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La favorita del Mahdi

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CAPITOLO XIII. Il Delatore

All’indomani il campo egiziano era tutto in confusione. Fanti, artiglieri e cavalieri andavano e venivano frettolosamente e lavoravano con febbrile alacrità; gli uni piegavano le tende e le arrotolavano accuratamente, altri scioglievano fasci di fucili e li consegnavano ai rispettivi proprietari, altri ancora si aiutavano reciprocamente a mettersi in ispalla gli zaini, a incinghiare le gamelle e le giberne. Si tiravano i cannoni e se li aggiogavano ai muli o agli asini, si insellavano i cavalli, si caricavano i cammelli e si conducevano in furia ai pozzi a rinnovare le provviste d’acqua e ad una estremità dell’accampamento si formavano le compagnie che tosto si muovevano quale avanguardia.

Si capiva subito che gli Egiziani levavano il campo. Alla notte erano giunti i rinforzi da Chartum, consistenti per lo più in artiglieri, e Dhafar pascià aveva dato il comando di prepararsi per mettersi in viaggio onde raggiungere l’esercito comandato dai pascià Hicks e Aladin.

Nel momento che maggiore era l’animazione, un uomo avvolto accuratamente in un gran taub alla beduina che gli lasciava scoperti solamente gli occhi, entrava nel campo, senza essere quasi visto.

Lo sconosciuto si fermò un momento dietro ad un gruppo di cammelli inginocchiati che aspettavano il carico, guardò con grande attenzione qua e là come cercasse qualche volto di sua conoscenza, poi tirò innanzi con passo quasi furtivo, oltrepassò in furia le tende degli ufficiali e dello stato maggiore coprendosi col taub persino il capo e s’arrestò dinanzi alla tenda di Dhafar pascià sulla cui cima ondeggiava la bandiera egiziana.

Alto là! gli intimò la sentinella che vegliava dinanzi l’entrata.

Lo sconosciuto mostrò il suo volto e fece volare in aria un tallero. La sentinella si tirò prestamente da un lato presentandogli l’arma non senza un gesto di sorpresa e di terrore.

Non aver paura che non sono uno spettro, disse lo sconosciuto, sorridendo. Quando parte il grosso della truppa?

Fra due ore, rispose la sentinella.

Con chi è Dhafar pascià?

Coi suoi aiutanti di campo.

Va a dirgli ch’io debbo parlargli immediatamente ma che desidero sia solo.

La sentinella chiamò un compagno, gli consegnò il fucile ed entrò precipitosamente nella tenda. Poco dopo uscì seguito da tre aiutanti di campo.

Vi aspetta, diss’egli.

Lo sconosciuto entrò e trovò Dhafar pascià in piedi dinanzi ad un tavolino ingombro di carte geografiche.

Il pascià retrocesse vivamente, quando lo sconosciuto lasciò cadere a terra il taub.

Notis! esclamò egli con terrore. Non è possibile!

Sì, sono Notis, Dhafar pascià, rispose il greco. Quel Notis che tutti credevano morto nelle foreste del Bahr-el-Abiad

Ma come mai siete vivo?… M’avevano narrato che Abd-el-Kerim vi aveva cacciato la scimitarra attraverso il corpo e che eravate caduto in uno stagno profondissimo.

È vero, disse Notis, ma i greci hanno l’anima incavigliata.

Non capisco come siate risorto.

È facilissimo, pascià! Quando Abd-el-Kerim mi lasciò nello stagno, non ero ancora spirato. Un beduino, passando poco dopo per la foresta, udì i miei gemiti e mi raccolse. Languii più giorni nella sua tenda ma finalmente guarii ed ora ritorno al campo.

Per riprendere il comando della vostra compagnia?

Niente affatto, Ecco qui una lettera firmata dal mudir di Chartum il quale mi concede il congedo di due anni; mia sorella me la recò tre giorni or sono.

Ah! fe’ Dhafar sorpreso. È qui vostra sorella Elenka?

No, è accampata alle ruine di El-Garch.

E allora che volete da me? chiese il pascià dopo di aver letta la lettera che Notis gli porgeva.

Siamo perfettamente soli?

Assolutamente soli.

Dhafar pascià, disse Notis gravemente, nelle vostre file avete una spia di quel cane di Mahdi.

