fare prima i conti coi nostri tigrotti e vedrai che chi avrà la peggio non saremo certamente noi.

– E se il lord non si decidesse ad andarsene?

– Per Giove!… Assaliremo la villa o cercheremo qualche altro mezzo per rapire la fanciulla.

– Non spingiamo però le cose agli estremi, Yanez. Lord James è capace di uccidere sua nipote piuttosto di vederla cadere nelle mie mani.

– Per mille spingarde!…

– È un uomo deciso a tutto, Yanez.

– Allora giuocheremo d’astuzia.

– Hai qualche progetto?

– Lo troveremo, Sandokan. Non mi consolerei più mai se quel briccone dovesse fracassare il capo a quell’adorabile miss.

– Ed io? Sarebbe la morte anche della Tigre della Malesia, poiché non potrei sopravvivere senza la fanciulla dai capelli d’oro.

– Lo so pur troppo – disse Yanez con un sospiro. – Quella donna ti ha stregato.

– O meglio mi ha dannato, Yanez. Chi lo avrebbe detto che un giorno, io che non avevo mai sentito il mio cuore battere; che non avevo saputo amare altro che il mare, le pugne tremende, le stragi, sarei stato domato da una fanciulla, da una figlia di quella razza alla quale avevo giurato una guerra d’esterminio?… Quando vi penso, io sento il mio sangue a ribollire, io sento le mie forze a ribellarsi ed il mio cuore fremere di furore!… Eppure la catena che mi avvince non saprò più mai spezzarla, Yanez; né più mai saprei cancellare quegli occhi azzurri che mi hanno stregato. Orsù, non ne parliamo più e lasciamo che si compia il mio destino.

– Un destino che sarà fatale alla stella di Mompracem, è vero Sandokan? – disse Yanez.

– Forse – rispose la Tigre della Malesia con voce sorda.

Erano allora giunti sul margine d’una foresta. Al di là si estendeva una piccola prateria cosparsa di cespugli e di gruppi d’arecche e di gambir, tagliata a metà da un largo sentiero che pareva però fosse stato poco battuto, essendo l’erba nuovamente cresciuta.

– Che sia questa la via che conduce a Vittoria? – chiese Yanez a Sandokan.

– Sì – rispose questi.

– La villa di lord James non deve essere lontana.

– Scorgo laggiù, dietro a quegli alberi, le palizzate del parco.

– Benissimo – disse Yanez.

Si volse verso Paranoa che li aveva seguiti con sei uomini e gli disse:

– Va’ a rizzare le tende sul margine del bosco, in luogo protetto da qualche folta macchia.

Il pirata non si fece ripetere il comando. Trovato un luogo acconcio, fece spiegare la tenda, riparandola all’intorno con una specie di cinta formata di rami e di foglie di banano.

Sotto vi mise i viveri che aveva fatto trasportare fino là, consistenti in conserve, carne affumicata, biscotti ed in alcune bottiglie di vino di Spagna, poi lanciò i suoi sei uomini a destra ed a manca onde battessero il bosco per essere certo che non si nascondesse qualche spia.

Sandokan e Yanez, dopo essersi spinti fino a duecento metri dalle palizzate del parco, erano tornati nel bosco, sdraiandosi sotto la tenda.

– Sei soddisfatto, Sandokan del piano? – chiese il portoghese.

– Sì, fratello – rispose la Tigre della Malesia.

– Non siamo che a pochi passi dal parco, sulla via che conduce a Vittoria. Se il lord vorrà abbandonare la villa, sarà costretto a passarci a tiro di fucile.

«In meno di mezz’ora noi possiamo radunare venti uomini risoluti, decisi a tutto e in un’ora avere con noi tutto l’equipaggio del praho. Che si muova e noi gli saremo tutti addosso.»

– Sì, tutti – disse Sandokan. – Io sono pronto a tutto anche a scagliare i miei uomini contro un reggimento intero.

