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CAPITOLO VII. Fit-Debbeud

Spuntava l’alba quando il greco, dopo di aver nascosto fra le alte erbe il povero Amr e il mahari che aveva sventrato con una coltellata, giungeva alla grotta.

Una collera senza limiti alterava il suo volto già per sè stesso abbastanza truce e una smania terribile, una sete di vendetta ardevagli in petto. Egli comprendeva ormai che tutto era terminato e che le speranze che Abd-el-Kerim avesse finito per ravvedersi e ritornare ad Elenka, erano troncate, come pure comprendeva che Fathma per lui era definitivamente perduta a meno di un miracolo o di un tradimento.

Ah! esclamò egli coi denti stretti, lasciandosi cadere su di un macigno e prendendosi la testa fra le mani, È proprio vero che quel traditore di Abd-el-Kerim l’ha definitivamente rotta con mia sorella Elenka? Eppure mi pareva innamorato alla follia; eppure aveva giurato di farla sua e giurato non su Allah, ma sul Corano. Traditore e spergiuro adunque, quest’arabo del demonio!.. Maledetta Fathma, sei stata la causa di tutte le mie disgrazie!

«Ma Notis è forte e tremendo nelle sue ire e nelle sue vendette, e per quanto io ami quell›almea, mi vendicherò, ma ben terribilmente. Va, Fathma, abbandonati nelle braccia di quello spergiuro che ingannò mia sorella; disprezzami fin che vuoi, ma io ti schianterò il cuore, oh sì, te lo schianterò. Se non fosse un barlume di speranza che ancor mi trattiene, la speranza che Abd-el-Kerim abbia a tornare ai piedi di Elenka, lo assassinerei questo mio rivale!

Egli si assise dinanzi l’apertura della grotta spiando attentamente il campo egiziano per rendersi conto di quanto succedeva.

Di quando in quando uscivano lunghe file di egiziani carichi dei loro sansemieh di pelle di capra che andavano a empire ai pozzi d’Hossanieh e dietro a loro schiere di asini coi boricchieri che trottavano ai loro fianchi emettendo il lamentevole loro haaahh per animarli, squadroni di basci-bozuk che si esercitavano a manovrare sui terreni malagevoli e compagnie di soldati che marciavano in qua e in là formando di spesso i quadrati, come se si trattasse di sostenere una canea di arabi Abu-Rof.

Mille rumori venivano dal campo in mezzo ai quali risuonava la stridula voce degli acquaiuoli che gridavano incessantemente, moja! moja! (acqua! acqua!) e quella nasale dei muezzin.

D’improvviso Notis si levò in piedi come spinto da una molla, emettendo una bestemmia.

Aveva visto un ufficiale uscire dal campo e dirigersi verso Hossanieh e precisamente verso la casupola di Fathma.

Ah! esclamò con indefinibile accento d’odio. Sei tu Abd-el-Kerim! Va a trovarla pure quell’altera almea, ma ti giuro che la vedrai per l’ultima volta. Cadrai nelle mie mani e quando ti avrò spezzato il cuore ti getterò in quelle dell’antica tua fidanzata, in quelle di mia sorella Elenka. Ira di Dio! Ti farà uscire il sangue a goccia a goccia, se tu non ti piegherai dinanzi a lei. So quanto sia vendicativa mia sorella che ha nelle vene puro sangue greco.

Egli si tacque nello scorgere il nubiano che montato su di un mahari carico d’oggetti, galoppava furiosamente verso la collina. Sorrise di gioia e si stropicciò le mani mormorando più volte:

A me ora la vendetta.

Takir in pochissimo tempo giunse ai piedi della collina e salì subito alla grotta carico di viveri, di coperte e di talleri.

Avete udito, poco fa, un colpo di fucile sparato qui vicino? chiese il nubiano, gettando a terra tutta quella roba.

Non inquietarti Takir, disse Notis. L’ho sparato io contro uno schiavo di Hassarn.

Avete ammazzato Amr? L’ho veduto un’ora fa uscire dalla tenda dell’arabo.

Gli ho fatto scoppiare la testa e poi l’ho seppellito. Ma lasciamo lì i morti e parliamo dei vivi, ora. Che notizie rechi dal campo?

Novità eccellenti, padrone.

Fathma, trovasi ancora nella sua casupola?

