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La crociera della Tuonante

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18. La «Tuonante»

Già sappiamo che quell’indiavolato Bretone era nato sotto una buona stella e che la morte non lo voleva ancora. Sfuggito ai due colpi di pistola sparati a casaccio, piombò in mare con un gran salto e scomparve sott’acqua, mentre sul ponte della fregata rintronavano alcune archibugiate. Rimase più di un minuto immerso, poi filò fra due acque, badando di non lasciarsi indietro nessuna scia, poiché gli archibusieri non cessavano di far fuoco. Intanto una scialuppa, montata da una mezza dozzina di marinai, era stata calata in mare per dare la caccia al fuggiasco ed accopparlo con due o tre colpi di remo.

Testa di Pietra, il quale di quando in quando rimontava a galla per respirare una boccata d’aria, accortosi di quel nuovo pericolo, filò più rapido verso la riva sulla quale aveva lasciati i compagni. Già non ne distava più d’una ventina di metri e si credeva ormai in salvo, essendovi in quel luogo dei foltissimi gruppi di paletuvieri, pericolosi per le febbri ma ottimi rifugi, quando nel momento in cui ritornava a galla per la decima o dodicesima volta, si sentì urtare bruscamente e poi rovesciare sul fondo. «Qualche squalo!» pensò.

Aprì il coltello e con un vigoroso colpo di tallone rimontò alla superficie ed urtò, con suo grande stupore, contro una massa enorme distesa sul mare e che aveva le dimensioni di una vela di parrocchetto. Si tuffò di nuovo, e rimontato dall’altra parte, si trovò dinanzi al gigantesco pesce che così in mal punto gli tagliava la strada, come se fosse alleato degl’Inglesi, o piuttosto del Marchese.

«Corpo d’un campanile!» mormorò. «Un diavolo di mare! Non ci mancava che questo per farmi passare un altro pessimo quarto d’ora.»

Guardò verso la fregata. Gli spari erano cessati, e la scialuppa, che aveva smesso di dargli la caccia, era tornata indietro per imbarcare le genti che si trovavano a terra. Già altre baleniere solcavano frettolosamente le acque, cariche di soldati e di marinai provenienti dall’accampamento.

Se siamo noi due soli, signor diavolo di mare, possiamo impegnare una partita,» disse il Bretone. «Volete lasciarmi libero il passo, sì o no?»

Il bestione, una specie di razza, pesante un migliaio di chilogrammi, col corpo tutto irto di spine ricurve, grosse quanto gli uncini dei battelli, colla testa fornita di due corna somiglianti a quelle di un toro, invece di ritirarsi, spalancò l’enorme bocca, ampia quanto quella d’un forno, ed agitò rabbiosamente la coda lunga e tagliente come la lama d’una lancia.

Testa di Pietra, lo sappiamo, era pieno di coraggio, tuttavia in quel momento si senti battere forte il cuore. Risoluto, come sempre, a riportare a bordo della Tuonante la propria pelle, impegnò animosamente la lotta coll’orrendo abitatore delle sabbie. Ma invece di assalire, si lasciò andare a picco, poi rimontò bruscamente e piantò il coltellaccio nel ventre del mostro. Fatto il colpo, con una nuotata sott’acqua prese il largo, dirigendosi verso la riva.

Il diavolo di mare, squarciato per una lunghezza d’un buon metro, non aveva più osato d’inseguirlo.

«Che il diavolo ti porti!» esclamò il Bretone, vedendolo contorcersi tutto e udendolo sbuffare e muggire come un toro. «Non avevo bisogno di te; specie in questo momento.»

Attraversò i paletuvieri, balzando di ramo in ramo, raggiunse la costa e si mise a salirla di corsa, sempre impugnando il terribile coltellaccio. In meno di due minuti giunse là dove si trovava il prigioniero, attentamente sorvegliato dal Tedesco e dal giovane gabbiere.

«Avete udito?» domandò.

«Sì, una cannonata.»

«E sparata da chi?»

«Dal tuo grosso pezzo da caccia,» disse Piccolo Flocco. «Conosco troppo bene la sua voce e non m’inganno.»

«Allora cerchiamo di raggiungere il capitano prima che si allontani. Può passare molto al largo e la fregata sfuggirgli un’altra volta.»