– Allora facciamo colazione, fratellino mio – disse Yanez, ridendo. – Questa gita mattutina m’ha aguzzato l’appetito in modo straordinario.

Avevano già divorato la colazione e stavano fumando alcune sigarette centellinando una bottiglia di whisky, quando videro entrare precipitosamente Paranoa. Il bravo malese aveva il viso alterato e pareva in preda ad una viva agitazione.

– Che cos’hai? – chiese Sandokan, alzandosi rapidamente e allungando una mano verso il fucile.

– Qualcuno si avvicina, mio capitano – diss’egli. – Ho udito il galoppo di un cavallo.

– Che qualche inglese si rechi a Vittoria?

– No, Tigre della Malesia, deve venire da Vittoria.

– È ancora lontano? – chiese Yanez.

– Lo credo.

– Vieni, Sandokan.

Presero le carabine e si slanciarono fuori dalla tenda, mentre gli uomini della scorta s’imboscavano in mezzo ai cespugli, armando precipitosamente i fucili.

Sandokan si spinse verso il sentiero e si gettò in ginocchio appoggiando un orecchio contro il suolo. La superficie della terra trasmetteva distintamente il galoppo affrettato di un cavallo.

– Sì, un cavaliere si avvicina – diss’egli rialzandosi lestamente.

– Ti consiglio di lasciarlo passare senza disturbarlo – disse Yanez.

– E tu lo pensi? Noi lo faremo prigioniero, mio caro.

– A quale scopo?

– Può recare alla villa qualche messaggio importante.

– Se noi lo assaliamo egli si difenderà, sparerà il moschetto, fors’anche le pistole e quelle detonazioni possono venire udite dai soldati nella villa.

– Lo faremo cadere nelle nostre mani senza lasciarli il tempo di porre mano alle armi.

– Una cosa un po’ difficile, Sandokan.

– Anzi più facile di quello che tu credi.

– Spiegati.

– Il cavallo s’avanza di galoppo, quindi non potrà evitare un ostacolo. Il cavaliere verrà sbalzato di colpo e noi gli piomberemo addosso impedendogli di reagire.

– E quale ostacolo vorrai preparare?

– Vieni, Paranoa, va’ a prendere una fune e raggiungimi subito.

– Comprendo – disse Yanez. – Ah!… la splendida idea!… Sì, prendiamolo, Sandokan!… Per Giove, come lo utilizzeremo!… Non ci avevo pensato!…

– Di quale idea parli, Yanez?

– Lo saprai più tardi. Ah!.. Ah… Che bel gioco!…

– Ridi?…

– Ho motivo di ridere. Vedrai, Sandokan, come giuocheremo il lord?… Paranoa, sbrigati!…

Il malese, aiutato da due uomini, aveva stesa una solida fune attraverso il sentiero, tenendola però così bassa da non potersi scorgere in causa delle alte erbe che crescevano in quel luogo.

Ciò fatto era andato a nascondersi dietro un cespuglio, tenendo il kriss in pugno, mentre i suoi compagni si disperdevano più innanzi per impedire al cavaliere di continuare la corsa, nel caso che avesse evitato l’agguato. Il galoppo s’avvicinava rapidamente. Ancora pochi secondi ed il cavaliere doveva comparire allo svolto del sentiero.

– Eccolo!… – mormorò Sandokan, che s’era pure imboscato assieme a Yanez. Pochi istanti dopo un cavallo, oltrepassato un macchione, si slanciava sul sentiero. Lo montava un bel giovinotto di ventidue o ventiquattro anni, il quale indossava la divisa dei sipai indiani. Pareva assai inquieto perché spronava furiosamente il cavallo, lanciando all’intorno sguardi sospettosi.

 

– Attento, Yanez – mormorò Sandokan.

Il cavallo, vivamente spronato, si slanciò innanzi muovendo rapidamente verso la fune.

Ad un tratto lo si vide stramazzare pesantemente al suolo agitando pazzamente le gambe.

