Za darmo

La favorita del Mahdi

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CAPITOLO XIV. L’appuntamento

Il campo si era già addormentato da un bel pezzo, quando Omar, tutto trafelato per la lunga corsa, giungeva alla tenda.

Fathma, sdraiata sulla coperta, col capo appoggiato su di uno zaino, dormiva tranquillamente e O’Donovan vegliava accoccolato presso di lei, fumando una sigaretta e leggendo alcune note del suo libriccino al vacillante chiarore di una torcia resinosa infissa nel suolo.

Al rumore che fece il negro entrando, il reporter alzò il capo.

Finalmente, diss’egli. Dove sei andato?

A dire due parole ad un soldato mio amico, disse Omar con aria imbarazzata. Come sta Fathma? Ebbe ancora il delirio?

No, e spero non delirerà più.

La conversazione cadde lì, il negro e il reporter si sdraiarono a terra, l’uno accendendo il suo scibouk e l’altro ripigliando la lettura del suo notes.

La notte, sotto la tenda passò abbastanza tranquilla. Fathma si svegliò due o tre volte in preda al delirio, ma fu cosa da poco. Nell’accampamento invece vi furono parecchi allarmi, molti colpi di fucile ed anche un attacco da parte degli insorti che fu respinto dalla carica di uno squadrone di basci-bozuk e dal fuoco delle mitragliatrici.

Appena il sole spuntò, O’Donovan saltò in piedi.

Omar, diss’egli. Oggi non tornerò nella tenda avendo da fare una escursione nei dintorni del campo con lo Stato Maggiore. Questa sera, però, prima che il sole tramonti, sarò qui. Veglia sulla malata.

Il negro lo seguì fuori della tenda, poi, quando vide che era un bel tratto lontano, s’affrettò a rientrare chiamando ripetutamente la sua padrona.

La povera almea, alla voce del fedele schiavo, non tardò a svegliarsi. Ella si rizzò a sedere, girando attorno sguardi smarriti. Era pallida, abbattuta, aveva la disperazione scolpita in volto e tremava come avesse una potentissima febbre. Afferrò convulsivamente le mani che le tendeva Omar e le strinse con frenesia.

Omar!… Omar!… esclamò essa con voce cavernosa.

Come state mia disgraziata padrona? chiese il negro che frenava a gran pena le lagrime tremolantegli sotto le ciglia.

Ah! Omar, sono stata alfine colpita proprio al cuore, sono stata alfine curvata dal potente soffio della fatalità! Povere mie speranze infrante, povero Abd-el-Kerim.

Un singhiozzo le montò alla gola e soffocò la sua voce. Gli occhi le si appannarono e l’abbronzato suo volto si rigò di pianto.

Tutto a me d’intorno è ruinato, ripigliò ella con disperato accento, tutto è finito, tutto è perduto. Oh! l’orribil sogno!… Aver tanto sperato, aver tanto sofferto, tanto lottato e poi non rivederlo… è spaventevole, è mostruoso!… Aveva sperato di rivedere ancora quegli occhi che mi avevano vinto, che mi avevano domato, di riudire ancora quella voce che mi aveva giurato eterno amore nelle foreste del Bahr-el-Abiad, quella voce che mi faceva saltare il cuore in petto, che mi rapiva in estasi; aveva sperato di rivederlo ai miei piedi ebbro d’amore, di essere alla fine felice dopo tanti strazi… e non lo rivedrò invece più mai… Allàh, dammi la forza di resistere che io muoio!… Oh Dio! quanto sono infelice!

Ella nascose il volto fra le mani, si rovesciò all’indietro e pianse. Omar, che non riusciva a frenare egli pure le lagrime, la risollevò.

Padrona, non disperarti così, non piangere. Tutto non è terminato ancora, diss’egli. Lo ritroveremo, te lo giuro, e più presto di quello che tu credi.

Perchè illudermi, Omar? Non spero più; tutto è irremissibilmente perduto, tutto! tutto!

Ma no, non è perduto, tutto padrona. Anzi potei raccogliere, ieri sera, alcune notizie su Abd-el Kerim, e posso assicurarti che non è morto.

Fathma scattò in piedi come una leonessa. Ella afferrò Omar per le braccia scuotendolo quasi con furore.

