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La favorita del Mahdi

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CAPITOLO X. Il Mahdi e la sua favorita.

El-Mactud era addirittura pietrificato, tanta era la sua sorpresa di vedere colà Fathma, l’ex favorita, quella superba donna che Ahmed aveva avuto la debolezza di lungamente piangere.

Egli si stropicciò dieci, venti volte gli occhi per accertarsi che era sveglio, che non stravisava e dieci e venti volte si convinse che la donna che aveva dinanzi era proprio l’almea Fathma. I suoi occhi neri e fulgidi come diamanti, la tinta della sua pelle, i capelli fluttuanti che scendevanle sulle spalle come un vellutato mantello, le ammirabili sue braccia, la sua taglia, il suo portamento nobile e altero, tutto infine indicava che quella donna era realmente la favorita dell’inviato di Dio.

Non m’inganno, balbettò lo sceicco. Nessuna altra donna può essere così bella, nè è possibile che ve ne sia una che tanto somigli a Fathma. Ma chi l›ha condotta qui? Con quale scopo? Perchè? Lo sanno i guerrieri della zeribak che custodiscono l’ex favorita del loro Signore?.. Mille fulmini! Noi abbiamo seguite le traccie di Fathma credendo di seguire quelle della fidanzata di Abd-el-Kerim. È curiosa, strana, ridicola. Non è possibile supporre che il greco si sia innamorato di Fathma. Sarebbe un delitto. E Ahmed lo sa che qui si cela la sua favorita. Dieci giorni fa la piangeva ancora come morta, dieci giorni fa la cercava ancora, interrogava i guerrieri che venivano dal Bahr-el-Abiad, giurava di vendicarsi terribilmente di questa donna che lo aveva indegnamente tradito, ed invece è qui e ancor viva. Non capisco più nulla, Lasciamo che se la sbrighino gli altri e cerchiamo di salvar Notis. Forse lui spiegherà questo mistero. To’ e se Notis… Ma no, è impossibile, Notis non può aver amato Fathma; sarebbe un delitto.

El-Mactud rimase ancora lì alcuni minuti cogli occhi sempre fissi su Fathma, poi volse bruscamente lo spalle e si diresse verso l’uscita. Stava per varcare la soglia della zeribak quando un’improvvisa idea lo arrestò di botto.

E se Ahmed non lo sapesse? mormorò egli. Con quella donna potrei salvare Notis.

Chiamò il capo dei dieci guerrieri che prontamente accorse.

Chi ha condotto qui quella donna? gli domandò indicandogli Fathma.

Un negro, rispose il capo.

Lo conosci?

Solamente di vista.

Cosa ti disse consegnandotela?

Che vegliassi attentamente su lei e che avessi ogni riguardo. Mi disse che tale era l’ordine del Mahdi.

Ahmed venne mai a trovarla?

Mai, il negro invece più volte.

Sai chi è quella donna?

L’ignoro.

Bisogna che tu me la ceda. La condurrò da Ahmed.

Se tale è l’ordine dell’inviato da Dio, la cedo.

El-Mactud lo congedò con un gesto e prosentossi risolutamente all’almea

Fathma, le disse, devo parlarti. Vieni con me.

L’almea, udendosi chiamare per nome da quello sconosciuto trasalì e fissò i suoi grandi e neri occhi su di lui con sorpresa e diffidenza. Pareva che le balenasse un sospetto, nondimeno lo seguì con passo abbastanza fermo.

El-Mactud la condusse nell’angolo più remoto della zeribak, ma stette parecchi minuti senza aprir bocca. Era imbarazzatissimo e non sapeva in qual modo cominciare. Comprendeva che una parola sospetta, forse un semplice cenno, poteva tradirlo ed allarmare l’almea.

Fathma, disse finalmente, facendosi animo. Non sei tu la favorita del Mahdi?

L’almea tremò dal capo alle piante e si guardò d’attorno con viva ansietà.

Imprudente, diss’ella con un filo di voce.

Perdono, mi dimenticavo che…

Zitto, non nominarmi più. Dimmi come tu sai ciò, chi sei e chi ti mandò da me.

Mi chiamo Dullak e sono amico di un uomo che si chiama…

Chi?… Chi?…

Abd-el-Kerim, le soffiò all’orecchio lo sceicco.