I pirati erano lì. Prima ancora che il sipai potesse trarsi di sotto al cavallo, Sandokan gli fu addosso strappandogli la sciabola, mentre Juioko lo rovesciava al suolo puntandogli sul petto il kriss.

– Non opporre resistenza se ti preme la vita – gli disse Sandokan.

– Miserabili! – esclamò il soldato, cercando di battersi.

Juioko aiutato dagli altri pirati lo legò per bene e lo trascinò presso una folta macchia, mentre Yanez visitava il cavallo temendo che nella caduta si fosse spezzata qualche gamba.

– Per Bacco! – esclamò il buon portoghese che pareva contentissimo. – Farò una bella figura alla villa. Yanez sergente dei sipai! Ecco un grado che non mi aspettavo di certo.

Legò l’animale ad un albero e raggiunse Sandokan che stava frugando per bene il sergente.

– Nulla? – chiese.

– Nessuna carta – rispose Sandokan.

– Parlerai almeno – disse Yanez, piantando gli occhi sul sergente.

– No – rispose questi.

– Bada! – gli disse Sandokan con accento da far fremere. – Dove eri diretto?

– Passeggiavo.

– Parla!…

– Ho parlato – rispose il sergente che ostentava una tranquillità che non poteva avere.

– Aspetta a dunque!

La tigre della Malesia si strappò dalla cintura il kriss e lo puntò alla gola del soldato dicendogli con accento da non mettere in dubbio la minaccia:

– Parla o ti uccido!

– No – rispose il soldato.

– Parla – ripetè Sandokan, premendo l’arma.

L’inglese mandò un urlo di dolore; il kriss era entrato nella carne e beveva sangue.

– Parlerò – rantolò il prigioniero che era diventato pallido come un cadavere.

– Dove andavi? – chiese Sandokan.

– Da lord James Guillonk.

– Per quale motivo?

Il soldato esitò, ma vedendo il pirata avvicinare nuovamente il kriss, riprese:

– Per recare una lettera del baronetto William Rosenthal.

Un lampo di furore balenò negli occhi di Sandokan a quel nome.

– Dammi quella lettera! – esclamò con voce rauca.

– È nel mio elmo, nascosta sotto la fodera.

Yanez raccolse il cappello del sipai, strappò la fodera e fece saltare fuori la lettera che subito aperse.

– Bah! Cose vecchie – disse dopo averla letta.

– Cosa scrive quel cane di baronetto? – chiese Sandokan.

– Avverte il lord del nostro imminente sbarco a Labuan. Dice che un incrociatore ha visto uno dei nostri legni correre verso queste coste e lo consiglia di vegliare attentamente.

– Null’altro?

– Oh! Sì! Corbezzoli! Invia mille rispettosi saluti alla tua cara Marianna con un giuramento di eterno amore.

– Che Dio danni quel maledetto! Guai a lui il giorno che lo incontrerò sulla mia via!

– Juioko – disse il portoghese che pareva osservasse con profonda attenzione la calligrafia della lettera. – Manda un uomo al praho e fammi portare della carta, delle penne e un calamaio.

– Cosa vuoi fare di questi oggetti? – chiese Sandokan con stupore.

– Occorrono al mio progetto.

– Ma di quale progetto parli?

– Di quello che sto meditando da mezz’ora.

– Spiegati una buona volta.

– Se non vuoi altro! Io sto per recarmi alla villa di lord James.

– Tu!…

– Io, proprio io – rispose Yanez con calma perfetta.

– Ma in qual modo?

– Nella pelle di quel sipai. Per Giove! Vedrai che bel soldato!

– Comincio a comprendere. Tu indossi le vesti del sipai, fingi di giungere da Vittoria e…

– Consiglio il lord di partire a quella volta per farlo cadere nell’agguato che tu gli preparerai.

– Ah! Yanez! – esclamò Sandokan stringendoselo al petto.

– Piano, fratellino mio, che non mi guasti qualche braccio.

– Ti dovrò tutto se riuscirai.