«L’hai incendiata quella nave maledetta?»

Mi hanno sorpreso quando avevo già scoperto uno dei depositi di legname.»

«Abbiamo tremato per te.»

«E non avete torto, perché ho dovuto, per salvarmi, scucire il ventre a due marinai che mi avevano già afferrato e stavano per farmi la festa. Andiamo ad imbarcarci anche noi e vedremo che cosa succederà.»

«E quest’uomo?» chiese Piccolo Flocco.

«Lascialo lì,» rispose il Bretone. «Non ci conviene ora metterlo in libertà. Su, via!»

Avevano già raccolte le due carabine, e ormai nulla avevano da temere da parte della fregata, la quale si preparava a partire per non farsi sorprendere da quella nave misteriosa che poteva essere americana anziché inglese. Inoltre, la foresta poteva nascondere delle brutte sorprese.

In lontananza echeggiavano le grida del prigioniero inglese alle quali facevano eco gli urli poco promettenti dei lupi rossi; ma i tre naufraghi, certi che sarebbe riusciti con un pò di pazienza a liberarsi, non vi prestavano affatto attenzione. Galoppavano come mustani di prateria, filando sotto gli alti pini in mezzo a una fitta oscurità che impediva l’orientazione. Avevano fretta di ritrovare la loro scialuppa per dare la caccia alla Tuonante, ora che la sapevano così vicina.

Non dovevano essere molto lontani dalla minuscola rada, quando Testa di Pietra si lasciò cadere bruscamente a terra, additando un punto e dicendo:

«Là, in mezzo a quel cespuglio! Presto.»

Una magnifica passiflora si stendeva a pochi passi di distanza da loro. Trascinandosi sul ventre, aiutandosi colle ginocchia e coi gomiti, la raggiunsero e vi si cacciarono dentro lestamente.

«Perché ti sei fermato?» chiese il giovane gabbiere.

«Ascolta bene: non si direbbe che molti uomini marciano attraverso la foresta?»

Piccolo Flocco e il Tedesco tesero gli orecchi e udirono infatti dei rumori che parevano prodotti da un reggimento di soldati in marcia.

«Gli uomini della fregata?» chiese il giovane gabbiere preparandosi a fuggire.

«A quest’ora sono tutti imbarcati,» rispose il mastro. «Li ho veduti cò miei occhi sgombrare il campo e prendere posto sulle baleniere e sulle scialuppe.»

«Allora qualche colonna d’Indiani?»

«È questo che temo, Piccolo Flocco. Vorrei solamente sapere dove si dirigono per non cadere in mezzo a loro. I Pellirosse della Florida sono anche più feroci di quelli che popolano le rive dei grandi laghi canadesi.»

«Lascia fare a me!» disse il giovane gabbiere. «Io sono lesto come uno scoiattolo.»

«Odi?»

«Sì, Testa di Pietra. Devono essere in parecchi e devono passare non molto lontano da noi. »

«Abbiamo tutte le maledizioni, mentre la Tuonante incrocia forse a vista d’occhio!»

«Non sempre si può aver fortuna. Del resto la nostra stella ci ha protetti abbastanza, mi pare. Dammi il tuo coltello, che serve meglio della carabina fra i cespugli, e lasciami andare. Ti prometto di tornar presto.»

«Bada, Piccolo Flocco; perché se ti prendono ti fanno subire spaventevoli martiri.»

«Non mi hanno ancora preso.»

Il coraggioso giovane impugnò il coltellaccio, attraversò, strisciando come un serpente, la passiflora e scomparve nell’oscurità.

Testa di Pietra e il Tedesco armarono le carabine, pronti ad accorrere in aiuto del camerata, non ignorando che i selvaggi hanno sempre avuto più paura d’una semplice pistola che di cinquanta lance. E intanto i fragori, sotto la sconfinata foresta, continuavano a ripercuotersi distintamente, annunciando il passaggio di altri guerrieri.

«Patre,» disse l’Assiano, «dove andare questi indios

«Un grave motivo deve averli spinti a lasciare le loro capanne e muovere in piena notte alla guerra. Son certo che a quest’ora son passati non meno di mille guerrieri.»

«Che vadano ad assalire qualche tribù nemica?»