Nelle mie file, esclamò il pascià. Chi può essere mai?

Una donna che fu la favorita del Mahdi e che ora divenne l’amante di Abd-el-Kerim.

Fathma!

Sì, proprio l’almea Fathma, mandata qui dal suo signore per tradirvi tutti quanti e farvi uccidere prima che abbiate a raggiungere l’armata d’Hicks pascià.

È forse una rivincita che tentate contro Abd-el-Kerim?

Non mi curo più di quell’arabo. Lo disprezzo e ciò per me basta.

Ma sapete che se è vero quello che asserite Fathma è perduta?

Che farete di quella donna? chiese Notis la cui voce tremavagli leggermente.

La faccio fucilare subito.

Il greco impallidì ma non fece nessun motto che tradisse la violenta emozione che agitavalo. Comprese subito che era andato troppo innanzi e che correva rischio di perdere per sempre Fathma, ma non si scoraggiò.

Se la fate fucilare, è una grande disgrazia, disse.

Perchè mai? I ribelli non meritano compassione, anzi nemmeno quartiere.

Io, se fossi in voi, la manderei a Chartum e ve la terrei come ostaggio. Il Mahdi l’ama, e potrebbe servirsi per scambiarla contro qualche personaggio importante che avesse la sfortuna di cadere nelle mani dei ribelli.

Confesso che voi ne sapete più di me, ma chi mi assicura che essa fu la favorita del Mahdi? L’accusa è gravissima.

Lo assicurerà un dongolese che la vide più volte a El-Obeid.

Dove si trova quest’uomo?

Il greco uscì dalla tenda e mandò un fischio stridulo, poi sparò in aria un colpo di pistola. Tosto si vide accorrere verso il campo un selvaggio seminudo, armato di una lunga lancia; in poco tempo giunse alla tenda e fu condotto alla presenza del pascià.

Tu sei dongolese, non è vero? chiese Dhafar, guardandolo con curiosità.

Si, padrone, rispose il negro,

Da dove vieni?

Da El-Obeid dove accampava il ribelle Mohamed Ahmed.

Conosci tu Fathma?

Sì, era la favorita del Mahdi, La vidi più volte a El-Obeid.

Basta, così, puoi andartene

Il negro se ne andò dopo d’aver scambiato un rapido sguardo col greco.

Che fate ora? chiese Notis dopo qualche istante di silenzio.

Faccio arrestare Fathma e condurre sotto buona scorta a Chartum.

Ma Abd-el-Kerim la seguirà, innamorato come è, e potrebbe corrompere la scorta e liberare la prigioniera.

Lo so, ma Abd-el-Kerim lo terrò al campo.

Ho anzi qui una lettera del governatore di Chartum, il quale vi impone di condurre con voi Abd-el-Kerim ricorrendo, qualora vi fosse bisogno, alla forza.

Come mai al governatore saltò in capo di obbligarmi a fare questo? chiese Dhafar, leggendo la seconda lettera che il greco aveva levata dalla saccoccia.

L’ignoro, ma probabilmente deve esserci il suo perchè.

Dhafar guardò fissamente Notis e scosse il capo.

A chi affiderete il comando della scorta? incalzò il tenente.

Ad uno dei miei aiutanti di campo.

E perchè no a me?

Un risolino malizioso apparve sulle labbra del pascià.

Perchè potreste fare quello che farebbe Abd-el-Kerim. Mi dissero che la causa del duello fu una donna e questa donna è precisamente la stessa che voi accusate. Basta così, ubbidisco e voi ubbidite.

Il greco a mala pena frenò un motto di dispetto Dhafar pascià battè tre volte le mani nel momento istesso che al di fuori echeggiavano le trombe e rullavano i tamburi.

Un aiutante di campo accorse.

Prendete con voi dieci uomini, gli disse il pascià, e andate ad arrestare Fathma. Viva o morta la condurrete qui.

L’aiutante di campo s’inchinò, uscì e chiamò dieci soldati, ai quali fece caricare le armi e inastare le daghe. Stava per dare il comando di marciare quando fu raggiunto dal greco Notis.

Kebir, diss’egli, facendogli scivolare in una saccoccia una borsa ricolma di talleri. Guai a te se torci un capello all’almea.

Non temere di nulla, Notis, rispose l’aiutante. Ti comprendo di volo.