– Spero di riuscire.

– Ma tu ti esponi ad un grande pericolo.

– Bah! Mi leverò d’impiccio con onore e senza guastarmi.

– Ma perché il calamaio?

– Per scrivere una lettera al lord.

– Ti sconsiglio, Yanez. È un uomo sospettoso e se vede che il carattere non è preciso può farti fucilare.

– Hai ragione, Sandokan. È meglio che io gli dica ciò che volevo scrivere. Orsù, fa’ spogliare il sipai.

Ad un cenno di Sandokan due pirati slegarono il soldato e lo spogliarono della divisa. Il povero diavolo si credette perduto.

– Mi uccidete? – chiese a Sandokan.

– No – rispose questi. – La tua morte non mi sarebbe d’alcuna utilità e ti faccio dono della vita; però resterai prigioniero sul mio praho finché noi rimarremo qui.

– Grazie, signore.

Yanez intanto si vestiva. La divisa era un po’ stretta ma tanto fece che in breve fu completamente equipaggiato.

– Guarda, fratellino mio, che bel soldato – disse allacciandosi la sciabola.

– Non credevo di fare una così splendida figura.

– Sì, davvero che sei un bel sipai – rispose Sandokan ridendo. – Ora dammi le tue ultime istruzioni.

– Ecco qui – disse il portoghese. – Tu rimarrai imboscato su questo sentiero con tutti gli uomini disponibili e non ti muoverai. Io andrò dal lord, gli dirò che voi siete stati assaliti e dispersi, ma che si sono veduti degli altri prahos e lo consiglierò ad approfittare del buon momento per rifugiarsi a Vittoria.

– Benissimo!

– Quando noi passeremo voi assalirete la scorta, io prenderò Marianna e la porterò al praho. Siamo d’accordo?

– Sì, va’ mio valoroso amico, dirai alla mia Marianna che io l’amo sempre e che abbia fiducia di me. Va’ e che Dio ti guardi.

– Addio, fratellino mio – rispose Yanez abbracciandolo.

Balzò leggermente sul cavallo del sipai, raccolse le briglie, sguainò la sciabola e partì di galoppo fischiando allegramente una vecchia barcarola.

YANEZ ALLA VILLA

La missione del portoghese era senza dubbio una delle più arrischiate, delle più audaci che quel bravo uomo avesse affrontato in vita sua, perché sarebbe bastata una parola, un sospetto solo per lanciarlo sulla cima di un’antenna con una buona corda al collo.

Nondimeno il pirata si preparava a giuocare la pericolosissima carta con grande coraggio e con molta calma, fidando nel proprio sangue freddo e soprattutto nella sua buona stella che mai erasi stancata di proteggerlo.

Si rizzò fieramente in sella, si arricciò i baffi per fare più bella figura, si accomodò il cappello inclinandolo civettosamente sull’orecchio e spinse il cavallo alla carriera non risparmiando i colpi di sprone e le sferzate. Dopo due ore di quella corsa furiosa si trovava improvvisamente dinanzi ad una cancellata dietro la quale si elevava la graziosa villa di lord James.

– Chi vive? – chiese un soldato che stava imboscato dinanzi al cancello, nascosto dietro il tronco di un albero.

– Ehi, giovanotto, abbassa il fucile che io non son né una tigre né un babirussa – disse il portoghese rattenendo il cavallo. – Per Giove! Non vedi che io sono un tuo collega, anzi un tuo superiore?

– Scusate, ma ho l’ordine di non lasciar entrare nessuno senza sapere da che parte viene e cosa desidera.

– Animale! Io vengo qui per ordine del baronetto William Rosenthal e mi reco dal lord.

– Passate!

Aprì il cancello, chiamò alcuni camerati che passeggiavano nel parco per avvertirli di ciò che accadeva e si fece da una parte.

– Hum! – fé il portoghese stringendosi nelle spalle e spingendo innanzi il cavallo. – Quante precauzioni e quanta paura regna qui.