Trovasi sempre là.

Come mai Abd-el-Kerim commette simili imprudenze?

Non so di chi dovrebbe aver paura, ora che vi crede morto.

Hai ragione, Takir, disse Notis sorridendo. Credo che questa mia morte abbia a giovarmi assai per condurre a buon fine i miei progetti. Tira innanzi, negro mio.

Ho veduto l’arabo recarsi alla casupola ed entrare.

L’ho scorto pure io. Parlami d’Hassarn, quel maledetto turco che odio quasi al pari di Abd-el-Kerim. Che fa egli?

Per quanto lo cercassi non potei vederlo ma suppongo che si trovasse nella tenda di Dhafar pascià.

Sia bene, ora faremo i nostri piani per colpirli proprio in mezzo al cuore tutti quanti.

Stette un momento silenzioso immergendosi in tristi pensieri, poi, fattosi versare un bicchiere di bilbel, specie di birra fatta con maiz e dòkòn, di sapore dolcigno, e tracannatala, s’alzò, piantandosi dinanzi al nubiano.

Takir, disse con voce grave. Se tu fosti nei miei panni che faresti?

Assassinerei tutti e tre quei miserabili, rispose il negro senza esitare.

Sarebbe una vendetta troppo dolce, eppoi, bisogna che serbi Fathma per me ed Abd-el-Kerim per mia sorella.

Allora che fare? È una gran disgrazia che vi siate innamorato di quell’altera almea.

Taci, Takir; io l’amo alla follia, l’amo furiosamente. È tanto bella e tanto giovane che sarebbe un peccato farla morire. Ma non credere che l’ami solamente, no, ira di Dio! L’amo tremendamente, ma nel medesimo tempo l’odio ferocemente.

E dunque che volete fare?

Innanzi a tutto bisogna che abbia in mano uno dei due, meglio se avrò prima Abd-el-Kerim.

Abd-el-Kerim! esclamò Takir sorpreso. E per che farne?

Una volta in mia mano penseremo a strappargli quella passione che ha per Fathma e a gettarlo nelle braccia di mia sorella. Coi tormenti a tutto si riesce.

Si capisce che volete tormentarlo per bene.

Sì, e terribilmente. Odimi ora, Takir.

Tornò a sedersi, vuotò la fiaschetta del bilbel, e facendo cenno al nubiano di avvicinarglisi:

Tu comprendi, che senza aiuti sarà difficilissimo se non impossibile, d’impadronirsi di Abd-el-Kerim. Conosci tu qualche hossanieh poco scrupoloso che si possa comperare con un bel pugno d’oro?

So che alle ruine di El-Garch sta accampato lo sceicco Fit Debbeud con un seguito abbastanza numeroso. Questo beduino, che io conosco a fondo, per un bel gruzzolo d’oro potrebbe mettersi ai vostri servigi. È un uomo forte, coraggioso, capace di pugnalare cento uomini senza commuoversi.

È quello che io cercava, Takir. Tu ti recherai nelle foreste e gli parlerai, poi monterai sul tuo mahari e trotterai verso Chartum. Ho bisogno assoluto di mia sorella Elenka per vincere Abd-el-Kerim.

Oh! fe’ il nubiano, Elenka qui, al campo?

Sicuro, la condurrai a Hossanieh ed ella non indugierà a venire quando tu le avrai raccontato come stanno qui le cose. Orsù, mettiti in cammino e recati a parlare con Fit Debbeud.

E voi?

Io verrò con mio comodo, quando tu avrai spianata la via e messo al corrente di tutto lo sceicco.

Il nubiano riprese gli oggetti che aveva deposti a terra e tornò a partire. Notis, dopo d’averlo visto a correr come un’antilope, verso le foreste, esaminò la sua ferita, vi sovrappose un cataplasma di erbe medicinali e si sedette dinanzi a un vaso ripieno di ebrèk, cibo assai appetitoso e rinfrescante composto di durah ridotto in pasta sottile e un po’ agro per meglio conservarsi.

Finito il pasto che inaffiò con un abbondante sorso di merissak, sorta di birra inebriante fatta con durah fermentato, e fumato un sigaretto, discese la collina e salì sul mahari di Takir, spingendolo a lento passo verso le foreste che chiudevano, all’est, l’orizzonte.