Io credo invece che cerchino di assalire il campo inglese. Disgraziatamente, o, meglio, fortunatamente, essi giungeranno troppo tardi.»

«E noi, patre?»

«Aspettiamo Piccolo Flocco.»

«E Tuonante non più tonato?»

«Sir William si sarà forse accorto della presenza della fregata; e non avanzerà che con estrema prudenza, anche in causa dei bassifondi… Corpo d’un campanile! Ascolta, Hulbrik! Altri guerrieri che passano!… Se ci trovavano sul loro cammino eravamo fritti!»

Sotto il bosco si udiva la marcia pesante di un altro grosso gruppo d’uomini. Pareva che tutti gl’Indiani della grande penisola floridana avessero lasciate le immense foreste di pini dell’interno e le lagune per correre verso il mare.

Si trattava di una emigrazione? Poteva darsi, essendo quegl’indomiti guerrieri sempre in cerca di nuove terre da sfruttare e di nuovi nemici da trucidare.

Testa di Pietra cominciava ad inquietarsi, poiché qualche drappello di indios poteva cambiar direzione e gettarsi verso la piccola cala che celava la scialuppa.

«Che cosa fa Piccolo Flocco?» si chiedeva con ansia crescente. «Che lo abbiano scotennato? Non mi consolerei mai più.»

«Patre,» disse il Tedesco ad un certo punto, «lascia che vada a vedere anch’io. Non posso rimanere fermo.»

Il Bretone stava per rispondere, quando a poca distanza vide i rami delle passiflore muoversi, e poi balzare fuori, sempre agile come uno scoiattolo, il giovane gabbiere.

«Tu vuoi farmi morire d’angoscia!» gli disse il mastro, lanciandosi incontro a lui. «Che cosa succede dunque?»

«Molti Indiani passano, formidabilmente armati,» rispose il giovane gabbiere. «Saranno un migliaio.»

«E dove vanno?»

«Verso l’accampamento che occupavano prima gl’Inglesi.»

«Furfanti! Volevano assalirli di sorpresa e sterminarli. Quanto al lord poco m’importava che lo avessero ammazzato; anzi la noia sarebbe finita; ma non la fidanzata di sir William… Ma giacché giungono troppo tardi, e poiché la fregata a quest’ora deve essersi messa alla vela, andiamo ad armare la nostra baleniera. Son certo di trovare la Tuonante non molto lontana da questi canali. E poiché la via è libera, spieghiamo anche noi le vele o, meglio, le nostre gambe.»

 

Ascoltarono un momento, poi, non udendo più passare altri drappelli, attraversarono la passiflora e si gettarono in mezzo alla pineta, facendo appello ai loro muscoli ed ai loro polmoni.

Si erano orizzontati, perché potevano scorgere la stella del nord attraverso gli altissimi pini che crescevano distanti parecchi metri l’uno dall’altro, e facevano sforzi sovrumani per guadagnar terreno temendo sempre un improvviso ritorno degl’Indiani. Così, balzando e rimbalzando su quel terreno molto elastico, giunsero finalmente sulle rive della cala.

«Adagio!» disse Testa di Pietra. «Vediamo prima se non vi è nessuno. Le brutte sorprese sono facili in questi brutti paesi… Corpo d’un campanile!… Chi ha preso possesso della nostra baleniera? Non vedete che è stata occupata da due individui che si divertono a farla oscillare?»

«Patre, orsi,» disse il Tedesco, armando la carabina.

«Sogni tu, Hulbrik?»

«No, patre, quelli sono orsi neri e crossi molto.»

Testa di Pietra si dette due pugni sul cranio.

«Siamo maledetti!» esclamò. «Anche gli orsi, ora! E la baleniera ci è necessaria per raggiungere la Tuonante.»

«Se non si sarà ormai troppo allontanata,» disse Piccolo Flocco.

«Non spaventarmi, ché lo sono già abbastanza.»

«Io non avere paura orsi,» disse il Tedesco. «Nel mio paese cacciati molti.»

«Allora andiamo a snidarli,» disse Testa di Pietra.