Si fermò dinanzi alla palazzina e balzò a terra fra sei soldati che lo avevano circondato coi fucili in mano.

– Dov’è il lord? – chiese egli.

– Nel suo gabinetto – rispose il sergente comandante del drappello.

– Conducetemi subito da lui che mi preme parlargli.

– Venite da Vittoria?

– Precisamente.

– E non avete incontrato i pirati di Mompracem?

– Nemmeno uno, camerata. Quei furfanti hanno ben altro da fare in questo momento che di ronzare qui. Orsù, conducetemi dal lord.

– Venite.

Il portoghese fece appello a tutta la sua audacia per affrontare il pericoloso uomo e seguì il comandante affettando la calma e la rigidezza della razza anglosassone.

– Aspettate qui – disse il sergente dopo d’averlo fatto entrare in un salotto.

Il portoghese rimasto solo si mise a osservare attentamente tutto per vedere se era possibile un colpo di mano, ma dovette convincersi che ogni tentativo sarebbe stato inutile essendo altissime le finestre e grosse le muraglie e le porte.

– Non importa – mormorò. – Il colpo lo faremo nel bosco.

In quel momento rientrava il sergente.

– Il lord vi aspetta – disse additandogli la porta lasciata aperta.

Il portoghese si sentì correre per le ossa un brivido e impallidì un po’.

– Yanez mio, sii prudente e saldo – mormorò.

Entrò colla mano dritta sul cappello e si trovò in un grazioso gabinetto, arredato con molta eleganza. In un angolo, seduto dinanzi ad un tavolo da lavoro stava il lord, vestito semplicemente di bianco, col volto tetro e lo sguardo corrucciato.

Egli guardò in silenzio Yanez figgendogli gli occhi addosso come se volesse indagare i pensieri del nuovo venuto, poi disse con un accento secco:

– Venite da Vittoria?

– Sì, milord – rispose Yanez con voce ferma.

– Da parte del baronetto?

– Sì.

– Vi ha dato qualche lettera per me?

– Nessuna.

– Avete da dirmi qualche cosa?

– Sì, milord.

– Parlate.

– Mi ha mandato a dirvi che la Tigre della Malesia è circondata dalle truppe in una baia del sud.

Il lord balzò in piedi cogli occhi sfavillanti e il viso raggiante.

– La Tigre circondata dai nostri soldati! – esclamò.

– Sì e pare che sia finita per sempre per quel furfante, poiché non ha più scampo.

– Ma siete ben certo di quello che dite?

– Certissimo, milord.

– Chi siete voi?

– Un parente del baronetto William – rispose Yanez audacemente.

– Ma da quanto tempo vi trovate a Labuan?

– Da quindici giorni.

– Voi adunque saprete anche che mia nipote…

– È la fidanzata di mio cugino William – disse Yanez sorridendo.

– Ho molto piacere di fare la vostra conoscenza signore – disse il lord stendendogli la mano. – Ma ditemi, quando venne assalito Sandokan?

– Stamane all’alba mentre attraversava un bosco alla testa di una grossa banda di pirati.

– Ma quell’uomo è adunque il demonio. Ieri sera era qui! Possibile che in sette od otto ore abbia percorso tanta strada?

– Si dice che avesse dei cavalli con sé.

– Ora comprendo. E dov’è il mio amico William?

– È alla testa delle truppe.

– Eravate assieme a lui?

– Sì, milord.

– E sono molto lontani i pirati?

– Una decina di miglia.

– Vi ha dato nessun altro incarico?

– Mi ha pregato di dirvi di abbandonare subito la villa e di portarvi senza indugio a Vittoria.

– Perché?

– Voi sapete milord che razza d’uomo è la Tigre della Malesia. Ha con sé ottanta uomini, ottanta tigrotti e potrebbe vincere le nostre truppe, attraversare in un baleno i boschi e gettarsi sulla villa.