Notizie di lui! di Abd-el-Kerim! esclamò ella con una voce che l’emozione strozzava. Omar!.... Omar!… non farmi morire dalla gioia, non farmi balenare una speranza che forse non esiste.

Te lo giuro, padrona, io ho avuto notizie di lui.

Dov’è? Dove l’hanno condotto?.... Dimmelo, Omar, dimmelo!

È prigioniero dello sceicco Tell-Afab.

Ah!… dove si trova questo sceicco?… Io voglio vederlo.

È impossibile, padrona. Si è recato al sud a combattere contro alcune tribù che si sono ribellate al Mahdi; dopo ritornerà certamente a El Obeid.

Ed è sano il mio Abd-el-Kerim?

Questo lo sapremo questa sera a mezzanotte

L’almea lo guardò cogli occhi stravolti.

A mezzanotte! esclamo ella con sorpresa. Da chi? Come?

Da un ribelle che si chiama Tepele.

E tu conosci questo ribelle? Oh! vorrei abbracciarlo quest’uomo.

Sarebbe pericoloso, padrona, si correrebbe il rischio di buscarsi qualche colpo di lancia. Ascolta quanto m’è toccato questa notte.

L’almea tornò a sedersi, tutta inondata di gelido sudore e tremante per la violenta emozione. Omar, accoccolatosi a lei accanto, le narrò per filo e per segno l’incontro di Takir, la gita di questi fuori del l’accampamento, il colloquio che aveva tenuto col ribelle Tepele, l’appuntamento per la mezzanotte con Elenka e infine il dramma sanguinoso che seguì la scrittura del biglietto.

Fathma l’ascoltò in silenzio, senza dare il più piccolo segno di collera o di gioia, ma quand’ebbe finito si alzò colle pistole in pugno, dirigendosi verso l’uscita della tenda,

Dove vai? gli chiese Omar, spaventato, mettendosi risolutamente dinanzi.

Vado alla tenda della greca, rispose Fathma con voce sorda. Fra mezz’ora le avrò fatto saltare le cervella.

Ma tu vuoi perderci tutti e due! No, padrona, non lo farai.

Ma sai Omar che ho il sangue che mi bolle? Sai che per ucciderla darei volentieri la mia vita?

E se io ti fornissi il mezzo di ucciderla egualmente, senza che tu abbi a correre pericolo alcuno?

Come? Parla, Omar, parla.

Aspettiamo questa notte innanzi tutto. Appena il campo si sarà addormentato noi raggiungeremo il tugul e ci nasconderemo nell’interno o lì vicini. Elenka verrà, noi assisteremo al suo colloquio col ribelle Tepele, poi, quando sarà rimasta sola, o nel tugul o nella foresta noi l’assaliremo e la scanneremo come io ho scannato Takir. Ti pare? Nessuno ci vedrà, nessuno saprà nulla, non rimarrà nemmeno la più piccola traccia dell’assassinio, poichè i leoni e le iene s’incaricheranno di far sparire il cadavere.

E O’Donovan? Egli vorrà venire con noi e ci sarà d’ostacolo.

Niente affatto, egli non verrà. Lascia fare a me, e vedrai che tutto andrà bene.

Ma sei certo che Elenka si recherà all’appuntamento?

Più che certo. Io vado a farle recapitare il biglietto scritto da Takir. Quando leggerà che trattasi di sapere ove trovasi Abd-el-Kerim non esiterà un solo istante a partire.

Se così fosse!… Oh!… quale ebbrezza, nel vederla morta ai miei piedi in un lago di sangue.

La vedrai morta, padrona. Rimani adunque, pazienta ancora alcune ore.

E sia, aspetterò la mezzanotte, L’ora sarà più propizia per la vendetta.

Allora io mi reco alla tenda di Elenka.

E se ti conosce?

Non mi riconoscerà perchè non sarò già io che le consegnerò il biglietto.

Il negro sturò una bottiglia di caffè, l’ultima che possedeva O’Donovan, vi aggiunse alcune goccie di wiscky che trovò in una fiaschetta e ne fece trangugiare buona parte all’almea. Ne sorseggiò qualche poco, poi uscì per compiere la difficile missione.

L’almea, in preda ad un’ansia indescrivibile, si sdraiò sul limitare della tenda colla testa fra le mani e il volto cupo. Venne il mezzodì; il rancio composto di pochi grani di durah, d’una piccola porzione di carne di cammello morto di fatica e di alcune goccie di acqua putrida e calda, fu dispensato, ma Omar non comparve.