L’Assiano non si era ingannato. Due grossi orsi neri, animali che abbondano nelle foreste e nelle paludi della Florida, si erano impossessati della baleniera e si divertivano a dondolarsi, a rischio di farla rovesciare. Non vi era da stupirsi, poiché gli orsi sono buoni burloni quando nessuno li irrita, e se non hanno sempre delle canoe si dedicano ad una ginnastica indiavolata sui rami degli alberi, manifestando un vero piacere in quell’esercizio. Sarebbe stato meglio bensì che avessero lasciata in pace la scialuppa e si fossero recati in un altro luogo a divertirsi.

«Come li attaccherai, Hulbrik?» chiese Testa di Pietra preparandosi a scendere verso la riva.

«A colpi di carabina, patre,» rispose l’Assiano.

«Ma gl’Indiani udranno le nostre scariche!»

«Io non potere con tuo coltello. Orsi fortissimi, e se prendono, spezzano le costole.»

«E poi,» disse Piccolo Flocco, «appena li avremo uccisi, daremo dentro ai remi e ci allontaneremo subito. Noi qui non abbiamo veduto canoe indiane.

«È vero,» rispose il mastro. «Allora facciamo due colpi da veri tiratori. Voi mirate alla testa: io starò pronto col coltello per finirli.»

Ma gli orsi si erano subito accorti della presenza dei tre uomini e si erano affrettati a balzare a terra, rizzandosi sulle zampe posteriori.

«Giù, finché si presentano in pieno!» gridò il mastro.

Hulbrik e Piccolo Flocco s’inginocchiarono per prendere meglio la mira.

«A me quello di destra!» gridò il giovane gabbiere.

«Mio il sinistro, camarada,» rispose l’Assiano.

Gli orsi si avanzavano minacciosi, agitando le zampe anteriori e mostrando gli unghioni. Ormai non si trovavano che a quindici passi e si preparavano a prendere l’ultimo slancio.

«Fuoco!» comandò il mastro.

Due colpi di carabina rimbombarono e i due bestioni stramazzarono rotolando giù per la riva. Uno, peraltro, giunto presso la sponda, si rimise in piedi e tentò la riscossa con le ultime forze che gli rimanevano, ma trovò pronto sul suo passaggio il mastro armato del suo terribile coltellaccio. Anche Piccolo Flocco e l’Assiano erano accorsi colle carabine alzate per servirsene come di mazze.

L’orso, quantunque perdesse molto sangue da una ferita sotto la gola, si era scagliato impetuosamente sul mastro, cercando di afferrarlo per poi spezzargli le costole. Ma aveva trovato un avversario ben saldo e senza paura.

Per due volte Testa di Pietra si sottrasse all’attacco, scartando ora a destra, ora a sinistra, quindi partì a fondo, e la lama del coltello scomparve intera nel petto del plantigrado.

«Và nel paradiso degli orsi, se ve n’è uno!» gridò il mastro.

Il povero bestione rimase ritto un momento, urlando spaventosamente, allargò le zampe anteriori, spalancò la bocca mostrando formidabili denti, poi le forze ad un tratto lo abbandonarono e cadde all’indietro rotolando fin presso la scialuppa.

«La nostra stella di Bretagna non ha cessato di proteggerci!» disse Testa di Pietra. «Purché gl’Indiani…»

«Ci sono addosso!» gridò in quel momento il giovane gabbiere. «Fuggiamo! Fuggiamo!»

Sette o otto Indiani, interamente nudi, ma adorni sulla testa di molte penne colorate ed armati di archi lunghissimi e di pesanti clave, attirati certamente da quei colpi di fuoco, scendevano la costa di gran corsa, mandando grida di guerra. I tre naufraghi, che avevano un vantaggio d’una cinquantina di metri, si gettarono dentro la baleniera, presero i remi e si spinsero rapidamente al largo, salutati da una volata di dardi, ma scagliati troppo da lontano.

A duecento metri dalla riva i naufraghi alzarono la vela, essendo il vento favorevole, e si rifugiarono in mezzo ai canali, cercando la Tuonante che supponevano navigasse ancora in quei paraggi.

Il mastro si era seduto al timone, mentre il Tedesco si affrettava a ricaricare le carabine, potendo darsi che da un momento all’altro avessero bisogno delle armi da fuoco.