Va ora, e sta attento ad Abd-el-Kerim.

L’aiutante si pose in cammino seguito dai dieci soldati e ad una certa distanza dal greco che s’era tutto coperto col taub. Attraversarono il campo nel quale si ordinavano le compagnie e giunsero alla casupola di Fathma nel momento che l’almea appariva alla porta accompagnata da Abd-el-Kerim e dal capitano Hassarn.

Alto là! intimò Kebir, sguainando la scimitarra.

Alla vista dell’aiutante di campo di Dhafar pascià colla scimitarra in mano e dei dieci soldati colle baionette in canna, un brivido di terrore era passato per le ossa di Fathma e di Abd-el-Kerim. Essi s’arrestarono, guardandosi in viso con ansietà e con meraviglia, non sapendo spiegare il perchè di quella presenza di soldati armati.

Che significa ciò? chiese l’arabo con stupore.

Ho l’ordine d’arrestare uno di voi, rispose Kebir.

Uno di noi? esclamarono tutti e tre ad un tempo.

Fathma, disse l’aiutante ponendole una mano sulla spalla, in nome di Dhafar pascià io ti arresto!…

Un grido d’orrore e d’angoscia sfuggì dalle labbra dell’almea.

Io arrestata! balbettò la poveretta… Io… io!…

È impossibile! gridò Abd-el-Kerim, dando indietro.

Qui c’è uno sbaglio, disse Hassarn. Tu vuoi scherzare, Kebir.

Ti dico io, Hassarn, che ebbi l’ordine d’arrestare l’almea Fathma, replicò l’aiutante di campo.

 

Ma di che sono accusata?… Non ho fatto male a nessuno, io.

Ignoro perfettamente il motivo.

Kebir, disse Abd-el-Kerim con voce rauca. Non ischerzare, o per Allàh io ti spacco il cranio.

Io obbedisco e nulla di più. Dhafar pascià ti dirà il perchè fece arrestare la tua amante. Orsù, spicciamoci che si sta per partire.

Ma io non sono colpevole! esclamò Fathma che tremava come fosse assalita da violentissima febbre. Abd-el-Kerim, oh! io ho paura, non voglio venire, non ho fatto nulla per venire arrestata, salvami.

Coraggio, Fathma, disse l’arabo, cingendola con ambe le braccia. Non temere di nulla che siamo qui noi a difenderti, Dhafar pascià non può essersi che ingannato, vieni con noi senza tremare. Io e Hassarn siamo abbastanza potenti per disperdere un’accusa, se questa vi sarà.

I soldati li avevano circondati tutti e tre. Abd-el-Kerim passò il suo braccio sotto quello di Fathma e il drappello si mosse verso il campo.

Fathma, disse l’arabo. Fatti coraggio.

L’almea era pallidissima e camminava a gran pena appoggiandosi o meglio abbandonandosi al braccio del fidanzato.

Ho paura, mio povero Abd-el-Kerim, diss’ella con voce fioca.

«Ho dei sinistri presentimenti che invano cerco di scacciare, dei presentimenti che mi straziano il cuore e che me lo fanno sanguinare. Se io venissi realmente arrestata? O Dio, qual terribile pensiero!»

Ci siamo noi e non ti abbandoneremo mai, disse Hassarn.

Non so, continuò l’almea, ma ho paura che qualcuno ci attraversi ancora la via, che qualcuno cerchi ancora di separarci.

Ma chi mai? chiese Abd-el-Kerim che nondimeno sentivasi agitato da vaghi timori. Nè Notis, nè Elenka ardivano mostrarsi al campo, e poi, per che fare? Di che accusarti?

Che ne so io? Sono sì mostruosi quel fratello e quella sorella!

Guai a loro se avessero ad accusarti dinanzi a Dhafar pascià.

Quando giunsero al campo il piccolo esercito ne usciva, fra uno squillar acuto di trombe, un rullare fragoroso di tamburi e gli evviva della popolazione d’Hossanieh, accorsa in massa a vederlo partire. I fanti marciavano in testa coi fucili in ispalla e le bandiere spiegate, i basci-bozuk caracollavano superbamente ai fianchi, colle scimitarre in pugno, che brillavano ai raggi del sole equatoriale e l’artiglieria veniva dietro spalleggiata da una moltitudine di mahari, di cammelli, d’asini e di cavalli carichi di viveri, di munizioni e persino d’armi.