Alle tre dopo il mezzodì giunse ai primi alberi e incontrò il nubiano che veniva in cerca di lui, accompagnato da un beduino avvolto in un gran taub, armato d’una lunga harba (lancia) e munito di una daraga, grande scudo di legno coperto di pelle di elefante.

Tutto va bene, gli disse Takir. Lo sceicco Fit Debbeud è a secco di talleri e purchè voi riempiate le sue tasche vi ammazzerà dieci volte Abd-el-Kerim. Siate prudente, col danaro, so non volete venire assassinato sulla porta della tenda.

Non temere, Tahir; rispose Notis. So cosa è il beduino.

Allora in marcia e che Allàh ci protegga.

S’internarono tutti e tre sotto la foresta seguendo un sentiero ombreggiato da magnifici tamarindi e giunsero, dopo una mezz’ora, dinanzi a una gran spianata cosparsa di colonne infrante, d’arcate cadenti ornate di mille ghirigori in mezzo ai quali spiccava l’ibis religiosa degli antichi nubiani e seminata da grandi sfingi, di statue colossali semi-coperte dalle piante arrampicanti e da ammassi di rottami.

In mezzo a quelle ruine, chiamate d’El-Gareh, s’alzavano otto tende d’un color bruno sporco a striscie gialle, alte appena da potersi tenere in piedi, ma vastissime, sostenute da pali piantati irregolarmente, e gli orli rovesciati all’insù, di maniera che l’aria vi potesse circolare liberamente.

Dispersi qua e là, fra una mandria di mahari e di cammelle, alcuni seduti e altri sdraiati sui tappeti laceri, se ne stavano due dozzine di beduini avvolti nei loro mantelli bianchi forniti di cappuccio infioccato, occupati a fumare pacificamente nei loro scibouk o nei loro narghilek. Essi inviarono al greco un saluto e si recarono a baciargli la mano a lo condussero nella tenda del loro capo, che era più elevata e più vasta delle altre.

 

Nel mezzo di essa, Notis scorse, sdraiato indolentemente su di un mucchio di tappeti di kiki di tessuto di pelo di cammello, Fit Debbeud, il capo o meglio lo sceicco della piccola banda beduina.

Era questi un uomo sui trent’anni, di mezzana statura ma di forme vigorose ed elastiche. La sua pelle, di color pan bigio, portava numerose cicatrici bianche ricevute in diverse battaglie; aveva naso acquilino, labbra sottili, zigomi poco salienti, occhi neri, tetri, che brillavano stranamente e una barba arruffata, ancora più nera, che dava alla sua faccia un’aria cupa, selvaggia, poco rassicurante. Il suo costume componevasi di un paio di calzoncini corti fino al ginocchio, attillati in modo di mostrare il rilievo dei muscoli, di un taub, sorta di mantello orlato di rosso, d’una cintura di cuoio nella quale eranvi passate una lunga sciabola, specie di jatagan coll’elsa di ferro in forma di croce, alcuni pistoloni a pietra, un sacchetto di marocchino rosso pieno di preziosi amuleti e una corona di chicchi di vetro giallo de’ Mussulmani. Sul capo portava una calotta rossa, una specie di fez turco.

Appena vide Notis, s’alzò, senza troppo scomporsi, e secondo l’usanza gli baciò la mano dicendogli colla più squisita cortesia:

– Salem alek (la pace sia teco) frase sacramentale la cui abitudine risale a più secoli.

– Allàh ybarèk fik: (Dio ti benedica) rispose Notis non meno cortesemente.

Sceicco e greco si guardarono per alcuni istanti in silenzio, con reciproca curiosità, poi il primo fece cenno al secondo di accomodarsi su di un tappeto, il migliore che si trovasse nella tenda.

Quasi subito entrò uno schiavo portando un vecchio vassoio di lamiera di ferro, su cui stavano numerose tazze coll’orlo rotto, fesse, abbominevoli, vecchie chi sa da quanti anni e comperate chi sa mai in quale bazar di Cairo, di Costantinopoli o forse anche di Bagdad. Ve n’erano di tutte le grandezze e di tutte le forme; di porcellana europea, di finta porcellana chinese, di ferro o di argilla, un campionario infine di quanto di triviale e orrendo, si fabbricano in tutto il mondo. Un bricco indescrivibile, di piombo, tutto sformato e coperto d’ammaccature, conteneva il caffè mescolato con un’abbondante porzione d’ambra grigia.