Fathma si portò una mano alle labbra per soffocare un grido che stava per uscirle. Indietreggiò, poi si slanciò verso lo sceicco e stringendogli le braccia in modo da stritolargli quasi le ossa, gli disse con voce soffocata:

Ripetimi quel nome, ripetilo! Ho paura di aver compreso male.

Sono l’amico di Abd-el-Kerim, rispose lo sceicco senza esitare.

È impossibile, io sogno!

No, sei sveglia, Fathma.

Non m’inganni tu?

No, ti dico la verità. Non aver paura, povera donna.

Un profondo sospiro uscì dalle labbra dell’almea, un sospiro che pareva un grido di gioia soffocato.

Dov’è, dov’è Abd-el-Kerim? chiese ella. Io voglio vederlo, bisogna che io lo veda a qualsiasi costo. Ti prego, ti supplico, mio buon amico, accompagnami da lui.

Calmati, andremo subito da lui.

Dimmi, dove trovasi? Come sta? È vivo, è ammalato, è libero, è prigioniero?

Si trova in una capanna, a due miglia da qui, vivo e libero.

Che posso fare per te? chiese ella estremamente commossa.

Nulla, rispose lo sceicco.

Ma perchè arrischiarti a venire da me? Tu corri un gran pericolo.

Le disgrazie di Abd-el-Kerim mi toccarono il cuore e giurai di aiutarlo a riguadagnare la perduta felicità. Ecco perché sfidai, senza tremare e senza esitare, il pericolo.

Ah! quanto sei buono, mio nobile amico! esclamò Fathma, mettendo le sue mani in quelle callose del traditore. Se un giorno tu avrai bisogno d’un aiuto, pensa a me e ad Abd-el-Kerim. Faremo per te quanto tu avrai fatto per noi.

Me ne ricorderò, disse lo sceicco con ironia. Usciamo, Fathma.

Attraversarono la zeribak ed uscirono. Medinek li attendeva con un vigoroso cammello sostenente sulle gobbe una specie di baldacchino circolare chiuso da tende bianche.

El-Mactud aiutò Fathma a salire, poi si volse verso Medinek e gli disse rapidamente:

Corri subito dal Mahdi. Gli dirai che gli porto la sua ex-favorita, ma che in cambio mi conceda una grazia.

Pregò poi un guerriero di guidare l’animale alla capanna del Profeta ed entrò sotto il baldacchino dando il segnale della partenza col solito «ich! ich!» aspirato.

L’intelligente animale si mise in cammino con un dondolamento di lupo di mare. Uscito da El-Obeid prese la via che menava al campo di Mohammed Ahmed.

Fathma, disse ad un tratto El-Mactud, traendo di tasca una pezzuola. Lasciati bendare gli occhi.

L’almea non potè trattenere un gesto di sorpresa a quello strano comando.

Perchè? chiese ella.

Dispensami dal rispondere alla tua domanda.

E se rifiutassi di ubbidire?

In tal caso ti ricondurrò alla zeribak. Corro dei grandissimi pericoli; è giusto che io prenda delle precauzioni.

Fathma esitava. Quell’ordine le sembrava tanto strano, che non sapeva decidersi. Nondimeno la paura di dover ritornare senza vedere colui che tanto amava, fece sì che si arrese.

Ella presentò la testa ad El-Mactud che gliela bendò strettamente togliendole la vista. Quasi subito in lontananza s’udirono rullare le darabùke e squillare le trombe.

Dove andiamo? chiese l’almea con ispavento. Ho paura che tu mi perda.

Non temere Fathma, rispose lo sceicco cercando di raddolcire il suo aspro accento. Attraversiamo il campo per abbreviare la via.

Fathma portò le mani alla benda. Ella si sentiva assalire da sinistre inquietudini e cercava di vedere quanto succedeva a lei d’intorno. Lo sceicco, che non istaccava mai gli occhi da lei, fu pronto ad afferrarla pei polsi.

Non muoverti, le disse minacciosamente. Se mi perdi, ti dò nelle mani di Ahmed.

Quella terribile minaccia irrigidì Fathma; non osò più muoversi, tanta paura aveva di cadere nelle ugne dell’antico suo signore.

Il cammello s’avanzò per altri quindici minuti, aprendosi a gran pena il passo fra i guerrieri del Mahdi che ingombravano il campo, poi si arrestò. El-Mactud aprì la tenda e balzò lestamente a terra.