Dhafar pascià appoggiato alla sua scimitarra, con una sigaretta fra le labbra, circondato dal suo stato maggiore che teneva un piede nelle staffe degli ardenti corsieri, assisteva impassibile allo sfilamento.

Abd-el-Kerim fu il primo a presentarsi dinanzi a lui.

Dhafar pascià, gli disse, piantandoglisi dinanzi con aria tutt’altro che rispettosa. Che scherzo avete voluto farmi?

Il pascià a quella domanda direttagli bruscamente e con tono quasi di minaccia, si volse colla fronte alquanto aggrottata.

Ah! sei tu, Abd-el-Kerim! esclamò. Credeva che tu arrivassi tardi.

No, arrivo in tempo, ma par chiedervi che scherzo m’avete fatto. Chi vi suggerì l’idea di far arrestare Fathma? Di che la si accusa?

Sei innamorato di quella donna!

Tutti lo sanno.

Credi a me, dimenticala. Essa è una spia.

Spia! spia! esclamò Fathma, facendosi innanzi coll’ira negli occhi. Mi accusi di essere una spia!

Voi siete stato ingannato, Dhafar pascià, disse Abd-el-Kerim con violenza. Come accusare questa donna di essere una spia?

Chi ve lo disse? chiese Hassarn. Io rispondo di Fathma come di me stesso, Dhafar.

Calma, calma amici, disse il pascià. Rispondi, Fathma. Non fosti tu a El Obeid la favorita del ribelle Mohamed Ahmed?

L’almea presa alla sprovveduta tremò tutta. Comprese subito l’abisso in cui stava per cadere e fece appello a tutto il suo coraggio per non perdersi.

No, diss’ella risolutamente. Non conobbi mai il falso profeta.

Oh! esclamò il pascià. Tu menti, te l’assicuro, tu menti!

No, te lo ripeto pascià, non conobbi mai il Mahdi.

Giuralo.

L’almea impallidì e si tacque, ma vide gli sguardi penetranti di Abd-el-Kerim fissi nei suoi come per incoraggiarla e non esitò più.

Lo giuro sul Corano, diss’ella, alzando la destra.

Abd-el-Kerim e Hassarn respirarono. Credettero che fosse salva, ma questa speranza durò un lampo. S’udì il lamentevole urlo dello sciacallo e subito dopo un selvaggio fendè il cerchio formato dallo stato maggiore. Era il dongolese che Notis aveva presentato a Dhafar pascià. Egli camminò dritto verso l›almea e toccandole con un dito il seno le gridò:

Spergiura!

S’udì un mormorio di sorpresa. Gli ufficiali si strinsero vieppiù attorno a quel gruppo ansiosi di vedere come la sarebbe finita.

Spergiura! ripetè il dongolese.

Abd-el-Kerim fece un salto innanzi colla faccia alterata e le mani sulla guardia della scimitarra.

Chi sei? gli chiese con voce arrangolata.

Un dongolese che militò sotto le bandiere del Mahdi e che poi disertò per passare sotto quelle di Yossif pascià. Sono un superstite della strage di Kadir.

E tu dici?…

Che quella donna mente.

Io! esclamò la povera almea, che perdeva il suo sangue freddo.

Sì! tu menti, ripetè il dongolese con maggior forza. Io ti vidi a El-Obeid quando tu eri la favorita del Mahdi!

Fathma mandò un grido terribile e tentò gettarsi sul dongolese, ma i soldati l’afferrarono pei polsi. Abd-el-Kerim mise mano alla scimitarra.

Miserabile! urlò egli.

Gli ufficiali però lo disarmarono, trascinandolo via come pure disarmarono il capitano Hassarn che aveva puntata una pistola sul delatore.

Arrestate quella donna, disse Dhafar pascià, e conducetela a Chartum.

Non fatelo! Non fatelo!… urlò Abd-el-Kerim che fuori di sè dibattevasi disperatamente fra gli ufficiali.

Arrestate quella donna, e trascinatela via, replicò Dhafar imperiosamente.

I soldati afferrarono l’almea e la portarono via malgrado le strazianti sue grida e i suoi sforzi sovrumani.

Aiuto, Abd-el-Kerim, aiuto, Hassarn, ripeteva la poveretta.

