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La crociera della Tuonante

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«Sì, sparare, Piccolo Flocco,» disse il Tedesco. «Ancora sette pestie, sette colpi: poi noi essere padroni della nave.»

«Avanti!» rispose il giovane gabbiere.

Ripresero le carabine e si misero a sparare contro le belve, che si lasciavano ammazzare senza proteste, nulla d’altronde potendo tentare contro i loro avversari, collocati troppo in alto per poterli assalire. Se vi fossero stati ancora dei giaguari, la cosa sarebbe stata diversa, ma fortunatamente non ve n’erano più.

I colpi succedevano ai colpi, e quasi tutti fortunati. Dopo cinque minuti l’ultimo coguaro e l’ultimo lupo stramazzavano l’uno quasi accanto all’altro, fra larghe pozze di sangue.

«Finito?» chiese Testa di Pietra.

«Non ne vedo altri in piedi,» rispose Piccolo Flocco.

«Che se ne trovino nella stiva?»

«Andremo a vedere. Ormai io ed Hulbrik non abbiamo più paura delle bestie feroci. Fanno ridere certi cacciatori quando si vantano d’aver guadagnata la pelle d’un giaguaro!… Povere bestie! Non sono quegli animali terribili che mi avevano descritti. Scendiamo?»

«Caricate prima,» disse Testa di Pietra.

Gettò la fune, l’unica che aveva conservata, poiché, come abbiamo detto, tutte le altre le aveva recise, si mise fra i denti il coltellaccio da manovra e cominciò a scendere. Il Tedesco ed il gabbiere lo seguirono puntando le carabine verso il boccaporto per paura che uscisse qualche altro bestione.

«Non si ode nulla,» disse Testa di Pietra. «Erano fuggiti tutti.»

«E noi li abbiamo ammazzati tutti!» aggiunse Piccolo Flocco.

Si avvicinarono al boccaporto e guardarono in giù. Vi erano dieci o dodici gabbie rovesciate, in parte sfondate e colle sbarre contorte. L’orso grigio doveva aver compiuta quella rovina con la sua forza terribile.

«Un bel capriccio!» esclamò Piccolo Flocco. «Come mai quell’animalaccio ha pensato a liberare anche i suoi compagni? Eppure si dice che gli orsi… siano orsi; è vero, Testa di Pietra?»

«Quel bestione deve aver fracassate queste gabbie in uno spaventoso accesso di furore e non già per fare un piacere ai giaguari, ai coguari e ai lupi.»

«Non è amico nemmeno degli orsi neri?»

«Si dice che non si assaltino e cerchino di evitarsi.»

«Stessa famiglia,» disse Hulbrik.

«Già, è il sangue della razza che parla,» disse il gabbiere.

«Possiamo scendere nella stiva prima che il sole scompaia completamente?»

«Andiamo,» rispose Testa di Pietra. «Se vi sarà qualche altro orso nascosto non ci farà paura.»

«Io copare subito,» disse il Tedesco.

«Come fosse un soldato americano; è vero, amico?»

«Ah, no, patre.»

«Del resto, gli yankees non ti risparmiavano ninnoli di piombo indurito. Avevi ben diritto di rispondere. Orsù, esploriamo la nave.»

«Se prendessimo un fanale?…» chiese il gabbiere. «Vi sono ancora quelli da segnali.»

«Và ad accenderne uno,» disse il mastro, porgendogli l’acciarino e l’esca.

Poi si volse a guardare il cielo e scosse la testa come uomo poco soddisfatto, ché da ponente le nubi salivano, accumulandosi nelle profondità del cielo.

Un vento violentissimo le spingeva; quel vento insistente che da settimane e settimane si abbatteva sulle coste americane, scompaginando le flotte di lord Howe e di lord Dunmore.

«Crandine?» chiese il Tedesco.

«Peggio, mio povero Hulbrik! Noi passeremo una pessima notte: te lo dico io.»

«Noi romperci?»