I canali si succedevano ai canali, sempre fiancheggiati da scogliere coperte da grandi stormi di uccelli marini, i quali stavano preparando il loro abbigliamento mattutino, lisciandosi col becco le penne e strappandosene anche qualcuna.

La scialuppa aveva percorso un paio di miglia, rasentando sempre delle secche pericolose che il Bretone, fermo alla barra, sapeva evitare a tempo, quando un altro colpo di cannone rimbombò lontano sul mare, facendo fuggire gli uccelli marini.

«Il mio pezzo di poppa!» gridò Testa di Pietra.

«E la fregata?» domandò Piccolo Flocco.

«Non la vedo più. Suppongo abbia già preso il largo per sfuggire alla corvetta.»

«Se andasse a urtare contro il Baronetto!…»

«È quello che spero anch’io,» rispose il mastro. «Aprite, aprite gli occhi!»

«Non siamo mica gatti bretoni, corpo d’una fregata!»

A un tratto il mastro diede al timone un colpo di barra, e mandò un grido altissimo.

Di là da una fila di scoglietti una massa nera si delineava assai distintamente, quantunque falba non fosse ancora sorta.

«È la Tuonante! È la Tuonante! corpo di trecentomila campanili! Giunge in buon punto.»

«Che sia invece la fregata?» chiese il giovane gabbiere.

«Oh, vuoi che non conosca più la mia nave?»

«Fa tanto oscuro, e potresti prendere l’una per l’altra.»

«Un vecchio marinaio come me? Caricate subito le carabine e sparate qualche colpo per segnalare al Corsaro la nostra presenza.»

L’Assiano, che non aveva nulla da fare, intendendosi poco di scotte e di timone, si affrettò a obbedire, e sparò un colpo.

Un quarto di minuto dopo, un gran lampo illuminava la prora della Tuonante, seguito da una formidabile detonazione, ma da nessun fischio, perché i corsari, non sapendo con chi l’avevano da fare, spararono a polvere, intimando la fermata.

«Oh, non abbiamo nessuna intenzione di fuggire, mio capitano!» disse il mastro. «Giù la vela, ed aspettiamo.»

La Tuonante, che non era lontana più di cinquecento passi, si mise in panna, poi calò due scialuppe montate da parecchi marinai armati.

«Sì, si, venite pure ad arrestarci!» disse Testa di Pietra. «Mai prigionieri saranno stati più contenti!»

Le due scialuppe della Tuonante, scoperto un passaggio fra la scogliera, lo attraversarono a gran colpi di remi e presero in mezzo la baleniera, mentre gli uomini, alzatisi di colpo, puntavano le carabine, pronti a far fuoco.

Testa di Pietra proruppe in una gran risata.

«Non si conoscono dunque più gli amici?» gridò poi.

«Il nostro cannoniere!» urlarono tutti, lasciando cadere le armi.

«Con Piccolo Flocco ed il fedele Tedesco.»

«Da dove venite?» chiese un timoniere.

«Questo non è il momento di raccontare delle storie, mentre la fregata del Marchese sta per darci la caccia.»

«Ancora?»

«È testardo l’amico. »

«Tu però questa volta gli renderai le due palle che ci hanno disalberata la corvetta e per ben due volte.»

«Non sospiro che il momento di trovarmi dietro al mio pezzo da caccia. Qualche cosa della fregata deve andar giù questa volta!»

«A bordo!» comandò il timoniere.

E le tre scialuppe ripartirono l’una dietro l’altra, infilando il pericoloso passaggio, mentre il mare si tingeva dei primi riflessi rosei dell’aurora.

19. Il terribile puntatore

«Tutti al posto di combattimento!» aveva gridato il signor Howard, snudando la spada, e salendo rapidamente sul ponte di comando.

Testa di Pietra, dopo avere scambiate in fretta alcune parole col Corsaro, per informarlo di quanto gli era accaduto e della presenza del suo mortale nemico, si era precipitato verso il suo pezzo favorito, situato a babordo del castello di prora, seguito da Piccolo Flocco e dagli uomini di servizio. Mezzo equipaggio era salito in coperta per tentare, se era possibile, l’abbordaggio della maledetta fregata; gli altri erano rimasti nelle batterie per il servizio di tutti gli altri pezzi che, come sappiamo, erano numerosissimi. Un vivo entusiasmo regnava fra tutti i corsari, poiché ormai credevano di poter finalmente mettere le mani sul Marchese e strappargli la bionda miss. Solo sir William, sempre pessimista, appariva invece piuttosto inquieto, conoscendo già per prova l’audacia ed il coraggio del suo avversario. Ah, se avesse avuta la flottiglia americana, sarebbe stata ben diversa la cosa! Invece le quattro navi erano rimaste indietro, disperse dalle tempeste, come la flotta fantasma. Non avendo fiducia che in Testa di Pietra, gli si era avvicinato per osservare meglio il tiro del pezzo.