Passarono altre otto lunghe ore. Già Fathma cominciava a temere che gli fosse accaduto qualche disgrazia, che fosse stato scoperto e preso, quando comparvero dinanzi alla tenda il negro e il reporter del Daily-News.

– By-good! esclamò allegramente O’Donovan. entrando. Di già in piedi, mia buona amica! Come state?

Molto bene, rispose Fathma guardando Omar che le fece un rapido cenno.

Non posso fare a meno di ammirarvi, riprese il reporter. Siete d’acciaio.

Sono araba, ecco tutto.

Che avete pensato di fare? Rimarrete al campo?

Per ora sì. In seguito vedrò.

Sapete che siamo lì lì per levare le tende e marciare su El-Obeid?

Ah! di già?

Sicuro. Oggi Aladin e Hicks pascià si sono riuniti collo Stato Maggiore e hanno deciso di partire

E quando?

Probabilmente domani. Ma ho paura che succeda dei guai.

Perchè?

I due pascià non s’intendono sulla via da scegliersi per marciare su El-Obeid. Hicks vuole andarvi per la pianura che è la via più corta, Aladin invece vuole andarvi pei monti e fare alto a Melbass prima di dare battaglia.

E cosa hanno concluso? chiese Fathma.

Che l’esercito si separerà in due corpi. L’uno marcerà su El-Obeid e l’altro su Melbass.

Che ne dite di questa separazione?

Io dico che ci condurrà ad una catastrofe, disse tristemente O’Donovan. Lo vedrete, Fathma, saremo schiacciati dal Mahdi.

Nella tenda regnò per alcuni istanti un penoso silenzio. D’improvviso Fathma s’avvicinò al reporter che era diventato pensieroso, e posando le mani sulle spalle di lui, gli disse:

 

O’Donovan, ho un piacere da chiedervi.

Parlate amica mia, rispose l’irlandese con voce affettuosa. Sono ai vostri ordini.

A mezzanotte devo trovarmi fuori dell’accampamento per parlare con un ribelle. Mi darà importanti notizie su Abd-el-Kerim.

Oh! fe’ il reporter sorpreso. Vi recate ad un appuntamento!

Sì, questo ribelle, al quale io salvai, due anni addietro, la vita, parlò oggi con Omar. Egli disse che a mezzanotte potrebbe darci notizie esatte sul luogo ove fu tratto il mio fidanzato. Non bisogna che io manchi.

Ebbene, ci andremo tutti e tre.

No, voi non potete venire. Il piacere che vi chiedo è che voi rimaniate nella tenda.

Che io rimanga qui!… E perchè?

Perchè la presenza di un bianco, di un infedele, potrebbe irritare quel selvaggio.

Ma, se quel ribelle vi tendesse invece un agguato? La mia compagnia è un remington di più che parlerebbe, ve l’assicuro, con una precisione terribile.

Non abbiate timore che ci si giuochi un brutto tiro, O’Donovan. Quel selvaggio Baggàra è un uomo di parola e mi ha giurato sul Corano che nessuno ci torcerà un capello.

Quando è così, rimarrò nella tenda.

Giuratelo.

Lo giuro.

Grazie, O’Donovan, disse Fathma con voce commossa. Prima che l’alba spunti noi saremo di ritorno e sapremo che sarà successo del mio infelice Abd-el-Kerim.

La sua faccia s’alterò fortemente e la voce le si spense in un singhiozzo.

Andiamo, padrona, disse Omar porgendole il remington.

L’almea che aveva chinato il capo sul seno, lo rialzò con un gesto d’indomita fierezza. I suoi occhi si accesero d’una cupa fiamma e le nari si dilatarono straordinariamente.

Vieni, Omar! esclamò ella. Là ci aspettano.

Strinse la mano al reporter e uscì a rapidi passi col negro, inoltrandosi silenziosamente fra la moltitudine di tende. Erano quasi le undici di notte quando oltrepassati gli avamposti, entravano nel palmeto.

La via? chiese Fathma. La conosci tu?

A menadito, rispose Omar. Cammina dietro di me e sta bene attenta. Il ribelle assicurò Takir che non correrebbe alcun pericolo ma non bisogna fidarsi.

Verrà la mia rivale?