«Sì, anche la testa!» rispose il mastro sorridendo.

In quel momento Piccolo Flocco ritornò portando un fanale rosso, ancora pieno d’olio. Testa di Pietra lo prese e scese animosamente la scala della stiva impugnando il suo coltellaccio ben aperto.

Un tanfo orribile di bestie selvagge, che prendeva alla gola e che minacciava di soffocare, saliva da ogni parte.

I tre naufraghi raggiunsero il posto occupato dalle gabbie e si convinsero subito che altre bestie vive non v’erano. Tre coyote, che puzzavano spaventosamente, giacevano dentro una gabbia, tutti ricoperti di vermi.

Testa di Pietra e i compagni percorsero il frapponte e la stiva scendendo fino nella sentina, poi risalirono in coperta.

E intanto il tuono brontolava ed il vento aumentava rapidamente, sollevando delle grosse ondate.

«E così, Testa di Pietra?» chiese il gabbiere, vedendo il mastro piuttosto preoccupato. «Se si cenasse?… Che non sia rimasto proprio nulla per noi?»

«Scendi nella dispensa: qualche cosa, vedrai, ci sarà rimasto. Nella scialuppa ho veduto io delle casse e dei barilotti, ma sarà meglio serbarli a più tardi.»

Ciò detto, si diresse verso la poppa, risalì il cassero ingombro di bestie morte ed irrigato abbondantemente di sangue coagulato, e diede uno sguardo al timone.

«Ci servirà meno d’un remo,» disse al Tedesco.

«Noi perduti, patre?»

«Vedremo, Hulbrik.»

In quel momento udirono un grido terribile salire dalle profondità tenebrose della stiva.

«Piccolo Flocco!» gridò pure Testa di Pietra, impallidendo. «A me, Hulbrik!…»

Si precipitarono giù per la scala del boccaporto di poppa, per raggiungere più presto la dispensa. Una lotta spaventevole doveva succedere, poiché si udivano grugniti, bestemmie e colpi. In un lampo i due uomini si trovarono sotto il quadro di poppa illuminato dal fanale rosso deposto dal giovane gabbiere, e uno spettacolo orribile, impressionante, si offerse tosto ai loro occhi.

Dentro una specie di cabina, che doveva contenere una parte delle provviste della nave, si trovava un enorme orso nero, il quale scovato dal giovane gabbiere, o, meglio, interrotto nei suoi abbondanti pasti, si era scagliato furiosamente sull’intruso, cercando di afferrarlo e di soffocarlo contro il villoso petto, con una stretta possente.

Piccolo Flocco, accortosi a tempo della presenza di quel pericoloso avversario, s’era gettato indietro per non lasciarsi prendere; poi, afferrata la carabina per la canna, si era messo a picchiare col calcio, con un vigore che avrebbe meravigliato anche Testa di Pietra, se si fosse trovato presente. Se non che il plantigrado, quantunque avesse perduto più di qualche dente e sanguinasse, lo incalzava, urlando spaventosamente, e facendo sforzi disperati per prenderlo.

Già Piccolo Flocco, che non aveva potuto servirsi della carabina, anche per la strettezza della dispensa, come avrebbe voluto, si trovava addossato ad una parete divisoria, quasi nell’impossibilità di sfuggire, quando il mastro ed il Tedesco irruppero con gran fracasso e con altissime grida. L’orso, sorpreso di vedersi dinanzi altri avversari, lasciò Piccolo Flocco, dandogli così il tempo di armare finalmente la carabina, e si precipitò risoluto all’attacco, tenendosi ritto sulle zampe di dietro. Era un bestione alto quanto un orso grigio e molto grasso. La cura della dispensa doveva avergli fatto molto bene in quei pochi giorni di molta fame.