L’arabo cercò di correre in suo aiuto seco trascinando gli ufficiali ma si fermò dinanzi al pascià che, tratto dalla cintura un revolver, lo toglieva di mira.

Se tu la segui io ti ammazzo, gli disse Dhafar.

Lasciami andare che io diserto la mia bandiera, lascia che io segua colei che amo più della mia vita, urlò Abd-el-Kerim, che pareva un pazzo. Degradami se vuoi ma lascia che io vada con lei a Chartum, che io la protegga, che io la discolpi.

Abd-el-Kerim, ho ordini formali del governatore di Chartum di condurti meco e io ti condurrò al sud.

Ad un suo cenno dodici o quindici neri s’impadronirono dello sventurato arabo, lo rovesciarono, lo legarono saldamente e lo trascinarono a viva forza. Hassarn che aveva sguainata la scimitarra, circondato da ogni lato, fu costretto ad abbandonare ogni difesa e a lasciarsi arrestare.

A cavallo, comandò il pascià.

Lo stato maggiore salì in sella e si affrettò a raggiungere il piccolo esercito che si dirigeva verso i monti Kaid. Nel medesimo istante echeggiò un gran scroscio di risa beffarde e il greco Notis apparve.

Egli tese le mani l’una verso il sud dove veniva trascinato Abd-el-Kerim e l’altra verso il nord dove veniva trascinata Fathma.

Io al nord ed Elenka al sud, diss’egli. I greci hanno vinto gli arabi.

CAPITOLO XIV. La caccia all’almea

L’esercito egiziano era ormai scomparso dietro le colline quando il greco lasciò il campo.

Egli raggiunse il villaggio d’Hossanieh, ben avvolto nel taub, attraversò rapidamente quel laberinto di viuzze ingombre di cammelli carichi per lo più di gomma o di durah e guadagnò un’altura sulla quale il dongolese che aveva accusata l’almea, canterellava dei versetti dell’Alcorano.

Ah! sei qui, disse il greco. Ti ringrazio innanzi a tutto del servigio che hai reso alla favorita del Mahdi.

Ringraziate vostra sorella che mi diede l’imbeccata, rispose il dongolese. Bisogna proprio dire che è una gran furba.

È greca e ciò basta. Hai veduto alcuno?

Fit Debbeud e i suoi sono nascosti a cinquecento passi da qui e non attendono che il segnale per venire.

Non perdiamo tempo allora.

Trasse una pistola e la sparò in aria; una detonazione analoga facevasi udire pochi secondi dopo.

Quasi subito una banda di mahari uscì da un macchione di palme deleb e si diresse a tutta corsa verso l’altura. In testa cavalcava Fit Debbeud, riconoscibile pel suo fez rosso e le bardature lucenti del suo cammello, e al suo fianco cavalcava, Elenka colla carabina in mano e la lunga capigliatura, cosparsa di monete d’oro, sciolta al vento.

Giunti ai piedi del colle lo sceicco e la greca discesero di sella e raggiunsero Notis che aveva acceso pacificamente il suo scibouk.

Ebbene, fratello, chiese Elenka con voce un po’ alterata e pigliandogli una mano.

Tutto è andato bene, rispose Notis.

Ah!.. esclamò la greca con gioia feroce. I Greci hanno battuto gli Arabi.

Si, sorella, i Greci hanno vinto gli Arabi.

Fathma adunque?…

È condotta prigioniera a Chartum.

E lui?…

E lui segue l’esercito.

L’ha abbandonata forse?…

Oibò! Abd-el-Kerim è più innamorato di prima.

Sulla nivea fronte della greca si disegnò una profonda ruga.

Ancora, diss’ella con dispetto. Come è avvenuta la separazione?

Furono separati colla forza e poco mancò che Dhafar pascià non uccidesse l’arabo con un colpo di revolver. Il maledetto aveva tratta la scimitarra per accorrere in aiuto di Fathma.

E che facciamo ora?

Io vado dietro l’almea e tu ad Abd-el-Kerim; questo è quello che ci rimane a fare.

Ma se Abd-el-Kerim è così fortemente innamorato di Fathma, alla prima occasione diserterà per raggiungerla.

Ecco quello che tu dovrai impedire. Dhafar pascià ti darà man forte per trattenerlo al campo.