A pochi passi da lui vi era la capanna del Mahdi, sulla cui porta chiacchieravano i tre vizir dell’esercito, Ibrahim, Juban e Ahmed, il primo comandante delle truppe regolari, il secondo le irregolari ed il terzo l’artiglieria. Presso di loro era seduto Medinek, il quale, appena scorto le sceicco, affrettossi a corrergli incontro dicendogli:

Ahmed aspetta Fathma. Egli accorda a te qualsiasi grazia. Non avrai che d’aprire la bocca per salvare il greco.

El-Mactud non potè frenare un moto di gioia. Allungò le braccia verso Fathma, la sollevò in aria, e prima che ella potesse opporre la menoma resistenza la trasse nella capanna di Ahmed, lasciandola sola per terra. Fathma, atterrita, in preda a maggiori inquietudini, balzò in piedi strappandosi la benda. Un terribile grido le uscì dalle labbra.

Barcollò, le forze le vennero meno, e cadde in ginocchio nascondendosi il volto fra le mani.

Perdono!… Perdono!.. balbettò ella con voce strozzata.

Dinanzi a lei, pallido, fremente, stava Mohammed Ahmed, l’antico suo signore.

Nella capanna regnò per qualche tempo un cupo silenzio.

Ahmed, inchiodato al suolo, non era capace di muoversi. Il suo volto era spaventevolmente contraffatto, cinereo, anzi nero, rigato da grosse goccie di sudore e il suo petto sollevavasi straordinariamente. Dalle labbra increspate, strette, uscivagli un rauco ruggito che incuteva spavento.

Una terribile burrasca imperversava nel cuore di lui e riflettevasi chiaramente sul suo viso. Si leggeva ne’ suoi occhi una smania feroce di vendetta temprata, anzi frenata dalla passione che ancor nutriva per quella donna e che in quel momento scatenavasi più ardente che mai.

 

Egli rimase uno, due, forse tre minuti immobile irrigidito, quasi direi, istupidito. D’un tratto precipitossi verso Fathma prostrata ai suoi piedi, la sollevò e se la strinse furiosamente al petto.

Ti amo e ti odio!… le ruggì agli orecchi.

Le rovesciò all’indietro il capo, appoggiò le sue labbra sulla fronte di lei e vi stampò un ardente bacio ripetendo con una voce che i singhiozzi soffocavano:

Ti amo e ti odio!… Fathma, che ti aveva fatto io per tradirmi, per rendermi infelice, per piombarmi nella disperazione? Mai tu avesti a lagnarti di me, in quei tempi in cui tu eri la mia favorita? Io ti trassi dal fango dove tu ti avvoltolavi, ti strappai dagli amplessi dei soldati, dagli amplessi della canaglia, dagli amplessi di vili schiavi per innalzarti sino a me, per innalzarti fino all’inviato di Dio; e tu, mentre io ti aveva colmata di favori e di onori, mi ingannasti, mi lacerasti il cuore per ritornare nelle braccia di un vile soldato, di un traditore, di un maledetto da Dio! E tu, spregevole donna, invochi ancora il perdono. No, Fathma, non v’è perdono.

Un singulto lacerò il petto di Ahmed. Egli portò le mani agli occhi e quell’uomo fu visto a piangere.

Nella capanna, per parecchi minuti tornò a regnare un penoso silenzio, rotto solo dai singhiozzi che sollevavano il petto del Mahdi e dal respirare affannoso di Fathma.

Tre o quattro volte, Ahmed, attirato da una forza irresistibile, dominato dalla immensa passione che pur odiando ancora provava per quella donna, le si avvicinò, per tre o quattro volte retrocesse: alla quinta non seppe più trattenersi. Egli precipitossi come un forsennato, come un delirante, su Fathma, se la strinse furiosamente al petto togliendole il respiro, tanta era la violenza di quell’amplesso e tempestandola di ardenti baci.