Sicuramente, Fathma.

Come hai fatto a consegnarle il biglietto di Takir?

Lo diedi ad un soldato che per un pugno di parà lo portò. Egli mi disse che la greca, nel leggerlo, mandò un grido di gioia immensa.

Ah! esclamò Fathma coi denti stretti e accarezzando l’impugnatura dell’jatagan. Allunghiamo il passo; sono impaziente di vedere il luogo dove cadrà per sempre la mia odiata rivale!

Al disotto di quella foresta v’era oscurità perfetta; era molto se qualche raggio lunare, azzurrognolo, d’infinita dolcezza, penetrava fra il fitto fogliame delle palme, dei tamarindi e dei colossali baobab, a formare una chiazza biancastra sul suolo erboso o coperto di immani radici che uscivano da terra come serpenti. Mille urla, mille ruggiti, mille scrosci di risa s’udivano a destra e a manca, emessi dagli sciacalli, dei leoni e dalle iene che si disputavano i cadaveri degli Egiziani o dei ribelli rimasti sul terreno nella scaramuccia della notte precedente. Di quando in quando, verso le lontane pianure o verso il campo, echeggiavano scoppi rumorosi di remington o di moschettoni seguiti poco dopo dagli allarmi degli avamposti.

Omar e Fathma, procedendo silenziosi come ombre e colla massima circospezione, in capo a mezz’ora ebbero attraversato il palmeto senza aver incontrato alcun insorto. Essi si trovarono dinanzi ad una serie di scoscese colline, in cima ad una delle quali alzavasi un tugul conico.

Quello là, disse Omar, è il luogo dell’appuntamento. Saliamo con precauzione, Fathma. Potrebbe darsi che Tepele si trovasse di già sul posto.

Aggrappandosi ai cespugli, aiutandosi l’un l’altro e sempre nel più profondo silenzio, essi guadagnarono la cima della collina, piana, sparsa di macigni e di cespugli, con un profondo burrone nel mezzo, dalle pareti tagliate a picco e nel cui fondo urlavano bande numerose di sciacalli.

Omar si spinse fino al tugul ma era oscuro e deserto.

Benone, mormorò egli ritornando presso Fathma. Non sono ancora giunti ma non staranno molto a venire. Ti senti forte padrona?

Più forte e più risoluta che mai, rispose Fathma. Lascia che venga la mia rivale e io ti farò vedere di quanto sia capace un’araba.

Ella mostrò al negro un fitto cespuglio distante appena venti passi dal tugul e vi si nascosero nel mezzo, cogli occhi fissi sulla sottostante pianura.

Erano passati appena dieci minuti che dal nord fu visto venire innanzi un uomo semi-nudo armato di una lunga lancia. Omar conobbe in lui Tepele, l’amico di Takir.

Sta attenta Fathma, mormorò il negro all’orecchio della compagna.

Tepele era giunto ai piedi del colle. Lo salì con una agilità da scimmia, passò a pochi passi dal cespuglio, entrò nel tugul e accese un po’ di fuoco.

D’improvviso Fathma afferrò fortemente il braccio d’Omar e lasciò uscire dalle labbra contratte una sorda esclamazione.

Guardala! diss’ella con voce arrangolata. Guardala!

Una donna armata di fucile e affatto sola, era apparsa sul limitare del palmeto. La luna che batteva su di lei, rendeva perfettamente visibili i suoi lineamenti e il costume greco che indossava.

Erano passati due mesi, quando una notte ebbi [a brutta idea di invitarlo a cacciare il leone. Io] camminavo dinnanzi e lui camminava dietro a me.

Elenka! balbettò Omar che provò involontariamente un brivido.

Appena che mi capita a tiro di fucile io l’abbatto! Ho il sangue che mi bolle e nubi di fuoco dinanzi agli occhi. Oh! la vendetta!… la vendetta!…

Non ti muovere, padrona! Se tu l’ammazzi prima che abbia a parlare con Tepele non sapremo più mai dove potremo trovare Abd-el-Kerim. Frenati per mezz’ora.

L’almea che si era rizzata sulle ginocchia col remington in mano, tornò a sdraiarsi.

Aspetterò, mormorò.