«Ah, assassino!» urlò Testa di Pietra con voce tonante, gettandosi contro il bestione col coltello aperto. «Io avrò la tua pelle!…»

Una spinta formidabile lo gettò fuori di linea, e per poco non lo fece cadere, e nel medesimo tempo il Tedesco gridò:

«Largo, patre! Io fare fuoco! »

Il mastro, sotto il violentissimo colpo, aveva dovuto appoggiarsi al tramezzo della dispensa; ma non aveva cessato di roteare il suo terribile coltellaccio.

«A noi, Hulbrik!» gridò Piccolo Flocco.

«Pronto, camarada!» rispose il bravo giovanotto.

«Fuoco!»

Due detonazioni rimbombarono, empiendo la stanza di fumo. Il plantigrado mandò un urlo altissimo, che aveva del ruggito del leone e del grido impressionante dei felini, poi cadde, colle zampe anteriori aperte, vomitando sangue.

«Corpo d’un campanile!» gridò Testa di Pietra, staccando dal tramezzo una scure che doveva aver servito al dispensiere. «Speriamo che la sia finita con queste bestie!»

E con un colpo terribile mutilò il moribondo, togliendogli uno dei suoi due superbi prosciutti.

«Potevi aspettare che fosse morto,» disse il giovane gabbiere, il quale era stato spruzzato dal sangue ancora caldo.

«Questo animale non avrebbe aspettato che tu avessi ripreso fiato per impegnare la lotta,» rispose il mastro. «Eppoi noi abbiamo fame, e la dispensa è stata vuotata da questo ghiottone. Son sicuro che non troveremo nemmeno un biscotto. Sono ingordi e insaziabili questi animali.»

Raccolse lo zampone sanguinante, diede a Hulbrik una buona stretta di mano, poi tutti e tre salirono in coperta. Proprio in quel momento l’uragano scoppiava con estrema violenza. Enormi ondate giungevano dal largo, accavallandosi sinistramente, e davano l’assalto alla nave naufragata con un frastuono infernale.

Il giovane gabbiere guardò Testa di Pietra, il quale pareva che fiutasse la tempesta, e gli domandò: «Serata d’arrosto o di naufragio?»

Il mastro stette un po’ indeciso; poi, dopo aver guardato attentamente il mare e il cielo, rispose:

«Brutta notte, miei poveri ragazzi. L’arrosto non si mangerà né questa sera né domani, forse. L’uragano s’avanza.»

Prese il coltello, lo porse a Piccolo Flocco, e gli disse:

«Va’ a squarciare le due vele.»

«E il timone funzionerà?»

«Non vale una pipata di tabacco.»

«Dove andiamo?»

«In braccio alla tempesta,» rispose il mastro con voce grave. «Del resto io e tu siamo marinai, e, o sotto o sopra, i Bretoni navigano sempre.»

«Preferisco navigar sopra, caro Testa di Pietra,» disse Piccolo Flocco.

«Tutti i marinai preferiscono sgambettare sopra, piuttosto che nel regno dei pescicani… Non più chiacchiere! Và e sventra.»

Il giovane gabbiere prese il coltellaccio e si slanciò verso l’alberatura, mentre i primi lampi illuminavano il rottame, accompagnati da rombi spaventevoli. «Patre,» disse l’Assiano, «morire tutti?»

Testa di Pietra scrollò le larghe spalle, lo guardò un poco sorridendo, poi rispose: «Noi dovevamo essere tutti mangiati dalle bestie feroci, e siamo ancora vivi. Se anche il mare ci porta via, poco importa. Avremo vissuto abbastanza.»

 

«Tu!…» gridò in quel momento il giovane gabbiere, il quale aveva ormai sventrate le due vele. «Io non voglio andarmene ancora, vecchio mio.

«Verrà anche la tua volta.»

«Sì, ma il più tardi possibile.

«Te lo auguro.»

«Patre,» disse l’Assiano «tu afere barba grigia e non essere ancora annegato.»

«Lo so, ma io… io sono Testa di Pietra,» rispose il mastro. «Se non fossi stato un gran marinaio, a quest’ora il mio corpo rotolerebbe attraverso i banchi e le scogliere, coperto di granchi… Ohé, saldi in gambe!»