Il lord lo guardò in silenzio come fosse stato colpito da quel ragionamento, poi disse come parlando a se stesso:

– Infatti, ciò potrebbe accadere. Sotto i forti e le navi di Vittoria mi sentirei più sicuro di qui. Quel caro William ha proprio ragione, tanto più che la via per momento è libera.

«Ah, mia signora nipote ve la strapperò io la passione che avete per quell’eroe da forca! Dovessi spezzarvi come una canna, mi obbedirete e sposerete l’uomo che vi ho destinato!»

Yanez portò involontariamente la mano all’elsa della sciabola ma si trattenne ben comprendendo che la morte del feroce vecchio a nulla avrebbe giovato con tanti soldati che si trovavano nella villa.

– Milord – disse invece. – Mi permettereste di visitare la mia futura parente?

– Avete qualche cosa da dirle, da parte di William?

– Sì, milord.

– Vi accoglierà male.

– Non importa, milord – rispose Yanez sorridendo. – Io le dirò ciò che mi disse William, poi tornerò qui.

Il vecchio capitano premè un bottone. Un servo subito entrò.

– Conducete questo signore da milady – disse il lord.

– Grazie – rispose Yanez.

– Cercate di convertirla e poi raggiungetemi che pranzeremo assieme.

Yanez s’inchinò e seguì il servo che lo introdusse in un salotto tappezzato in azzurro e ornato da un gran numero di piante, che spandevano all’intorno deliziosi profumi.

 

Il portoghese lasciò che il servo uscisse, poi s’inoltrò lentamente e attraverso le piante che trasformavano quel salotto in una serra, scorse una forma umana, coperta di una candida veste,

Egli, quantunque preparato a qualunque sorpresa, non potè frenare un grido di ammirazione dinanzi a quella splendida giovanetta.

Ella era coricata, in una posa graziosa, con un abbandono pieno di malinconia, su di una ottomana orientale dalla cui serica stoffa scaturivano sprazzi d’oro.

Con una mano si sosteneva la testolina, da cui cadevano come pioggia d’oro quegli stupendi capelli, che formavano l’ammirazione di tutti e con l’altra strappava nervosamente i fiori che le stavano vicini.

Era tetra, pallida, e i suoi occhi azzurri, ordinariamente così tranquilli, mandavano lampi che tradivano la collera mal repressa.

Vedendo Yanez avanzarsi, ella si scosse passandosi una mano sulla fronte a più riprese, come se si risvegliasse da un sonno e fissò su di lui uno sguardo acuto.

– Chi siete voi? – chiese con voce fremente. – Chi vi ha data la libertà di entrare qui?

– Il lord, milady – rispose Yanez che divorava cogli occhi quella creatura che trovava immensamente bella, più di quanto gliela aveva descritta Sandokan.

– E che volete da me?

– Una domanda prima di tutto – disse Yanez, guardandosi attorno per assicurarsi che erano proprio soli.

– Parlate.

– Credete che nessuno possa udirci?

Ella corrugò la fronte e lo guardò fisso, come se volesse leggergli nel cuore e indovinare il motivo di quella domanda.

– Siamo soli – rispose dopo.

– Ebbene, milady, io vengo da assai lontano…

– Da dove?…

– Da Mompracem!

Marianna balzò in piedi come spinta da una molla e il suo pallore scomparve per incanto.

– Da Mompracem! – esclamò arrossendo. – Voi… un bianco… un inglese!…

– V’ingannate, lady Marianna, io non sono inglese, io sono Yanez!

– Yanez, l’amico, il fratello di Sandokan! Ah signore, quale audacia entrare in questa villa! Ditemi, dov’è Sandokan? Che fa egli? Si è salvato o è ferito? Parlatemi di lui o mi farete morire.

– Abbassate la voce, milady; le pareti possono avere degli orecchie.

– Parlatemi di lui, valoroso amico, parlatemi del mio Sandokan.