«Orsù, vecchio mio!» gli disse. «È la seconda volta che noi le prendiamo da quei signori. Ti raccomando solo di non sparare contro il quadro, ché potresti uccidere la mia Mary.»

«Nell’alberatura darò dentro,» rispose il bravo Bretone.

La fregata, liberatasi dalle sabbie, si era subito messa alla vela, tenendosi più che poteva celata dietro le interminabili file di scogliere. Si avanzava prudentemente, trovandosi sempre in mezzo a banchi pericolosi, sui quali poteva incagliare novamente, e pareva che non cercasse affatto d’impegnare un combattimento, anche per via del gran numero di malati che aveva a bordo, e che languivano nelle corsie. Ma così non la intendevano i corsari, decisi ad una lotta spaventosa, pur di finirla coll’odiato nemico.

«Passa?» chiese il Baronetto, impaziente.

«A cinquecento metri, signore,» rispose il Bretone.

«Picchia dentro prima che imbocchi quel canale e ci fugga al largo. Tu sai che è più rapida di noi.»

«Altro se lo so!… Vola proprio come una fregata dell’aria… Ah, ci siamo! Passa dinanzi al mio pezzo!»

Testa di Pietra prese la miccia e si curvò, per correggere un pò la mira.

Un silenzio profondo regnava sulla corvetta, rotto solo dallo sbattere delle vele. Tutti aspettavano ansiosi il colpo del vecchio Bretone.

«Cento sterline se lo prendi!» disse il Corsaro.

«Grazie, comandante.»

Il colpo partì con grande fracasso, destando l’eco delle scogliere e mettendo in fuga migliaia di uccelli marini.

Un grido subito echeggiò a bordo della corvetta, ma un grido di rabbia: la palla era passata fra l’albero maestro e il trinchetto della fregata, senza toccare né l’uno né l’altro.

«Mancato!» gridò il Corsaro.

«Ho perduto le sterline, ma spero di riguadagnarle. La battaglia è appena cominciata.»

La fregata, sfuggita miracolosamente a quel primo colpo, si era gettata dentro un largo canale che aveva due o tre passaggi nelle acque della corvetta, sicché non poteva credersi ancora in salvo. Il Corsaro, ben deciso a chiudere il passo, fece manovrare le vele in modo da portarsi sopravento; poi, quando la nave si trovò fuori dalle scogliere, comandò il fuoco.

I pezzi di tribordo e quelli da caccia rimbombarono furiosamente, mentre il povero Bretone si affrettava a far ricaricare il suo, per tentare di guadagnare le duemila e cinquecento lire promesse dal generoso capitano. La fregata virò di bordo e rispose alla sua volta coi suoi pezzi più grossi, tentando il colpo che per ben due volte le era riuscito. Per cinque o sei minuti le due navi si bersagliarono a vicenda, spezzandosi le attrezzature e uccidendosi non pochi uomini, poi la corvetta, approfittando del vento favorevole, mosse velocemente per abbordarla.

 

Era già giunta presso il pericoloso banco dove già la fregata si era incagliata, quando due spari risonarono isolati, spari di grossi cannoni da caccia.

Il Baronetto fece un salto, e l’equipaggio impallidì. Doveva essere il terribile puntatore del marchese d’Halifax, che si metteva in linea di battaglia.

Trascorsero pochi secondi, e due palle incatenate spaccarono, colla solita matematica precisione, la maestra della Tuonante. Il grande albero oscillò spaventosamente, schiantò la coffa e rovinò in coperta, fracassando la murata di tribordo. Nel medesimo tempo la nave disgraziata, priva ormai delle sue vele migliori, da una raffica veniva scagliata verso il banco di sabbia, dove affondava profondamente la carena. Ancora una volta la maledetta fregata aveva vinto, almeno per il momento.