La bevanda confortante e veramente eccellente fu sorseggiata nel più profondo silenzio, dopo di che lo sceicco, acceso automaticamente il suo annerito scibouk e aspirate alcune boccate di fumo odoroso, si volse verso Notis dicendogli sempre colla più squisita cortesia:

E ora, mio caro amico, sono a tua disposizione.

Sai di che si tratta? chiese Notis.

Takir tutto mi disse.

Sei tanto coraggioso da imprendere questa guerra contro Abd-el-Kerim.

Odimi, amico, disse lo sceicco con orgoglio. Un giorno dodici Egiziani mi assalirono e io li ammazzai dal primo all’ultimo portando le loro teste al mio marabuto che le mostrò all’intera tribù; un altro giorno sorpresi una famiglia di Arabi miei nemici, addormentata nel deserto. Strappai a loro gli occhi, tagliai le orecchie, il naso, le gambe e le braccia e frastagliai minutamente, col mio jatagan, i corpi dei loro bambini. Sono coraggioso e feroce!

Troppo feroce per ammazzare degli inoffensivi ragazzi.

È il costume delle nostre tribù sì del Sahara che del Mar Rosso.

Ti senti, adunque, capace di affrontare il mio rivale.

Se tu vuoi che io cacci il mio jatagan fra le spalle di quell’arabo e tronchi d’un sol colpo la vita, io la troncherò. Vuoi che io lo passi da parte a parte colla mia hàrba? Io lo trapasserò e poi gli caverò gli occhi, gli taglierò il naso, le gambe e le braccia. Vuoi che io rapisca la tua bella che si mostra verso di te tanto ritrosa? Io la rapirò per quanti urli e per quanto mi maledica. Allàh, da qualche tempo non mi manda carovane da depredare ed io e la mia banda siamo a secco di talleri: paga come un sceicco che nuota nell’argento e io e i miei uomini siamo ai tuoi comandi.

Notis estrasse dalla saccoccia una grassa borsa di talleri di Maria Teresa, e la gettò allo sceicco che la prese al volo.

Questo per cominciare, disse.

Ne hai molte con te di queste borse? chiese il beduino, i cui occhi s’accesero di cupidigia.

No, disse il greco.

Dove troverai gli altri talleri?

Al campo egiziano.

Sta bene, me li darai quando me li meriterò. Parla ora.

Bisogna che noi ci impadroniamo del mio rivale.

Dove trovasi quel cane d’arabo?

In mezzo all’accampamento d’Hossanieh.

Hum! fe’ lo sceicco, crollando il capo. Sarà affar serio andarlo a prendere laggiù, ma Fit Debbeud ha nel suo sacco mille astuzie. Bisognerà con qualche pretesto farlo uscire dal campo e poi saltargli addosso.

Lo so, ma non sarà tanto facile.

Il beduino s’accarezzò la barba con compiacenza.

Bah! esclamò egli sorridendo. Dove trovasi, innanzi a tutto, la sua amante? Assieme a lui o separata?

Lui trovasi al campo e lei in un tugul d’Hossanieh.

All’ora l’arabo è nostro. Dal campo al villaggio vi corrono più di mille passi e sono bastanti per portar via il tuo rivale prima che gli Egiziani possano accorrere in suo aiuto e inseguirci.

Ma come lo farai uscire dal campo? Senza un forte motivo non oltrepasserà di notte la linea degli avamposti. Tu sai che hanno paura dei ribelli che si crede che ronzino per la pianura.

Sta a sentire, padron mio, disse lo sceicco riaccendendo il suo seibouk. Questa sera mando uno dei miei uomini alla tenda del tuo rivale, anzi ci andrò io in persona, e lo avviso che la sua amante lo desidera. L’innamorato, che m’immagino sarà cotto, mi crederà e uscirà senz’altro dal campo. Tu comprendi il resto; i miei beduini saranno imboscati dietro a qualche macchia, gli piomberanno addosso, lo atterreranno e lo porteranno via. Quando gli Egiziani accorreranno, noi saremo assai lontani.

Notis stese la mano al bandito che gliela strinse vigorosamente.