– Egli è vivo ancora, più vivo di prima, milady. Siamo sfuggiti all’inseguimento dei soldati senza troppa fatica e senza riportare ferite. Sandokan ora si trova imboscato sul sentiero che mena a Vittoria, pronto a rapirvi.

– Ah! Dio mio quanto vi ringrazio di averlo protetto! – esclamò la giovanetta colle lagrime agli occhi.

– Ascoltatemi ora, milady.

– Parlate, mio prode amico.

– Io sono venuto qui per decidere il lord ad abbandonare la villa e ritirarsi a Vittoria.

– A Vittoria! Ma giunti là come mi rapirete?

– Sandokan non aspetterà tanto, milady – disse Yanez sorridendo. – È imboscato coi suoi uomini, assalirà la scorta e vi rapirà appena fuori dalla villa.

– E mio zio?

– Lo risparmieremo, ve lo assicuro.

– E mi rapirete?

– Sì, milady.

– E dove mi condurrà Sandokan?

– Alla sua isola.

Marianna chinò il capo sul petto e tacque.

– Milady – disse Yanez con voce grave. – Non temete, Sandokan è uno di quegli uomini che sanno far felice la donna che amano. Fu uomo terribile, crudele anche, ma l’amore lo ha cambiato e vi giuro, signorina, che mai vi pentirete di essere diventata la moglie della Tigre della Malesia.

– Vi credo – rispose Marianna. – Che importa se il suo passato fu tremendo, se ha immolato vittime a centinaia, se ha commesso vendette atroci?

«Egli mi adora, egli farà per me tutto ciò che io gli dirò, io farò di lui un altro uomo. Io abbandonerò la mia isola, egli abbandonerà la sua Mompracem, andremo lontani da questi mari funesti, tanto lontani da non udirne più mai parlare.

«In un angolo del mondo dimenticati da tutti, ma felici, noi vivremo assieme e nessuno mai saprà che il marito della «Perla di Labuan» è l’antica Tigre della Malesia, l’uomo che ha fatto tremare regni e che ha versato tanto sangue. Sì, io sarò sua sposa, oggi, domani, sempre e l’amerò sempre!»

– Ah! divina lady!. – esclamò Yanez, cadendo alle sue ginocchia. – Ditemi cosa posso fare per voi, pur di liberarvi e di condurvi da Sandokan, dal mio buon amico, dal mio fratello.

– Avete fatto fin troppo venendo qui e vi serberò riconoscenza fino alla morte.

– Ma ciò non basta: bisogna decidere il lord a ritirarsi a Vittoria per dar campo a Sandokan di agire.

– Ma se io parlo, mio zio che è diventato estremamente sospettoso, temerà qualche tradimento e non abbandonerà la villa.

– Avete ragione, adorabile milady. Ma credo che ormai abbia deciso di lasciare la villa e di ritirarsi a Vittoria. Se ha qualche dubbio cercherò io di farlo risolvere.

– State in guardia, signor Yanez, perché egli è assai diffidente e potrebbe fiutare qualche cosa. Siete un bianco, è vero, ma quell’uomo forse sa che Sandokan ha un amico dalla pelle pallida.

– Sarò prudente.

– Vi aspetta il lord?

– Sì, milady, mi ha invitato a cena.

– Andateci, onde non si metta in sospetto.

– E voi verrete?

– Sì, più tardi ci rivedremo.

– Addio milady – disse Yanez baciandole cavalierescamente la mano.

– Andate nobile cuore; io non vi dimenticherò mai.

Il portoghese uscì come ubriaco, abbarbagliato da quella splendida creatura.

– Per Giove! – esclamò dirigendosi verso il gabinetto del lord. – Non ho mai veduto una donna così bella e, davvero, comincio a invidiare quel briccone di Sandokan.

Il lord l’attendeva passeggiando innanzi e indietro, colla fronte aggrottata e le braccia strettamente incrociate.

– Ebbene, giovinotto, che accoglienza vi ha fatto mia nipote? – chiese con voce dura e ironica.