La greca dopo aver esitato, si era messa a salire la dirupata china saltando di sasso in sasso, di scheggione in scheggione come un’antilope. Si fermò tre o quattro volte, girò e rigirò attorno al tugul dalle cui fessure uscivano raggi di luce, poi entrò. Fathma e Omar balzarono fuori dal cespuglio, e si appostarono ai lati della porta, spingendo gli sguardi nell’interno della capanna.

Frenati, mormorò un’ultima volta Omar.

Non aver paura di nulla, rispose Fathma. Ora Elenka è mia!

CAPITOLO XV. Due tigri

Tepele, che si era accoccolato accanto al fuoco, nello scorgere la greca si era subito alzato andandole incontro. Egli le baciò la mano, la fece sedere su di un angareb malandato e gettò una nuova bracciata di legne secche sul fuoco.

Ebbene Tepele, disse la greca, con un leggiero tremito nella voce. Sai alfine qualche cosa?

Sì, ma dov’è Takir?

Non ha potuto venire. Su, narra, fa presto che ho l’inferno nel cuore. Dove si trova? È vivo?… È morto?…

Posso assicurarvi che Abd-el-Kerim è vivo.

Elenka scattò in piedi come una pazza.

È vivo!… Vivo!… ripetè ella con un’esplosione di gioia che pareva delirio. Sei proprio sicuro?.... L’hai veduto proprio coi tuoi occhi?… Dimmelo, Tepele, dimmelo!

Io non l’ho veduto, rispose il guerriero, ma ho parlato quest’oggi con un arabo che veniva dal sud. Egli l’ha non solo visto, ma gli ha anche parlato.

Posso fidarmi delle parole di quell’arabo?

Danàqla è incapace di mentire.

Dove si trova il mio povero Abd-el-Kerim?

È nelle mani dello sceicco Tell-Afab il quale sta ora guerreggiando sulle rive del lago Tsherkela contro una tribù di Bàggara che si è ribellata al nostro signore.

È prigioniero adunque? chiese con trepidazione la greca.

È prigioniero.

Lo si maltratta forse?

Non abbiamo questa abitudine verso gli uomini che potrebbero esserci di grande utilità.

Che vuoi dire?

Abd-el-Kerim è ufficiale che se ne intende di cose di guerra e potrà servire sotto le nostre bandiere con un bel grado.

Credi tu che accetterà?

E perchè no? Egli è arabo e gli arabi non amano gli Egiziani.

Ma se egli rifiutasse?

In tal caso gli si taglierà la testa, disse tranquillamente Tepele.

Tu mi fai paura. Rifiuterà, ne son certa.

Non aver timore, che egli anzi accetterà. Appena lo scièk Tell-Afab avrà soggiogato quei miserabili Bàggara, tornerà a El-Obeid, presenterà l’arabo a Mohammed-Ahmed e questi lo convertirà. Non sarei sorpreso se gli affidasse qualche buona tribù di guerrieri.

Ed io, dove potrei vederlo? Cosa potrei fare per raggiungerlo? Oh! io voglio rivederlo, dovessi arrischiare la mia vita mille e mille volte, dovessi passare in mezzo a centomila ribelli.

Sarà difficile che tu possa raggiungerlo.

Anche se Hicks pascià rompesse le orde di Mohammed-Ahmed e s’impadronisse di El-Obeid?

Un sorriso ironico apparve sulle labbra del ribelle.

Non illuderti, diss’egli. Non si vince l’inviato di Allàh. Ad un suo cenno i vostri cannoni invece di vomitare fuoco e bombe vomiteranno acqua.

Ma non sai che siamo in undicimila e armati sino ai denti?

Sicuro che lo so.

Faremo di voi tutti un massacro.

E che importa a noi il morire? Mohammed-Ahmed ci aprirà le porte del paradiso e tutti si batteranno come leoni per guadagnare questo premio. Lo vedrai, Ahmed disperderà il tuo esercito come il simoum disperde le sabbie, poi conquisterà l’Egitto sgozzando egiziani, turchi e cristiani, passerà alla Mecca a rovesciare dal trono il Sultano dei turchi, conquisterà l’India e diverrà il padrone del mondo per farvi regnare la sua fede.

Ti lascio nelle tue credenze. Ma non potrei in qualche modo raggiungere Abd-el-Kerim? Se passassi sotto la bandiera del Mahdi?

Sei una donna e non si saprebbe cosa fare di te.

Valgo più di un uomo. Sono una jena.