Un’ondata mostruosa si era rovesciata ad un tratto sulla nave, sollevandola a grande altezza e scrollandola poderosamente. E a quel colpo di mare seguirono raffiche violentissime accompagnate da lampi e da tuoni.

Fortunatamente le vele erano state sventrate a tempo.

«Ecco la gran danza!» gridò Testa di Pietra. «Badate di non farvi portar via dal mare!»

14. Un terribile naufragio

Da settimane e settimane gli uragani continuavano a succedersi nell’oceano orientale. Come abbiamo detto, gravi danni avevano già recato sia alle navi inglesi ritirantesi, sia ai filibustieri americani, portando via tanto agli uni che agli altri non poche navi e molte vite umane. La nuova bufera che si avanzava pareva non dovesse essere migliore delle altre, a giudicarlo dallo stato del cielo. Una folta cortina di nuvole biancastre, con dei riflessi di rame, galoppava da oriente, tutto scombussolando. I lampi si succedevano ai lampi, ed i tuoni si seguivano, quasi senza interruzione, con un fracasso spaventevole. Il mare poi era tutto nero, come se anche le sue profondità fossero state sconvolte.

Testa di Pietra aveva radunato i suoi due compagni sul castello di prora, il quale, essendo più alto, correva meno il pericolo di venire spazzato troppo di frequente dalle onde che s’incalzavano, scaraventando in aria gigantesche colonne di spuma. E la nave, priva del timone e di vele, si lasciava portare dal vento, il quale la spingeva veloce verso ponente.

«Brutto affare, corpo di centomila campanili!» esclamò il mastro che si era avvinghiato allargano prodiero. «Questa burrasca non ci voleva con una nave mezzo sfondata!»

«Dove andremo a finire?» chiese Piccolo Flocco, già bagnato dalla testa alle piante.

«Forse a fracassarci contro qualche costa.»

«E allora tutto sarà finito!»

Il mastro non rispose. Stretto bene all’argano, guardava attentamente l’oceano che i lampi illuminavano.

«Che cosa cerchi?» chiese il giovane gabbiere.

«Sai chi corre sulla nostra rotta portata dal vento e dalla furia delle onde?»

«Una nave?»

Indovina quale.»

«La Tuonante

«Scenderei subito nella scialuppa e andrei ad abbordarla. Si tratta invece della fregata del marchese d’Halifax.»

«Possibile?»

«Guarda anche tu: la vista l’hai buona.»

Piccolo Flocco attese che fonda passasse, poi si rizzò.

«La vedi?» disse il mastro tendendo un braccio.

«Sì, una nave colle vele lacerate in balia della tempesta.»

«Non somiglia alla fregata del Marchese?»

«Sì, Testa di Pietra. Che ci venga addosso?»

«Cioè, si romperà assieme con noi non appena i marosi ci avranno scaraventati sui banchi o sulle scogliere.»

«Ma dove corriamo noi?»

«Verso la Florida, suppongo.»

«Che faremo su quella triste penisola abitata da orde di ferocissimi Indiani?»

«Proveremo le delizie della tortura del palo.»

«E me lo dici così freddamente?»

«Vorresti campare quanto Noè, tu? Un marinaio, mio caro, non spera mai di diventare vecchio.»

«Eppure tu lo sei diventato!»

Il mastro non rispose. Egli osservava attento la fregata, la quale non poteva reggere alla furia dei venti e delle onde. Aveva chiuso quasi tutte le sue vele, e presi terzaruoli fino su quelle basse, poi si era lasciata andare alla cappa. Ma si dibatteva a circa 1500 metri dal brick-goletta e pareva ne seguisse, certo involontariamente, la rotta.

«Testa di Pietra,» disse il giovane gabbiere, «vuoi che gettiamo alla fregata una buona gomena da rimorchio?»

«Per tirarcela dietro!… Tu sei pazzo, Piccolo Flocco. Ma, già, la cosa sarebbe impossibile, poiché noi non governiamo.»