Se tu riesci nell’impresa, disse, ti darò tanti talleri da comperare cento fucili e una mandria numerosissima di cammelle.

Lascia fare a me.

Takir, gridò il greco.

Il nubiano, che fumava sul limitare della tenda fu pronto ad accorrere alla chiamata del padrone.

È ora che tu ti metti in viaggio per Chartum, disse Notis. Dirai a mia sorella Elenka come stanno qui le cose e la incaricherai d’ottenere dal governatore il mio congedo assoluto, poichè bisogna che io sia libero per lottare col mio rivale e vincerlo. Le dirai altresì che si faccia firmare, dallo stesso, una lettera che obblighi Dhafar pascià a condurre Abd-el-Kerim nel basso Sudan, dovesse trascinarvelo colla forza.

Perchè? Non vi capisco.

L’ignoro io pure, il perchè, ma potrebbe darsi che questa lettera mi tornasse utilissima. Va, Takir, e ritorna presto con Elenka. Mia sorella è abbastanza ricca e potente per ottenere dal governatore quello che vuole.

Il nubiano girò sui talloni e s›allontanò. Poco dopo si udì il sonaglio del suo mahari che indicava che erasi già messo in viaggio.

E ora che facciamo? chiese Notis allo sceicco.

Il sole è ancora alto per dirigerci al campo e io ho una fame da lupo. Pranzeremo allegramente.

Fece distendere dinanzi un tappeto nuovissimo e gettò un leggiero fischio. Un beduino entrò portando sulle spalle, appeso ad una pertica, un agnello intero arrostito e lo depose su di una specie di sporta piatta di foglie di palma.

Bismillah! (in nome di Dio) disse Fit Debbeud, frase abituale che pronunziano sia per cominciare a mangiare, sia per scannare o torturare il loro nemico.

Lo sceicco divise l’agnello colle dita, essendo sconosciuta la forchetta presso i beduini, tagliò la pelle brunastra, lucida e croccante, in lunghe striscie e servì Notis, che le assalì vigorosamente inaffiandole con latte di cammella fermentato nella pelle di una capra, che sapeva orribilmente di muschio. Lo sceicco, ogni qualvolta che il greco accostava la tazza alle labbra non mancava mai di dire: saa (alla salute) alla quale frase rispondeva Notis: Allàh y selmek (Dio ti salvi).

Dopo la prima portata, un altro beduino recò un gran vaso di terra, una specie di garahs, vecchio di cent’anni, nel quale trovavasi un pasticcio di riso nuotante in una salsa giallognola, pepata in modo orribile, con un miscuglio di datteri secchi pestati e di albicocche. Seguì l’hamis, composto di pezzetti di carne di pollo e di montone fatti dapprima cuocere in istufato con burro e di poi bagnati con acqua calda e conditi con pepe in gran quantità, sale, datteri e cipolle fatte bollire fino a ridurle a completo discioglimento. Il pasto finì col kus-kussu, o cibo nazionale, preparato con pallottoline di farina piccole come pallini da caccia, condite con una salsa piccante e con una sorsata di bilbel.

In quel frattempo densi nuvoloni s’erano accavallati nella profondità del cielo e un vento caldissimo s’era messo a soffiare, scuotendo fortemente le cime degli alberi e piegando le tende. L’oscurità cominciava a farsi rapidamente e prometteva di essere tanto fitta da non poterci vedere a due passi di distanza.

Notis ne fece parola allo sceicco, che finito il pasto, s’era rovesciato sui tappeti, fumando flemmaticamente.

Tanto meglio, rispose il beduino. L’uragano favorirà la spedizione, e le tenebre proteggeranno la nostra ritirata. Credo anzi che sarà ora di metterci in cammino, e di andar a raccontare all’arabo che la sua bella ha fatto un colpo.

Non vi è pericolo che tu, recandoti al campo, abbia a venire scoperto?

Nessuno mi conosce, eppoi, a uno sceicco è permesso di andare dove gli pare e piace senza render conto a chicchessia. Non aver timore che io possa venire preso da quella gente vigliacca. E avutolo in nostre mani, dove lo nasconderemo questo rivale?

A pochi passi da qui vi è un corridoio che mette capo ad una spelonca orribile, umida quanto mai. Ve lo caccieremo dentro e ve lo rinchiuderemo per bene.