Ho paura di non riuscire nel mio intento, Notis. Se ama tanto l’almea giammai acconsentirà a diventare mio fidanzato dopo quel che feci.

Bah? fe’ il greco, alzando le spalle. Il tempo cicatrizza le ferite e cicatrizzerà anche quella di Abd-el-Kerim. Seguilo, mostrati premurosa e sottomessa a lui, salvalo quando puoi salvarlo e affascinalo appena che lo potrai fare senza pericolo. Hai il tuo mahari, armi e argento, unisco a tutto ciò il mio schiavo Takir onde ti protegga: va con Dio!

E tu!

Io vado dietro a Fathma, la raggiungo, sbaraglio la sua scorta e me la porto a Quetêna oppure in qualche altra città, forse a Chartum.

Sicchè forse non ci rivedremo più.

Chi sa? Se Dio lo vuole! Del resto non c’è altra scappatoia: o andare o restare, che equivale a vincere o perdere. Scegli!

Parto pel sud.

Ed io parto pel nord.

Il greco prese Elenka per mano e scesero la collina seguiti dallo sceicco che non apriva bocca.

Va, sorella, che il tempo stringe e sii forte e prudente, disse Notis, quando giunsero al piano.

È per me doloroso separarci per sempre, fratello.

Dio lo vuole.

Elenka salì sul suo mahari, dopo aver abbracciato il fratello; gli strinse un’ultima volta la mano e partì rapidamente accompagnata dal nubiano. Tre volte volse la testa indietro salutando col fazzoletto.... poi sparve in mezzo ai campi di durah e alle foreste di tamarindi.

Povera sorella, mormorò Notis sospirando. Ho il presentimento di non rivederla più mai!

Egli rimase lì colle braccia incrociate sul petto e lo sguardo fisso verso il luogo ove era scomparsa Elenka. Lo sceicco lo trasse da quei tetri pensieri battendogli sulle spalle.

Non bisogna stare qui troppo, gli disse.

Hai ragione, Fit Debbeud, rispose il greco.

 

Che via prendiamo?

Quella di Chartum. Prima che il sole tramonti bisogna che Fathma sia in mia mano.

E colla scorta, come si farà?

Adopereremo le nostre armi e li uccideremo dal primo all’ultimo.

Quando è così, siamo tutti pronti. In sella compagni!

Il drappello si mise in marcia senza troppo affrettarsi, volendo raggiungere la scorta in sulla sera, nel momento che accampava, onde impedirle che potesse salvarsi colla fuga. Notis aveva sommo interesse che nessuno sopravvivesse, onde evitare che si recassero a Chartum a denunciarlo e quindi a perderlo.

Passato Hossanieh essi s’inoltrarono nelle vaste pianure del nord adorne di cespugli, di gruppi di palme e di grandi zone di papaveri alti più di un metro e carichi di capsule grosse come uova di gallina nel cui interno, non di rado, contengono più di trentaduemila semi, e abbelliti da grandi fiori bianchi, rossi, rosei, violetti e più spesso screziati.

Notis e lo sceicco si misero alla testa, ritti in sulla gobba degli animali onde abbracciare maggior orizzonte e gli altri si misero a loro dietro in lunga fila, colle lancie gettate a bandoliera e i moschettoni e gli jatagan in mano.

Credi che abbiamo fatto molta strada? chiese Notis dopo qualche tempo.

Dalle traccie lasciate sul suolo arguisco che i loro mahari andavano di corsa, rispose Fit Debbeud. Credo non ingannarmi se dico che siamo lontani da loro un cinque o sei miglia.

Dove ti sembra che si dirigano queste traccie?

Per ora si mantengono diritte ai monti Arab Mussa, ma sono sicuro che non tarderanno a piegare verso il Bahr-el-Abiad.

Credi tu che si rechino a Chartum pel fiume?

Sì, vi andranno pel fiume. Tu sai che vi sono delle bande d’insorti disperse per le Gemaije che vivono di saccheggio e che trafficano in carne umana. Gli Egiziani s’imbarcheranno, se non a Mahawir, almeno a Quetêna.

Non bisogna lasciare loro il tempo di giungere al fiume, disse Notis.

Non avere paura, padrone; questa notte accamperemo nella pianura.

Bisogna che noi li circondiamo per bene se vogliamo ammazzarli tutti quanti. Fathma cadrà in mia mano e allora sfido Allàh a portarmela via.