«E che si aspetta? Che ci affondi a cannonate?»

«Sì, con questi colpi di mare! Dove andrebbero a finire le palle? Su questa carcassa no di certo, te l’assicuro io.»

«Tu sei un vecchio cannoniere e bisogna crederti. Ma la vicinanza della fregata m’inquieta assai.»

«Me, punto, almeno per ora,» rispose il mastro. «Spero anzi in un naufragio che ci faccia impadronire della bionda miss

«Vorresti assalire la fregata in mezzo alla tempesta?

«Non sarei così pazzo; tuttavia la vicinanza del Marchese non mi dispiace affatto… Io, conto sul caso.»

«Su quale?»

«Che il diavolo si porti all’inferno tutti i curiosi!» disse il mastro piccato. «Cacciati vicino a me, guardati dai colpi di mare, e stà zitto se puoi… E tu, caro Hulbrik, come stai? »

«Male stomaco, patre,» rispose l’Assiano.

«Rigetta pure liberamente. Il mare s’incarica di pulire.»

Si rannicchiarono tutti e tre dietro l’argano e attesero, abbastanza tranquilli, il naufragio.

L’Atlantico diventava sempre più furibondo. Scaraventava ondate, alte una diecina e forse più di metri, in tutte le direzioni, con dei rombi assordanti. La sconquassata nave, presa di traverso, faceva dei gran salti, mettendo a dura prova gli intestini del povero Assiano.

I due Bretoni, bene aggrappati all’argano, guardavano serenamente la tempesta, quantunque sicuri di fracassarsi presto o tardi su qualche costa. E intanto la fregata, per un caso strano, seguiva il brick-goletta, portata forse da qualche impetuosa corrente che si spingeva verso le spiagge della Florida. Era distante circa un migliaio e mezzo di metri, ma accennava ad avvicinarsi.

Testa di Pietra non la perdeva di vista un solo momento e si domandava in cuor suo, non senza una certa ansietà, come sarebbe finita quell’avventura.

E le ore passavano e la bufera aumentava sempre più. Raffiche terribili, furiose, spazzavano di quando in quando l’Atlantico, facendo fare alle due navi dei salti straordinari.

Ad un tratto Testa di Pietra mandò un grido.

«Coliamo a fondo?» chiese Piccolo Flocco.

«No; questa carcassa resiste meravigliosamente.»

«Allora perché gridi? »

«La fregata non ha più timone. Si lascia trasportare dall’uragano invece di tentare di sfuggirlo. »

«Naufragherà insieme con noi.»

«Io vorrei rompermi le gambe e anche l’osso del collo da solo,» rispose Testa di Pietra.

«E non poter far nulla per sfuggire quella dannata nave!…»

«Ora che so che non governa più, non desidero sfuggirla.»

«Ti piacerebbe ricadere nelle mani del Marchese e provare la resistenza delle corde inglesi? »

«Io credo invece, Piccolo Flocco, che noi riusciremo questa volta a strappare a quel signore la bionda miss. Ho un’idea nel mio cervello che credo meravigliosa.»

In quel momento il brick-goletta subì un urto così forte, che fece sgangherare le murate e non pochi puntali del frapponte.

Testa di Pietra e Piccolo Flocco balzarono in piedi.

Intorno alla nave il mare era spaventoso. Le onde si rompevano con estrema violenza, come se avessero incontrato degli ostacoli. Vi erano dei banchi in quei paraggi e fors’anche delle scogliere? I due Bretoni cominciavano a temerlo.

«E la costa?» chiese ansiosamente il giovane gabbiere.

«L’ho veduta in questo momento delinearsi alla luce dei lampi,» rispose il mastro.

«Riusciremo a giungere fin là?»

«Io non dispero.»

La nave subì un secondo urto, e rimase per un istante immobile, facendosi subissare dalle onde, poi si alzò novamente.

«Passati?» chiese Piccolo Flocco.