I corsari, che vedevano la loro nave inclinarsi sotto il peso del troncone, corsero armati di scure per reciderlo e spingerlo in mare.

«Testa di Pietra! Testa di Pietra!» gridò disperatamente il Corsaro, mentre palle e bombe giungevano in gran numero, fracassando i madieri, le murate ed aprendo vie d’acqua nella carena. «Salvaci!»

«Eccomi!» rispose il Bretone con voce tonante. «A te, misterioso ed ammirabile puntatore!»

E scatenò il suo pezzo favorito alla distanza di appena 400 metri.

La detonazione era appena cessata, quando un grand’urlo echeggiò a bordo della Tuonante: anche la fregata aveva avuto finalmente il conto suo. Il grand’albero, preso fra le due palle incatenate, era pure precipitato, costringendo la nave a fermarsi di botto.

«Viva Testa di Pietra!» urlarono i corsari, i quali non pensavano in quel momento di essere pur essi immobilizzati e nell’impossibilità di montare all’abbordaggio.

A quel colpo fortunato seguì un cannoneggiamento spaventoso. Le due navi si coprivano di ferro e di mitraglia per finirsi a vicenda completamente. Ma la peggio l’aveva la corvetta, la quale non poteva più muoversi, insabbiata come era e addossata al banco, mentre la fregata, quantunque gravemente ferita, sbarazzatasi dell’albero, poteva ancora portarsi al largo.

I corsari intanto si battevano valorosamente e restituivano colpo per colpo, con accanimento feroce, sfidando intrepidi la morte, mentre la voce squillante del Baronetto echeggiava altissima in mezzo a quel fracasso:

«Fuoco di bordata! Fuoco, miei bravi!»

E sparavano i valorosi, quantunque molti fossero già caduti sulla tolda, spenti dai tiri tremendi della mitraglia inglese.

La corvetta, sotto quella tempesta di palle, a poco a poco se ne andava. I fori si aggiungevano ai fori; gli strappi succedevano agli strappi; i madieri, fracassati, lasciavano il passaggio alle acque, le quali ormai si raccoglievano rapidamente nelle sentine montando verso le batterie. Così la nave a poco a poco affondava, coricandosi maggiormente sul banco di sabbia; ma anche la fregata pagava cara la sua vittoria. Tutta l’alberatura era distrutta: perfino il bompresso era stato troncato da una palla incatenata scagliata da Testa di Pietra, e la carena incominciava pure a bere in abbondanza. Tuttavia, più fortunata della corvetta, aveva potuto alzare un paio di pennoni con vele quadre, e cominciava ad allontanarsi, ritirandosi dietro le scogliere.

Un’ora dopo da una parte e dall’altra i cannoni tacevano, poiché le palle non potevano più giungere al segno.

«Corpo d’un campanile!» esclamò Testa di Pietra, sfuggito, come sempre, alla morte che non voleva ancora la sua vecchia carcassa. «L’ultima ora della Tuonante è proprio sonata! La sua crociera è finita su un banco di sabbia.»

«Dopo onorata battaglia!» disse Piccolo Flocco, saltando sul grosso pezzo da caccia per osservare meglio la fregata.

«Le abbiamo date, ma le abbiamo anche prese, e la bionda miss si trova sempre nelle mani di quel furfante di Marchese.»

Ad un tratto una voce gridò:

«Un uomo in mare!»

Tutti, balzando attraverso i rottami, si precipitarono verso le murate di tribordo o, meglio, verso gli avanzi, e videro infatti un uomo che pareva si fosse gettato dalla fregata, e che si avanzava verso la corvetta nuotando vigorosamente.

«Non sparate!» gridò il Corsaro, vedendo che alcuni uomini riprendevano le carabine. «Lasciatelo venire.»

Intanto la nave del Marchese era scomparsa dietro le scogliere, infilando qualche altro canale. Ma doveva fare acqua essa pure, e probabilmente non poteva andare molto lontano.

I corsari seguivano attentamente le mosse del nuotatore, il quale, invece di fuggire la nave nemica, cercava di accostarla.