Sei bella!.. Sei bella!.. urlò con un tono di voce che più nulla aveva d’umano. Io ti odio, capisci Fathma, mi sento indosso una smania terribile di vendicarmi di tutte le torture che mi hai fatto soffrire, una smania terribile di straziare a colpi di frusta queste tue belle carni che mi avevan fatto fremere di voluttà, una smania terribile di vederti morta ai miei piedi: eppure non mi sento capace di farlo. Nello stringerti fra le mie braccia, nel baciarti, sento ancora che io ti amo, o donna infedele, sento ancora accendermisi il sangue nelle vene, sento ancora palpitare il mio cuore di amore, mi sento trascinato mio malgrado a commettere delle pazzie… Fathma! Fathma!… Dimmi che non mi odii, dimmi che sei fuggita in un momento di aberrazione, dimmi che gli uomini che furono tuoi amanti li odii, dimmi infine che tu mi ami! Dimmi che ritornerai a diventare la favorita del Profeta del Sudan! Io ti innalzerò ancor di più, io ti farò non solo felice, ma assai grande, tanto grande che tutte le donne della terra ti invidieranno. Sono potente oggi, sono invincibile, dinanzi a me non ho più nemici capaci di contendermi il passo, non ho più nemici che scuotere possano la mia potenza. Duecentomila guerrieri, duecentomila fanatici, anzi duecentomila leoni mi obbediscono ed obbediranno pure a te. Io ti trarrò alla città santa, alla Mecca e di là li lancerò contro le nazioni dei due mondi che dovranno cadere una ad una dinanzi al fanatismo degli arabi. Io diverrò il padrone del globo e tu capisci, Fathma, sarai la gran sultana. Egli, completamente fuori di sè, tornò ad arrestarsi avviticchiato ancor più strettamente a Fathma, coprendola di baci.

D’improvviso si staccò da lei e le cacciò gli occhi dentro il viso; tremò tutto; un ruggito gli irruppe dal fremente petto.

Fathma era tutta ad un tratto cangiata. Lo smarrimento, il terrore l’angoscia, poco prima scolpiti sul volto di lei erano completamente scomparsi. Era diventata cupa e nei suoi occhi scintillava una fiamma sinistra. Ridiventava l’araba fiera, selvaggia, indomabile.

Fathma! disse egli. Rispondi in nome di Dio! Tornerai tu a diventare la mia favorita? Tornerai a farmi felice? Io ti farò grande, io ti farò potente!

No! diss’ella risolutamente, svincolandosi da lui.

Ahmed retrocesse barcollando. Credette di avere male compreso.

Ripetilo! ripetilo! gridò egli.

Odimi, Ahmed! esclamò Fathma con sorda voce. Tu sei potente, tutti i popoli del Kordofan chinan la fronte nella polvere dinanzi a te, tutte le donne delle tribù che tu comandi sono tue. Fra esse ve ne son mille e mille più belle, più nobili, più forti di me, ve ne son mille e mille che andrebbero orgogliose dei tuoi baci, dei tuoi abbracci. Prendine una e lascia che io segua la stella che mi allontanò da te. Scava un abisso fra me e te, imponi silenzio al tuo amore: dimenticami.

Dimenticarti?… Amare un’altra!… Perderti!… balbettò Ahmed. Perchè?… Non mi ami più adunque?… Fathma!…

L’almea si prese la testa fra le mani con gesto disperato. Chiuse gli occhi, poi li riaprì umidi di pianto.

Ahmed, diss’ella con voce ancora più alterata, quasi commossa. Non tentarmi, che fra noi due tutto è finito. Un tempo ti ho amato, un tempo per te avrei dato tutto il mio sangue, avrei commesso persino dei delitti. Un giorno si operò in me un improvviso cangiamento. Sentii che il mio amore sfumava lentamente, sentii infine che non ti amava più. Lottai, te lo giuro, lottai strenuamente contro la nuova passione che s’era scatenata tremenda nel mio cuore. Piuttosto che contaminare la tua capanna, fuggii.

Perchè? Con chi?

Con un uomo che era tuo soldato e che mi aveva, mio malgrado, affascinata. Sei mesi dopo il mio amante moriva nella battaglia di Kadir. Mi mancò il coraggio di ritornare ai tuoi piedi e ripresi la mia errante carriera, trascinandomi di città in città, di villaggio in villaggio, allontanandomi sempre più da te. Io temeva la tua vendetta.

Continua, sciagurata.

Una notte, un prode arabo…

No, un prode, di’ un vigliacco! interruppe Ahmed furibondo.

Fathma si raddrizzò quanto era alta, pallida, fremente, vibrandogli uno sguardo feroce.