Lo sceicco s’alzò, si gettò a bandoliera il suo lungo moschetto a pietra, imbracciò il suo scudo di pelle di elefante e uscì assieme al greco. I beduini s’erano raccolti di già attorno ai mahari, in completo arnese di guerra; ad un suo cenno si posero in sella.

Una parola ancora, prima di separarci, disse lo sceicco. Se il tuo rivale mi chiedesse chi m’incaricò di rapirlo, che devo rispondergli?

Rimarrai muto come una tomba. Le vendette circuite dal mistero sono le più spaventevoli.

Sta bene, che Allàh ti guardi!

Che Allàh t’aiuti, rispose Notis,

Lo sceicco salì sul mahari e diede il segnale della partenza. La banda partì alla carriera in direzione d’Hossanieh.

CAPITOLO VIII. Il prigioniero

Dal sud soffiava un vento impetuosissimo, caldo come se uscisse da un forno acceso, il quale curvava e scuoteva fortemente le palme isolate e le piantagioni di durah e sollevava colonne di fine sabbia che s’innalzavano roteando e correndo per la pianura fino a spezzarsi contro le colline o contro i tugul di Hossanieh. Tratto tratto un lampo abbagliante livido, tremulo, rompeva la fitta tenebrosità, seguito poco dopo da un lungo e lontano stridio, paragonabile al rumore che fa un carico di lamine di latta trascinato a corsa per le vie.

I beduini, col taub tirato in sulla bocca per non avere le fauci riempite dalla sabbia, e l’jatagan e le hàrbas (lancie) in mano, per essere pronti a diffendersi, caso mai venissero assaliti, marciando nel più profondo silenzio, in capo ad un’ora giunsero a un duecento passi d’Hossanieh, dove fecero alto fra due colline abbastanza elevate per nasconderli.

Fit Debbeud fece legare i mahari in cerchio obbligandoli a inginocchiarsi, pose due uomini di guardia accanto ad essi, e col rimanente della banda si spinse fino nei dintorni del campo egiziano e precisamente dietro ad un macchione d’acacie gommifere, dove potevansi imboscare e saltare addosso ad Abd-el-Kerim appena che fosse vicino.

Silenzio, disse lo sceicco, chiamando attorno a sè i suoi uomini, e state ad ascoltare quanto vi dico. Io mi reco al campo egiziano, poichè occorre un uomo astuto e coraggioso per tentare l’impresa e saperla condurre a buon fine senza destare sospetti. Vado a prendere l’arabo, lo conduco fuori del campo e mi dirigo da questa parte; al primo fischio che io mando, tutti adosso e poi via di trotto verso i mahari, Ricordatevi che qui si giuoca la pelle.

 

Sta bene, risposero in coro i banditi.

E gli Egiziani? chiese uno di essi. Sono distanti appena ottocento passi.

Fit Debbeud alzò le spalle e un sorriso sprezzante sfiorò le sue labbra.

Gli Egiziani non si muoveranno, ve lo dico io, diss’egli. Urleranno come cani, ma non ardiranno inseguire Fit Debbeud e i suoi beduini.

Si sbarazzò del coftan e dell’archibuso, armò le pistole che si passò nella cintola, si assicurò se l’jatagan scorreva nella guaina e marciò dritto verso gli avamposti egiziani che bivaccavano al chiarore dei fuochi a gran pena tenuti accesi.

Chi va là? gridò una sentinella prendendolo di mira.

Getta abbasso il tuo fucile che mi reco dal tenente Abd-el-Kerim, rispose il bandito. Anzi conducimi alla sua tenda se non vuoi che Dhafar pascià ti faccia accarezzare le spalle col corbach (staffile di pelle d’ippopotamo).

Ad un fischio della sentinella un soldato accorse e il bandito fu fatto entrare nel campo e accompagnato verso la tenda dell’arabo.

Se tu sai, Abd-el-Kerim, trovasi solo nella sua tenda? chiese Debbeud al soldato che lo precedeva.

Credo che sia col capitano Hassarn.

Chi è questo capitano?

L’amico del tenente Abd-el-Kerim.

Il bandito aggrottò la fronte o fece un gesto dispettoso.