– Pare che non ami udir parlare di mio cugino William – rispose Yanez. – Poco mancò che mi scacciasse.

Il lord crollò il capo e le sue rughe divennero profonde.

– Sempre così! Sempre così! – mormorò coi denti stretti.

Si rimise a passeggiare, rinchiuso in un silenzio feroce, agitando nervosamente le dita, poi fermandosi dinanzi a Yanez che lo guardava senza fare un gesto, gli chiese:

– Cosa mi consigliate di fare?

– Vi ho già detto, milord, che la miglior cosa da farsi è quella di andare a Vittoria.

– È vero.

– Credete voi che mia nipote possa un giorno amare William? – gli domandò.

– Lo spero, milord, ma bisogna prima che la Tigre della Malesia muoia – rispose Yanez.

– Riusciranno a ucciderla?

– La banda è circondata dalle nostre truppe e William le comanda.

– Sì, è vero, l’ucciderà o si farà uccidere da Sandokan. Lo conosco quel giovinotto, è destro e coraggioso.

Tacque ancora e si mise alla finestra guardando il sole che lentamente tramontava. Rientrò dopo pochi minuti dicendo:

– Voi dunque mi consigliate di partire?

– Sì milord – rispose Yanez. – Approfittate della buona occasione per abbandonare la villa e rifugiarvi a Vittoria.

– E se Sandokan avesse lasciati alcuni uomini imboscati nei dintorni del parco? Mi hanno detto che v’era con lui quell’uomo bianco che si chiama Yanez, un audace che forse non cede alla Tigre della Malesia.

– Grazie del complimento – mormorò in cuor suo Yanez, facendo uno sforzo supremo per trattenere le risa.

Poi guardando il lord, disse:

– Voi avete una scorta sufficiente per respingere un attacco.

– Prima era numerosa, ma ora non lo è più. Ho dovuto rimandare al governatore di Vittoria molti uomini, avendone lui urgente bisogno. Voi sapete che la guarnigione dell’isola è molto scarsa.

– Questo è vero, milord.

Il vecchio capitano s’era rimesso a passeggiare con una certa agitazione. Pareva che fosse tormentato da un grave pensiero o da una profonda perplessità. Ad un tratto si avvicinò bruscamente a Yanez, chiedendogli:

– Voi non avete incontrato nessuno venendo qui, è vero?

– Nessuno, milord.

– Non avete notato nulla di sospetto?

– No, milord.

– Quindi si potrebbe tentare la ritirata?

– Lo credo.

– Eppure dubito.

– Che cosa milord!

– Che tutti i pirati siano partiti.

– Milord, io non ho paura di quei furfanti. Volete che faccia una gita nei dintorni?

– Ve ne sarei grato. Volete una scorta?

– No, milord. Preferisco andarmene solo. Un uomo può cacciarsi anche in mezzo ai boschi senza attirare l’attenzione dei nemici, mentre più uomini difficilmente potrebbero sfuggire ad una sentinella vigilante.

– Avete ragione, giovinotto. Quando partirete?

– Subito. In un paio d’ore si può fare molto cammino.

– Il sole è prossimo al tramonto.

– Meglio così, milord.

– Non avete paura?

– Quando sono armato non temo chicchessia.

– Buon sangue quello dei Rosenthal – mormorò il lord. – Andate, giovinotto, io vi aspetto a cena.

– Ah! milord! Un soldato!…

– Forse che non siete un gentleman? E poi fra breve noi possiamo diventare parenti.

– Grazie, milord – disse Yanez. – Fra un paio d’ore sarò di ritorno.

Salutò militarmente, si mise la sciabola sotto il braccio e scese flemmaticamente le scale inoltrandosi nel parco.

– Andiamo a cercare Sandokan – mormorò, quando fu lontano. – Diamine! Bisogna accontentare il lord? Vedrai mio caro che esplorazione farò io! Puoi essere certo fin d’ora che io non avrò incontrato nemmeno una traccia di pirati.