Si potrebbe tentare.

Quando?

Questa istessa notte, disse Tepele. Domani forse sarebbe troppo tardi.

Mettiamoci in cammino allora.

Andiamo adagio Tu mi aspetterai qui. A un miglio da queste colline accampano i miei compagni; io andrò a chiedere a loro se ti accettano sotto la loro bandiera.

Sta bene, ti aspetterò disse Elenka.

Tepele gettò una nuova bracciata di legne secche sulle due pietre che formavano il focolare, prese la sua lancia e uscì.

Non erano ancora trascorsi due secondi che al di fuori s’udiva una detonazione accompagnata da un grido straziante. Elenka si precipitò verso la porta, ma retrocesse quasi subito fino all’estremità della capanna coi capelli irti sul capo. Il sangue le si gelò nelle vene; impallidì spaventosamente.

Dinanzi a lei, sul limitare della capanna, era improvvisamente apparsa l’almea Fathma con due pistole in pugno. La greca gettò un urlo.

Fathma!… Fathma!… balbettò poi con un filo di voce.

L’almea col volto animato da una collera senza limiti e un crudele sorriso sulle labbra, le si avvicinò togliendola freddamente di mira colle pistole.

Elenka! diss’ella con accento grave e cupo. Mi riconosci tu?

La greca, smarrita, senza forze, non rispose. Ella guardava fissamente la rivale, chiedendosi se era in preda ad uno spaventevole sogno. Un pallore cadaverico era diffuso sul suo volto orribilmente alterato.

Mi riconosci tu, o mia odiata rivale? ripetè Fathma dopo qualche minuto di silenzio. Ah! Tu sei sorpresa di vedermi qui, in questa capanna? Tu mi credevi nelle mani di tuo fratello, laggiù, a Chartum non è vero? Elenka, sai che vengo a fare io qui?

La greca per un istante annichilita dallo spavento, ritrovò ben presto tutto il suo coraggio e la sua straordinaria energia. Ella si rizzò superbamente dinanzi all’almea, coi denti stretti, gli occhi animati dall’ira e additandole la porta:

 

Esci, spregevole almea! le disse

Fathma ruppe in uno scroscio di risa

Elenka, sai tu, cosa vengo a fare qui?

Non m’importa di saperlo.

Te lo dirò lo stesso. Io, Fathma, la Favorita del Mahdi, che tu tradisti e sferzasti nelle foreste del Bahr-el-Abiad, vengo a chiedere la tua vita!.... Ho sete del tuo sangue, sai, ma una terribile sete, nè uscirò di qui senza essermi dissetata. Sono due mesi che io anelo l’istante di trovarmi di fronte a te, sono due mesi che cerco la mia rivale, che mi rapì Abd-el-Kerim! Ora ti ho incontrata e non mi sfuggirai mai più!

Ah! tu vuoi assassinarmi, adunque? Sta in guardia, perchè se mi ammazzi, col medesimo colpo ammazzi Abd-el-Kerim.

Ho udito tutto e so tutto, Elenka; non riescirai no con degli inganni ad arrestare la morte che pende sul tuo capo. So dove trovasi Abd-el-Kerim, perchè udii ciò che ti narrò Tepele. Se conti poi sul ribelle, t’inganni; Omar l’ha ucciso.

Un tremito agitò le membra della greca. Comprese ormai che era irremissibilmente perduta ed ebbe paura.

Fathma, diss’ella dopo alcuni istanti di esitanza. Se io partissi subito per Chartum, se io ti abbandonassi per sempre Abd-el-Kerim, mi lasceresti libera?

No!

Se io ti chiedessi perdono di quello che ti feci e se io, la nobil greca, mi inginocchiassi dinanzi all’almea?

No, rispose l’implacabile araba. Bisogna che una di noi muoia. Guarda, potrei assassinarti scaricandoti addosso queste pistole e gettarti di poi in un burrone a pasto delle iene e degli sciacalli, ma non sono io, l’almea Fathma, vigliacca a tal segno. Ti propongo un duello coll’jatagan, ma un duello a morte, mi capisci? Se ti rifiuti chiamo Omar e ti faccio saltare le cervella!

Un lampo di feroce gioia guizzò nei neri occhi di Elenka.

Ah! tu sei generosa adunque! esclamò ella con ironia.

Sì, generosa come un’araba, generosa come il leone del deserto.