Chi poteva essere? Qualche prigioniero americano che aveva approfittato del combattimento per riacquistare la libertà? Ma quello aveva il berrettino inglese della fanteria marina.

Il nuotatore sostò un momento all’estremità d’un banco di sabbia, poi si rigettò in acqua, accostandosi velocemente alla corvetta.

Ad un tratto Hulbrik mandò un grido:

«Mio fratello!

«Wolf!» esclamò Testa di Pietra.

«Sì, patre, è lui.»

«Che cosa viene a far qui?»

«Aspettiamo, eterno chiacchierone, e lo sapremo.» disse il Corsaro.

«Forse avete ragione, comandante,» rispose il mastro, il quale si arrendeva sempre, ma soltanto al suo superiore.

Howard, il secondo della Tuonante, aveva intanto fatte gettare delle corde, poiché le scialuppe erano state tutte fracassate.

«Wolf! Wolf!» gridò con tutta la sua voce il Tedesco. «Mio pon fratello!»

«Hulbrik!» rispose il nuotatore, il quale si trovava ormai sotto la corvetta, già affondata fin quasi agli ombrinali.

Hulbrik era corso verso il fratello, e se lo era stretto al petto con grande espansione.

«Lascialo a me ora!» disse il Baronetto. «Potrete più tardi dirvi tutte le cose che vorrete. Ma io devo supporre che non per venire a salutare tuo fratello tu, Wolf, hai lasciato la fregata, a rischio di ricevere una diecina di palle.»

«No, sir,» rispose quello. «Vengo da parte della vostra fidanzata.»

Il Corsaro prima diventò pallido, poi un vivo rossore gli colorì le gote.

«Da parte di Mary!» disse con voce quasi gemente. «È viva dunque?»

«Sì, sir; e vi posso anche dire che ella pensa sempre a voi.»

«Che cosa vuole? Che io cerchi di liberarla dal Marchese che la tiene schiava?»

«E dovreste farlo presto, sir, poiché la fregata cercherà di giungere a New York, dove il primo atto del Marchese sarà quello d’impalmare la miss

«Chi te lo ha detto?»

«Lui in persona. Io sono sempre stato un pò il suo confidente.»

«Ma potrà la fregata, così guasta, arrivare a New York?» domandò il signor Howard.

«Ho inteso dire che ora costruiranno una zattera, colla speranza di trovare poi qualche nave inglese che li raccolga.

«Signor Howard,» chiese il Baronetto, in preda ad una viva agitazione, «che cosa mi consigliate di fare voi?»

«Di far la stessa cosa e dar la caccia agl’Inglesi attraverso l’Atlantico.»

«Con una zattera?»

«Sicuro. Io spero, signore, di farvi fare una magnifica corsa.»

«Povera la mia corvetta! n esclamò il Corsaro, con un sospiro. «Se l’avessi ancora a mia disposizione, l’affare sarebbe finito in pochi minuti, e la mia Mary tornerebbe fra le mie braccia… Ma non disperiamo. New York non è vicina e lassù combatte il generale Washington, che resiste valorosamente alle armi dell’ammiraglio Howe e di Clinton… Testa di Pietra!»

Il bravo Bretone, fu pronto ad accorrere, seguito dalla sua inseparabile ombra, ossia da Piccolo Flocco.

«Dai rottami di questa nave credi tu di poter trarre una zattera capace di contenerci tutti?»

«Ne avanzerà anche del legname, sir William; ma dovremo abbandonare le artiglierie.»

«Non ci contavo affatto. E poi sarebbero pericolose su un galleggiante… Morte e dannazione! Non ho potuto riprenderla la mia Mary, ma non dispero.»

«E nemmeno io,» disse il signor Howard. «Abbiamo lasciata dietro di noi la flottiglia corsara americana e un incontro può avvenire: sarebbe allora la fine del Marchese.»

«Conto appunto su quello,» rispose il Corsaro.

Era rimasto ritto un troncone dell’albero di maestra, tagliato proprio rasente alla coffa, fornito ancora di parte delle sue griselle; e il Baronetto ed il signor Howard vi salirono in cima.

«Deve aver raggiunto qualche altissimo gruppo di scogli,» disse il Baronetto. «Se potessimo sorprenderla prima che il suo equipaggio lanci la sua zattera!…