«Noi sì, pare,» rispose il mastro. «Ma come se la caverà la fregata che pesca molto più… Saldi in gambe!»

Uno spaventevole colpo di mare spezzò la tolda con furia irresistibile, sventrando le ultime murate che avevano resistito, e si spinse fin sul castello, ululando, muggendo, tentando di portarsi via i tre naufraghi; ma ritornò nell’oceano senza nessuna preda umana.

«Un altro colpo come questo, e noi siamo spacciati,» disse il mastro aggrappato disperatamente all’argano.

«E la fregata?»

«Corpo d’una balena!»

«Che cos’hai?»

«Ha fortuna quel marchese d’Halifax! La sua nave ha deviato verso il sud in modo da evitare queste secche.»

«Pluff!… Che salti!»

«E il salto finale sarà il più terribile, mio Piccolo Flocco! L’uragano ci spinge rapidamente verso la costa. Fra tre o quattr’ore questa povera nave avrà terminata la sua esistenza.»

«Verrà sventrata o fracassata?»

«Te lo saprò dire più tardi.»

«E noi come ce la caveremo? Può servire la scialuppa?»

«Io credo che non ci sia nemmeno più; eppoi a che cosa servirebbe con questo mare furibondo?… Tò! Abbiamo urtato ancora, mi pare.»

«Sì,» rispose il gabbiere. «La nave fila sempre attraverso a dei banchi. Che ne pensi, mastro?»

Testa di Pietra fece un gesto di sconforto, poi guardò la fregata, la quale filava molto più al sud, a più di duemila metri, sospinta da ondate immense. Pareva che il Marchese fosse riuscito a montare un altro timone, nonostante la furia della burrasca. Forse non si trattava d’un timone, ma d’un pennone ingrossato a remo, più difficile a maneggiarsi, e tuttavia sempre ottimo per una nave che era priva di governo.

Testa di Pietra masticò una decina di campanili, poi esclamò d’un tratto:

«Ah, tocchiamo ancora! Siamo sotto alla costa.»

A duemila metri, illuminata da lampi, si alzava una costa, la quale pareva non offrisse nessun approdo. Là il mare era veramente spaventoso e mandava muggiti che sembravano colpi di cannone. Che terra era? La Florida? Così credeva il vecchio mastro.

Il brick-goletta continuava a raschiare i bassifondi, minacciando di perdere, da un momento all’altro, la chiglia e di cagionare un’avaria insanabile. Testa di Pietra aveva incrociate le braccia sul largo petto. Non si teneva nemmeno più stretto all’argano. Il pover’uomo doveva essere completamente scoraggiato.

Una mezz’ora trascorse ancora, durante la quale la nave non fece altro che salire e scendere fra un orribile urlio delle onde. La costa, per uno strano effetto d’ottica, pareva corresse incontro ai naufraghi; e l’illusione era così perfetta, che perfino l’Assiano, il quale ormai si era completamente vuotato, chiese a Testa di Pietra:

«Cammina quella terra?

«Come i campanili del tuo paese,» rispose il mastro.

«Tutti fermi i campanili tedeschi, patre.»

Una raffica furiosa si abbatté in quel momento sulla povera nave, facendola girare come una trottola parecchie volte, poi una enorme massa di schiuma si sollevò lungo i fianchi scagliandosi in coperta. Allora la forte voce di Testa di Pietra si udì tra il grande fracasso delle onde:

«Nella stiva!»

Sorreggendosi a vicenda, poiché i rollii ed i beccheggi si susseguivano, raggiunsero il boccaporto maestro e si calarono nel frapponte. Guai se fossero rimasti ancora sopra, con quel pò pò di mare scatenato!… Sarebbero stati spazzati via tutti. Ma era pur vero che se la nave si fosse sfasciata improvvisamente e riempita d’acqua, nessuno sarebbe uscito vivo da quella specie di trappola.