Accetto il duello che mi proponi. Quando ci batteremo?

Subito; la notte è abbastanza chiara per colpirci al cuore.

Vieni adunque, ma ti pentirai di essere stata troppo generosa con me. Io non ti risparmierò.

Fathma si strinse le spalla. Rimise le pistole nella cintura, prese i remington della rivale onde non le saltasse il ticchio di servirsene e uscì dicendo:

Seguimi?

Sei sola? chiese Elenka arrestandosi.

Ho meco Omar che ti darà il suo jatagan.

Se io avessi la fortuna di ucciderti mi lascierà libera egli?

Non ti toccherà, te lo prometto.

Quand’è così, sono con te.

Le due rivali uscirono. La notte era chiarissima; la luna brillava in un cielo senza nubi rischiarando come in pieno giorno le dirupato colline e la sottostante pianura. Un leggier venticello fresco fresco spirava, facendo stormire lievemente le cime dei cespugli.

Omar andò incontro a Fathma.

Dà il tuo jatagan a quella donna, disse l’almea.

Per che farne? chiese il negro con ansietà.

Ci battiamo.

Non farlo padrona. Diffida da quella donna che è più vile d’una iena.

Lascia fare a me. Odimi ora: qualunque cosa accada, tu non prenderai parte al combattimento. Se io cado lascierai andare la mia rivale senza torcerle un sol capello. Io, la fidanzata del tuo padrone lo voglio!

Omar la guardò con occhi supplichevoli.

Padrona! balbettò egli.

Lo voglio! ripetè l’almea quasi con ira,

Sia fatta la tua volontà.

Trasse l’jatagan e lo porse a Elenka che ne provò il filo e la punta.

In guardia disse l’almea con tono glaciale. Fra dieci minuti bisogna che tutto sia terminato.

Elenka alzò il gonnellino per essere più libera e andò a mettersi a venti passi dal burrone volgendogli le spalle. Fathma le si mise di fronte, raccolta su sè stessa come una tigre, colla punta dell’arma diretta al seno della rivale.

Fathma, disse la greca. Una di noi due morrà, e probabilmente sarai tu quella che non vedrai il sole di questa mane. Vuoi dirmi che è successo di mio fratello Notis?

L’ho ucciso.

Ah! miserabile! urlò la greca furibonda. In guardia! In guardia che io t’ammazzo.

Le due rivali si scagliarono a testa bassa l’una contro l’altra e il duello cominciò. Era qualche cosa di strano, di fantastico, di terribile, il vedere quelle due donne assetate di vendetta, cieche pel furore, illuminate dai pallidi raggi lunari, avanzare con salti da felino, stringersi vicendevolmente e cercare tutte la astuzie, tutti i mezzi possibili per iscannarsi. Parevano proprio due tigri che volessero divorarsi.

I ferri si cozzavano rumorosamente mandando scintille, fischiavano nell’aria, si abbassavano e si alzavano con rapidità fulminea e si torcevano al punto da temere che si spezzassero tanto erano impugnati fortemente da quelle due donne che parevano deliranti.

Cinque minuti dopo la greca mandava un urlo. L’jatagan di Fathma apparve bagnato di sangue.

Toccata! esclamò l’almea, saltando innanzi come una pantera.

Ma non sono ancora morta, rantolò la greca portando una mano al seno. Avanti, avanti!

L’almea attaccò con uno slancio disperato, a corpo perduto, mirando il cuore della rivale e stringendola così davvicino che questa fu costretta a indietreggiare. Per la seconda volta il ferro dell’araba bevette sangue.

Toccata, ripetè ella.

Avanti! avanti! gridò la greca che balzava indietro avvicinandosi, senza accorgersene, al burrone.

Il terribile duello continuò per altri cinque minuti in capo ai quali la greca, che non riesciva a tener testa all’araba che era assai più agile e assai più forte, trovossi spossata, col giubettino insanguinato, sull’orlo del burrone.

Guardati, le disse l’almea. Sei morta.

La greca volse il capo dietro di sè, vide l’abisso in cui stava per precipitare e gettò un grido di spavento.

Grazia, balbettò ella che sentivasi mancare le forze.

Una di noi deve morire! Urlò l’implacabile Fathma facendo fischiare l’jatagan. Guardati!