La faccenda comincia a diventare imbrogliata, mormorò egli. Se questo Hassarn seguisse l’amico? B’Allai! (Perdio!) Sarà difficile rapirli tutti e due e poi, per che farne dell’altro? Se ci secca gli passeremo una scimitarra attraverso il corpo e lo manderemo diritto in paradiso a tener compagnia al Profeta.

Fermati, disse il soldato, arrestandosi dinanzi ad una tenda.

Spicciati, rispose il bandito. Digli che io vengo da Hossanieh e che mi manda una bella donna che si chiama… alto là, amico mio.

Il soldato entrò nella tenda e poco dopo uscì.

Il tenente ti aspetta, entra, gli disse.

È solo?

No, col capitano Hassarn.

Lo sceicco cacciò fuori una bestemmia, ma non si smarrì. Colla testa alta e colle mani sui calci delle pistole si fece innanzi e si fermò dinanzi all’arabo che stava sdraiato su di un tappeto, vicino ad Hassarn. I tre uomini si esaminarono con curiosità e quasi con diffidenza.

Tu hai detto di venire da Hossanieh, non è vero? chiese Abd-el-Kerim.

Sì, e mi mandò una donna che tu conosci, rispose Debbeud, sbirciando di traverso i due uomini.

Abd-el-Kerim si scosse e s’alzò come spinto da una molla.

Chi è quella donna? chiese egli, avvicinandoglisi.

Credo che si chiami Fathma.

Ed essa ti mandò da me? È impossibile!

Fit Debbeud, quantunque fosse coraggioso, fremette, e si guardò indietro per essere pronto a prendere il largo.

Cosa ci trovi di strano? chiese egli, esitando.

Fathma ha degli schiavi a sua disposizione.

Si vede che ha preferito mandar me, ecco tutto.

E sai che vuole da me? Corre forse qualche pericolo? domandò l’arabo con ansietà.

L’ignoro, rispose Debbeud. Credo però che farai bene a venire subito a Hossanieh. Mi pareva assai agitata.

Abd-el-Kerim guardò Hassarn che non staccava gli occhi dal volto dello sceicco.

Che ne dici, Hassarn? gli chiese.

Non so quale pericolo possa correre Fathma, ora che Notis è morto, tuttavia si può andare a vedere ciò che desidera. Chi sa!

Abd-el-Kerim cinse la scimitarra e si pose in capo il fez. Hassarn lo fermò nel momento che stava per seguire il bandito.

Abd-el-Kerim, gli disse sottovoce. Sta in guardia.

Che temi? Ho la mia scimitarra e questo sceicco mi pare che non sia un uomo capace di arrischiare la sua vita contro di me.

Può darsi; ad ogni modo ti terrò d’occhio fino alla casupola.

Debbeud e l’arabo uscirono. Faceva sempre oscuro assai e il vento soffiava con maggior violenza facendo ondeggiare le tende degli accampati e atterrandone più d’una; in cielo correvano densi nuvoloni che s’accavallavano confusamente e il tuono rullava in lontananza.

Fit Debbeud precedette l’arabo fino agli avamposti, poi gli si collocò a fianco colla dritta sull’impugnatura dell’jatagan.

Soffia il simum, dissegli poco dopo.

Lo sento, rispose Abd-el-Kerim distrattamente.

Credo che faremo bene a tenerci sotto le colline per non inghiottire una porzione di sabbia e per non diventare ciechi.

Come vuoi.

Un lampo rischiarò la pianura e sotto la macchia dove si tenevano imboscati i beduini, brillarono delle armi. Abd-el-Kerim si fermò.

Chi si tiene sotto quel macchione? diss’egli.

Alcuni basci-bozuk, rispose Fit Debbeud. Gli ho veduti poco fa quando passava accanto a quel gruppo di acacie.

Sei sicuro di non esserti ingannato? Si dice che alla notte alcuni ribelli vengono a ronzare attorno al campo.

Ho parlato con loro e m’inviarono la buona notte. Non hai nulla a temere, tenente. Allunghiamo il passo.

Erano giunti a pochi passi dalla macchia. Fit Debbeud si mise a zuffolare un’aria dongolese; d’un tratto passò dietro all’arabo e l’afferrò per le braccia tentando con una brusca scossa di rovesciarlo.

Abd-el-Kerim, che per l’avvertimento d’Hassarn tenevasi in guardia, fu pronto, con una vigorosa strappata, a liberarsi e a fare un salto indietro.