Non bestemmiare, disse lo sceicco sorridendo. E quando l’avrai, ritornerai tu a Chartum? Non mi pare che sia cosa prudente.

A Chartum vi andrò quando Fathma avrà dimenticato Abd-el-Kerim e che mi amerà. Se ve la conducessi prima sarebbe capace di tradirmi.

Uhm! sarà difficile estirpare dal suo cuore l’amore che aveva pel tuo rivale. Questo arabe, quando amano, rimangono fedeli fino all’ultimo respiro.

Ti ricordi quello che ho detto poco fa a mia sorella?

A proposito di che?

Le dissi che il tempo cicatrizza le ferite e che cicatrizzerà anche quella di Abd-el-Kerim. Così il tempo guarirà quella di Fathma. Non ho fretta, sono paziente e aspetterò che nel cuore di quell’almea si apra un’altra breccia.

E se non s’aprisse?

L’aprirò colla forza rispose Notis risolutamente. Ogni resistenza sarà vana dinanzi al mio amore che ormai è diventato gigantesco, impossibile a domarsi e più impossibile ad estinguersi.

Sta bene; e tua sorella Elenka riescirà ad affascinare quell’arabo dell’inferno?

Il greco sospirò più volte, crollando il capo, e sul suo volto passò un’ombra malinconica.

Ho paura che mia sorella non ritorni mai più dal Sudan, mormorò egli. Ho un brutto presentimento radicato fortemente nel cuore. Povera Elenka! Povera mia sorella!

Nessuno può vedere tua sorella senza fremere, senza sentirsi toccare il cuore, disse lo sceicco. Se Abd-al-Kerim non l’ha dimenticata del tutto, ho la certezza che tornerà ad amarla.

E credi tu che per questo sia salva? Il Sudan è tutto insorto e non dò un tallero di tutti gli Egiziani che hanno i pascià Hicks e Aladin. Il Mahdi è troppo possente per venire schiacciato.

Tua sorella è forte, Notis, più forte di una delle nostre donne, anzi più forte di un beduino. Eppoi, non si uccide una donna bella come lo è lei. Sono sicuro che se i ribelli vincono gli Egiziani, la risparmieranno, forse per darla al Mahdi.

Allora sarà perduta.

Chi sa, potrebbe diventare una favorita e tu sai quanto sono possenti le favorite.

Notis curvò il capo sul petto e si immerse in dolorose meditazioni, dimenticando persino l’almea. Lo sceicco si spinse innanzi collo sguardo fisso ora all’orizzonte e ora a terra dove vedevansi le traccie fresche della scorta, mettendosi a recitare i versetti del Corano.

Tutto il giorno la piccola carovana camminò ora al passo e ora al trotto, sempre dietro alle traccie che mantenevano una linea rigorosamente dritta in direzione di Quetêna, villaggio situato sulla riva destra del Bahr-el-Abiad.

Era quasi sera, quando lo sceicco che si alzava di frequente sulla gobba del mahari, scorse in distanza un gruppo di cammelli montati da uomini armati. Riconobbe subito la scorta che conduceva Fathma.

Alto là! diss’egli, alzando una mano verso i suoi uomini. Gli abbiamo raggiunti, Notis.

Il greco trasalì e si alzò in piedi sul collo del mahari. Egli potè distinguere i dieci egiziani e il loro caporale, che facevano corona a due cammelli portanti una specie di angareb sul quale scorgevasi qualche cosa di bianco che il venticello della sera alzava e abbassava a capriccio.

La vedi l’almea gli chiese lo sceicco.

Sì, rispose Notis che tremava per l’emozione. Essa è stesa su quell’angareb, forse malata.

Probabilmente prostrata di forze, disse Fit Debbeud. Tanto meglio per noi; la faremo prigioniera senza che opponga resistenza.

Dobbiamo seguirli o arrestarci qui?

Se li seguiamo così possono scoprirci e allarmarsi: ci conviene lasciare qui i mahari e seguirli a piedi. Non faremo tanta strada, lo vedrai, poichè le tenebre stanno per calare e tu sai che di notte, ora che il Sudan è sollevato a rivolta, nessuno si arrischia a viaggiare. Guarda che essi si dirigono verso quelle colline, probabilmente per accampare là presso.