Taci, Ahmed, taci! diss’ella con voce strozzata. Non insultare gli eroi!…

Continua!

Una notte, come ti dissi, un prode arabo mi salvò la vita. Quell’arabo era bello, era forte e mi impressionò. Ci trovammo a Hossanieh ed egli mi amò. Ero sola, senza difesa, in un paese sollevato a rivolta; fra me e te ormai esisteva un abisso e lo amai. Ho commesso forse un delitto amando quell’arabo che espose la sua vita per salvare la mia? Ho commesso forse un delitto appoggiandomi a lui? Parla, Ahmed: se tu ti fossi trovato nella mia situazione, non avresti fatto altrettanto?

No! No! Fathma! Tuo dovere era quello di scavare un abisso tra te e quel miserabile, di colmare quello che avevi scavato fra me e te e ritornare fra le mie braccia. Chissà… forse ti avrei perdonato.

Non ne ebbi il coraggio. Mi facevi paura.

E oggi?

Oggi…

Ebbene?

Mi fai ribrezzo!

Ahmed emise un ruggito, un ruggito simile a quello che emette il leone quando è colpito a morte. Egli si avventò come un pazzo contro Fathma, se la serrò contro il petto facendole scricchiolar le ossa, la baciò, le morse furiosamente i neri e lunghi capelli ripetendo;

Ti odio e ti amo immensamente.

Fathma, spaventata, cercò di sciogliersi da quella stretta e di sottrarsi a quei baci che le facevano l’effetto di tanti colpi di pugnale.

No, no, gridò Ahmed delirante. Non mi fuggirai più, io ti amerò anche se tu non vorrai, io ti farò mia dovessi impiegare la forza.

Egli l’aveva abbrancata ancor più strettamente e la trascinava verso l’angareb. Fathma gettò un grido.

Lasciami, Ahmed! Lasciami! gridò ella dibattendosi disperatamente.

Il Mahdi la guardò con occhi di fuoco.

Sei mia! sei mia! le fischiò agli orecchi.

Lasciami, lasciami! rispose Fathma mordendolo in un braccio. Non appartengo più a te. Sono di Abd-el-Kerim.

Ti amo, Fathma! Ti amo!

Ti odio, ti maledico, ti disprezzo!

Ahmed cercò di rovesciarla sull’angareb. Fathma balzò in piedi come una leonessa, poi alzando il pugno lo lasciò cadere sul volto del Mahdi che si coprì di sangue.

Ahmed digrignò i denti. La sollevò, la scosse come una piuma, e la scagliò a rompersi il capo contro la parete.

Fathma! diss’egli con terribile calma. Sei perduta!…

CAPITOLO XI. Il perdono

El-Mactud era verde per l’ira e si rodeva d’impazienza. Cinque interminabili giornate erano trascorse da che aveva dato nelle mani di Ahmed, Fathma, e non ancora gli era pervenuta la tanto desiderata grazia di Notis.

Venti volte, lo sceicco, che aveva una paura fortissima che Ahmed lo avesse corbellato, aveva chiesto di entrare nel tugul e venti volte gli avevan risposto che Ahmed non riceveva nessuno. Stava per uscir dai gangheri e ricorrere a qualche mezzo estremo a rischio di farsi tagliare la testa, quando il mattino del sesto giorno vide i tre vizir del campo Ibrahim, Juban e Ahmed e Gustavo Klootz entrare in furia nel tugul del Mahdi.

Con un salto lo sceicco fu alla porta della capanna. Aveva compreso che qualche cosa di grave era accaduto e che forse lo riguardava. Dopo di aver insistito, ma invano, per entrare, si rassegnò ad aspettare che i vizir uscissero per interrogarli.

Non corse molto tempo che uno di essi, Juban, comandante delle truppe irregolari, comparve. Egli mosse incontro allo sceicco che brontolava a pochi passi dalla capanna.

Cercava appunto te, gli disse il vizir.

Ne era ben tempo, rispose El-Mactud.

Juban si trasse dalla cintola una pergamena arrotolata e la porse allo sceicco che la prese con vivacità.

Questa è la grazia che tu hai chiesto. Vattene, ma non dimenticare che questa grazia l’hai ottenuta condannando a morte la più bella donna del Kordofan.

Che intendi di dire? chiese lo sceicco tremando. Spiegati, vizir.

Han condannato a morte la povera Fathma.