Non aveva ancora terminata l’ultima parola che il suo jatagan sprofondavasi più che mezzo nella gola della greca, facendo uscire uno sprazzo di sangue spumoso.

Elenka, colpita a morte, emise un rantolo. Traballò, cercò di rimettersi in equilibrio, ma le forze le vennero meno; lasciossi sfuggire di mano l’arma, dilatò spaventosamente le pupille nelle quali brillava un ultimo lampo di minaccia e precipitò, roteando, nel fondo del baratro. S’udì un tonfo sordo sordo come d’un corpo che si fracassa, poi successe un silenzio di morte,

L’almea, pallida per l’emozione, coll’jatagan insanguinato in mano, s’avanzò fino all’orlo del burrone e guardò giù. Nel fondo fra le roccie aguzze, scorse il deformato e straziato corpo della bella Elenka illuminato vagamente dai freddi e melanconici raggi dell’astro della notte.

Rabbrividì e dette indietro.

È morta! è morta!… mormorò ella con voce cupa. Allàh mi perdonerà.

Si volse per fuggire da quell’orribile luogo e si trovò dinanzi a Omar.

È proprio morta? chiese il negro.

Sì, Omar.

Siamo adunque vendicati. Fratello e sorella sono entrambi spenti.

Taci, fuggiamo di qui. Questo luogo mi fa paura.

Dove andiamo?

A salvare il mio fidanzato.

Vuoi recarti sulle rive del lago?

Zitto, disse Fathma. Odi?

Il negro tese l’orecchio. In lontananza, verso il campo egiziano, s’udivano squillare le trombe e rullare fragorosamente i tamburi.

Che succede? chiese egli. Una battaglia forse?

No, è l’esercito egiziano che marcia sulla capitale del Mahdi.

E noi andiamo?

A El-Obeid.

L’almea si gettò ad armacollo il remington e discese di corsa la collina seguita dal negro. Ella si arrestò alcuni istanti nella pianura cogli occhi fissi su due punti neri che scendevano dal cielo, ingrandendo a vista d’occhio,

Guarda, Omar, diss’ella rabbrividendo.

Vedo, rispose il negro. Sono aquile che calano nel burrone.

Povera Elenka! Questa sera non rimarranno di lei che le spolpate ossa a pasto delle belve feroci.

Soffocò un sospiro e riprese la corsa internandosi nel palmeto. Man mano che si avanzavano gli squilli di tromba e il rullo dei tamburi diventavano più sonori. Talvolta s’udivano nitriti di cavalli, voci confuse di uomini e muggiti di buoi, che il vento portava.

Cominciava ad albeggiare quando essi giungevano agli avamposti. Il campo era in piena rivoluzione ed interamente mutato. Le tende erano state levate, i fasci di fucili sciolti, i cannoni attaccati ai cavalli, i cammelli e i muli aggruppati alla rinfusa e carichi di viveri, munizioni e bagagli.

Gli ufficiali correvano dappertutto dando ordini, formando le compagnie, i battaglioni e i reggimenti che si spiegavano formando un immenso quadrato ai cui lati galoppavano disordinatamente i basci-bozuk colle scimitarre sguainate e le pistole in pugno.

Si parte? chiese Fathma arrestando un basci-bozuk che le passava vicino.

Sì, rispose il turco.

Tutti assieme?

Tutti assieme.

E Aladin pascià?

Viene con noi,

Dov’è Hicks?

In mezzo al campo col suo Stato Maggiore.

E O’Donovan?

Sarà presso il pascià.

Accorriamo, Omar, disse Fathma, congedando con un gesto il basci-bozuk.

Entrarono nel campo facendosi largo fra tutti quei soldati affaccendati ad arrotolare le tende, a caricarsi degli zaini, a bardare i cavalli, a trascinare i cannoni, a dispensare armi munizioni e raggiunsero lo Stato Maggiore in mezzo al quale stavano Hicks pascià discutendo vivamente col colonnello Farquhard. O’Donovan, che era nel gruppo, s’affrettò a correre a loro incontro conducendo tre cavalli bardati.

– By-good! esclamò egli. Credeva che vi fosse toccata qualche disgrazia e stavo per radunare alcuni basci-bozuk per venirvi a cercare… Sapete qualche cosa di Abd-el-Kerim?

Sì, mio nobile amico, rispose Fathma. Sappiamo più di quello che speravamo.