Ad un suo comando i beduini smontarono e i cammelli vennero radunati in cerchio e legati gli uni cogli altri. Un uomo fu lasciato a guardia di loro e gli altri si misero in cammino rassentando i gruppi di bauinie, ora raddoppiando il passo e ora rallentandolo e nascondendosi quando qualcuno della scorta volgeva il capo indietro.

Dopo un’ora gli egiziani fecero alto su di una piccola elevazione del terreno, nelle vicinanze di un fiumicello che scaricasi nel Bahr-el-Abiad poche miglia, sotto Quetêna.

Alzarono le tende, accesero i fuochi della notte per allontanare le zanzare e le bestie feroci, condussero i cammelli a dissetarsi, poi si sedettero all’aperto aspettando il pasto. I beduini si arrestarono sdraiandosi fra le erbe.

Che nessuno si muova finchè non lo comando, disse Notis.

Egli, in compagnia dello sceicco, strisciò fino ad una collina isolata e guardò attentamente all’ingiro.

Il paese era deserto e il luogo era propizio per tentare l’assalto dell’accampamento egiziano. Non si vedevano che gruppi di alberi e cespugli folti; non un tugul che indicasse la presenza di qualche baggàra o di qualche maazi; nemmeno un zeribak nel cui interno potesse celarsi qualche essere umano. Erano proprio soli, senza testimoni di sorta.

Possiamo marciare innanzi, disse Notis. Il primo colpo di fucile è destinato a quella sentinella che veglia ai piedi del rialzo e il secondo al caporale. Ucciso il comandante, gli egiziani si lascieranno scannare come montoni.

Lascia fare a me, disse lo sceicco. Abbiamo dei mahari e delle armi da guadagnare. Spicciamoci, padrone.

Scesero di corsa il pendìo, fecero levare i beduini e diedero il segnale di avanzare colla massima prudenza. Il loro progetto era di irrompere improvvisamente sull’accampamento, di circondare gli egiziani e di sgozzarli prima che potessero riaversi dalla sorpresa e dallo spavento.

I cinquecento passi che li separavano dall’accampamento li percorsero senza venire scoperti. Essi sostarono dietro ad una macchia colle armi in mano e gli occhi sanguinosamente fissi sui fuochi del campo.

Dov’è Fathma? chiese lo sceicco con un filo di voce.

Sotto quella tenda là, rispose Notis. Attenzione!

Alzò il remington e mirò la sentinella che fumava col scibouh appoggiata al tronco di un ambag. Una fragorosa detonazione ruppe il silenzio della notte accompagnata da un grido disperato.

– Allàh-el-gader! (Dio possente!) esclamò la sentinella e cadde a terra con una palla in fronte.

Avanti! tuonò lo sceicco coll’jatagan in mano.

I beduini si slanciarono innanzi come una banda di lupi affamati gettando urla selvagge e irruppero nell’accampamento colle lancie in resta.

Gli egiziani sorpresi dalla rapidità dell’assalto, non avevano avuto nemmeno il tempo di accorrere ai fucili legati in fascio. Sguainarono le daghe e cercarono di tener testa, ma sin dal primo urto quattro di essi caddero a terra passati da parte a parte.

Beduini ed egiziani si mescolarono azzuffandosi ferocemente, urlando ed urtandosi, menando disperatamente le mani, afferrandosi ed atterrandosi. Notis, incontratosi col caporale gli fece saltare le cervella, poi si gettò addosso alla tenda dove sapeva trovarsi Fathma. Proprio nell’istesso istante che vi giungeva vide dalla parte opposta uscire una bianca figura e fuggire a rompicollo giù per l’erta. La riconobbe subito.

Aiuto! esclamò egli. Fathtma mi fugge!

Lo sceicco e sei o sette beduini accorsero a lui, mentre gli altri finivano a colpi di jatagan gli egiziani.

Fermati, Fathma, intimò il greco rabbiosamente.

L’almea non volse nemmeno il capo indietro e raddoppiò la corsa andando or qua e or là come fosse smarrita o cieca. Il greco in pochi salti le fu vicino.

Ira di Dio, fermati Fathma! rantolò egli.

L’almea si volse, fece un rapido movimento con una mano, traballò come percossa da una folgore, gettò uno straziante singulto e cadde di peso fra le erbe.