Giusto Allàh!

Fra un’ora Yokara l’annegherà nel lago Tscherkela. Vattene, traditore, nè osa comparirmi più dinanzi. Io ti disprezzo.

Il vizir gli volse sdegnosamente le spalle e rientrò nel tugul. El-Mactud, trasecolato, rimase lì, colla testa china sul petto e le labbra strette, strette.

Han condannato a morte l’almea! mormorò egli con isgomento. E sono stato io a darla nelle loro mani. Povera donna!… Orsù, cacciamo le emozioni in fondo al cuore e tiriamo avanti. È l’inviato di Dio che l’ha condannata. D’altronde non vi era altro mezzo per salvare il greco.

Si passò a più riprese la mano sulla fronte e terminò col crollare le spalle. Si avvicinò a Medinek, il quale teneva per le briglie un magnifico cavallo nero, di razza abù-rof, che scalpitava impazientemente e rodeva il freno macchiandosi il lucente petto di candida bava.

Tu rimarrai qui, gli disse lo sceicco. Qualunque cosa accada, non ti allontanerai dal tugul di Ahmed.

Balzò agilmente in arcione, cacciò un paio di pistoloni nelle fonde della sella, raccolse le briglie e lanciò l’ardente corsiero sulla via di El-Obeid.

I muezzin dall’alto degli esili minareti invitavano i credenti all’ed-dòkr (preghiera del mezzodì) quando lo sceicco giungeva alla capanna dove era custodito il prigioniero.

Alcuni guerrieri erano accocolati dinanzi alla porta, pranzando con fegato di cammello condito con pepe rosso, fiele e orina di mucca. Vedendo lo sceicco arrestarsi e scendere da cavallo, s’alzarono come un sol uomo brandendo le lancie e i loro moschettoni.

Chiamatemi il vostro capo, disse El-Mactud. Ordine dell’inviato di Dio!

Un istante dopo sulla soglia della capanna appariva un negro riccamente vestito e armato fino ai denti. Quest’uomo era Omar.

Sei tu il capo di questa gente? gli chiese El-Mactud.

Sì.

Leggi, disse lo sceicco, consegnandogli la pergamena del Mahdi.

Omar l’aperse e vi gettò sopra gli occhi. Tosto trasalì come un condannato che vede la mannaia del carnefice levarsi improvvisamente sulla sua testa e fece un gesto di disperazione.

Graziato!… Notis graziato!… balbettò egli. Questa pergamena è falsa! Non può essere… non può essere!

Bada ai casi tuoi, disse El-Mactud minacciosamente. Porre in dubbio una pergamena dell’inviato di Dio è pericoloso per la testa di un uomo.

 

Omar lo comprese e non osò continuare. Tuttavia non voleva cedere quel greco che tanto odiava, senza parlare prima con Abù-el-Nèmr.

Odimi, disse allo scièk. Io credo alla pergamena, ma lasciami due ore di tempo onde io parli collo sceicco Abù-el-Nèmr; poi ti cederò il prigioniero.

Non ti accordo nemmeno cinque minuti. Ad Ahmed occorre sull’istante il greco.

E se io mi opponessi colla forza?

In tal caso mi recherò dal mudir (governatore della città), farò assalire il tuo tugul dalla guarnigione e uccidere tutti i tuoi guerrieri.

A quella minaccia, Omar si sentì mancare la forza di resistere oltre. Egli si trasse da un lato appoggiandosi alla parete per non cadere. Un sordo gemito gli uscì dalle labbra.

El-Mactud attraversò con un salto la soglia e si precipitò come bomba nella capanna. Là, su di un angareb disteso supino, col volto fra le mani, se ne stava il greco Notis. Al fracasso che fece lo sceicco entrando, scattò in piedi. Due grida rimbombarono.

Notis!…

El-Mactud!…

Bianco e negro si abbracciarono con effusione.

Tu qui! esclamò il greco che stentava a credere di aver proprio dinanzi a sè lo sceicco. Ma come mai? Chi ti condusse? Sei forse prigioniero?

El-Mactud invece di rispondere, prese il suo jatagan e lo passò nella cintura dell’amico.

Ma che vuol dire ciò? chiese Notis che non capiva assolutamente nulla.

Ciò significa, amico mio, che tu sei libero.