Ah! traditore! esclamò egli, sguainando la scimitarra.

Lo sceicco lo caricò furiosamente coll’jatagan, spiccando salti da leone, girandogli vertiginosamente attorno per colpirlo alle spalle. Vibrò tre o quattro colpi che furono ribattuti, ricevendo anzi una scalfittura in una spalla.

A me, beduini! gridò egli, digrignando i denti come una iena.

La banda saltò fuori, correndo addosso all’arabo e circondandolo.

Aiuto, Hassarn, urlò Abd-el-Kerim, cercando respingere gli assalitori.

Tre o quattro fucilate scoppiarono verso il campo e s’udirono le sentinelle gridare l’allarme. Una seconda scarica mandò a gambe levate due beduini.

Non vi era da perdere un solo istante; un forte drappello di Egiziani si avanzava a passo di corsa colle baionette in canna e alcuni basci-bozuk bardavano in furia i cavalli. Fit Debbeud si scagliò fra le gambe dell’arabo che gli cadde sopra lasciandosi sfuggire di mano la scimitarra.

Afferratelo! afferratelo! esclamò il bandito trattenendolo per la cintola.

Abd-el-Kerim tentò con uno sforzo disperato di risollevarsi, ma uno dei beduini lo fece ricadere assestandogli sul capo un terribile colpo col calcio dell’archibuso. In un batter d’occhio fu legato solidamente e trascinato via, nel mentre che una terza scarica di fucili partiva dal campo gettando a terra un altro bandito.

I beduini, preceduti da Fit Debbeud attraversarono come un uragano la pianura, si gettarono in mezzo alle colline e in men che lo si narri giunsero ai loro mahari. Fit Debbeud salì in sella coll’arabo, che stordito dalla percossa non opponeva la più debole resistenza e diede subito il segnale della partenza.

I venti mahari eccitati dalla voce e dalle sferzate partirono celeramente dirigendosi verso le foreste del Bahr-el-Abiad, lontane una diecina di miglia. Alcuni basci-bozuk si diedero a inseguirli mandando alte grida e agitando freneticamente le loro lancie, ma alcune archibusate li misero in fuga.

Bravi, ragazzi! esclamò Fit Debbeud. Sferzate! Sferzate!

Le tenebre ed il vento che continuava a sollevare cortine di sabbia, favorirono la ritirata che si effettuava colla rapidità prodigiosa. Le sferzate e gli ich! ich! pronunciati in furia mettevano le ali ai mahari che divoravano la via.

Fit Debbeud, nel mentre che galoppavano in gruppo serrato, si chinò su Abd-el-Kerim che teneva stretto fra le braccia e lo toccò in volto colla punta del suo jatagan, facendogli uscire una goccia di sangue. L’arabo aprì gli occhi e lo guardò fissamente.

Bravo arabo, disse lo sceicco sorridendo. Si vede che tu sei di buona razza, formato tutto di ferro di buona tempra. Mi conosci tu?

Aspetto che tu mi dica chi sei, rispose Abd-el-Kerim freddamente.

Mi chiamo Fit Debbeud, ma nel Dongola mi si conosce meglio per la Jena del Sudan. È probabile che tu oda questi nomi per la prima volta.

Mi vanto di non aver mai udito questi nomi che puzzano da bandito a una giornata di cammino.

Come sai tu che io sono un bandito? Sono lo sceicco di questi beduini.

Per venire al campo, assalirmi a tradimento e portarmi via non bisogna essere che briganti o figli di quel cane di Mahdi. Queste piastre vuoi pel mio riscatto?

Si vede che hai dello spirito, cane di un arabo. Voglio vedere se ne avrai altrettanto quando porrò sulla tua bruna pelle certe bestioline.

Quale scopo hai per rapirmi? chiese sprezzantemente Abd-el-Kerim.

Fra poco lo saprai, rispose lo sceicco.

Chiuse la bocca al prigioniero con un pugno che gli fe’ sanguinare i denti, poi rizzandosi sulla gobba del mahari gridò:

Dritti alle ruine d’El-Garch, ragazzi miei.

La banda era allora giunta sul limitare delle grandi foreste del Bahr-el-Abiad, i cui alberi si curvavano con mille scricchiolii e con mille gemiti sotto i soffi del simun.