Ad un tratto avvenne un cozzo terribile, seguito da mille fragori. Cadevano i puntali, cedevano i bagli, si apriva il fasciame a babordo ed a tribordo con un fracasso assordante. Un’onda penetrò nel frapponte attraverso uno di quegli squarci, raggiunse i tre naufraghi, che si erano accoccolati attorno alla scassa dell’albero di trinchetto, e li rovesciò. Scomparve, tornò all’assalto carica di sabbia, fece girare diverse volte su loro stessi i due Bretoni e l’Assiano, e di nuovo si ritirò.

«È finito il ballo?» chiese Piccolo Flocco fregandosi gli occhi pieni di resa.

«Mi pare,» rispose il mastro.

«Si è fermata la carcassa?»

«Non hai udito quel rombo? Avrebbe svegliato anche un marinaio annegato da sei mesi!»

«Possiamo uscire?»

«Adagio, ragazzo. Le onde devono spazzare la coperta da poppa a prora.»

«Eppure non possiamo rimaner sempre qui!»

«Con la fame,» aggiunse l’Assiano.

«Già, povero diavolo, tu sei completamente vuoto, ma non troveremo più gli zamponi d’orso e nemmeno i cadaveri delle altre bestie che abbiamo uccise,» disse Testa di Pietra. «Le onde hanno portato via tutto.»

 

«Io afere molta fame.»

«E io non meno di te, Hulbrik.» rispose il mastro. «Mio caro, sul mare bisogna avere molta pazienza.»

In quell’istante un’altra ondata giallastra invase il frapponte, ma senza raggiungere i tre naufraghi.

«Buon segno!» disse il mastro. «Vieni, Piccolo Flocco.»

Scesero rapidamente la scala che metteva nel fondo della stiva, ma subito si ritrassero. Degli scogli avevano squarciato il fasciame in diversi luoghi, e, l’acqua entrava abbondantemente; peraltro quelle rocce trattenevano saldamente il brick-goletta, impedendogli di affondare.

«Siamo come ancorati!» disse il mastro.

«O sventrati?» chiese il giovane gabbiere.

«Come vuoi: questa nave ha finito qui i suoi giorni.»

«Montiamo?»

«Si può provare: aiuta il Tedesco. Quel povero ragazzo è assolutamente sfinito.»

Per la quarta volta fonda giallastra e carica di sabbia riapparve con grande strepito, ululando attraverso gli squarci aperti dagli scogli, ma si mantenne ancora più bassa.

«Buon segno!» ripeté Testa di Pietra, stropicciandosi le mani. «La carcassa si è infilata su qualche punta rocciosa e tien fermo meglio di dieci ancore. Difficile sarà lo sbarco. Orsù, andiamo a vedere.»

La nave non si moveva più, quantunque le onde ruggissero spaventosamente. Pareva che un palo d’acciaio avesse attraversato il brick-goletta arrestandolo o, meglio, inchiodandolo.

«Testa di Pietra,» disse Piccolo Flocco, «siamo morti?»

«Mi pare di essere ancora vivo.»

«Per ora…»

«Ed anche più tardi, spero. La carcassa si è sventrata su una scogliera e per il momento non si moverà.»

«La toglieremo noi.»

«Sei pazzo, Piccolo Flocco?… Di quali argani disponiamo? E dove sono gli ancorotti da pennello? Ormai siamo finiti e non ci rimane che sbarcare, se lo potremo.»

Si slanciò sulla scala e mise la testa fuori del boccaporto, ma tosto si ritrasse, mandando un grido d’orrore.

«Scappano i Bretoni di Batz?»

«Io, fuggire?…Vieni a vedere, e poi metti i piedi sul ponte. Vedrai uno spettacolo che ti farà venire la pelle d’oca.»

Il giovane gabbiere salì gli ultimi gradini impugnando una scure, e, come il suo compatriotta, batté rapidamente in ritirata senza far uso dell’arma.

Nessun uomo d’altronde, per quanto pieno di coraggio, avrebbe osato andare innanzi.