Libero!… Io libero!… Ma come!… Hai sbaragliato i guerrieri che mi custodivano, forse?

Niente affatto; è Ahmed che ti ha graziato.

Ah! l’eccellente uomo!

Non dire così, Notis, disse gravemente lo scièk.

Perchè?

La tua grazia è costata la vita di una superba donna; Ahmed l’ha condannata all’annegamento nel lago Tscherkela.

Una donna!… Una superba donna annegata!… Spiegati, El-Mactud, chi è questa donna?

Indovina.

Non saprei.

È una donna che io trovai nella zeribak dei prigionieri e che diedi nelle mani di Ahmed per ottenere la tua grazia.

Notis impallidì orribilmente. Un sospetto, ma un sospetto terribile gli attraversò il cervello.

Chi è!… Chi è!… balbettò egli. Il nome… Voglio il nome di quella donna!

La donna che ho tradito per salvarti si chiama Fathma!

Un grido selvaggio soffocò l’ultima sua parola. Il greco fuori di sè, pallido di rabbia, di dolore, di disperazione, colla spuma alle labbra, gli occhi schizzanti fuor dalle orbite, era piombato addosso alla parete come fosse stato fulminato.

Perduta!… perduta! ruggì egli.

El-Mactud, spaventato, si precipitò verso di lui per sostenerlo. Non ne ebbe il tempo. Notis si era raddrizzato in preda ad una tremenda collera.

Egli si scagliò come una tigre addosso allo sceicco, scaraventandolo contro la parete opposta con violenza tale da fargli scricchiolar tutte le ossa del corpo.

Aiuto!… Aiuto!… urlò il povero diavolo.

Miserabile! tuonò il greco.

Tornò a gettarglisi addosso colpendolo in mezzo al petto con un furioso colpo di testa. Bianco e negro, afferratisi a mezzo corpo, rotolarono a terra urlando come belve, tempestandosi di pugni e dilaniandosi le carni coi denti.

Ad un tratto Notis violentemente si separò dall’avversario, balzando in piedi; nella mano dritta stringeva l’jatagan bagnato di sangue fino all’impugnatura.

L’assassino mirò con occhi stravolti El-Mactud che contorcevasi disperatamente colla testa fessa fino al mento, poi fuggì come un forsennato.

Al di fuori della capanna scalpitava il cavallo dello sceicco. Notis con un salto fu in sella e lo spinse a sfrenata corsa per le vie di El-Obeid, senza nemmeno accorgersi che un drappello di cavalieri guidati da Omar si era slanciato dietro di lui.

La gente, vedendo quell’uomo tempestare il cavallo coll’impugnatura dell’insanguinato jatagan, si riparava dietro ai muri o dentro le capanne, credendolo pazzo.

Ed infatti l’assassino aveva l’aspetto di un demente.

Schiacciato da quella catastrofe inaspettata, che dalle cime raggianti della speranza, lo aveva precipitato nell’abisso della disperazione, era addirittura irriconoscibile. Aveva i capelli irti, la spuma alle labbra, il volto spaventosamente scomposto, chiazzato di rosso e gli occhi roteanti in un cerchio sanguigno. Il petto, a mala pena coperto dalle vesti lacerate ed imbrattate di sangue, gli si sollevava violentemente quasichè volesse scoppiare e dalle labbra gli uscivan parole sconnesse, bestemmie, urla disperate, ruggiti.

Egli attraversò, sempre di gran carriera, la città, rovesciando e storpiando più di dieci persone, passò come un uragano sotto la porta che dava nella campagna fugando la sentinella che aveva tentato di fermarlo e in quindici minuti giunse dinanzi alla capanna di Ahmed. Con una violenta strappata arrestò lo sbuffante corsiero che stava per passare sul corpo di Medinek.

Dov’è Fathma? chiese rabbiosamente al guerriero.

Il carnefice l’ha portata via, rispose l’interpellato.

Maledizione!… Dove?

Al lago.

Quando?

Venti minuti fa.

Notis s’allontanò, lanciando il cavallo ventre a terra.

Padrone! gli gridò dietro Medinek. State in guardia! Avete Abù-el-Nèmr dinanzi!

Ira di Dio! tuonò il greco. È uomo morto!…

L’animale, col petto spruzzato di spuma, il ventre insanguinato dai colpi d’jatagan del furente cavaliere, andava rapido come una freccia, colla criniera al vento, le nari fumanti, gli occhi dilatati, gettando di quando in quando un sordo nitrito. Vi era da temere che soffocasse.

In venti minuti l’immenso campo del Mahdi fu attraversato, poi il cavallo slanciossi attraverso le pianure del sud-est sollevando nembi d’impalpabile sabbia.

Vola! vola! gli urlava incessantemente il greco, tempestandolo di pugni. Bisogna che giunga in tempo di salvarla!

La via era diventata deserta. Qua e là si scorgevano qualche solitario palmizio e dei tumuli ornati di lapilli a svariati colori che formavano bellissimi disegni, e di armi, come lancie, archi, vecchi moschetti irruginiti e scudi. Il greco trasalì nel riconoscere delle tombe.

Erano le sette circa quando udì in distanza lo scalpitìo di parecchi cavalli.

Eccoli! mormorò egli con intraducibile accento.

Il cavallo eccitato colla briglia e colla punta dell’jatagan raddoppiò la velocità ansimando furiosamente e raggiunse i piedi di una catena di colline che piegava verso il sud-est, dividendo per metà la deserta e sabbiosa pianura.

Il greco cacciò fuori una spaventevole bestemmia ed arrestò di colpo l’animale.

Ira di Dio! Eccoli!

Dinanzi a lui, a un seicento metri di distanza, galoppavano dei guerrieri guidati da uno sceicco. In quest’ultimo Notis aveva riconosciuto Abù-el-Nèmr.

Ah! cane! ruggì egli allungando le mani verso le fonde della sella dalle quali uscivano i calci di due pistole.

Per un istante ebbe la pazza idea di inseguire quei guerrieri e d’impegnare con essi una disperata pugna, ma la paura di avere la peggio lo trattenne. Gettò all’intorno uno sguardo crucciato e l’arrestò su di un negro che erasi levato dietro una montagnola di sabbia.

Dove mena questa via? gli chiese.

Al lago Tscherkela.

E quella delle colline?

Egualmente.

Quale è la più corta?

Quella delle colline.

Fathma è salva!

Tornò rapidamente indietro e si cacciò in una stretta gola rinserrata da colline tagliate a picco.

Il cavallo la percorse tutta d’un fiato, poi entrò in una valle ingombra di cespugli gommiferi e di tamarindi colossali. Il lago, se lo sentiva, era ormai vicinissimo. L’aria era più fresca e volavano per l’aria stormi di pellicani e di fenicotteri, volatili che mai si allontanano dalle acque.

Ad un tratto il cavallo si arrestò. Tremava, rantolava, e aveva chinata la testa sul petto. Notis comprese che era agli estremi.

Lo percosse coll’impugnatura dell’jatagan, ma l’animale non si mosse.

Ira di Dio! bestemmiò egli furibondo. Bisogna che tu cammini!

Accese un po’ d’esca e lasciò cadere una bricciola in un orecchio della povera bestia. A quel contatto si diede subito a precipitosa fuga scuotendo disperatamente la testa.

Era giunto quasi all’uscita della valle quando tornò ad arrestarsi. Cacciò fuori un ultimo nitrito, poi rotolò pesantemente al suolo; uno sprazzo di sangue gli uscì dalle nari e rimase immobile, irrigidito dalla morte.

Il greco non si perdette ancora d’animo. Strappò dalle fonde della sella le pistole e si mise a correre come un pazzo.

Appena uscito dalla valle il lago Tscherkela gli si svolse dinanzi tutto d’un tratto, racchiuso fra ridenti rive. Un mahari era legato al tronco di un palmizio, e sulla cima di una piccola roccia che cadeva a picco sulle acque, stava un negro di colossale statura, tenendo alzato al disopra della sua testa un gran sacco di pelle che pareva racchiudesse un corpo umano.

Ferma! Ferma!… gridò il greco con accento disperato.

Il muggito delle onde, che sollevate da una fresca brezza, si frangevano contro le roccie, impedì al carnefice di udirlo. Il momento era terribile. Fathma stava per essere precipitata nel lago. Un momento ancora e tutto sarebbe finito.

Un’improvvisa idea balenò nella mente del greco. Puntò una delle due pistole; s’udì una strepitosa detonazione seguita da un urlo di dolore e da un tonfo. Yokara e la sua vittima erano capitombolati nel lago.